Alla carriera di insegnante Ifigenia non era interessata. Voleva diventare una grande attrice, ricca e famosa per giunta. A me la letteratura drammatica era sempre piaciuta e avevo già cominciato a scrivere una traduzione e commento dell’Edipo re di Sofocle, la tragedia con la quale avevo esordito trepido nel liceo di Imola quattro anni anni prima.
Dunque qualcosa da fare insieme poteva esserci ancora: studiare e interpretare i grandi drammi, ciascuno a suo modo, comunque discutendone e scambiandoci idee. Il “mio” Edipo re le piaceva.
Non mi spaventava la sua prospettiva, anzi pensavo che avrebbe potuto incentivare lo scrivere mio. Piuttosto mi sgomentava vederla in certi momenti disgustata della scuola e priva di vita, quando rimaneva silente nel letto con le braccia strette intorno alle ginocchia poste davanti alla faccia. Non ne poteva più di fare la supplente nel liceo-ginnasio.
Allora la guardavo con pena come quando a Moena, in agosti remoti, dopo avere strappato una fiore da un prato, tornavo in paese, sedevo sull’argine dell’Avisio e mi fermavo a osservare l’appassimento di quella creatura bella e variopinta ma troppo effimera e fragile: mentre la osservavo vivere tra l’erba mi piaceva, e la trovavo ancora gradevole subito dopo averla còlta in quanto mi comunicava allegria con i colori vivaci, le fibre sode, il sugo del gambo reciso, ma dopo alcuni minuti la visione del suo scolorarsi e avvizzire, mi infondeva rimorso, malinconia e rabbia per la sua debolezza.
Quindi gridavo: “vattene via: sparisci nell’acqua!”
Poi gettavo quel cadavere stinto nei gorghi del torrente perché lo portasse via presto, verso la costa nebbiosa del paese dei morti.
Ora i fiori li osservo vivi, variopinti, nutriti dalla terra e non li strappo più.
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Ifigenia CLXV Un incidente con tanto di tuono mi dice che devo cambiare strada.
Ricordo un evento significativo del mese di ottobre.
Ifigenia, oltre le gambe belle e slanciate, non aveva alcun mezzo di locomozione e si faceva accompagnare da me quando doveva compiere un tragitto non breve in poco tempo.
Un sabato, verso le tre, mi telefonò chiedendomi di portarla da un fotografo professionista che le avrebbe fatto dei “ritratti”.
Pensava che lasciare alcune sue foto ben riuscite in un cassetto della scuola per aspiranti attori significasse dare una mano alla sua ambizione, in quanto “può capitare - diceva - che dei registi frughino nei cassetti della nostra accademia cercando immagini di volti espressivi”.
“O insensata cura de’ mortali!”, pensai. Come ho già detto, la ragazza era bella ma non particolarmente espressiva, soprattutto in una fotografia.
La sua volontà di recitare oramai era decisa e la manifestava senza mezzi termini. A me non dispiaceva: se da una parte rischiavo di perderla, dall’altra mi aspettavo che sarebbe diventata più interessante per me casomai il suo piano avesse avuto successo, e mi avrebbe stimolato a fare il salto di qualità da studioso divulgatore di scritti altrui a creatore di testi per l’amante attrice. Se invece lei non fosse riuscita nel suo intento restandone frustrata, tediosa, inutile peso alla terra e opprimente per me, prima o poi con le mie capacità di studioso, oratore e scrittore avrei impressionato un’altra giovane donna da mettere al posto di questa fallita oramai.
Sabato 20 ottobre dunque Ifigenia salì sulla mia nuova automobile: una bianca Volkswagen decappottabile che sostituiva la nera dei tempi belli e lontani dei giri con Helena la mater domina et magistra di allora.
La trattavo con ogni riguardo come si fa con tutte le cose, e pure con le persone, prima di considerarle logore e viete in seguito all’uso che ne abbiamo fatto noi stessi.
Ora comprendo che le persone non sono cose e non vanno usate come tali.
Durante il tragitto Ifigenia si diede ai sbaciucchiarmi il volto, compresa la parte che avrebbe dovuto guardare e vedere.
Profecto in oculis animus habitat"[1], con gli occhi mi chiudeva ogni via alla necessaria attenzione.
Avrete già capito cosa accadde: un incidente sulla strada dove procedevo privo di vista e di metodo.
Sentii come un tuono.
Acciecato com’ero, urtai un ragazzo su uno scooter, lo feci cadere arrossarsi di sangue e impallidire dallo spavento. L’automobile nuova compratami da mamma e zie con una colletta ne rimase ammaccata. Quel giorno decisi che colei non era la donna per me. Oggi, passati diversi decenni, so che talora un accidente, spiacevole sul momento, è comunque un segno del cielo che ti dice: “guarda che sei su una strada sbagliata! Questa che stai percorrendo non è la via che può condurti al compimento di te stesso, alla tua felicità. Su tale percorso tu non funzioni: non è il tuo. Devi ancora trovarlo: cercalo altrove!”.
In novembre, alla prima occasione, mi innamorai di un’altra giovane donna, una nuova supplente appena arrivata. Si chiamava Lucia: era bellina, e fine, almeno tale mi apparve nel primo momento.
Bologna 13 giugno 2025 ore 9, 04 giovanni ghiselli
p. s.
Questa notte un altro tuono, quale segno del cielo che dobbiamo cambiare strada: il bombardamento dell’Iran da parte di Israele. Un altro passo verso la catastrofe della guerra mondiale. Anche da questa strada dobbiamo tornare indietro fino al punto dove ci siamo sviati e ritornare sulla retta via.
Questa notte un altro tuono, quale segno del cielo che dobbiamo cambiare strada: il bombardamento dell’Iran da parte di Israele. Un altro passo verso la catastrofe della guerra mondiale. Anche da questa strada dobbiamo tornare indietro fino al punto dove ci siamo sviati e ritornare sulla retta via.
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[1] Plinio, Naturalis historia, 11, 145.
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