lunedì 11 settembre 2023

Corso di ottobre-novembre XXII Satyricon 16. Il cibo trasformato e deformato. L’artista

 

Segue un epidipnis , un post-prandium con altri cibi cammuffati quali Cydonia mala spinis confixa, ut echinos efficerent (69, 7) mele cotogne con spine conficcate, in modo da renderle simili a ricci di mare. Abbiamo visto in Ibico (fr. 6 D.) che i meli cotogni sono alberi sacri ad Afrodite; la mela quindi è simbolo erotico, e forse queste spinate alludono alla credenza popolare, di sempre, che "non c'è amore senza spine".

La mela come talismano d'amore si trova anche nel III idillio di Teocrito quando il capraio che fa la serenata promette ad Amarillide devka ma'la, dieci mele (v. 10) e anche più avanti quando ricorda il mito dell'imbattibile Atalanta che infine fu vinta nella corsa quando si fermò a raccogliere le mele d'oro lanciate da Ippomene il quale le aveva avute da Afrodite. L'atletica vergine, come le vide, subito impazzì e si inabissò in un amore profondo (III, 42).

Nell'XI idillio il Ciclope innamorato assimila l'amata Galatea a un "dolce pomo" (v. 39) dopo averla invocata come "più candida del latte cagliato, più morbida di un agnello, più altera di un vitello, più brillante dell'uva acerba (v. 20- 21).

Capita che la stessa donna dopo del tempo appaia allo stesso uomo, o a un altro più vizza dell'uva appassita.  

Ma il travestimento culinario della mela non è dei peggiori: viene recato un fericulum longe monstrosius (69, 7), una portata di gran lunga più snaturata: aveva l'aspetto di un'oca ingrassata (anser altilis)  con intorno pesci e uccelli di ogni tipo e invece, disse Trimalchione, "de uno corpore est factum…ista cocus meus de porco fecit " (70), il cuoco insomma aveva fatto tutto con la carne di porco. Si vede bene che è continua la ricerca e l'esibizione del ribaltamento, del contro natura, e non solo nel sesso. Il cuoco era per queste sue abilità un uomo di valore, assimilato all'artista dalla denominazione datagli da Trimalchione:"non potest esse pretiosior homo. volueris, de vulva faciet piscem, de lardo palumbum, de perna turturem, de colaepio gallinam. et ideo ingenio meo impositum est illi nomen bellissimum; nam Daedalus vocatur" (70, 2), non ci può essere uomo più prezioso. purché tu lo voglia, da una vulva ti farà un pesce, da un lardo un colombo, da un prosciutto una tortora, da uno zampone una gallina. Perciò su mio suggerimento gli è stato dato un nome appropriatissimo; infatti si chiama Dedalo.

 

Daedalus: l'artista.

Daedalus è pure un aggettivo, caro a Lucrezio, e rimanda alle cose fatte con arte e agli artisti che le fanno, come l'archetipico Daedalus.

Nel del De rerum natura  è daedala , artista, tellus , la terra che fa spuntare  fiori soavi  per Venere (I, 7-8); poi artistici sono i carmi di Febo composti sopra la cetra ( Phoebeaque daedala chordis-carmina,  II, 505-506), inoltre la lingua, mobilis...verborum daedala lingua , agile artefice delle parole (IV, 551); e  le statue (daedala signa , V, 1452) che danno gioia alla vita al pari della poesia e della pittura.

La bellezza dell'arte dunque dà gioia, anche se crearla costa sofferenza come si vede nella vicenda del Daedalus  di Ovidio che vola fuori dal labirinto e con le ali si eleva su per il cielo, sopra il potere del tiranno:"Possidet et terras et possidet aequora Minos/nec tellus nostrae nec patet unda fugae./ Restat iter caeli: caelo temptabimus ire "(Ars Amatoria , II, 35-37), possiede le terre e possiede la distesa marina Minosse, né la terra né il mare si aprono alla nostra fuga: rimane la via del cielo: tenteremo di andare per il cielo. Infatti "non potuit Minos hominis compescere pinnas "(v. 97) Minosse non poté frenare le ali di un uomo. Dedalo però perse il figlio. Forse il mito significa che il creatore da una parte non può essere imprigionato o coatto, dall'altra non può concedersi il lusso di affetti privati, della paternità e della famiglia.

L'artista moderno, come il cuoco di Trimalchione, non può concedersi più nemmeno la naturalezza. Così sembra affermare in una fase del suo percorso il Tonio Kröger  di T. Mann:"Proprio così, Lisaveta: il sentimento, il caldo e cordiale sentimento è sempre banale, inservibile; soltanto le esacerbazioni, le fredde estasi del nostro corrotto sistema nervoso di "artisti" sono valevoli ai fini dell'arte. E' necessario essere qualcosa di extraumano, d'inumano, è necessario trovarsi, rispetto all'umano in una situazione stranamente lontana e neutrale, per essere in grado e anzi solo per sentirsi tentati di farne oggetto di rappresentazione, di giuoco, per raffigurarlo con gusto e con efficacia. Il dono dello stile, della forma, dell'espressione ha già come presupposto cotesto atteggiamento freddo e schifiltoso verso l'umano, più ancora, un tal quale immiserimento e svuotamento di umanità. Il sano e gagliardo sentimento (su questo non c'è dubbio) è privo di gusto...Ve l'assicuro, spesso mi sento mortalmente stanco di rappresentare l'umano senza prendervi parte"[1]. Alla fine del romanzo però il protagonista arriva alla resipiscenza:" Ammiro coloro che, fieri ed impassibili, spregiando l''uomo', si avventurano sui sentieri che guidano alla grande, demoniaca bellezza: ma non li invidio. Perché, se qualcosa è realmente in grado di fare di un letterato un poeta, è appunto questo mio borghese amore per l'umano e il vivo e l'ordinario. Ogni bontà, ogni sorriso proviene da esso; e quasi mi sembra che sia quel medesimo amore del quale è scritto che chi ne fosse privo, anche se sapesse parlare tutte le lingue degli uomini e degli angeli, altro non sarebbe che un rame risonante e un tintinnante cembalo"[2].

Pesaro 11 settembre 2023 ore 19, 39

giovanni ghiselli

p. s.

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[1]Tonio Kröger , pp. 236 e 237

[2]Tonio Kröger , p. 285.

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