mercoledì 20 settembre 2023

Percorso sull’amore ultimo capitolo. Prima parte

Tacito, Germania 
19 Argomenti

Le seduzioni degli spettacoli e dei banchetti. Varie forme di conviti e banchetti: Omero, Platone, Lucrezio, Plinio il giovane, Leopardi. I segreti delle lettere. Il rifiuto della donna colta. Giovenale, la Medea di Euripide, La Signorina Felicita di Gozzano. L'uomo colto: Leopardi nel "natio borgo selvaggio" e Tonio Kröger. Adùltere, adùlteri e la loro punizione. La donna bruciata dalla libidine oppure dall'ambizione: Lady Macbeth.
 I Germani di Cesare: il conquistatore della Gallia li  distingue dai Celti poiché vuole spezzare ogni alleanza tra loro. I Germani non hanno una casta sacerdotale e non fanno sacrifici. I Germani tengono a freno la plebe attraverso il comunismo dei beni. Vitia, corrumpere, saeculum. Le mode secondo Tacito dipendono dall'esempio degli imperatori, secondo Musil dai grandi sarti e dal caso, cioè dalla forza creativa della superficie.
 La monoandria delle Germane e la poliandria delle Romane. Seneca, Marziale, Giovenale. Il fidanzamento Matrimoni mostruosi: da quello di Messalina a quello di Stavrogin. Poppea Sabina: la libido funzionale alla sua visione "pragmatica" della vita: unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem tranferebat.  Gli aborti delle donne ricche. Giovenale li considera omicidi. Il calo demografico in Grecia denunciato da Polibio e a Roma da Giovenale. Bonae leges e boni mores .
       
 
 
 
   Testo latino di Germania 19.
[19] Ergo saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant. Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa: abscisis crinibus nudatam coram propinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit; publicatae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non opibus maritum invenerit. Nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur. Melius quidem adhuc eae civitates, in quibus tantum virgines nubunt et cum spe votoque uxoris semel transigitur. Sic unum accipiunt maritum quo modo unum corpus unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum, sed tamquam matrimonium ament. Numerum liberorum finire aut quemquam ex adgnatis necare flagitium habetur, plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges.
 
 
 
Traduzione
 Perciò vivono con la castità ben custodita, senza essere guastate dalla seduzione degli spettacoli né dagli stimoli dei banchetti. Gli uomini al pari delle donne ignorano i segreti delle lettere. Pochissimi  pur tra gente così numerosa sono gli adultèri, la cui punizione è immediata e concessa ai mariti: tagliati i capelli, denudata, in presenza dei parenti, il marito la caccia di casa e la incalza per tutto il villaggio a frustate; infatti per la castità messa in pubblico non c'è perdono: né con la bellezza, né con la gioventù, né con la ricchezza potrebbe trovare marito. Nessuno infatti là ride dei vizi, né corrompere ed essere corrotti si chiama moda. Meglio ancora certamente quelle tribù, in cui soltanto le vergini si sposano, e una sola volta la si fa finita con la speranza e il desiderio di diventare moglie. Così prendono un solo marito come un solo corpo e una sola anima, perché non ci sia alcun pensiero al di là, perché non ci sia desiderio che lo superi, perché non lo amino come marito ma come  matrimonio. Limitare il numero dei figli, o sopprimere uno dei nati dopo il primogenito, è considerata un'infamia, e valgono più là i buoni costumi che altrove le buone leggi.

 
Commento particolareggiato del capitolo 19.
 
Ergo: congiunzione deduttiva che coordina i due capitoli.-saepta (da saepio, "chiudo con un recinto, una siepe", saepes ) pudicitia: ablativo cui non manca un'idea di chiusura, quasi di cintura di castità. Richiama il vinculum precedente-agunt: sottinteso vitam .-nullis…nullis: anafora con omoteleuto dei genitivi.-spectaculorum illecebris: formato su illicio [1] "seduco".- A proposito di queste seduzioni a Roma abbiamo visto che Ovidio, preposto da Venere alla didattica del delicato Amore, consiglia ai suoi discepoli di scegliere i curvi teatri come luogo privilegiato della caccia amorosa: infatti come le formiche al grano, come le api ai fiori, sic ruit ad celebres cultissima femina ludos , (Ars amatoria I, 97) così le donne più raffinate accorrono agli spettacoli più frequentati, e non solo, e non tanto, per osservare la scena (I, 99).
 
