La mattina seguente contammo i denari e constatammo che se si voleva arrivare a Bologna senza chiedere l’elemosina, non potevamo più dormire in un letto né mangiare seduti nemmeno in una bettola infima. Avevamo sessantaduemila lire necessarie quasi tutte per la benzina.
A Nauplion l’inedia e il pensiero della nostra carestia non ci tolsero la voglia di fare una nuotata nel mare sfavillante di luce che diffusa copiosamente dalle mani generose del Sole attraversava l’acqua facendo brillare i sassi del fondo, le schiene iridate del pesci e i dorsi spinosi dei ricci. In queste creature marine a dire il vero vedevo del cibo. Putroppo imprendibile,
Il corpo di Ifigenia che guizzava snella e armoniosa come una Nereide stimolò ancora di più la mia voglia di vivanda. “Inattenuata restava la fame crudele, e vigoreggiava implacato l’ardore della gola” [1].
Mi venne in mente il desiderio di cibo dell’empio Erisittone
Un bisogno naturale, se rimane insoddisfatto a lungo diventa innaturale.
In parole povere avrei voluto mangiarla, magari dopo averla fiocinata in un modo o in un altro
Quando uscimmo dall’acqua non potei trattenermi dal mordere una delle sue cosce carnose.
Molte sono le cose tremende ma la più tremenda è la fame.
Salimmo a Micene e vi restammo tre ore.
Ifigenia camminava esaltata in mezzo alle antiche rovine sitibonde e contaminate dal sangue scuro dei Pelopidi massacrati tra grida inumane di dolore e di odio.
La ragazza biancovestita recitava alcuni versi dell’Agamennone attribuiti da Eschilo alla bipede leonessa- divpou~ levaina[2] Clitennestra, chiamata così da Cassandra.
Ifigenia recitava a memoria queste parole della moglie assassina che proclama la giustizia, la bellezza e il piacere del proprio delitto:
“lo colpisco due volte, e lui con due lamenti lascia cadere le membra proprio lì. Allora io sul caduto aggiungo un terzo colpo e un’offerta votiva a Zeus sotterraneo salvatore dei morti.
Così quello disteso a terra erutta lo spirito suo
e soffiando un fiotto impetuoso di sangue
mi colpisce con uno spruzzo nero di sanguinosa rugiada
e mi fa godere non meno di quanto gioisce
della pioggia inviata da Zeus il campo seminato
nel germogliare della spiga”[3].
Magari la mia compagna recitando queste parole pensava a quando mi avrebbe eliminato dalla sua vita, meno di due anni più tardi.
Comunque io la osservavo affascinato pensando: “sarà squlibrata e opportunista nello stesso tempo, a volte sarà pesante e noiosa, talora tremenda; però è bella e ha il sentimento del bello. Quando sarò caduto sotto i suoi colpi ripetuti, diversamente da Agamennone, io mi rialzerò e inzierò a scrivere di lei quanto nemmeno Eschilo ha saputo fare per Clitennestra, né Sofocle per Antigone, né Euripide né lo stesso Omero per Elena.
La finnica più bella, Elena, nel mio capolavoro sarà l’antitesi e pure l’anticipazione di Ifigenia.
Dopo le tante letture e le diverse amanti contengo nell’anima tutti questi aspetti di donne: la furia scellerata della figlia di Tindaro, l’ostinazione eroica di Antigone, figlia e sorella di Edipo, la sovrumana bellezza della figlia di Zeus: Elena la meravigliosa adultera per cui non è nemesi patire a lungo tanti dolori poiché terribilmente assomiglia alle dèe immortali[4].
Pesaro 6 ottobre luglio 2024 ore 16, 45 giovanni ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento