domenica 24 settembre 2023

Percorso amoroso. Donne dell’Odissea II- Calipso e Penelope.


 

Fin dal primo canto dell’Odissea,  Atena dice a Zeus che Ulisse si trova in un'isola amena, dov'è l'ombelico del mare (v. 50) e vi abita una dea la quale cerca di incantarlo con dolci e seducenti parole perché dimentichi Itaca, ma egli, per il desiderio di scorgere anche solo il fumo che balza dalla sua terra, agogna  morire (" iJevmeno" kai; kapno;n ajpoqrwv/skonta noh'sai-h|" gaivh", qanevein  iJmeivretai",  I, vv. 58-59).

 

Nel V canto Atena intercede di nuovo per il rientro a Itaca del suo protetto. Ricorda a Zeus che Odisseo giace  soffrendo dure pene nell’isola dove Calipso lo tiene per forza ( h{ min ajnavgkh/-i[scei, vv. 14-15).

Il padre degli dèi si convince e manda Ermes a Ogigia perché ordini a Calipso di lasciar partire Ulisse.

 Ermes  si recò nell’isola a volo (pevteto, v. 49), poi entrò nella grande spelonca (mevga spevo~, v. 57),  dove abitava la ninfa dai bei riccioli: la trovò , ma con lei non c’era Odisseo il quale piangeva seduto sulla riva ( o{ g j  ejp j ajkth`~  klai`e kaqhvmeno~, v. 82) , lacerandosi l'anima con lamenti e dolori, e lanciava lo sguardo sul mare infecondo versando lacrime.

 Calipso chiese a Ermes la causa della sua venuta, non senza offrirgli il pranzo ospitale e permettergli di desinare prima di rispondere.

Ermes riferì alla ninfa il volere di Zeus. Allora rabbrividì (rJivghsen) Calipso  , luminosa tra le dèe (v. 116),  poi si mise a parlare. Rinfacciò agli dèi la loro invidia della felicità sessuale delle dèe con i mortali ricordando i casi di Aurora e del cacciatore Orione, che fu ucciso da Artemide[1], e di Demetra con Iasìone che venne fulminato da Zeus.

Ora l'invidia degli dèi colpisce Calipso e gli vuole strappare Odisseo che ella aveva salvato dopo il naufragio causato dal fulmine abbagliante di Zeus. Non è giusto, ma se questa è la volontà del Cronide, ella obbedirà: lascerà partire Ulisse, e, pur se non potrà soccorrerlo, gli darà volentieri consigli e non gli nasconderà il modo di tornare sano e salvo nella sua terra (vv. 143-144).

Infine Ermes ripartì e Calipso andò in cerca del magnanimo Ulisse.

Quindi “ lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa" (ejpei; oujkevti h{ndane nuvmfh,  V, 151-153).

Quattro parole per spiegare un fatto naturale colto nella sua essenzialità.

Non c’è bisogno di chiacchiere per spiegare il calo o la mancanza del desiderio.

Calipso gli dice che lo lascia partire, che, anzi, lo aiuterà a partire dandogli il viatico di pane,acqua, vino rosso  (si`ton kai; u{dwr kai; oi\non ejruqrovn, v. 265) e vesti (ei{mata, v. 167). Odisseo è, come sempre, diffidente, ma Calipso giura sulla terra, sul cielo e sullo Stige, il giuramento più grande e terribile, che lo aiuterà con lo stesso impegno con il quale provvederebbe a se stessa poiché, dice, sono giusta e nel mio petto non c’è un cuore di ferro ma compassionevole ( oujde; moi aujth`/qumo;~ ejni; sthvqessi sidhvreo~, ajll j ejlehvmwn, vv. 190-191)

 

La nobiltà di Calipso.

E' nobile questa reazione della persona abbandonata la quale capisce le ragioni del distacco e aiuta l'amante che se ne va. Poiché quando un uomo e una donna si scambiano aiuto e piacere, se davvero sono un uomo e una donna e non due caricature di esseri umani, non può non rimanere la riconoscenza per quanto si è ricevuto e la soddisfazione per ciò che si è dato.

 

Segnalo, viceversa, il peccato che  il Giobbe  di J. Roth attribuisce a se stesso e alla moglie morta:" Piena di travaglio e senza senso è stata la tua vita. Nella giovinezza ho goduto della tua carne, più tardi l'ho sdegnata. Forse è stato questo il nostro peccato. Perché non c'era in noi il calore dell'amore, ma fra noi il gelo dell'abitudine, tutto è morto intorno a noi, tutto è intristito e si è rovinato"[2].


 

Penelope al ritorno di Odisseo

Un’ultima breve sezione riguarda il comportamento di Penelope al ritorno di Odisseo. I due coniugi hanno in comune l’intelligenza, l’accortezza (p. e. perivfrwn Penhlovpeia, Odissea,  I, 329).

 Odisseo travestito da  mendicante ravvisa in  Penelope le buone qualità del re che fa prosperare la sua terra (XIX, 107-111). Lo stesso Antinoo, pur polemizzando con Telemaco, riconosce che Penelope è una donna eccezionale: “fivlh mhvthr , h{ toi peri; kevrdea oi\den”, (II, 88), la tua cara madre  che sa troppe astuzie.

Atena le ha donato atti bellissimi a sapersi,  pensieri di valore (II , 117) e kevrdea, astuzie quali nemmeno le antiche eroine Tiro, Alcmena e Micene sapevano fare e dire. E’ certamente una lode ambigua, è un elogio pieno di sospetto, non privo di paura.

Infatti Penelope ispirata da Atena dispose nel megaron l’arco e il ferro di Odisseo  (XXI, 1-2). Verranno usate dal marito contro i proci

 

La diffidenza di Odisseo e quella di Penelope

 

Un altro aspetto che associa Penelope a Odisseo è  la diffidenza.

“Essendo la diffidenza un tratto tipico della saggezza omerica, Penelope non crede né a Euriclea, né a Telemaco” [3] 

In precedenza Odisseo aveva messo in dubbio le intenzioni di Calipso, non certo cattive .

Non si fidava della ninfa che voleva fargli passare mevga lai`tma qalavssh~ (V. 174) , un abisso immenso di mare schdivh/, su una zattera.  Uguale cautela usa Odisseo con Leucotea che gli offre il velo-talismano (krhvdemnon, V, 346) con il quale dovrà gettarsi dalla zattera.

Odisseo mermhvrixe (v. 354), ci pensò su, e non si tuffò, ma fu gettato in acqua da un’onda.

 

Quando Odisseo arriva a Itaca, gli si fa incontro Atena simile a un giovinetto pastore di greggi, e il reduce, sebbene non richiesto della identità, non le dice  il vero (oujd j o{ g j ajlhqeva ei\pe (XIII, 254), ma si inventa di essere scappato da Creta dove avrebbe ucciso un figlio di Idomeneo.

 

Un’identità da Cretese è scelta bene: lo afferma proprio il cretese Epimenide, profeta delle Erinni: L’apostolo Paolo ricorda che il  profeta caratteristico (proprius) dei Cretesi disse: “Krh`te~ ajei; yeu`stai, kaka; qhriva, gastevre~ ajrgaiv ( Lettera a Tito, I,  12) Cretenses semper mendaces, malae bestiae, ventres pigri.

 

 

Allora rise Atena (meivdhsen, 287), e,  rivelandosi,   accarezzò Odisseo, poi gli disse: “ sarebbe scaltro (kerdalevo~[4], 291), e astuto ingannatore chi ti superasse in tutti gli inganni, anche se è un dio che ti incontra”.

La dea quindi gli riconobbe una somiglianza con se stessa: “ anche io sono come te: eijdovte~ a[mfw- kevrde j , conosciamo entrambi il modo di trarre profitto: tu sei di gran lunga il migliore di tutti i mortali per consiglio e parola ("boulh'/ kai; muvqoisin", XIII, 298), io fra tutti gli dèi sono famosa per senno e accortezza ("mhvti te klevomai kai; kevrdesin", 299).

Sono entrambi capaci di individuare i nessi.

 Intelligenza in greco è suvnesi~, da sunivhmi, “metto insieme”.

 

Ebbene Penelope è simile a suo marito . In fondo l’Odissea è un campo di battaglia dove gli intelligenti (Odisseo, Telemaco[5], Penelope) prevalgono sui cretini (i proci, il Ciclope etc.).

Gli stupidi sono anche immorali, smodati, eccessivi nel mangiare e nel bere, violenti

Penelope ha in comune con il consorte anche il prendere tempo. 

Odisseo con il Ciclope adotta la strategia dell’attesa, come Penelope con i proci

Nella diffidenza poi la moglie supera il marito: Penelope è  restia a credere alla vera identità di Odisseo anche dopo la mnesterofonia che l’ha rivelata: a Euriclea che le annuncia il massacro dei proci, la regina dice che i pretendenti sono stati ammazzati da qualche nume ed essi dij ajtasqaliva~ (XXIII, 67), per la loro stupida presunzione sono andati in malora.

Poi Penelope scende dal piano alto. Quindi i due sposi siedono uno davanti all’altro e nessuno dei due parla. Odisseo seduto nel chiarore del fuoco (ejn puro~ aujgh`/, v. 89)  vicino a un’alta colonna ( v. 90, pro;~ kiovna makrhvn)  aspettava che sua moglie gli dicesse qualcosa.

Si produce dunque una scena surreale, dove il silenzio esprime la reciproca attesa di due intelligenze che si guardano allo specchio, e viene rotto dall’unico terzo possibile, Telemaco”[6].

 

 Telemaco rimprovera la madre perché non butta le braccia al collo del marito e Penelope gli risponde che il suo qumov~ è attonito (tevqhpen XXIII, 105) nel petto. Comunque se l’ospite è davvero Odisseo, loro due si riconosceranno poiché hanno dei segni (shvmaq j )che solo loro due conoscono in quanto sono kekrummevna (110), coperti dal segreto.

La gioia di Penelope è trattenuta in quanto “vaccinata dalla minaccia della delusione”[7].

Odisseo a un certo punto si irrita davanti alla diffidenza eccessiva di Penelope e la chiama daimonivh (v. 166) disgraziata, cui  gli dei  fecero un cuore ajtevramnon (167) duro, quindi chiede a Euriclea di preparargli il letto dove può dormire anche da solo.

La moglie lo mette alla prova e ordina alla nutrice di stendere per l’ospite il  letto robusto di Odisseo fuori dalla solida stanza: “ jall j a[ge oiJ J stovreson pukino;n levco~ , Eujruvkleia-  ejkto;~ eu>staqevo~  qalavmou” (XIII, 176-177).

Odisseo  a questo punto si arrabbia e perde il solito autocontrollo: il suo letto infatti non è spostabile siccome l’ha fatto lui, con le sue mani su un tronco d’olivo grosso come una colonna. Intorno a quello egli costruì la stanza (v. 192).

Così Penelope ha shvmat j e[mpeda (206)  segni sicuri (saldamente fissati al suolo).

Quindi c’è il ricongiungimento sessuale: giunsero al diritto del letto antico: “ levktroio palaiou` qesmo;n i[konto” (v. 296). E’ il lieto fine canonico della letteratura occidentale sottolineato dagli alessandrini Aristarco e Aristofane di Bisanzio, ma il valore erotico dell’incontro è accentuato pochi versi più avanti: i due sposi,  quando ebbero goduto dell’amore gradevole  (Tw; d’ ejpei; ou\n filovthto~ ejtarphvthn ejrateinh`~, v300), godettero nel parlarsi.  terpevsqhn muvqoisi (v. 301).

 Penelope raccontò i suoi martìri o{s j ajnevsceto (v. 302) quanto sopportò  dai proci sfacciati e Odisseo narra le pene (khvdej 306) subite e inflitte. Più intenso per due personaggi siffatti è il valore erotico della parola che il contatto tra i corpi.

Odisseo menziona tutte le tappe del suo pellegrinare: i Ciconi, i mangiatori di Loto, il Ciclope, Eolo, i Lestrigoni, Circe, l’incontro con le yucaiv de morti[8]  con Tiresia[9] e con la madre, le Sirene, Scilla e Cariddi, le vacche del Sole, Calipso la quale desiderava che fosse suo sposo lilaiomevnh povsin ei\nai (XXIII, 334) nelle profonde caverne, ma non poteva convincerlo, sebbene gli promettesse che lo avrebbe reso immortale e immune da vecchiezza per sempre (qhvsein ajqavnaton kai; ajghvrwn h[mata paventa, 336).

Ulisse però non dice alla moglie che “la notte dormiva sempre ( V, 154)” con Calipso. E’ pur vero che ci dormiva ajnavgkh/, per forza , almeno negli ultimi tempi.

L’ultima tappa prima del lieto fine nel letto con Penelope è l’isola dei Feaci che lo hanno onorato come un dio (XXIII, 339) e l’hanno riportato a casa.

Ma di Nausicaa nemmeno una parola. Certamente la simpatia reciproca tra Odisseo e la fanciulla in fiore non sarebbe riuscita gradita a Penelope, un fiore di vent’anni prima. Visto, come si è detto, che i due erano tanto simili, non è impossibile che anche Penelope abbia nascosto qualcosa a Odisseo, al figlio, a Laerte, ingannandoli come aveva ingannato i suoi pretendenti con la storia del sudario di Laerte.

 

 Concludo la già lunga sezione sulle donne dell’Odissea con il massacro delle ancelle che non avevano disdegnato i proci come aveva fatto la loro regina

 

Siamo nella parte finale de XXII canto, subito dopo la strage dei proci.

Odisseo ha appena terminato la mnesterofonia, quando Euriclea gli dice che delle cinquanta ancelle, dodici giunsero all’impudenza ( ajnaideivh~ ejpevbhsan, 424), ossia non rispettarono i padroni. Quindi la nutrice emerita vorrebbe portare la buona notizia a Penelope, ma Odisseo le ordina di non svegliarla ancora  ( mhv pw thvnd j ejpevgeire, v. 431): prima Euriclea deve convocare le dodici ancelle sfrontate che erano andate a letto crapulosamente con quei poltroni[10].

Quindi comanda a Telemaco, al porcaro Eumeo e al bovaro Filezio di far pulire la sala alle ancelle infedeli e di ucciderle.

Le donne entrarono tutte insieme “terribilmente gemendo, versando gran pianto” (v. 447). Portarono fuori i cadaveri dei proci, e pulirono i seggi e le mense con acqua e spugne dai molti buchi ( u{dati kai; spovggoisi polutrhvtoisi, XII, v. 453). Poi tolsero e gettarono fuori lo sporco raschiato dal suolo. Quindi vennero ristrette in breve spazio dal quale non potevano scappare e Telemaco disse che non   avrebbero ucciso con una morte pulita  kaqarw`/ qanavtw/ (v. 462) le donne che versavano insulti sul capo di Telemaco e di Penelope e andavano a letto  con i pretendenti (para; te mnhsth`rsin i[auon, v.  464).

Quindi le impiccarono: allora un orrido letto le prese (stugero;~ d j uJpedevxato koi`to~, 470) perché morissero nel modo più miserevole come tordi dalle larghe ali o colombe prese in una rete.

Chiudo la sezione con questo verso

h[spairrn de; povdessi mivnunqav per, ou[ ti mavla dhvn (XXII,475), si dibattevano con i piedi, ma per poco, certo non molto a lungo.

 

Pesaro 24 settembre 2023 ore 13, 53. giovanni ghiselli

p. s

 Quando ero bambino frequentavo spesso la parrocchia tua, divo Terenzio. Oggi è il  tuo giorno, santo protettore di Pesaro e, spero, anche mio.

 

 

 



[1] Poi mutato in costellazione: Cfr “Quando Orїon dal cielo/declinando imperversa,”  l’incipit dell’Ode La caduta del Parini

[2]J. Roth, Giobbe , p. 141.

[3] Guido Paduano La nascita dell’eroe.Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura occidentale, p. 26

 

[4] capace di trarre kevrdo~ profitto

[5] pepnumevno" assennato”, Odissea I, 367

[6] Guido Padano Op. cit, p. 162

 

[7] Paduano, Op. cit., p. 163.

[8] Ma dice che giunse nella dimora putrescente di Ade, v. 322. Che si sia inventato tutto?

 

 

[9] Senza rivelarne la profezia.

[10] Cfr. Joyce, Ulisse, p. 537.

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