Vari tipi di banchetto
conviviorum inritationibus: non si tratta certo del "pasto antico" di cui parla K. Kerènyi: "quello dei Greci, degli Etruschi, dei Romani- il quale-non è mai puramente materiale e formale: esso è sempre riferito a una presenza divina, a uno o più partecipanti spirituali che lo godono insieme con i banchettanti umani, e appunto perciò esso diventa una festa pienamente realizzata"[2].
Tali sono  il banchetti di Pilo nel III canto dell'Odissea : un mangiare in eletta compagnia successivo al rito religioso che sembra anticipare l'agape cristiana, il banchetto d'amore che segue alla cerimonia.
 Se ne può ricavare notizia dalla famosa lettera di Plinio il Giovane (61-112 d. C.) che descrive i costumi dei Cristiani a Traiano:" Adfirmabant autem hanc fuisse summam vel culpae suae vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem convenire carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem seque sacramento non in scelus aliquod obstringere, sed ne furta, ne latrocinia, ne adulteria committerent, ne fidem fallerent, ne depositum appellati abnegarent. Quibus peractis morem sibi discendendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum, promiscuum tamen et innoxium " (X, 96, 7), affermavano d'altra parte che questa era stata l'essenza della loro colpa o dell'errore, il fatto che erano soliti riunirsi in un giorno stabilito prima dell'alba, e cantare tra loro, alternatamente, un inno in onore di Cristo come se fosse un dio e impegnarsi con giuramento, non a perpetrare qualche crimine, bensì a non commettere furti, rapine,  adultèri, a non rifiutarsi di restituire, richiesti, una cosa avuta in consegna. Compiute tali cerimonie, avevano l'abitudine di andarsene e di riunirsi un'altra volta per prendere del cibo, comunque ordinario e innocente. Anche il cibus  di Pilo è sostanzialmente promiscuus, innoxius  , e nobilitato dai buoni sentimenti di quanti partecipano a questa comunione. Questo è il convito piacevole, legittimo e perfino santo: insomma il banchetto umano, privo di corruzione. Per quanto riguarda i valori e i disvalori considerati in questo percorso prossimo alla fine c'è da notare che il sacramentum dei cristiani esclude comportamenti esecrati anche dai tradizionalisti romani: in particolare: ne adulteria committerent, ne fidem fallerent .
 Ma nell'Odissea  esiste anche il convito violento praticato dal Ciclope e dai Lestrigoni. Questi giganti, non simili agli uomini (X, 120) catturano gli stranieri e, infilzandoli come pesci "se li portano a casa per farne dei "festini privi di gioia" (ajterpeva dai'ta[3]), altrimenti detti antifestini, perché ciò che caratterizza il festino umano è proprio che il condividere, daîta , è inseparabile dal térpein.  Invece di accogliere gli stranieri con un dolce festino, i Lestrigoni li mangiano; improvvisamente quei festini mancano di dolcezza, non possono essere il luogo della sociabilità. Tutto ciò rivela una spaventosa coerenza: la vita degli antropofagi è dura. I Lestrigoni ignorano le dolcezze del banchetto e il buon odore della carne cotta"[4].
Festini corrotti dunque, conviti santi, antifestini violenti, i simposi dei maleducati che rumoreggiano a tavola e ostacolano la conversazione, come i proci innanzitutto, che spesso fanno chiasso nel megaron ombroso (p. e. Odissea , IV, 768), poi gli incolti biasimati da Platone nel Protagora. In questo dialogo Socrate indica delle regole per i simposi della gente educata che non può rumoreggiare a tavola, e, anzi, non sopporta qualsiasi elemento ostacoli la conversazione. Le persone mediocri e volgari, per incapacità di parlare tra loro durante i simposi, a causa della mancanza di educazione, si intrattengono a vicenda attraverso la voce dei flauti; invece tra i convitati colti e per bene, non puoi vedere né suonatrici di flauto, né danzatrici, né citariste, ma essi soli che sono capaci di conversare tra loro senza queste sciocchezze e questi giochi (" ajlla; aujtou;" auJtoi'" iJkanou;" o[nta" sunei'nai a[neu tw'n lhvrwn te kai; paidiw'n touvtwn", 347d)  e parlano e si ascoltano a turno ordinatamente, anche se bevono molto vino. Vedremo che nell'ignobile convito di Trimalchione: il cibo domina la parola.
Senza ascolto  non c'è cortesia che "è il rituale dell'accoglienza. Preparare tutto quello che serve perché l'altro possa varcare la soglia del nostro mondo. La dimostrazione che siamo disponibili ad ascoltare. Così come negli antichi banchetti ci si raccoglieva intorno all'aedo e lo si supplicava di dare inizio al canto. Ed è cortesia anche il canto."[5].
Ci può essere il banchetto negato dalla compiuta peccaminosità delle guerre intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti, come quella descritta da Lucrezio: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.
