Si vis amari, ama (9, 6), se vuoi essere amato, ama.
Poche parole di brevità e di forza.
Qui amicus esse coepit quia expedit, et desinet quia expedit (9, 9), chi ha cominciato a essere amico perché conviene, smetterà anche perché conviene.
Questa sentenza nel mio caso è stata verificata più dalle amanti che dalle amiche e dagli amici. Le pochissime amanti rimaste amiche, lo erano anche da amanti. Le altre non sono mai state amiche oltre che amanti.
ista quam tu descrībis negotiatio est, non amicitia (9, 10), questa che tu descrivi è un affare, non amicizia.
La storia di Ifigenia che sto raccontando è piena di pathos anche ardente, di ricerca anche fruttuosa, di parole amorose ben dette e di sesso ben fatto, ma priva di affetto. Un amare senza bene velle. Da parte di entrambi. Tuttavia mi ha aiutato a diventare quello che sono più delle altre storie.
Mi ha spinto a scavarmi nel profondo, a trivellarmi.
Se contentus est sapiens ( 13) il saggio è contento di se stesso.
Essere soddisfatto di se stesso è la tappa necessaria per arrivare ad amare gli altri.
Penso che l'amore di se stesso e quello dell'umanità non siano separabili. Nella seconda commedia della Trilogia di Pirandello del teatro nel teatro, Ciascuno a suo modo (1924), l'attrice Delia Moreno afferma:"Sapete che cosa significa "amare l'umanità"? Soltanto questo:"essere contenti di noi stessi". Quando uno è contento di se stesso "ama l'umanità" (atto I).
Stulto nulla re opus est (nulla enim re uti scit) sed omnibus eget (14) allo stolto non occorre nulla, infatti non sa servirsi di nulla, ma sente la mancanza di tutte.
Cfr. crh'ma e kth'ma in Senofonte che distingue la capacità di uso (cravomai) dal possesso (ktavomai). Il personaggioSocrate di Senofonte dice a Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa servirsene non sono averi utili:"jtaujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata"
( Economico, I, 10); così i flauti sono utili per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che sassi inservibili ( "oujde;n ma'llon h} a[crhstoi livqoi").
Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai).
Mi vengono in mente i libri: c’è chi li legge, li capisce e se ne avvale; c’è chi li compra e li mette in mostra ma non li legge; chi li legge ma non li capisce; chi ne capisce solo la lettera e non può avvalersi dello spirito.
Torniamo a Seneca
Il saggio eget nulla re; egere enim necessitatis est, nihil necesse sapienti est (14), non sente la mancanza di alcuna cosa; sentire la mancanza è una questione di necessità, ma al saggio nulla è necessario.
Secondo me a ciascuno è necessario quello di cui sente dolorosamente la mancanza. Personalmente ho cercato per tutta la vita l’amore e il sapere. Ho trovato qualcosa dell’uno e dell’altro. Non mi lamento.
Il saggio in se reconditur secum est ( 16) si mette al proprio posto, sta nella propria coscienza.
Il saggio ama gli amici ma ripone ogni bene in se stesso come Stilbon ille quel famoso Stilbone. La sua patria era stata occupata, aveva perduto i figli, eppure usciva dal fuoco sorridente e a Demetrio Poliorcete il quale gli aveva domandato “num quid perdidisset” , “nihil” inquit “perdidi (…) omnia mea mecum sunt, iustitia, virtus, prudentia, hoc ipsum, nihil bonum putare quod eripi posset (19) se avesse perduto qualche cosa, rispose “non ho perduto niente: tutti i miei beni sono con me: la giustizia, la virtù, l’accortezza, questo stesso non considerare un bene quanto ci può essere tolto.
E’ più difficile capire e condividere questo pensiero. Perdere la salute per esempio è doloroso o perdere un figlio, o una figlia.
Per arrivare a tale rassegnazione può aiutare la lettura della Consolatio ad Marciam dove il filosofo per consolare Marzia che ha perso un figlio ventenne ricorre alla sapienza silenica ricordandole tutte le difficoltà della vita umana, insidiosa e fallace al punto che nessuno l'accetterebbe se non fosse data all'insaputa, e conclude :"Itaque, si felicissimum est non nasci, proximum est, puto, brevi aetate defunctos cito in integrum restitui "[1], pertanto, se la condizione più fortunata è non nascere, la seconda è, credo, compiuta una vita breve, tornare al più presto all'integrità originaria.
Ma concludiamo questa lettera
Seneca assimila il filosofo Stilbone di Megara (360 a.C. circa – 280 a.C. circa) agli Stoici poiché sa portare i propri beni attraverso le città incendiate ed è pago di se stesso: “se enim ipse contentus est; hōc felicitatem suam fine designat19, con questo confine segna la sua felicità.
Ricordo che Epitteto ci insegna “se tu miri a qualcosa che non sta in te, è necessario, inevitabile fallire “ajtucei`n ajnavgkh” ( Manuale, 2).
La lettera 9 di Seneca si chiude con queste parole:
“Omnis stultitia laborat fastidio sui. Vale (9, 22), ogni balordaggine soffre per il disgusto di sé stessa. Stai bene.
Bologna 22 maggio 2025 ore 18, 57 giovanni ghiselli
p. s.
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