martedì 8 giugno 2021

La storia di Didone terza parte con la presenza di Medea.

 


 

Fuoco ferita da freccia e follia tutti insieme tormentano  Didone durante la successiva cerimonia religiosa con cui la regina cerca la pace:"quid  vota furentem,/ quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas/interea et tacitum vivit sub pectore volnus./ Uritur infelix Dido totaque vagatur/urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta"  (IV, vv. 65-69) a che giovano i sacrifici, a che i templi a chi è fuori di sé? divora i teneri midolli la fiamma intanto e si ravviva in silenzio la ferita sotto il petto. Brucia l' infelice Didone e vaga fuori di sé per tutta la città, quale cerva dopo che è stata scagliata la freccia.

-Est= edit. La radice deriva dall'indoeuropeo *ed-  da cui discendono  pure il greco   [esqivw< *ejjjd-qivw  l' italiano inedia, l'inglese to eat ,  il tedesco essen .-mollis=molles.

-Uritur: c'è un consiglio dell'apostolo Paolo alle vedove che contiene questo verbo, con questa diatesi:"Dico autem innuptis et viduis:"Bonum est illis si sic maneant sicut et ego; quod si non contineant, nubant. Melius est autem nubere quam uri" (Ai Corinzi , I, 7, 9), dico però a quanti non sono sposati e alle vedove: è bene per loro che stiano così come sto io, ma se non si contengono, si sposino. E' meglio infatti sposarsi che ardere (krei'tton gavr ejstin gamh'sai h] purou'sqai).

Possiamo fare una riflessione tutta nostra: se l'amore è fuoco e il matrimonio lo spenge, il matrimonio nega l'amore.

 

L'immagine della freccia che trafigge la cerva quale correlativo venatorio del dardo d'amore è una " virgiliana comparatio " che impressionò Petrarca schiavo e malato d'amore portandolo a identificarsi con la creatura colpita, ossia, in definitiva, con Didone:"Huic ego cerve non absimilis factus sum. Fugi enim, sed malum meum ubique circumferens "[1], io sono diventato non dissimile a questa cerva. Sono fuggito infatti, ma portando il mio male dappertutto in giro con me. Poco più avanti Petrarca cita Orazio per significare l'impossibilità di liberarsi dal dardo amoroso:"celum non animum mutant, qui trans mare currunt "[2],  cambiano il cielo non l'animo quelli che corrono al di là del mare.  

 

Per quanto riguarda la dipendenza di Virgilio da Catullo segnalo due versi del Liber : "ignis mollibus ardet in medullis " (45, 16), arde il fuoco nelle tenere midolle, e "cum penitus maestas exēdit cura medullas "( 66, 23), quando una pena profonda consumò le afflitte midolla.

 

La catena prosegue con la Didone delle Heroides  di Ovidio-

La donna descrive questo suo  bruciare per Enea illustrandolo in maniera particolareggiata con due paragoni, il secondo dei quali prefigura il suicidio per amore:"Uror, ut inducto ceratae sulpure taedae;/ut pia fumosis addita tura rogis "(VII, 25-26), brucio come fiaccole coperte di cera e impregnate di zolfo; come i santi incensi gettati sui roghi fumosi.  

 

Il dardo d'amore nell'Eneide  è una canna mortale ficcata nel fianco:"haeret lateri letalis harundo " (IV, v.73).

Il sentimento amoroso  è dunque connesso al dolore, alla morte e al senso di colpa. La causa è il terrore dell'istinto che è sintomo di decadenza e di calo del turgore vitale.

Un’altra e[ri": "combattere gli istinti-questa è la formula della décadence ; fintanto che la vita è ascendente , felicità e istinti sono uguali"[3].

Rimasta sola nella casa vuota la digraziata regina si tormenta:"sola domo maeret vacua " (v. 82) o in altri momenti inganna se stessa trattenendo in grembo Ascanio "infandum si possit fallere amorem " (v. 85), per vedere se possa illudere l'indicibile amore. 