 E' il caso del banchetto di Macbeth che si è macchiato le mani di vari delitti e non riesce a partecipare al banchetto preparato nel suo stesso castello. La moglie cerca di ricondurlo alla ragione ricordandogli le regole dei conviti:"My royal lord, You do not give the cheer. The feast is sold, That is not often vouched, while 't is a-making, 'T is given with welcome: to feed were best at home; From thence, the sauce to meat is ceremony, Meeting were bare without it "( III, 4), mio signore reale, voi non date una buona disposizione di spirito. Il banchetto è a pagamento se non dà spesso testimonianza mentre è fatto di essere dato con cordialità: per mangiare sarebbe meglio a casa; fuori da essa la salsa delle vivande è la cortesia, e riunirsi senza di lei sarebbe squallido.    
 Ci può essere la monofagia schifosa, addirittura ostacolata dallo schifo, come quella di Fineo cui le Arpie strappavano il cibo di bocca e non gliene lasciavano punto, oppure poco, ma cosparso del loro sterco dall’ odore schifoso, tanto che non poteva mangiarlo. Il peccato di quest'uomo era stato quello di rivelare agli uomini i pensieri del figlio di Crono[6].
Oppure la monofagia compiaciuta, ma non per questo sana, come quella di Leopardi che la difende dalla cattiva reputazione:"Il mangiar soli, to; monofagei'n, era infame presso i greci e i latini, e stimato inhumanum, e il titolo monofavgo" , si dava ad alcuno p. vituperio, come quello di toicwruvco" , cioè di ladro…Io avrei meritata quest'infamia presso gli antichi (Bologna. 6. Luglio. 1826.). Gli antichi però avevano ragione, perché essi non conversavano insieme a tavola, se non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della comessazione[7], ossia di una compotazione, usata da loro dopo il mangiare, come oggi dagl'inglesi, e accompagnata al più da uno spilluzzicare di qualche poco cibo p. destare la voglia del bere. Quello è il tempo in cui si avrebbe più allegria, più brio, più spirito, più buon umore, e più voglia di conversare e di ciarlare. Ma nel tempo delle vivande tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l'uso naturalissimo e allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io non posso mettermi nella testa che quell'unica ora del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esterni  della favella hanno un'altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell'uomo, e la digestione non può essere buona se non è ben cominciata nella bocca, secondo il noto proverbio o aforisma medico), abbia da esser quell'ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacché molti si trovano, che dando allo studio o al ritiro p. qualunque causa tutto il resto del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien fachés di trovarsi soli e di tacere in quell'ora. Ma io che ho a cuore la buona digestione, non credo di essere inumano se in quell'ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non secondo quello degli altri, che spesso divorano, e non fanno altro che imboccare e ingoiare!"[8]. Nel mangiare solo tuttavia c'è qualche cosa di poco umano. Leopardi, come tutti i frustrati sessuali, doveva avere un rapporto malsano con il cibo. Ce ne dà testimonianza il sodale Antonio Ranieri il quale racconta che i medici gli vietavano " le cose dolci, ed assolutamente, i gelati". Ma il poeta, "bramosissimo delle une e degli altri, lasciata dall'un dei lati ogni apprensione, perseverava i più incredibili eccessi: il caffè, sciroppo di caffè; la limonea, sciroppo di limone; il cioccolatte, sciroppo di cioccolatte (e non senza le vainiglie, rigorosamente vietategli); e così via. E quanto ai gelati, era un furore: forse che il morbo stesso lo spingeva! Più i medici minacciavano sputi sanguigni, bronchiti e vomiche, e più il furore cresceva…"[9]. Non c'è bisogno di andare oltre: si vede un mangiare solitario e malsano, quasi suicida.  
Il mangiare insieme è uno dei luoghi più adatti alla socializzazione e alla conversazione, pur se non il solo. "Anche la scuola può diventare un giardino, un salotto, un banchetto, un'agape; la conversazione accompagna infatti naturalmente l'esperienza del leggere e dello scrivere"[10].
La scuola deve insegnare ad ascoltare:"Mi riferisco alla ricchezza che l'ascolto e il silenzio possono donare. Vale la pena di tacere , vale la pena di ascoltare, vale la pena di rendersi disponibili ad una parola che parla e si rivolge a noi. Non essere sempre agitati o distratti ci abitua a conversare con noi stessi. Ascoltare la voce di un ospite che ci rivolge la parola è sempre anche ascoltare noi stessi. E' un insegnamento etico, questo, che ha che fare con molte cose e con tanta parte della vita; ed è forse un pilastro, che la scuola può contribuire a costruire, contro l'invadenza della cultura ottusa del pieno ad ogni costo e del rumore. Il silenzio dell'ascolto si popola di presenze discrete, e lo spazio della disponibilità diviene terreno di una conversazione non invadente, dove è dato riconoscersi e ritrovarsi"[11].
 
