lunedì 11 settembre 2023

Corso di ottobre-novembre XIX. Satyricon 13. Strafalcioni di Trimalchione latifondista. Parodie dell’Odissea: dal Satyricon all’Ulysses di Joyce.


 


Segue un intervento di Echione (45-46) che salto per riferire quello più significativo di Trimalchione il quale, rientrato, dà un altro saggio di colossale volgarità lamentando i propri disturbi intestinali e dando licenza a tutti di non badare troppo all'etichetta trattenendo le flatulenze:"alioquin circa stomachum mihi sonat, putes taurum. itaque si quis vestrum voluerit sua re causa facere, non est quod illum pudeatur. nemo nostrum solide natus est. ego nullum puto tam magnum esse tormentum quam continere. nemo nostrum solide natus est " (47), del resto intorno allo stomaco ho dei rumori, un toro, fate conto. Se qualcuno di voi volesse fare i suoi comodi, non ha di che vergognarsi. Nessuno di noi è nato senza fessure. Io penso che non ci sia tormento tanto grande quanto trattenersi.

 

Ho riferito queste frasi sgradevoli poiché hanno una corrispondenza abbastanza puntuale nella Vita di Claudio di Svetonio:"Dicitur etiam meditatus edictum, quo veniam daret flatum crepitumque ventris in convivio emittendi, cum periclitatum quendam prae pudore ex continentia repperisset " (32), si dice pure che avesse preparato un editto con il quale condeva licenza di esternare flatulenze e crepiti di ventre durante la cena, avendo saputo che un tale aveva corso pericolo in seguito al fatto di essersi trattenuto per la vergogna.

 

 Quindi il padrone di casa vanta i suoi smisurati e sconosciuti latifondi:"deorum beneficio non emo, sed nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem" (48, 2), grazie a dio non compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli  voglio unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre.

 

Qui si trova il problema del latifondo che si estende dal I secolo d. C. a partire dall'Africa.

"Ma indubbiamente anche in Italia le grandi tenute divennero sempre più estese e a poco a poco assorbirono le fattorie di media estensione e i poderetti contadineschi. Seneca lo dice esplicitamente ; ed egli poteva ben saperlo, essendo uno degli uomini più ricchi d'Italia, se non addirittura il più ricco, sotto Claudio e Nerone, e proprietario egli stesso di vaste tenute…Le tenute di media estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di vendita dei prodotti e vennero acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi ultimi naturalmente desideravano di semplificare la gestione delle loro proprietà, e, paghi di ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano dare la loro terra ad affittuari e produrre prevalentemente grano"[1].

 In Italia vengono meno le culture intensive di vite e olivo poiché le province, divenute autarchiche, non assorbono più questi prodotti. Quindi si torna a coltivare il grano con metodi non razionali: i braccianti, schiavi o liberi, non forniscono un lavoro di qualità; i proprietari assenteisti del resto non li seguono.

 

Poi viene un altro sfoggio di cultura letteraria indirizzato dal padrone di casa  all'ospite colto, al retore Agamennone:"ego autem si causas non ago, in domusionem tamen litteras didici. et ne me putes studia fastiditum, tres bybliothecas habeo, unam Graecam, alteram Latinam. dic ergo, si me amas, peristasim declamationis tuae". Cum dixisset Agamemnon:"pauper et dives inimici erant", ait Trimalchio:"quid est pauper?" "Urbane" inquit Agamemnon, et nescio quam controversiam exposuit. Statim Trimalchio:"hoc" inquit "si factum est, controversia non est; si factum non est, nihil est". Haec aliaque cum effusissimis prosequeremur laudationibus:"rogo" inquit "Agamemnon mihi carissime, numquid duodecim aerumnas Herculis tenes, aut de Ulixe fabulam, quemadmodum illi Cyclops pollicem poricino extorsit? solebam haec puer apud Homerum legere. nam Sybillam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: "Sivbulla tiv qevlei" ;" respondebat illa: "  jApoqanei'n qevlw" (48, 8), io anche se non tratto cause, tuttavia ho studiato le lettere per uso della casa. E perché tu non pensi che sia schifato degli studi, ho tre biblioteche, una greca, l'altra latina. Dimmi allora, per piacere, il tema della tua declamazione'. Avendo detto Agamennone:' un povero e un ricco erano nemici', Timalchione fece:' che cosa è un povero?' 'Bravo' disse Agamennone ed espose non so quale controversia. E subito Trimalchione: 'questo' disse se è un fatto, non è una controversia; se non è un fatto, non è niente'. Mentre accompagnavamo con sperticatissimi elogi queste e altre battute:' ti prego' fece 'Agamennone mio carissimo, ti ricordi le dodici fatiche di Ercole, o la storia di Ulisse, come il Ciclope gli storse il pollice con la tenaglia? Io ero solito da ragazzo leggere questo e altro in Omero. Infatti la Sibilla di sicuro a Cuma l'ho vista io stesso con i miei occhi sospesa in un'ampolla, e dicendole i fanciulli:'Sibilla, cosa vuoi?' rispondeva lei.'morire voglio'.

