domenica 17 settembre 2023

Apuleio quarta parte. Primo libro del romanzo. Testo e critica.


 

L’asino d’oro

L’asino d’oro fu trovato dal Boccaccio e tradotto da Boiardo (1440-1494) e Firenzuola nel 1525.

C’è un affresco di Raffaello nella villa Farnesina:

Le nozze di Amore e Piche affresco nella volta nella loggia di Psiche.

Ci sono altri affreschi di Perin del Vaga, manierista, allievo di Raffaello, a Castel S. Angelo. La serva racconta a Carite.

Amore scoperto da Psiche, fugge. 

Convito degli dèi per le nozze di Amore e Psiche.

 

Ma veniamo al primo degli undici libri del romanzo di Apuleio

 

Il narratore si accinge a intrecciare varias fabulas  sermone milesio in  un racconto di tipo milesio.

 

Plutarco nella vita di Crasso definisce le novelle milesie ajkovlasta bibliva (32, 4), libri dissoluti. Implicano la componente erotica. Sono così dette dalle Milhsiakav di Aristīde di Mileto (II a. C.) tradotte da Sisenna nell’età di Silla. Nel Satyricon c’è la fabula milesia della Matrona di Efeso (111-112) e quella del Fanciullo di Pergamo (85-87).

 

Le fabulae saranno raccontate in modo da accarezzare le orecchie benevole del lettore lepido susurro con piacevole mormorio.

 

Apuleio vuole docere, ma sa che per questo è necessario anche delectare. Viene preannunciata la soluzione isiaca con la menzione di una papyrus aegyptia compilata con l’arguzia di uno stilo niliaco che il lettore dovrà vedere. Quindi figurae fortunaeque hominum in alias immagines conversae. L’io narrante dice di essere greco (attico, corinzio, spartano) e di avere imparato il latino che forse praticherà con qualche frase esotica o popolaresca. La varietà di espressione corrisponde alla sua desultoria scientia, acrobatica scienza. E’ un sapere mobile, non dogmatico “un sapere che trascende l’ordinario sapere umano” [1]. 

Può essere la magia, la non fedeltà a un solo genere. Può alludere alla pratica amorosa del donnaiolo non desultorio[2].

 

Quindi incipimus fabulam graecanicam. Poggia dunque sulla letteratura greca. Come tutti i miei scritti migliori.

Lector, intende: laetabĕris (1, 1). In questa laetitia c’è una componente ludica e pure una beatificante.

 

L’io narrante, Lucio, andava in Tessaglia per affari.

 La Tessaglia è la terra delle streghe.

 

Cfr. Lucano: “damnata tellus fatis ( Pharsalia, VI, 413).

Lì nacque l’uso di contare il denaro quod populos scelerata impēgit in arma (406). La strega tessala più famosa è Erichto congiurata con il Caos: “innumeros avidum confundere mundos” (Pharsalia, VI, 509).

 

 Lucio si accompagna a due altri viaggiatori. Uno racconta e l’altro vorrebbe zittirlo, mentre Lucio vuole ascoltarlo siccome è sitītor novitatis (1, 2). Inoltre crede che la lepida iucunditas spiani le salite.

 

 Ascoltare rende possibile la terapia del rovesciamento: mettersi nei panni degli altri, imparare. Cfr. L’umorismo di Pirandello.

 

 Lo scettico non vuole sentire mendacia, ma Lucio gli rinfaccia crassae aures, orecchie foderate, e obstinatum cor. Le cose che sembrano false possono rivelarsi vere. Lucio utilizzerà anche le enormi orecchie d’asino per imparare[3].

 

Ci sono cose che sembrano supra captum cogitationis ardua, difficili per la presa di coscienza ma  se esaminate accuratius  possono diventare facili (1, 3).

 

Insomma There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt in our philosophy (Amleto, II, 5)

 

Dunque quello che ama narrare, Aristoměne di Egio procede con il racconto giurando sul sole onniveggente che racconterà solo cose vere (1, 5).

 E’ la storia di Socrate.

 

Quello di Platone secondo Nietzsche rappresenta l’ottimismo conoscitivo (Carotenuto), la razionalità unilaterale (cfr. Penteo nelle Baccanti).  Questo del racconto di Aristoomene ovviamente non è il maestro di Platone

 

Aristomene dunque va a Ipata (l’eccelsa) e incontra il commilitone Socrate il quale, abbattuto, gli ricorda la mutevolezza della sorte (1, 6), un topos molto diffuso.