-Litterarum secreta: "i segreti delle lettere" possono essere le corrispondenze segrete o anche le raffinatezze letterarie: comunque i Germani ignoravano l'uso della scrittura. E' indubbio che le lettere raffinino gli animi e li rendano più sensibili, quindi anche più incilini all'amore. "L'abito letterario"[12]  indossato dalle donne non poche volte disturba gli uomini che guardano con sospetto alla loro emancipazione.
Sentiamo la satira sesta di Giovenale:"illa tamen gravior, quae cum discumbere coepit,/ laudat Vergilium, periturae ignoscit Elissae,/committit vates et comparat, inde Maronem/atque alia parte in trutĭna suspendit Homerum " ( VI, 434-437) ancora più insopportabile[13] tuttavia è quella che appena si è messa a tavola loda Virgilio, giustifica Didone che ha deciso di morire, confronta i poeti e li paragona: da una parte sospende sulla bilancia Marone, dall'altra Omero. Marziale auspica per sé uno schiavo pasciuto e una moglie non troppo letterata:" sit mihi verna satur, sit non doctissima coniunx " (II, 90, 9).
Già la  Medea di Euripide lamenta lo svantaggio che le deriva dall'essere sofhv (sapiente, v. 303): per questa sua caratteristica, nemmeno tanto sviluppata (eijmi; d' j oujk a[gan sofhv, v. 305, eppure non sono poi troppo sapiente) la donna della Colchide afferma che è risultata ad alcuni odiosa (ejpivfqono" , v. 303), per altri, piuttosto, oziosa (hJsucaiva, v. 305).
Sui rischi che corre la donna desiderosa e capace di espressione spirituale ricavo alcune parole di Virginia Woolf dalla tesi di un'allieva della SSIS:"non ci vuole un grande acume psicologico per essere sicuri che una ragazza di grande talento, che avesse cercato di usarlo per far poesia, sarebbe stata così ostacolata e impedita dagli altri, così torturata e dilaniata dai propri istinti contraddittori, da finire sicuramente per perdere la salute e la ragione"[14].  
Del resto la fama di "sapiente" non nuoce soltanto alle donne. Ricordiamo Leopardi:"Né mi diceva il cor che l'età verde/sarei dannato a consumare in questo/natio borgo selvaggio, intra una gente/zotica, vil; cui nomi strani, e spesso/argomento di riso e di trastullo,/son dottrina e saper; che m'odia e fugge,/per invidia non già, che non mi tiene/maggior di sé, ma perché tale estima/ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori/a persona giammai non ne fo segno"[15]. 
Lo sviluppo intellettuale porta alla solitudine non solo la donna ma anche l'uomo. Sentiamo Tonio Kröger :"Allora, col martirio e l'orgoglio del conoscere, sopravvenne la solitudine, ché la vicinanza dei bonari, delle anime gaiamente ottenebrate, gli riusciva intollerabile, e il marchio sulla sua fronte turbava costoro. Ma sempre più dolce divenne per lui la gioia della parola e della forma"[16]. Ma tale gioia è contaminata dal dolore:"La letteratura non è affatto una vocazione; è una maledizione…perché lo sappiate. E quando principia a farsi sentire questa maledizione? Presto, terribilmente presto. A un'epoca in cui si potrebbe ragionevolmente pretendere di vivere d'amore e d'accordo con Dio e con il mondo, uno comincia a sentirsi segnato, a rendersi conto d'essere in incomprensibile contrasto con gli altri, coi normali, con la gente ordinaria; sempre più fondo si scava l'abisso d'ironia, d'incredulità, d'opposizione, di lucidità, di sensibilità che lo separa dagli uomini; la solitudine lo inghiotte, e da quel momento non c'è più possibilità d'intesa" (p. 238).
I nemici degli intellettuali assomigliano ai non miti giganti del materialismo di cui ci racconta Platone nel Sofista  (246) dove segnala una gigantomaciva...peri; th'" oujsiva", una battaglia di giganti sull'essere.
 I due eserciti sono schierati così:"OiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavnta eJvlkousi tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". Tw'n ga;r toiuvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei'jnai movnon o;;;;;Jv parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti fhvsei mh; sw'ma e[con ei'jnai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein", gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano a terra tutto, acchiappando con le mani proprio come se fossero rocce o querce. E infatti attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre un contatto  e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo sono la stessa cosa, e  se qualcuno degli altri dirà che c'è qualche cosa senza corpo, lo disprezzano completamente  e non vogliono ascoltare nient'altro.
Gli avversari sono hJmerwvteroi più miti: "oiJ pro;" aujtou;" ajmfisbhtou'nte"  mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n ajmuvnontai, nohta; a[tta kai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi th;n ajlhqinh;n oujsivan ei'jnai", quelli che nel dibattito si oppongono loro, molto cautamente si difendono attaccandosi a regioni superiori e all'invisibile e sostenendo con convinzione che il vero essere consiste in alcune forme pensabili e immagini incorporee. I primi furono seminati nella terra e dalla terra sono sorti ("spartoiv te kai; aujtocqovne"", 247), gli altri sono amici delle forme"tou;" tw'n eijdw'n fivlou"", 248).
Secondo A. E. Taylor,  il filosofo con i primi allude non agli atomisti ma al "crasso, ottuso materialismo dell'uomo medio"[17].
 Non dissimili da questi non miti giganti sono quelli incontrati e sconfitti da Eracle e gli Argonauti nella penisola dell'Arctonneso che si stende nella Propontide: l'abitavano i figli della terra (Ghgeneve" ) violenti e selvaggi (uJbristaiv te kai; a[grioi), ognuno dei quali aveva sei braccia possenti, due attaccate alle spalle, le altre quattro ai terribili fianchi[18].
 
