mercoledì 21 aprile 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXXII. Un’altra smontatura del potere. Shakespeare, Euripide e Seneca

Ecuba, XXIX Stagione Teatrale della Locride
Centro Teatrale Meridionale
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Un’altra smontatura del potere. Shakespeare, Euripide e Seneca

 

La seconda scena del V atto si apre con Cleopatra che parla a Carmiana e Iras la parrucchiera . La regina dice parole che smontano di nuovo il potere: ‘Tis poltry to be Caesar; - not being Fortune, he’ s but Fortune’s knave, - a minister of her will - ( 2 - 4), è una miseria essere Cesare; non essendo egli la Fortuna, è solo il servo della fortuna, un ministro del suo volere. Cosa grande è invece compiere l’atto che pone termine a tutti gli altri atti e arresta il cambiamento, che addormenta e non assaggia più quel letame che nutre Cesare e il mendicante.

 

Nella tragedia Ecuba di Euripide (del 424) la vecchia regina di Troia dà questo avvertimento ad Agamennone, il comandante dell’esercito vincitore: “non c'è tra i mortali chi sia libero Oujk e[sti qnhtw'n o{sti" e[st j ejleuvqero",:/infatti si è schiavi delle ricchezze oppure della sorte - h] crhmavtwn ga;r dou'lov" ejstin h] tuvch", - /o la folla della città o le leggi scritte h] plh'qo" aujto;n povleo" h] novmwn grafaiv - / gli impediscono di usare l’orientamento del proprio giudizio"(vv. 864 - 865).

Sono versi chiave.

 

Chi comanda - aveva gà detto Ecuba - non deve comandare quello che non si deve - ouj tou;" kratou'nta" crh; kratei'n a{ mh; crewvn (Ecuba, 282), e chi ha successo - eujtucou'nta" - non deve credere che gli andrà sempre bene.

Ecuba procede facendo l’esempio di se stessa: che era una regina cui un solo giorno ha tolto ogni forma di benessere - to;n pavnta dj o[lbon h|mar e{n m’ ajfeivleto (285).

Del resto l’Agamennone delle Troiane di Seneca sa che i successi sono effimeri e che noi mortali siamo tutti in balia della sorte:

Al culmine della sua carriera di a[nax l’Atride mostra di avere coscienza della probabile caduta ovinosa per chi è salito in alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna momento obrui/ vincendo didici. Troia nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (vv. 258 - 266), nessuno ha conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha levato in alto la potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a trattenersi e paventare le varie cadute temendo gli dèi che lo favoriscono troppo. Vincendo ho imparato che i grandi regni vengono sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi e spietati? Noi Danai stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è caduta. 

Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (Agamennone, vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.

 

giovanni ghiselli

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