mercoledì 13 settembre 2023

Corso di ottobre-novembre XXVII Satyricon 21. La pinacoteca prima parte. Zeusi, Protogene e Apelle.


 

Vediamo ora l'episodio della pinacoteca  con l'incontro tra Encolpio e il vecchio poeta Eumolpo.

"In pinacothecam perveni vario genere tabularum mirabile" (83, 1), entrai in una pinacoteca meravigliosa per la varietà dei dipinti.

 Encolpio è  ancora capace di ammirare qualche cosa che non sia il denaro e che non abbia utilità pratica, il kalovn, il bello, oltre il sumfevron, l'utile. "nam et Zeuxidos manus vidi nondum vetustatis iniuria victas, et Protogenis rudimenta cum ipsius naturae veritate certantia non sine quodam horrore tractavi", infatti vidi i miracoli delle mani di Zeusi non ancora vinte dall'offesa del tempo, e non senza un brivido toccai le prime prove di Protogene che gareggiano con il realismo della stessa natura.

 

 Zeusi, nato in Sicilia, ad Eraclea Minoa, visse ad Atene, dove conobbe Socrate, negli ultimi decenni del V secolo. Morì a Pella, alla corte di Archelao di Macedonia,  come Euripide, una decina di anni più tardi del tragediografo.  Leggo in un manuale di storia dell'arte che questo artista, con Apollodoro, "il pittore delle ombre", attuano il passaggio dal disegno colorato al modello pittorico , utilizzando il chiaroscuro e le variazioni tonali. Mezzi questi, che saranno perfezionati in chiave di resa veristica da Apelle"[1] nel quarto secolo.

"Quintiliano lo celebra per il modo con cui seppe rendere gli effetti di luce ed ombra, Luciano per la genialità inventiva e la novità dei temi, Aristotele per la bellezza ideale delle sue figure che tuttavia considera, per la maestà, inferiori a quelle di Parrasio"[2] (V-IV secolo).

 

Sappiamo da Plinio (Naturalis historia, 35, 66) che a Roma, dove furono  portati in età augustea, si potevano vedere di Zeusi un'Elena  nella porticus Philippi e un Marsia incatenato nell' aedes Concordiae.

Dipinti dunque che si salvarono, se non dalla rapacità dei Romani, almeno dai loro scempi, quale quello raccontato nel  XXXIX libro delle Storie di Polibio a proposito dell'orribile saccheggio di Corinto. Leggiamo in Strabone[3]che Polibio stesso racconta di avere visto i soldati romani  giocare a dadi sui dipinti gettati a terra. Quanto ai “miracoli delle mani di Zeusi”, anche Enea giunto a Cartagine, dove stanno costruendo un tempio a Giunone, "artificumque manus inter se operumque laborem/miratur" (Eneide, I, 455-456), ammira le mani degli artisti in gara tra loro e l'impegno delle opere.

 Encolpio cerca nuovamente di imitare l'eroe di Virgilio, ma, siccome la sua natura è del tutto diversa, sarà colpito da immagini diverse: quelle degli innamorati e dell'amore invece  dei labores (v. 460) e delle lacrimae rerum (v. 462) che impressionano il "pio" Enea il quale poi procurerà travagli, pianti e morte alla regina ospite, come sappiamo.

  

 Protogene nacque in Caria nel 375 a.C. circa, e visse prima ad Atene, poi a Rodi dove morì verso il 290 a. C. A Roma fu fatta portare da Nerone per la Domus Aurea un' opera che si trovava santuario di Dioniso di Rodi: un ritratto di Ialiso, eroe eponimo di una città dell'isola . Plinio (35, 80) ne rileva la meticolosità delle esecuzioni, cum ipsius naturae veritate certantia  dice efficacemente Encolpio, poiché l’arte deve imitare e può perfino la natura gareggiando con la sua realtà.

 

Tutti gli uomini dotati di ragione del resto dovrebbero ispirarsi alla natura secondo la regola  codificata da Cicerone:"quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus " (De Officiis , I, 100).

Seneca presenta la stessa legge con queste parole:"Sequitur ratio naturam. Quid est ergo ratio? Naturae imitatio. Quod est summum hominis bonum? Ex naturae voluntate se gerere "( Epistole a Lucilio , 66), la ragione allora segue la natura. Che cosa è la ragione? Imitazione della natura. Qual è il sommo bene dell'uomo? Comportarsi secondo la volontà della natura.

 

non sine quodam horrore: il brivido che Encolpio sente davanti alla bellezza dell'arte lo emancipa e distingue dalla volgarità del suo tempo.

 

"La reazione di Encolpio, allora, non può essere che quella dell'intenditore posto di fronte all'evento straordinario: un brivido sacro (come quello di Lucrezio di fronte alla verità rivelata da Epicuro: his…me rebus quaedam divina voluptas/percipit atque horror, "a questi pensieri mi prende un divino piacere e un brivido sacro", De rerum natura 3, 29), mentre protende la mano, quasi a cercare conferma del miracolo"[4].

 

"Iam vero Apellis quem Graeci monocnemon appellant, etiam adoravi" (83, 2), di  Apelle poi venerai anche quella raffigurazione che i Greci chiamano monocnemo.

 

Apelle visse tra il 375 e il 300 a. C. circa. Nacque a Colofone ma, invitato a Pella, divenne il ritrattista ufficiale di Alessandro Magno.   

"Pittore di quadri da cavalletto, sembra che avesse sviluppato in particolare la 'linea funzionale', che dava volume alla figura collocandola nello spazio, e il chiaroscuro spesso sottolineato da colori violenti. Famosi erano i suoi quadri, celebrati dai letterati, come la Calunnia  la cui descrizione[5] ispirò nel XV secolo il dipinto[6] di Botticelli"[7].

 Di Apelle sembra avere grande considerazione il Foscolo  assolutamente neoclassico delle Grazie :" Anch'io/pingo e spiro a' fantasmi anima eterna:/sdegno il verso che suona e che non crea;/perché Febo mi disse: Io Fidia, primo,/ed Apelle guidai con la mia lira"(vv. 24-27).

 

Apelle e gli eroi fulminatori

 Apelle raffigurò Alessandro "faiovteron kai; pepinwmevnon"[8] alquanto scuro e con sopra una patina bruna, probabilmente per creare contrasto con il bagliore del fulmine, poiché di fatto il macedone era di pelle chiara.

 Plutarco ricorda pure che Apelle rappresentò l'eroe macedone "keraunofovron", con il fulmine. L'autore della Vite parallele ci fa altresì sapere che  Alcibiade si era fatto incidere sullo scudo un Eros "keraunofovron"[9]. Sembra dunque che questi grandi personaggi amino legarsi al fulmine, per assimilarsi alle divinità fulminatrici, essenzialmente Zeus Olimpio. Anche Pericle viene associato al fulmine: egli era chiamato Olimpio per vari motivi, ci racconta sempre Plutarco[10], ma i commediografi[11] attribuirono il soprannome alla sua eloquenza: dicevano che tuonasse ("bronta'n") e lampeggiasse ("ajstravptein") e portasse sulla lingua un fulmine tremendo ("deino;n de; kerauno;n ejn glwvssh/ fevrein")[12]. Il fulmine entra anche nella nascita di Dioniso che nelle Baccanti  di Euripide si presenta come figlio di Zeus (v. 1) e di Semele, la fulminata, fatta partorire dal fuoco folgorante di Zeus, "loceuqei's j ajstraphfovrw/ puriv"(v. 3),  Forse Manzoni aveva presente qualcuna di queste folgori quando nel carme Il cinque maggio  scrisse di Napoleone:"Lui folgorante in solio"(v. 13) e "di quel securo il fulmine/ tenea dietro al baleno"(vv. 27-28).

-monocnemon: traslittera la parola greca monovknhmon, che sta su una sola gamba (knhvmh); può indicare la raffigurazione di un personaggio in corsa, simbolo magari dello stesso Encolpio e della sua vita in fuga. Oppure che poggia su una sola gamba dopo la gara vinta o persa.

A proposito del frequente correre dei personaggi di Petronio, sentiamo Nietzsche:" Chi si sentirebbe autorizzato a tentare la traduzione tedesca di Petronio che, più di qualunque altro musicista-è stato il maestro del "presto" nelle invenzioni, nelle trovate, nelle espressioni! -Che cosa può importarci alla fin fine di tutte le paludi di questo mondo ammalato, perverso, ed anche del mondo "antico", se possediamo al pari di lui i piedi di vento, il movimento e il respiro del vento, lo scherno liberatore di un vento che ogni cosa guarisce, perché obbliga ogni cosa a correre !"[13].

 

"Tanta enim subtilitate extremitates imaginum erant ad similitudinem praecisae, ut crederes etiam animorum esse picturam" (83, 2), in effetti con una così  precisa sottigliezza erano stati ritagliati i contorni delle figure in rispondenza al modello, da credere che ci fosse anche la descrizione delle anime.

Anche Plutarco sostiene, sempre nella prefazione alla Vita di Alessandro, che i pittori, come del resto egli stesso quale biografo, devono penetrare eij" ta; th'" yuch'" shmei'a, nei segni dell'anima e attraverso questi rappresentare la vita di ciascuno (I, 3).

Più avanti il vecchio poeta Eumolpo riconosce questa capacità anche a Mirone (V secolo), famoso per il Discobolo:"et Myron, qui paene animas hominum ferarumque aere comprehendit" (88, 5), che quasi seppe fissare nel bronzo l'anima di uomini e animali.

 

Pesaro  13 settembre 2023 ore 11, 45

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[1] Arte-Immagine, Calderini, p. 122.

[2] G. C. Argan, Storia dell'arte italiana 1, p. 104.

[3] Geografia, VIII, 6, 28.

[4] G. B. Conte, Scriptorium Classicum 6, p. 32.

[5] Fatta da Luciano di Samosata (120ca-180ca d. C.).

[6] Del 1495, si trova agli Uffizi di Firenze.

 [7] De Vecchi, Cerchiari, Arte Nel Tempo , Volume 1, p. 84.

[8] Plutarco, Vita di Alessandro , 4.

[9]Plutarco, Vita di Alcibiade , 16.

[10] Vita di Pericle, 8.

[11]Aristofane negli Acarnesi  racconta che quand i Megaresi rapirono ad Aspasia due puttane, Pericle l'Olimpio  per l'ira lanciava folgori e tuonava (" h[strapt& ejbrovnta", v. 531.

[12] Vita di Pericle, 8.

[13] Di là dal bene e dal male, p. 53.

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