-litteras didici: è il segno di riconoscimento degli scholastici (Et tu litteras scis et ego dice Encolpio ad Ascilto nel decimo capitolo, siamo tutti e due letterati) ed è l'ambizione, velleitaria e patetica, di questo cafone arricchito.-tres…Graecam…Latinam: sembra che il pover'uomo non sappia che uno più uno fa due, oppure pensa che una delle due letterature, probabilmente la greca, valga per due.-declamationis: declamatio è l'orazione pronunciata dal retore in una sala per intrattenere i presenti facendo spettacolo.-urbane: una delle tante battute che si possono ascrivere a un nonsense anticipato e casuale rispetto a quello sistematico e programmato di Edward Lear (1812- 1888).-controversiam: è il dibattimento da posizioni contrapposte di una causa fittizia.  Abbiamo cinque libri di Controversiae (e uno di Suasoriae ) lasciati da Seneca padre (55 ca a. C.-40 d. C.).-de Ulixe fabulam: sembra una storia strampalata, che sicuramente non si trova in Omero.

 

Parodie dell'Odissea.

Il modello odissiaco degradato è ricorrente nel Satyricon che in questo senso anticipa l'Ulisse di Joyce. La presenza dell' Odissea nella letteratura europea è, insomma, continua. Il poema omerico rimane uno di quei grandi modelli archetipici che nessuna innovazione può ignorare. In effetti "ogni atto d'innovazione, e di contestazione dei padri, avviene sempre attraverso il ricorso a un antenato, riconosciuto migliore del padre che si tenta di uccidere, e a cui ci si rifà"[2]. Il caso dell'Odissea cui si rifanno le innovazioni di Joyce  è  solo uno dei tanti:"I poetae novi contestavano la tradizione latina rifacendosi ai lirici greci" continua Umberto Eco e procede citando un aforisma che Giovanni di Salysbury attribuisce a Bernardo di Chartres (XII secolo) :"Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres  che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, comunque sia  non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati  in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca. Ogni parricidio ribadisce Eco "elimina i padri ricorrendo ai nonni…Picasso arriva a sfigurare il volto umano partendo da una meditazione sui modelli classici e rinascimentali, e ritorna infine a una rivisitazione di antichi minotauri…E infine, il grande parricidio compiuto sul corpo storico del romanzo, quello di Joyce, si instaura assumendo il modello della narrazione omerica. Anche il nuovissimo Ulisse naviga sulle spalle, o sull'albero maestro, dell'antico"[3].    

 Facciamo qualche esempio. La nave sulla quale Encolpio Gitone ed Eumolpo si imbarcano (99) si rivela un luogo simile all'antro di Polifemo, e il proprietario, l'archipirata Lica, viene dunque chiamato Cyclops (101, 6) dal vecchio poeta che poi aggiunge:"fingite" inquit" nos antrum Cyclopis intrasse. quaerendum est aliquod effugium, nisi naufragium ponimus et omni nos periculo liberamus" (101, 7), imaginate, disse, che noi siamo entrati nell'antro del Ciclope. Bisogna cercare una via di scampo, se non mettiamo in conto un naufragio e ci liberiamo da ogni pericolo.

