La gita “scolastica” a Eger. La cantina. Bacchus Pannonius. I disegni di una bambina
Sabato 4 agosto andammo tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue di toro di Eger, già noto a chi mi legge, e l’ Egri leánika, la fanciulla di Eger, una baccante probabilmente, due splendidi doni di Bacco alla Pannonia.
Dioniso e il toro, Dioniso e le fanciulle menadi invasate da lui.
Deve esserci stato anche un Bacchus Pannonius.
Entrammo in un borozó, una grande cantina:
Non mi limitai a bere però; dialogai con Silvia, la giovane tedesca bionda e un poco opulenta che sapeva parlare e pure ascoltare. Quel giorno, facendo attenzione a tutto quanto udivo e vedevo, compresi che la maturità mentale consiste, tra l’altro, nel ridiventare com’eravamo quando si era bambini, prima delle diverse crisi di identità dell’adolescenza o dei venti anni iniziali. L’età tragica della mia vita e di tanti altri umani.
Mentre osservavo e ascoltavo, mi accorsi che da qualche tempo l’intelligenza, le esperienze e un demone buono mi stavano riconducendo alla mia antica natura infantile qual era prima che venisse contraffatta e aulterata dai luoghi comuni dell’epoca.
Ci venne vicino una giovane donna con una bambina di quattro o cinque anni che disegnò il disco solare con i raggi e disse: “questa è la testa del fuoco, è la faccia di Dio”. Mi tornò in mente Platone, il mito della caverna e il sole che è nel visibile quello che è l’idea del Bene, il massimo oggetto di scienza[1] nell’intellegibile
Poi ricordai Leopardi quando scrive che la filosofia ci ha insegnato “quello che da fanciulli ci era connaturale, e che poi avevamo dimenticato e perduto” [2].
A tredici anni ero innamorato di Marisa una ragazzina coetanea senza sapere altro che mi piaceva e che era brava a scuola. E che se mi avesse contraccambiato sarei stato felice.
Più avanti sono intervenuti mille pensieri torbidi nei confronti di ogni donna che mi fosse piaciuta, problemi spesso fasulli ma capaci di ostacolare l’intesa, l’amore, perfino il piacee , veri problhvmata.
La bambina dunque aveva disegnato il mare con un pesce enorme, una rete, tanti pesci piccoli, e disse: “Questa è la balena che cattura i pesciolini con una ragnatela”.
“Il diritto del più forte-pensai-uccellacci e uccellini. I bambini intelligenti capiscono molte cose. Intuiscono la parentela di tutto con tutto, dell’intera natura con se stessa, siccome hanno dentro qualche cosa di sacro, e lo manifestano fino a quando non temono i giudizi mortificanti degli adulti mortificati ”.
Voglio dire che arrivato vicino ai 35 anni, dopo tante esperienze e letture, mi sentivo simile a quella creatura nel senso che avevo recuperato il coraggio infantile di esprimere quanto pensavo e sentivo: non temevo più i giudizi della gente meccanica, formata sui luoghi comuni, mimetica della pubblicità vera mimesi del maligno che andrebbe proibita. Elogiai la piccola alla madre, una bella signora bruna, con gli zigomi alti e gli occhi chiari, dal taglio magiaro vicino al finnico-momgolico. Mi disse il suo nome e mi chiese chi fossi. Mi presentai e risposi che ero un uomo contento e che mi piaceva l’ umanità: facevo un lavoro che mi soddisfaceva, amavo una donna contraccambiato, godevo di una buona salute mentale e fisica, e volevo rendermi utile al prossimo mio, a partire dagli adolescenti che educavo a diventare ciascuno quello che era davvero, possibilmente bello e buono.
A Silvia, quando mi chiese dei chiarimenti su quanto aveva sentito, aggiunsi che stavo riprendendo coscienza dell’ottimismo mio, connaturato eppure smarrito durante la crisi postliceale, siccome in quel tempo sciaguratissimo avevo creduto nei bruti asserviti alla pubblicità e alle propagande più che in me stesso. Dopo un biennio di quasi disperazione, senza bicicletta né corsa, con studio fatto male e controvoglia per riferire nozioni a umbratici doctores tutt’altro che educatori stimolanti, privo di amore com’ero, di amicizia, di tutto tranne il cibo che mi deformava, incapace di vivere umanamente, avevo cominciato a ritrovare quello che ero, a ridiventarle riveduto e corretto, e ce l’avevo fatta aiutato dal movimento del Sessantotto e dai collegi universitari di Bologna e di Debrecen grazie ai quali ero uscito dall’isolamento.