 

Cfr. Solone a Creso ( Erodoto, I 32, 4): pa`n ejsti a[nqrwpo~ sumforhv.

La Tuvch, dice Annibale a Scipione prima della battaglia di Zama fa pendere la bilancia in maniera alterna da una parte e dall’altra, come se trattasse con dei bambini kaqavper eij nhpivoi~ paisi; crwmevnh (Polibio, 15, 6, 8), E Seneca Nulla sors longa est: dolor ac voluptas invĭcem cedunt; brevior voluptas (Thyestes, 596-597). 

 

Socrate dunque era stato rapinato a Larissa e rifocillato da un’ostessa caupona Meroe anus sed admŏdum scitŭla (1, 7) attempata ma piuttosto carina. Gli diede da mangiare e lo portò a letto dove Socrate contrasse una schiavitù pestilenziale e durevole. Quella strega gli aveva portato via tutto. Socrate ne ha ancora paura: è una maga e un’indovina saga et divina  (1, 8).

Aveva mutato un suo amante infedele in un castoro, un animale che si libera dagli inseguitori praecisione genitalium  (1, 9), poi aveva fatto altre stregonerie comportandosi quale emula di Medea (1, 10), l’allieva di Ecate. Quindi Aristomene e Socrate vanno a dormire. Aristomene cade sotto il letto e testudo factus  (12) vede due donne non giovani: Meroe e la sorella Pantia. Meroe si paragona a Calipso abbandonata da Ulisse che viene ricordato più volte e prefigura di Lucio. Le due streghe straziano Socrate bacchatim (13) al modo delle baccanti. Meroe gli cava il cuore compiendo uno sparagmov~. Aristomene non osa scappare per paura di essere accusato dell’omicidio e torna nel letto grabatŭlus conscius della sua innocenza.

 

Cfr. Leopardi Le Ricordanzeassiso sul conscio letto, dolorosamente alla fioca lucerna poetando”.

Aristomene tenta di impiccarsi ma si spezza la corda. Socrate risorge e riprendono il cammino, ma durante una sosta muore.

Lucio commenta la storia dicendo “nihil impossibile arbitror, sed, utcumque fata decreverint ita cuncta mortalibus provenire (20).

 

Eschilo, Agamennone: το; mevllon h{xei (1240), il futuro giungerà.

Nietzsche: “Amor fati è la mia intima natura. Tu stesso povero uomo sei la tua Moira incoercibile che troneggia anche sugli dèi” (Ecce homo).

 

Quindi Lucio va a Ipata e chiede di Milone. Gli dicono che è un avaro.

 

 

 

Prima un’ adulescentula  gli apre la porta e gli chiede in malo modo se ha un pegno d’oro per un prestito. Poi Lucio dice che lo manda Demea di Corinto, e la ragazza fa rogat te (22), il padrone ti vuole. Cambiamento di status.

 

Una scena analoga in Il castello di Kafka.

K. giunge all’osteria del castello e dopo una prima telefonata fatta dal giovanotto Schwarzer al sottoportinaio viene trattato come un volgare vagabondo che mente, poi dopo una seconda telefonata proveniente dal castello, lo stesso giovanotto lo chiama “signor agrimensore”.

 

Il padrone Milone è avaro e paragona la sua ospitalità a quella della vecchia Ecale di Callimaco.

I paradigmi mitici e letterari sono continuamente presenti.

Lucio capisce che non gli daranno di che nutrirsi ed esce per comprarsi da mangiare. Incontra Pitia, un condiscipulus apud Athenas  (i, 24) che è diventato edile e sorveglia l’annona.

Trova cari i pesci comprati da Lucio, e grida “Sed non impune! Iam enim faxo scias quem ad modum sub meo magisterio mali debeant coherceri. Et, profusa in medium sportula, iubet officialem suum insuper pisces inscendere ac pedibus suis totos obterere (I, 25 ).

Quindi consiglia a Lucio di andarsene, gli basta l’offesa fatta al vecchio venditore : “Sufficit mihi, o Luci- inquit- seniculi tanta haec contumelia”.

