Ifigenia CLXXXI
I fuochi d’artificio a Budapest. Una festa di popolo.
Finita la cena al ristorante Silvanus di Visegrád, ci portarono a Budapest perché vedessimo i fuochi d’atificio che ogni anno il 20 agosto, calata la notte, vengono lanciati dalla base del monte Gellert verso il cielo da dove cadono nell’acqua del Danubio in forma di carte bruciate. Quando arrivammo nella capitale, per le strade c’era aria di festa e la popolazione si dirigeva da tutte le parti verso il fiume che separa la pianura dalla collina, cioè Pest da Buda.
L’autobus ci portò fino alla Keleti Pályaudvar, la stazione orientale. Ne uscimmo ed entrammo nella schiera lunga e fitta che percorreva la Rákóczi út in direzione del ponte Erzsébet. Arrivati, scendemmo sulla riva lapidea del fiume, camminammo un poco controcorrente, poi ci sedemmo sui duri gradini dell’argine.
I margini del Danubio erano pieni di popolo. Tali feste mi piacciono: sono sentite dalla gente. Non hanno fini di lucro e non ci si va per consumare. Conservano qualche cosa di antico e di religioso. L’acqua scorreva così lentamente che non si vedeva se andasse verso il ponte Elisabetta o quello delle Catene e l’isola Margherita.
Alle dieci in punto si spensero le luci della fortezza con tutti i lumi di Buda, poi quelli di Pest. Quanti fumavano spensero le sigarette. Il momento era sacro. Alla base del Gellert si accesero dei riflettori che lanciarono in alto fasci di luce rosa, verde e rossa. Quindi cominciarono i fuochi. Salivano quali punti luminosi nel cielo, poi si aprivano, si colorivano come un boccio che diventa un fiore dalle ampie corolle, o come una bambina neonata che diventa una bella donna.
Dopo la fioritura stupefacente, però, la luce si affievoliva e cominciava a declinare nel fiume dove concludeva la breve parabola della sua vita in forma di carta nera, bruciata, fumosa.
“Potrò evitare questa caduta alla bellezza delle persone incontrate nel mio cammino e agli spettacoli meravigliosi della natura-pensai-trovando le parole migliori e scrivendole nell’ordine migliore” .
Un bambino gridò: “ mamma: Guarda quante stelle nuove vanno su e giù!”
“Il bambino, come il poeta, nota le somiglianze” pensai.
A un tratto il Gellert si accese per una cascata ignea che rischiarò Buda e il fiume con entrambe le sponde. Mi voltai per vedere le facce delle persone-“Fra cento anni, pensai, nemmeno uno di noi sarà più qui sulla sponda del fiume né altrove Se saprò raccontare il bene ricevuto e dato con le parole migliori disposte ordinatamente,qualche cosa di buono e di bello si salverà dall’orrido precipizio.”
Bologna 11 maggio 2024 ore 9, 49 giovanni ghiselli
Ifigenia CLXXXII La casta Isabella e il momento eterno con Elena
Su uno scalino poco sopra il mio c’era la casta Isabella seduta in maniera composta e dignitosa. Con le mani teneva la gonna, lunga e larga, aderente ai polpacci. Se si fosse posizionata in maniera diversa avrei potuto vederle cosce e mutande. Sarebbe stata una provocazione lanciata alla luna casta nel cielo e, in senso diveso, alla libidine mia qui sulla terra.
La cascata di luce le illuminava il volto bello e pulito. Le rivolsi un sorriso di stima e simpatia. Quando mi ebbe visto, la corteggiai elogiando la sua pudicizia elegante e rara. Sapevo che con gli elogi si possono sedurre anche le vestali.
“Seduta così compostamente-le dissi non senza un po’ di ironia-fai onore alla tua dignità di donna e rispetti il tuo uomo”. Invero cercavo di stuzzicarla. Rispose con un sorriso. Osservavo i suoi occhi lucenti nella girandola conclusiva dei fuochi. Attraverso lo sguardo di lei vedevo le profondità ancora pulite e non abissali dell’anima di quella ragazza: non era il fondo del mare insondabile, spesso latente anche perché talora coperto di sugna, oppure abitato da mostri, bensì la conca sassosa di un piccolo lago alpino, del tutto visibile per la limpidezza dell’acqua incontaminata e diafana al pari del cielo sopra le montagne dopo l’aurora di una giornata che si annuncia serena, quando il sole emergendo dalle pallide rocce le colora di rosa come fece il 30 luglio del’ 71 con gli alberi strani dell’orto botanico dell’Università di Debrecen, quando Elena cantava Summer time per significarmi che in quel momento vivere era facile e bello per noi due che ci amavamo, però avevamo poco tempo davanti e dovevamo assaporare quel momento, assimilarlo ai nostri corpi e alle anime nostre perché non sarebbe tornato mai più.
Come vedi ho raccolto l’invito Elena mia. Ho amato te più di tutte perché potevo farlo senza pensare a un ridicolo fidanzamento o a un tragicomico matrimonio, senza averne paura. Anche tu non mettesti mai in conto questo esoso balzello né altri a me odiosi
Pesaro 27 settembre 2024 ore 16, 47giovanni ghiselli
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