Viaggiavamo sull’autostrada verso l’anno scolastico da passare insieme: nel liceo le mattinate, se le rinnovavano la supplenza, e in camera mia nei pomeriggi, come si era fatto nei mesi precedenti l'estate. Le ingorda scorpacciate di piacere non ci avevano pocurato una gioia sicura.
Anzi questa si era già rovesciata.
Nell'automobile non si parlava. La prospettiva sull’avvenire non era buona. Vedevo davanti a noi un anno buio e doloroso a meno che intervenisse un cambiamento: non il ribaltamento di un coccio bensì la conversione dell’anima, pensavo, ricordando Platone.
Se non ci volgevamo verso la luce spogliandoci delle miserie di un divenire disastroso, l'anno seguente sarebbe stato orrendo come una giornata invernale quando un cielo cupo, oppressivo, ci schiaccia l'anima sul pavimento della cucina dove ci ingozziamo senza fame per disperazione o stesi nel letto facciamo sesso senza desiderio, con fatica, quasi con disgusto per quella carne mortale che non piace più. Allora un disgraziato si avvicina a una finestra in cerca di visioni confortanti e viceversa nota i rami degli alberi coperti da croste gelate e scossi da un vento boreale che fa cadere uccelli intirizziti sulla strada dove le ruote delle automobili li riducono a pezzi di spazzatura. E gli si stringe il cuore.
Ifigenia mi aveva reso infelice. Già presoffrivo le sue visite lunghe, noiose, sgradite, l'insegnamento per niente creativo delle grammatiche, la lotta perdente contro il preside e i colleghi ostili al mio metodo, alla mia persona e alla cultura.
Per non avvilirmi del tutto mi dissi: "tu non sarai mai come loro!"
Due mesi più tardi una nuova supplente, Lucia, mi diede una scossa vitalizzante che dissipò l'aria mefitica che mi stava mortificando e illuminò l'orizzonte come il sole di febbraio passa attraverso uno squarcio aperto dal vento nella bruma pomeridiana e promette una stagione migliore all'uomo avvilito e ottenebrato da mesi di buio. Ma sarà un' altra illusione e ancora più vana.
Quel 22 agosto Ifigenia forse avrebbe trovato il coraggio e la forza di chiarirmi quanto le era capitato se mi fossi mostrato più disponibile ad ascoltarla e capirla. Diversi mesi più tardi disse che quella sera alla stazione di Padova aveva visto in me un uomo malvagio, simile a un serpente maligno che spirava un fumo velenoso e vibrava una lingua piena di odio verso la donna che gli era andata incontro mentre tornava da un mese di assenza in una città lontana dove aveva vissuto le giornate più belle della sua vita quando era più giovane e meno cattivo.
Pesaro 28 settembre 2024 ore 15, 54 giovanni ghiselli
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