Lucio se ne andò al bagno consternatus ac prorsus obstupidus, costernato e quasi intontito, “prudentis condiscipuli valido consilio et nummis simul privatus et cena”. Dopo che la scorta dell’edile aveva schiacciato sotto i piedi i pesci comprati da Lucio, questo povero ragazzo è rimasto senza soldi e senza cena.

 

“E, se io ben intendo, Pizia consiglia a Lucio di lasciare il mercato, perché, dopo questo fatto, a lui i mercanti non venderebbero più e si vendicherebbero”[4].

 

Prepotenza e irrazionalità dei magistrati.

 

Nel Satyricon il liberto Ganimede dice degli edili trium cauniarum, che valgono tre fichi secchi:  istae maiores maxillae semper Saturnalia agunt…sed si nos coleos haberemus non tantum sibi placeret. Nunc populus est domi leones, foras vulpes (44). 

Auerbach cerca di chiarire il suo pensiero sulla “tendenza alla deformazione spettrale e orrida della realtà”[5] già presente in Seneca e Tacito citando i capitoli I 24-25 del romanzo di Apuleio.

Le Metamorfosi di Apuleio presentano una simile tendenza alla deformazione spettrale e orrida della realtà.

Ammiano Marcellino sviluppa all’estremo la tendenza al patetico di Seneca e Tacito dove il sensuale e l’orrido hanno preso il sopravvento.

 “Un realismo cupo, sommamente patetico, che è del tutto estraneo all’antichità classica”.

In Apuleio si trova “l’uguale tendenza alla deformazione spettrale e orrida della realtà”.

Per quanto riguarda l’eros “accanto a un’estrema accentuazione della concupiscenza…mancano completamente l’anima e l’intimità umana, e continuamente vi si mescola qualche cosa di spettrale e di sadico; la concupiscenza è mischiata ad angoscia e a raccapriccio, pur essendovi non poca melensaggine. Se il sentimento della fatuità universale non fosse così forte, almeno presso un lettore moderno, si sarebbe tentati di pensare a certi scrittori moderni, per esempio a un Kafka, il mondo del quale ci rammenta con la sua orrida deformazione, una pazzia raziocinante”[6].

Auerbach cita il testo da rebus meis in cubicolo conditis (I, 24) a nummis simul privatus et cena (I, 25)

“Vi furono e vi sono senza dubbio lettori che su questa storia semplicemente ridono, tenendola per un puro scherzo. Ma ciò non è sufficiente. Il contegno dell’amico allora allora ritrovato, del quale poi non si dice nient’altro, è volutamente malvagio (e ne mancano le ragioni) o è pazzo, ma questo non è detto mai. Non si può respingere l’impressione di un contorcimento fra stolido e spettrale di fatti della vita comuni e mediocri. L’amico…deruba Lucio della sua cena e del suo denaro; di una punizione del venditore, che conserva il suo denaro, non è parola…La storia, con tutta la sua melensaggine, è stata sottilmente escogitata per minchinare Lucio e giuocargli un cattivo tiro. Ma per quale ragione e a quale scopo? E’ stoltezza, è cattiveria, è pazzia?”[7]

 

Nell’eros mancano completamente l’anima e l’intimità umana e vi si mescola continuamente qualche cosa di spettrale e di sadico; la concupiscenza è mescolata ad angoscia e raccapriccio. Si può pensare al mondo di Kafka, orrendamente deformato da una pazzia raziocinante. Si può pensare all’episodio dei pesci che l’edile schiaccia con i piedi al mercato (I, 24).Ci troviamo un contorcimento tra stupido e spettrale di fatti della vita comuni e mediocri.

 

Lucio torna a casa e Milone lo riempie di chiacchiere. Approfitta della capacità che ha il suo ospite di ascoltare.

 

Fine del pimo libro

 

Pesaro 17 settembre 2023 ore 11, 58 giovanni ghiselli.

Ora però: voglia di pedalare, voglia di pedalare! Nel sole

p. s.

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[1] Mario Carotenuto, Le rose nella mangiatoia.

[2] Cfr. la negazione ironica dell’essere donnaiolo di Ovidio: “ Non mihi mille placent, non sum desultor amoris” ( Amores I, 3, 15).

[3] Plutarco nel De garrulitate ravvisa nell’incapacità di ascoltare un malanno la cui cura spetta alla filosofia (502b)

 

[4] Mimesis, p. 72.

[5] Mimesis, p. 70.

[6] Auerbach, Mimesis, p. 70.

[7] Mimesis, p. 72.

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