Torniamo al rifiuto della donna intellettuale da parte dell'uomo, magari intellettuale lui pure o artista:" Tu non fai versi. Tagli le camicie/per tuo padre. Hai fatto la seconda/classe, t'han detto che la Terra è tonda,/ma tu non credi...E non mediti Nietzsche.../Mi piaci. Mi faresti più felice/d'un intellettuale gemebonda..."[19]. Si ricorderà pure, dello stesso autore, l' Elogio degli amori ancillari.
 
Pesaro 20 settembre 2023 ore 17, 04 giovanni ghiselli
 
 
 
 
 
 


[1] Da in e lacio, attiro, faccio cadere in un tranello. Richiama delicias.  
[2]Miti e misteri , trad. it. Boringhieri, Torino, 1980. p. 185.
[3]Odissea , X, 124.
[4]F. Dupont, Omero e Dallas , trad. it. Donzelli, Roma, 1993, p. 59.
[5] F. Frasnedi, La lingua le pratiche la teoria, CLUEB, Bologna, 1999, p. 5.
[6] Cfr. Apollonio Rodio, Argonautiche, II, 178 e sgg.
[7] Latinismo: comissatio  significa propriamente "baldoria dopo il banchetto".
[8] G. Leopardi, Zibaldone, 4183-4184.
[9] A. Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, p. 69.
[10] F. Frasnedi, op. cit., p. 9.
[11] F. Frasnedi, op. cit., p. 38.
[12]Cfr. I. Svevo, Senilità , Dall'Oglio, Milano, 1973, p. 226.
[13]Di altre maniache e megere varie descritte prima. La precedente è crudele, imperiosa, ubriacona.
[14] V. Woolf, Una stanza tutta per sé, p. 53. La tesi è sempre quella di Alessandra Neri.
[15] Le ricordanze, vv. 28-37.
[16] T. Mann, Tonio Kröger, p. 238
[17] Platone, p.597.
[18] Apollonio Rodio, Argonautiche, II, vv. 942 sgg.

[19]G. Gozzano, La signorina Felicita , vv. 308-313.

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