lunedì 31 marzo 2025

Ifigenia III. E’ difficile entrare nella gioia tutti interi.

Sapevo di essere stato più imbarazzato che brillante come ero invece quando corteggiavo le finniche o altre donne peregrine.

Ma a Debrecen ero in vacanza ed ero un borsista gratificato con premi d’amore più che di studio,- “vittu[1] e alloggio” si diceva scherzando tra noi maschi italiani- ed ero sì in una Università, ma quale studente in compagnia di altri universitari più gaudenti che studiosi.

 Si beveva e si amoreggiava ringraziando gli dèi con degli evoè scatenati piuttosto che con sussurrati, casti  osanna.

A Bologna ero diventato un docente guardato con sospetto da diversi colleghi e dal preside nuovo arrivato, tutt’altro che benevolo nei miei confronti.

Dovevo stare attento a non dare esche a lui e  altri malevoli.

 Benevoli erano stati quasi tutti con il preside galantuomo andato in pensione e magari alcuni lo erano ancora, ma, da quando, con il nuovo anno scolastico il dirigente era cambiato e io ero caduto in disgrazia, stavano attenti a non farlo vedere. Era mutato tutto in peggio dall’anno prima quando avevo un preside estimatore e amico, tanto che come arrivai, trasferito da Imola, mi diede due classi da portare alla maturità con il greco. Portai l’Edipo re in una sezione e le Baccanti nell’altra, due testi diventati poi miei cavalli di battaglia, poi due libri tradotti e commentati da me. Mi dicono che vengono ancora usati: nell’Università Federico II di Napoli, per esempio.

Questo nuovo preside dunque cercava di spostarmi, confinarmi nel ginnasio, nonostante i liceali delle mie classi manifestassero in mio favore.  Da loro Ifigenia aveva saputo che ero molto bravo. Al nuovo dirigente  non  piacevo per ragioni politiche, di metodo didattico, e probabilmente anche personali. Gli mancava tutto quello che avevo e mettevo a disposizione.

Lui però aveva il potere di danneggiare me e i miei studenti, mentre io non avevo potere e loro nemmeno. Eravamo sprotetti.

Insomma il mio rapporto con la dirigenza era cambiato molto in peggio e dovevo stare bene attento.

Le manifestazioni dei ragazzi in mio favore non erano richieste e tanto meno organizzate da me, però c’era tra i colleghi chi telefonava in provveditorato perché venissi trasferito in quanto turbatore del clima del “loro” liceo che era stato tranquillo prima del mio sciagurato avvento.

 Tornando agli amori dell’università estiva, là il tempo per realizzarli era ancora più breve di quello dell’estate: nemmeno una volta si  riaccese la faccia della  luna, durante il corteggiamento di ciascuna delle donne che volevo amare, che amai contraccambiato in quel paradiso terrestre.

A Bologna  nell’autunno del 1978 avevo davanti diverse riaccensioni della casta diva celeste per realizzare il mio piano. Per questi diversi motivi procedevo adagio.

Dovevo agire con cautela in  un rapporto che poteva diventare serio.

La  bella ragazza e collega non era del tutto implausibile per una relazione lunga però problematica se non altro perché Ifigenia viveva con un altro uomo, sposato con lei per giunta. Io invece “vivevo la mia contraddizione”, come si diceva allora. Amavo le donne e detestavo le nozze. Non ho mai pensato che portino gioia più che dolore.

Insomma dal don Giovanni che ero stato a Debrecen con donne esotiche, e pure con diverse italiane libere da legami nei mesi precedenti passati quell’anno a Pesaro e  Bologna, davanti alla giovane, splendidissima collega nella scuola dove un ducetto nuovo arrivato mi ostacolava , ero ridiventato lo sparuto diacono di quando bazzicavo la parrocchia di San Terenzio, il patrono della mia cittadina. Avevo fatto perfino il chierichetto nel Duomo quando il parroco era il novantenne don Mosca, grande e severo inquisitore.

Capivo bene che Ifigenia esigeva una risposta al suo desiderio di un contatto carnale tra noi: a questo indirizzava la mira dei suoi strali aguzzi e potenti: era altamente e alteramente  dotata dei doni delle forme, dell’età e del sesso, una dote che voleva condividere con me in una relazione non solo di breve momento a quanto capivo.

La forza di questo desiderio in una femmina tanto giovane e attraente, una che certamente piaceva a tutti i maschi eterosessuali dell’istituto- dai ginnasiali, ai bidelli, ai colleghi compreso il prete, e perfino al preside bruttarello- non poteva trovare una lunga resistenza in uno come me, e lei lo sapeva bene anche prima di parlarmi, data la mia fama, o infamia, di uomo cui piacciono molto le donne e  ci prova con diverse, quasi con tutte purché decenti. Sapeva che non avrei resistito a lungo. Sicché, mentre guardavo l’orologio per farle fretta, mi domandò: “In conclusione, ti va di fare l’amore con me o non te la senti professore?”. 

Il marito  evidentemente non le andava punto  a genio.

Il tempo dell’intervallo era già scaduto e si doveva tornare subito dentro, sicché sfruttai questa circostanza per prendere tempo e prepararmi il discorso, magari scrivendone un canovaccio su un foglio.

Dunque le dissi: “ti risponderò compiutamente all’uscita dalle lezioni. Contaci. Ora dobbiamo proprio andare. Intanto sappi che difficilmente d’ora in avanti mi sarà possibile prescindere dalla  tua persona, carissima Ifigenia”. Ambiguo ancora una volta.

Eppure la ragazza mi assecondò: “nemmeno io potrò fare a meno di te, caro, preziosissimo Gianni”. Forse non senza un pizzico di ironica riprovazione.

Provai a ribattere: “sì, sì, bella signora ma con tuo marito come la metti?”

“Ci penso io: mio marito si scanta!”. Non mi era chiarissimo cosa significasse tale verbo, ma capivo che la signora voleva cambiare ganzo. Non mancava la nota cinica. Sul momento mi piacque ma con il tempo avrebbe costituito un impedimento a un Eros uranio, figlio di Afrodite celeste.

Del resto nemmeno Eros pandemio era da buttare via.  Tutt’altro!

 

 

Bologna 31 marzo 2025 ore 10, 51 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] In finlandese significa quello che in greco sykon  cfr. Aristofane, Pace 1350

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