giovedì 15 dicembre 2022

Il 1969. 11. La pensata canzonatura culturale del principiante al preside aguzzino

I primi tempi l’iniqua ostilità del preside Umberto Zanini mi tolse parte del mio ottimismo relativo alla scuola come istituzione, ma non il mio entusiasmo educativo. Non ero inesperto del male, e negli anni del liceo poi in quelli dell’università, avevo imparato a difendermi dai malevoli operatori di malvagità.
Talora la sera dopo avere ripassato la lezione per il giorno seguente, spengendo la fioca lucerna della terrazza che rispondeva alla pianura veneta, ripetevo le parole sentite nel film Fuoco fatuo che il regista Louis Malle ha tratto dal romanzo di Pierre Drieu La Rochelle.
 “Domani mi uccido”, mormoravo.
Per scherzo, certo. Mi veniva in mente quando lo facevo nel collegio di Debrecen, ad alta voce, e Claudio ribatteva: “perché non ti uccidi subito, borsa!”. Nel Motel di Cittadella aggiungevo un antidoto tratto da Virgilio: “O passus graviora, dabit deus his quoque finem[1]. Né tralasciavo di aggiungere: “ revoca animum  maestumque timorem- mitte; forsan et haec olim meminisse iuvabit (…) “dura et te rebus serva secundis”[2]
L’ultima pillola contro lo sconforto di tanta solitudine  in sì verde età me la forniva Ovidio:  Perfer et obdura: dolor hic tibi proderit olim/saepe tulit lassis sucus amarus opem[3].
La buona letteratura degli ottimi autori ha sempre avuto un effetto anche terapeutico su di me. Poi il sentimento della natura. E, importantissime, le donne. Queste le sponde della salvezza quando il naufragio incombeva.
 
Andai dunque alla posta per il telegramma da inviare. Scrissi “Carmignano sul Brenta”. L’impiegata mi corresse: “di Brenta; sul Brenta è Piazzola”. Sbagliavo anche il nome. Forse aveva ragione il preside che non mi voleva: nemmeno io volevo restare. Conunque non ci sarei rimasto tanto a lungo. Dovevo tornare a Bologna, nel mio ambiente.
 Il preside venne a ispezionarmi più volte. Entrava in classe senza bussare e rimaneva qualche decina di minuti a fissarmi, ad ascoltarmi, senza togliersi il cappello. Infine riconobbe che ero preparato “anca massa”-aggiungeva- per questi putei”
Tuttavia alla fine dell’anno mi diede la qualifica di Valente invece di Ottimo, togliendomi in questo modo due punti. Volli vedere la motivazione. Era di fatto un giudizio politico: aveva scritto che assumevo atteggiamenti che non si confacevano alla dignità della scuola.
Di fatto nei pomeriggi di maggio, il maggio odoroso e sereno del 1970, feci alcune gite ciclistiche a Marostica con gli allievi della mia terza media cui nel prato verde smeraldo del castello alto ripetevo con loro il programma che dovevano presentare all’esame di giugno.
Andavamo e tornavamo in bicicletta. Per strada talora cantavamo Bella ciao o canzoni di Fabrizio de Andrè.  Con noi veniva il collega di matematica, l’amico Peppino Graziani, un uomo buono e intelligente, anche lui amato dagli allievi.
Una mattina di giugno il preside mi convocò nel suo ufficio rallegrato di luce in questo mese, come tutto il nostro emisfero.
Ma lui con gravità tetra e riprovazione disse: “Professore, il paese mormora contro di lei e contro di me che non intervengo”
“Che cosa ha da mormorare ?”, domandai   
“Mormora, mormora. Voci. Una parola qua una là. Lei, Graziani, le vostre gite a Marostega con le ragazze in bicicletta. Professore la gente qui non è cieca, non è sorda, non è stupida. Noi ne abbiamo piene le tasche della sua politica e della sua sicologia”.
 “La scienza dei fichi” pensai.
“Immagino che lei ha votato Psiup”,  continuò.
“Sì è il partito più a sinistra nel parlamento della Repubblica italiana”.
“Carmignano non è la Russia, non è nemmeno la rossa, dissoluta Bologna. Ci torni, Qui noi siamo religiosi e morali. Torni da dove viene, appena possibile. Comunque lasci stare queste passeggiate ciclistiche ambigue”
“Ma che ambigue!-replicai- Io e il professor Graziani teniamo alcune lezioni supplementari all’aperto. Io amo la bicicletta da almeno venti anni, da quando ne avevo cinque. Le ragazzine della scuola media tra l’altro non hanno niente a che vedere con le donne spartane biasimate da Peleo nell’Andromaca di Euripide![4]
“Cossa vu to!”
Canticchiai dentro di me: “Ah! chi mi dice mai quel barbaro cos’è?”[5]
Quindi risposi:
“ Voglio Sapere che cosa hanno da mormorare i furfanti bigotti di questa Vandea E lei in sostanza che cosa vuole impormi contro la libertà di insegnamento?”
Quindi, per spiazzarlo di nuovo citai una frase della Buona Novella: “oJ ojfqalmov" sou ponhro;" ejsti, o{ti ajgaqo;" eijmi;[6]”. Così in greco gli diedi del tu.
Quel barbaro non capì di nuovo e bofonchiò un’altra volta: “Cossa vu to”.
Poi disse: “Professore, lei è perseguibile da me 24 ore su 24.
Et persequimini de civitate in civitatem[7], pensai
 “La smetta di andare a Marostega con gli alunni se non vuole che le mandi una censura scritta, una nota di biasimo che può rovinarle la carriera scolastica”
Dat veniam corvis, vexat censura columbas[8] replicai
“Cossa vu to” borbottò
 

 
Bologna 15 dicembre 2022 ore 9, 58
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Cfr. Eneide, 1, 199.
[2] Cfr. Eneide, 1, 202 sgg.
[3] Amores, III, 11, 7-8.
[4] Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse potrebbe restare onesta ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"",  v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (Andromaca, vv.595-600).
Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto..per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo , 14). E' interessante il fatto che   Erodoto  (I, 8)  viceversa fa dire a Gige:"la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore". 
[5] Cfr. Mozart -Da Ponte , Don Giovanni, I, 5.
[6] N. T., Matteo, 20, 20. Il tuo occhio  è cattivo perché sono buono?
[7] N. T., Matteo, 23, 34 E perseguiterete di città in città.
[8] Giovenale, II, 63. La censura perdona i corvi e tormenta le colombe.

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