C’erano anche altri colleghi: Giovanni Botta di Filosofia, e Lucia con i loro allievi.
Il giorno prima della partenza andai nella segreteria per firmare dei fogli. Mentre entravo, udii una collega anziana che gridava: “Nel nostro liceo succede l’inaudito! Davvero quel professore miscredente e libertino andrà in gita scolastica con due colleghe giovani e belle, come se non gliene bastasse una?”
Poi si voltò e mi vide. Quindi abbassata la voce ripeté la domanda un poco edulcorata: “sul serio lei andrà a Roma con quelle due signorine?”
“Sì e con tante altre signorine carine, diversi ragazzi carini anche loro, e il professor Botta, per niente da buttar via come sodale”.
Allora colei assunse il tono della celia e fece: “ Si dice che lei abbia venduto l’anima al diavolo, ma io non ci credo”.
“Fa bene, stimatissima collega: non posso vedere l’anima a chicchessia perché non ce l’ho!”
Rimase un attimo perplessa poi rincarò lo scherzo volgendolo al demenziale: “Vado a Roma, cuccurucù, vieni anche tu!”
“Facciamo finta di niente” pensai, e dissi:
“Ma sì venga anche lei, squisita collega: a Roma c’è da divertirsi un sacco!”.
Ora però basta con i ghiribizzi e veniamo alla gita.
Ricordo una visione che mi ha impressionato. Ero seduto con Ifigenia sul bordo di una fontana poco prima dell’ora di cena. S’era fatta una passeggiata per suscitare l’appetito e meritarci un secondo di pesce, senza patate né pane. Eravamo entrambi molto attenti alla linea, contenti e fieri di essere snelli.
Guardavamo le ultime luci del giorno languide eppure tiepide. L’aria era piena di voli e di suoni. La primavera arrivava a grandi passi.
A un tratto vedemmo il collega di filosofia che avanzava verso di noi. Questo era un uomo ancora giovane il quale camminava con passo di danza, non per vezzo o per posa ma per una menomazione congenita. Era un ottimo professore e gli volevamo bene. Giovanni dunque ogni tre metri si piegava a sinistra, come se fosse stato colpito da un plotone di esecuzione - pronus erat Titan[1] - ma poi si raddrizzava di scatto con un’energia da vero titano, quindi procedeva nel suo travaglioso cammino. Fino alla successiva fucilazione. Era a modo suo un ballerino.
Prima che lui mi sentisse, dissi a Ifigenia che mi sembrava un eroe tragico in lotta con un destino implacabile eppure incapace di averla vita su quella tempra indomita.
Inoltre pensai che in quel momento la zoppia poteva rappresentare il nostro rapporto che vacillava scosso da vènti, da onde, da terremoti intermittenti e pure frequenti.
Quando Giovanni fu giunto, gli chiedemmo se voleva cenare con noi.
Pensai chi i titani claudicanti non sono gli eterni nemici della cultura come quelli dalle gambe robuste. Del resto anche Edipo zoppicava e la nostra cultura non può prescindere dalla sua vicenda.
E pure Giasone si presentava con una leggera zoppia quando calzava un solo sandalo. Gran brutto segno per lo zio usurpatore Pelia[2].
Bologna 16 gennaio 2025 otre 21, 08
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[1] Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XI, 257
[2] Vediamo qualche parola della Pitica IV di Pindaro: Giasone appare splendidissimo in questa ode, dedicata ad Arcesilao IV re di Cirene che aveva vinto con il carro a Delfi nella Pitiade XXXI, nel 462 a. C. Giasone dunque giunse con due lance, suscitando meraviglia (ek-paglo~ , vv. 139-140), con una veste aderente, e i riccioli lucenti della chioma (koma'n plovkamoi…ajglaoiv, v. 145) non erano caduti sotto il taglio del ferro, ma gli ondeggiavano lungo tutto il dorso. Egli arrivò con passo diritto e si piantò tra la folla che lo ammirava. Poi giunse Pelia su un carro e, quando vide l’unico calzare nel piede destro del nuovo arrivato, stupì. Ne ebbe paura poiché l’oracolo delfico gli aveva predetto di stare bene in guardia dall’uomo con un solo calzare (to;n monokrhvpida, v. 75).
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[1] Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XI, 257
[2] Vediamo qualche parola della Pitica IV di Pindaro: Giasone appare splendidissimo in questa ode, dedicata ad Arcesilao IV re di Cirene che aveva vinto con il carro a Delfi nella Pitiade XXXI, nel 462 a. C. Giasone dunque giunse con due lance, suscitando meraviglia (ek-paglo~ , vv. 139-140), con una veste aderente, e i riccioli lucenti della chioma (koma'n plovkamoi…ajglaoiv, v. 145) non erano caduti sotto il taglio del ferro, ma gli ondeggiavano lungo tutto il dorso. Egli arrivò con passo diritto e si piantò tra la folla che lo ammirava. Poi giunse Pelia su un carro e, quando vide l’unico calzare nel piede destro del nuovo arrivato, stupì. Ne ebbe paura poiché l’oracolo delfico gli aveva predetto di stare bene in guardia dall’uomo con un solo calzare (to;n monokrhvpida, v. 75).
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