Isabella sorrise, sedette e bevve il bicchiere di vino che le portai.
Quindi contribuì alla mia educazione. Mi consigliò di non mettermi sempre in posa. Disse che facevo scene in continuazione, alcune anche belle, per carità, però correvo il rischio di perdere la persona che ero lasciando troppo spazio, tempo e battute ai personaggi che recitavo inventando o citando. Anche a lei piaceva recitare, ma solo su un palcoscenico, mentre io lo facevo continuamente, come un attore fanatico in preda a deformazione professionale. Fui tentato di replicare con la battuta più ovvia in quel momento: “All the world’s stage and all the men and women merely players”[1].
Ma non mi parve il caso, non con la buona, acuta Isabella, e mi tolsi la maschera.
Quindi risposi: “tu non hai torto, ma io ho avuto forti ragioni per diventare attore o scimmia di me stesso, o zingaro dionisiaco, come preferisci.
Sono diverso dalla gente ordinaria e ho dovuto difendermi per non essere costretto a rinnegare la mia identità. Quando, intorno ai ventanni, provai ad assimilarmi ai più non solo avevo abiurato la mia natura ma la mia stessa vita. Così come sono, non vengo accettato dai più. Del resto compresi che non posso sopravvivere diverso da quello che sono. Allora scelsi la solitudine: smisi di aggregarmi a quelli che giocano a carte, chiacchierano di nulla, seguono le partite di calcio, si rimpinzano di dolci o di lasagne, si lasciano comandare tutte le feste e conciare per queste. Con il tempo mi accorsi che la mia stranezza, il mio essere a[topo" , fuori luogo, fuori dai luoghi comuni, non dispiaceva a tutti, anzi ad alcuni rari e strani come me piaceva assai. Soprattutto alle donne migliori, quelle come te, Isabella cara. Per farmi riconoscere da loro, per attirarle ho dovuto rendere espressivi i miei gesti, il volto, lo sguardo. Ogni mio movimento, ogni sillaba mia doveva significare buon gusto, intelligenza, sensibilità. Del resto cerco tuttora di rappresentare me stesso, le parti migliori di me, quindi piuttosto che recitare le mie scene, le vivo intensamente: le traggo da dentro, non da fuori: le sento, le soffro, le godo. Comunque terrò conto della tua critica: imparerò a recitare meglio, a fare scene che non appaiano recitate”.
“Bravo!” -disse Isabella- spero di incontrarti di nuovo più avanti per vedere come avrai realizzato questo proposito di immedesimaziome e straniamento al tempo stesso. Insomma pathos non senza ironia, Stanislavskij e Brecht”.
La buona Isabella mi stava facendo del bene e da questa opera buona ricavava una bellezza rinnovata e potenziata
“Se tu ti strasfiguri, non mi meraviglio”, stavo per ricominciare parafrasando di nuovo un testo poetico ma volli censurarmi e tacqui.
Piuttosto mi diedi a osservarla. I capelli neri che ancora stillavano gocce di pioggia aderivano al volto abbronzato, ma lasciavano apparire il luccichio di orecchini chiari, sottili, leggeri, simili a sistri d’argento che non suonavano più, eppure mi parvero quali astri che si fanno vedere in una notte d’autunno là dove le nuvole inquiete dopo la sera tetra cominciano a disaggregarsi e tra gli strappi del buio lanciano sulla terra la loro luce intermittente eppure viva e brillante, come se l’acqua del dì ottenebrato avesse reso pulito il cielo togliendogli l’orrenda lordura indistriale che rende malata la terra e inebetisce le stelle.
Pesaro 27 settembre 2024 ore 10, 58 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Shakespeare, Come vi piace, II, 7. Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini lee donne soltanto attori
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