Poco più avanti, del resto, di fronte al cadavere del Ciclope Lica, Eumolpo dirà:"si bene calculum ponas, ubīque naufragium est " (115, 17), se fai bene i conti, il naufragio è dappertutto. Marìa Zambrano afferma che l'uomo da quando ha memoria e storia ha sempre avuto nel fondo dell'animo il sentimento del naufragio e ricorda che il suo maestro Otega y Gasset nei suoi corsi su "La razòn vital" descriveva "la condizione di "naufragio" come la più umana della vita umana"[4].   

La stessa riflessione fa Eugène Rastignac davanti all' "elegante parricidio" compiuto dalla sua amante Delphine, una delle due  figlie spietate di Papà Goriot :"Vedeva il mondo come un oceano di fango in cui un uomo, se v'immergeva il piede, sprofondava fino al collo…La sua sensibilità gli aveva permesso di riconoscere la natura dell'animo di Delphine. Avvertiva che sarebbe stata capace di camminare sul corpo del padre  pur di andare al ballo, e lui non aveva la forza di atteggiarsi a educatore, né il coraggio di dispiacerle, né la virtù necessaria per lasciarla."[5].

Anche in questo romanzo, di cui tutto il realismo e il naturalismo moderno ha tenuto conto, il piacere sessuale è visto come grande motivatore delle azioni umane:"Nel possedere quella donna, Eugène si rese conto che fino allora l'aveva solo desiderata, non l'amò che all'indomani della felicità: l'amore è forse solo la riconoscenza del piacere. Infame o sublime, l'adorava per le voluttà che le aveva dato e per tutte quelle che aveva ricevuto; allo stesso modo Delphine amava Rastignac come Tantalo avrebbe amato l'angelo che fosse venuto a placare la sete della sua gola riarsa" (p. 218).

L'altro motore, forse anzi il primo, è il denaro: Papà Goriot lasciato solo dalle figlie, in punto di morte capisce che la stessa paternità viene del tutto esautorata dalla mancanza di denaro e resta senza alcun valore morale e affettivo. Sentiamo quindi, dopo quelle di Euripide, un'altra espressione di rifiuto del matrimonio e della paternità :" Lo sapevo. Bisogna morire per sapere che cosa sono i figli. Ah, amico mio ! Non si sposi, non abbia figli. Lei gli dà la vita, loro gli danno la morte. Lei li fa entrare nel mondo, loro la cacciano. No, non verranno! Lo so da dieci anni. Qualche volta me lo dicevo, ma non osavo crederci…Ah! Ah! Se fossi ricco, se avessi conservato il mio patrimonio, se non glielo avessi dato, sarebbero qui a riempirmi di baci! Vivrei in un palazzo, avrei delle belle stanze, domestici, un fuoco tutto per me; e loro sarebbero in lacrime, con i loro mariti, i loro figli. Tutto questo, avrei. Invece niente. Il denaro procura tutto, perfino delle figlie. Oh! Il mio denaro, dov'è? Se avessi dei tesori da lasciare, mi curerebbero, mi assisterebbero"[6].   

Un' altra reminiscenza deformata dell'Odissea si trova nel momento in cui Lica riconosce Encolpio toccandone gli inguina, con il ricordo di come Euriclea aveva riconosciuto Ulisse dalla cicatrice sulla coscia (19, 467 sgg.). "Lichas, qui me optime noverat, tamquam et ipse vocem audisset, accurrit et nec manus nec faciem meam consideravit, sed continuo ad inguina mea luminibus deflexis movit officiosam manum et "salve", inquit "Encolpi" (105, 9), Lica, che mi conosceva molto bene, come se anche lui avesse sentito la mia voce, venne di corsa e non prese in considerazione le mani né il volto, ma abbassati direttamente gli occhi al mio inguine, stese premurosa la mano e fece:"salve, Encolpio".