I colpi di grazia salvifica, impulsori di vita bella e buona, erano stati i miei primi allievi, l’amicizia di Fulvio, l’Elena di Praga e le tre finniche Helena, Kaisa, Päivi e alla fine dei conti Ifigenia la bella che mi aspettava, speravo, in Italia sul lido Adriano senza peccare e, invece di fornicare con quanti la corteggiavano, osservava gli innumerevoli sorrisi della distesa marina e pensando a me, come io la pensavo.
Pesaro 26 settembre 2024 ore 8, 46 giovanni ghiselli
Ifigenia CXLVII. La cena con Brina.
La sera a cena venne seduta vicino a me una finlandese dal nome ecologico e confacente alla sua terra: si chiamava Kirsi, che significa “brina” tradusse, ma precisò che il suo nome era un presagio rovesciato. “Brina rovente” dissi per assecondarla. “Esatto- fece- tu mi capisci al volo”.
“Sì-replicai- sei un ossimoro vivente. Ora ti vedo volare eterea e candida quale creatura nata da un incontro tra un uccello dalle piume d’argento e una divinità iperborea fecondata sul tappeto profumato dei vostri boschi. Le tue origini devono avere la sorgente nel mito e possedere una dignità divinamente ornitologica.”
Colei sorrideva probabilmente compiaciuta, ma io, mentre dicevo tali insulsaggini, avevo la selva dell’anima occupata dall’ ei[dwlon di Ifigenia.
Intanto sentivo piovere sul tetto del ristorante “Casamatta”, un locale tra il bunker a la cantina. Quando ne uscimmo però le pozzanghere riflettevano le stelle del cielo rasserenato. Durante il ritorno, in corriera le finniche esangui cantavano canzoncine dolci e malinconiche con voci di miele. La loro lingua piena di vocali raddoppiate sembra primitiva e infantile. “Bambine con poca coscienza e scarsa innocenza” pensai, malignamente e ingrata mente.
Ero inacidito e incupito dal silenzio torbido della villeggiante sulla babilonica spiaggia. La gioia del telegramma era svanita lasciando spazio allo spettro del tradimento.
Mi ero isolato per rimuginare pensieri cattivi su una donna assente che mi infliggeva angoscia, invece di mescolarmi alle finlandesi, donne che in un tempo meno malsano mi avevano reso del tutto felice.
“Il telegramma-pensavo- non è ambiguo nelle parole amorose, però non è frutto dell’applicazione seria cui spinge l’amore, come una lettera dove colei avrebbe potuto descrivere i suoi sentimenti e raccontarmi le azioni, gli eventi pubblici e privati. Dice che l’epistola arriverà. Vedremo. Intanto il messaggio pervenuto non vale granché: l’ha composto in pochi minuti e l’ha spedito magari ridendoci sopra con il più becero dei suoi ganzi.
Poi mi dicevo: “Sai bene che una donna quando e se ama scrive, e colei in due settimane di lontananza , beata in quel carnaio, nemmeno una cartolina illustrata ti ha scritto. Chi ama si comporta con chiarezza che toglie ogni dubbio. D’inverno ti cercava a tutte le ore, anche troppo. Quando, annoiata o tormentata dal marito scendeva in garage o si chiudeva in bagno per telefonarmi e quell’energumeno bussava alla porta con mani frenetiche. Ora che quello è chissà dove, lei non ha più bisogno di te come consolatore.
Ora ti manda un telegramma pieno di enfasi erotica perché non si sa mai, però i suoi pensieri buoni o cattivi non te li fa conoscere e tanto meno le sue azioni probabilmente non proprio virtuose.
Ifigenia ha le menbra diritte, perfette, ma la sua mente è obliqua e contorta”.
Pesaro 26 settembre 2024 ore 8, 47 giovanni ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento