Dopo la doccia con shampoo dunque, con la testa ancora bagnata e gocciolante, non come quella della Gorgone Medusa decapitata da Perseo, per fortuna, nel senso che non perdevo gocce di sangue o di veleno, uscìi dal collegio di corsa e passai sul ponte di legno che rispose ai miei balzi con lieto rumore. Avevo deciso di attraversare il bosco velocemente per prendere il tram numero uno siccome con l’automobile, ritardata dai sensi vietati, ci sarebbe voluto più tempo.
Verso le sette il sole, già molto stanco del volo, declinava nel suo rifugio notturno e l’autunno aggrediva l’estate con violenza non dissimulata: le foglie non più illuminate dal sole, del tutto scolorite e appassite, battute da un vento nordorientale già quasi freddo e boreale, rinforzato per giunta dal risucchio del tram, cadevano al suolo concludendo non senza rimpianto la loro breve stagione; le corolle dei fiori decolorati si piegavano rabbrividendo fino a toccare la terra nera e resa mézza dalla guazza del vespero, come una folla di schiavi si inchina davanti a un tiranno.
A me invece quella sera di autunno precoce non faceva piegare le ginocchia dell’anima. Presto avrei sentito la voce calda e amabile della mia donna, entro pochi giorni ne avrei rivisto il viso splendidamente abbronzato dal sole di Sicilia e avrei accarezzato di nuovo la pelle liscia e profumata del suo corpo intero: le guance, le mani, le braccia, il collo, le cosce, il ventre suo. Avrei tratto nutrimento e salute dal seno suo santo, dalle labbra di lei saporite di gioventù, di estate, di sole. E finalmente avremmo fatto l’amore in casa mia, nel letto dei nostri tripudi gioiosi, innumerevoli volte. Chi avrebbe potuto contarle? Li avremmo mescolati e confusi perché nessun invidioso maligno potesse lanciarci il malocchio sapendo quanto eravamo capaci di amare. Avremmo altresì parlato dei lunghi giorni trascorsi durante il mese passato da soli, dei nostri pensieri, delle nostre letture. Questo meditavo, illudendomi, durante il tragitto nel tram che traballava. Invero la giovane donna dell’inverno e della primavera passate, non l’avrei trovata mai più.
Entrai nella grande sala della posta centrale e chiesi la comunicazione con Bologna. Mentre aspettavo, osservavo le persone in attesa. Notai un’ospite del collegio universitario: una finlandese senza colore e svuotata di vita, anche lei, come i fiori e le foglie. Per contrasto mi fece desiderare più che mai la mia donna bella, bruna e vivace, mediterranea e abbronzata come la musica di Bizet, la giovane amante che nelle membra adunava la luce del sole e con il sorriso radioso la riverberava irraggiandone chi aveva il privilegio di starle vicino. Quel fortunato, quell’uomo felice, ero io
Pesaro 26 settembre 2024 ore 17, 08giovanni ghiselli
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