 

Amore vissuto come infamia e follia.

 Può diventare anche crudeltà, nel caso che la donna abbia a portata di mano creature deboli-compresa se stessa- con cui prendersela:"Saevus Amor docuit natorum sanguine matrem/commaculare manus. Crudelis tu quoque, mater./Crudelis mater magis, an puer improbus ille? ", il crudele Amore insegnò alle madri a contaminare le mani col sangue dei figli. Crudele anche tu madre. Crudele la madre di più o quel figlio malvagio?

canta Damone nell Ecloga  VIII (vv. 47-49) di Virgilio con riferimento a Medea, a Venere e a Cupido.

Anche Giunone, benevola e protettiva verso la regina di Cartagine, individua  l'amore di lei come ardore e furore:"ardet amans Dido traxitque per ossa furorem " ( IV, 101), arde d'amore Didone e ha contratto nelle ossa il furore.

La pazzia  con ira e rabies secondo Giovenale rendono meno esecrabili i crimini di Medea e Procne, rispetto a quelli  delle matrone romane perpetrati per denaro o per il potere: “ et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. minor admiratio summis/ debetur monstris, quotiens facit ira nocentem /hunc sexum et rabie iecur incendente feruntur/praecipites… (VI, 644-649), anche quelle ai loro tempi osavano grandi mostruosità, ma non per denaro. Meno stupore si deve alle mostruosità somme, tutte le volte che è l'ira a rendere assassino questo sesso ed esse sono trascinate a precipizio dalla rabbia furiosa che brucia il fegato.

L’ e[ri" tra due parti dell’anima di una stessa persona 

La  Medea  di Euripide  individua nel suo animo  un conflitto tra la passione furente e i ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali, per gli uomini è più forte dei suoi propositi:" Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali",  dice la furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli . 

Un'eco di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo, la passione per Giasone " et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non poterat, "Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10-11), e dopo avere combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la ragione, si disse "ti opponi invano, Medea". 

 

  

Nell'Eneide  il bruciare della regina Didone innamorata, prima ancora che l'amore venga consumato e che  fallisca, rende la donna miserrima  (v. 117) secondo la qualificazione della stessa  dea che la protegge.

 

Il desiderio amoroso viene realizzato durante la tempesta e a questo punto il  male diviene irreversibile e letale:"Ille dies primus leti primusque malorum/ causa fuit  "(v. 169-170), quel giorno fu il primo della morte e il primo dei mali, e ne fu la causa; anche perché Didone non si preoccupa della fama , ossia dell'infamia che gliene deriverà, in quanto pensa a un amore coniugale, senza contare che quel sant'uomo di Enea non aveva tempo per stare a lungo con lei.

 

Il desiderio non trova un limite nella vergogna che viene momentaneamente repressa ma non superata da Didone: il conflitto tra queste due forze contrastanti è  drammaticamente sentito dalla Medea vergine di Apollonio Rodio che il pudore (aijdwv") tratteneva , mentre un desiderio possente (qrasu;" i{mero" ) spingeva (Argonautiche , III, 653). "Apollonio non è interessato agli sviluppi pragmatici della storia, e privilegia invece la dinamica psichica"[4].

 

La Medea di Apollonio ondeggia a lungo in preda alle contraddizioni: prima impreca contro Giasone (III, 466), poi contro il pudore e la fama (" ejrrevtw aijdwv" , ejrrevtw ajglai?h ", III, 785-786). Però subito dopo pensa di nuovo a cosa dirà la gente, a quale sarà la sua vergogna (ai\sco", v. 797), quale la sua disgrazia (a[th, v. 798).

Bologna 8 giugno 2021

giovanni ghiselli

 



[1]Secretum , III, 40.

[2]Ep. , I, 11, 27.

[3]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli , p. 57.

[4] M. Fusillo, Lo spazio letterario della Grecia antica , I, 2, p. 124.

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