Segue il commento che risale al paradigma epico il quale anzi sarebbe diventato più verosimile e addirittura autorizzato da questa verifica di tipo postribolare:"miretur nunc aliquis Ulixis nutricem post vicesimum annum cicatricem invenisse originis indicem, cum homo prudentissimus confusis omnibus corporis indiciorumque lineamentis ad unicum fugitivi argumentum tam docte pervenerit" (105, 10), si meravigli ora qualcuno che la nutrice di Ulisse dopo vent'anni abbia scovato la cicatrice come rivelatore dell'identità, quando un uomo espertissimo, nonostante fossero alterati tutti i tratti del corpo e dei segni indicatori, giunse tanto abilmente all'unica prova della persona del fuggitivo.

 Il pene dunque in questo mondo mosso dal denaro e dal sesso funge, tra l'altro, da carta d'identità. Di Encolpio che apostrofa il suo pene come Ulisse il cuore (132) abbiamo già detto.

Così nell'Ulisse di Joyce diversi aspetti del carattere del protagonista sono indicati dal  pene che Bloom stesso si osserva durante il bagno :" e vedeva gli scuri riccioli arruffati del pube fluttuanti, fluttuante chioma della corrente attorno al floscio padre di migliaia, languido fiore fiottante"[7].

Nel testo inglese: “and saw the dark tangled curs of his bush floating, floating hair of the stream around the limp father of thousands, a languid floating father  (p. 77)  

 

-ajpoqanei'n qevlw: Trimalchione conclude questo suo discorso (48, 8) con una verità profonda: la Sibilla vuole morire perché nel paese guasto non c'è posto per i profeti. Né per i poeti: a proposito del tramonto degli dèi olimpi e della miscredenza dilagante nell'Atene dei sofisti il Coro dell' Edipo re, ossia Sofocle stesso, nel secondo Stasimo domanda:"Se infatti tali azioni sono onorate,/ perché devo eseguire la danza sacra?"(vv.895-896).

"Vi sono, in Trimalchione, molti tratti comuni con Nasidieno, il protagonista della satira II, 8 di Orazio. Anche Nasidieno è un cafone arricchito desideroso di far bella figura con i letterati che ha invitato per compiacere Mecenate: consapevole della propria inferiorità, si sforza di apparire all'altezza degli ospiti illustri, ma cade inevitabilmente nel ridicolo"[8]. Seguono altre trovate dei cuochi, portate stupefacenti e mirabolanti almeno per noi: infatti Apicio (età di Tiberio) nel trattato De re coquinaria ci fa sapere che era vanto degli esperti nell' arte culinaria  preparare pietanze mascherate; il motto di tale cucina era:" a tavola nessuno riconoscerà ciò che mangia".

 Quindi il convivator , l'anfitrione Trimalchio, vantando la sua argenteria tira fuori un'altra amenità che confonde Cassandra con Medea:"in argento plane studiosus sum. habeo scyphos urnales plus minus C: quemadmodum Cassandra occidit filios suos, et pueri mortui iacent sic ut vivere putes" (52), dell'argenteria sono proprio appassionato. di coppe da un'urna ne ho più o meno cento: c'è come Cassandra uccide i suoi figli e i bambini giacciono morti così che li diresti veri.

La profetessa troiana è uno strumento "culturale" utilizzato in vari modi da Trimalchione che più avanti (74), durante una sconcia litigata con la moglie, la chiama Cassandra caligaria , Cassandria scarparia, qualche cosa come lo "scarpantibus" di antica memoria televisiva.

 

Pesaro 11 settembre 2023 ore 11, 58 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]  M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero romano, p.115.

[2] U. Eco, Di fronte ai classici , p. 124.

[3] U. Eco, Di fronte ai classici , p. 132.

[4] L'uomo e il divino , p.65 n. 9.

[5] Balzac, Papà Goriot (1835), p. 216.

[6]Balzac, Papà Goriot, p. 228.

[7] J. Joyce, Ulisse, p. 119. Capitolo V I lotofagi, il bagno.

[8]G. B. Conte, Scriptorium Classicum 6, p.7.

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