domenica 13 giugno 2021

Enea smascherato da Ovidio.

 

 

Virgilio viene deriso da Ovidio per l’agiografia di Enea che il poeta di Sulmona mette nel novero dei seduttori.

Nel proemio dell'Eneide[1] Virgilio  domanda con meraviglia:"Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,/quidve dolens regina deum tot volvere casus/insignem pietate virum, tot adire labores/impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?" (vv, 8-11), o Musa, dimmi le ragioni, per quale offesa volontà divina, o di che cosa dolendosi la regina degli dèi abbia spinto un uomo insigne per la devozione a girare per tante sventure, ad affrontare tante fatiche. Così grandi sono le ire nell'animo dei celesti?

 Ebbene Ovidio trova la ragione delle grandi ire divine:  dopo avere affermato che gli uomini ingannano spesso, più delle tenere fanciulle (saepe viri fallunt, tenerae non saepe puellae, Ars, III, 31) il poeta peligno inserisce Enea tra i  seduttori  ingannevoli quali  il fallax Iason  (Ars, III, 33) e Teseo, tanto perfido che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini:"et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem[2]/praebuit et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39-40), ha la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il motivo della morte tua, Elissa. Ovidio dunque smaschera Enea e il poeta che lo celebra come antenato di Augusto.

giovanni ghiselli

 



[1] Scritta fra il 29 e il 19 a. C.

[2] Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale dono funesto (non hos quaesitum munus in usum., Eneide,  IV, 647,  dono richiesto non per questo uso. 

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