Volevo preparare il terreno al debutto di Ifigenia nella casa delle mie consanguinee e benefattrici possessive, gelose: Ifigenia sarebbe arrivata il dì successivo, giorno, divo Giovanni, tuo, l’onesto Giovanni a me simpatico quale delinquente politico inviso al potere e decollato, tuttavia specialmente venerato dalle consanguinee quale santo mio protettore.
In effetti è sempre piaciuto anche a me il santo che volle viver solo e che per saltu fu tratto al martirio.
Avrei presentato Ifigenia come collega e amica. La compresenza di Libero, noto per essere pio e aspirare a una compagna santa quanto Maria Goretti da Corinaldo, avrebbe ammorbidito la durezza dell’urto tra la mia giovane amante del tutto irregolare, trasgressiva, e impudica secondo le tre zie, anziane ma ancora strenua mente pugnaci.
Combattevano contro le mie amanti. Tutte delinquenti sessuali con la mia complicità.
La mattina di buonora ero andato sulla riva del mare trepidando nell’attesa del rischioso ingresso della ragazza nel covo dove ero stato allevato da donne simili a leonesse bipedi o tigri dell’Arcania. La nonna era morta da poco. La mamma era fuori Pesaro. In casa vivevano le due sorelle maggiori, Rina e Giulia, mentre una terza zia, Giorgia, abitava in una casa poco distante.
Questa era meno agguerrita, ma anche lei, qualora non le fosse piaciuta la nuova arrivata e l’avesse considerata un’intrusa, un’avventuriera profittatrice, quanto meno non mi avrebbe diseredato della casa, il cui affitto mi consente di sopravvivere senza tribolare umiliandomi con il cappello in mano davanti ai supermercati con aria da povero negro bastonato dalla vita.
Ero uscito piuttosto presto perché sapevo che Ifigenia avrebbe telefonato, la Rina avrebbe risposto e sarebbe corsa tosto sulla spiaggia a portami la notizia. Volevo studiare la prima reazione della zia “badessa” per decidere quale comportamento avrei dovuto assumere. Fin da bambino dovevo stare attento a tutto perché la mia vita, la mia stessa sopravvivenza dipendeva in gran parte da lei. Mi svegliava la mattina e mi portava a scuola, le elementari Carducci dove lei insegnava in un’altra classe. Mia madre a quell’ora dormiva.
Sapevo già che le due zie non avrebbero mai permesso che facessi l’amore in casa loro. Avrei chiesto alla Giorgia di ospitare Ifigenia in casa sua. Probabilmente la ragazza non le sarebbe spiaciuta quale mia compagna, se non altro per il suo aspetto.
Giorgia rimpiangeva l’amore che non aveva fatto, Rina ne aveva fatto assai ma si era sempre adoperata con tutto il suo peso di superiora perché le sorelle e i nipoti non lo facessero mai.
“Vado al mare - dissi a Rina - Se mi cerca qualcuno, chiunque sia, indirizzalo al nostro bagnino”. Sapevo che sentita una voce di donna in cerca di me, sarebbe corsa ad annunciarmi l’arrivo della postulante sospetta per sentire che cosa ne dicevo e osservare le mie reazioni da cui inferire un primo giudizio e preparare una battaglia contro la sfacciata intrusa. Ero quasi certo che sarebbe stata malevola e dovevo mettermi al riparo preparando un compromesso. Se andava come temevo, l’offensiva denigratoria sarebbe stata spietata. Che era brutta non avrebbero potuto dirlo.
La zia Rina si limitò a dire “bella sì, ma poco espressiva”. La mamma, come la vide, fece: “bella sì, ma non ha un soldo”. La madre mia non era ostile alle mie amanti. Una volta Margherita le domandò che cosa avrebbe fatto se fosse rinata. Rispose: “Come le donne di gianni se ce la fo”.
Prevedevo dunque un attacco, manu militari, sul piano morale e su quello socio economico. “Se vuoi fare un dispetto a Cristo, metti un povero con un ricco” dicevano. Io ero povero e nemmeno loro erano ricche ma avevano qualche proprietà immobiliare e terriera, e io non dovevo impegolarmi con una donna al di sotto della nostra stirpe quanto a proprietà.
Verso le 11 la zia arrivò trafelata dal bagnino Alfredo dicendomi che aveva telefonato una tale chiedendo di me. Le aveva dato tutte le indicazioni necessarie per raggiungemi.
Le domandai chi fosse, dissimulando di saperlo benissimo.
“Non lo so - rispose - non me l’ha detto”. Non mi dicevano mai chi mi avesse cercato per mettermi in difficoltà. Avevo imparato a non insistere per non mostrarmi apprensivo.
Credo che mentisse. Il campo pesarese dove mi aggiravo furtivo fin da bambino era sempre stato pieno di mine.
“Sarà la cugina di Roma, o una collega” aggiunsi per fuorviarla. Ma la zia Rina era la più consumata volpe di casa. Voleva sapere se mi stava raggiungendo un’amante, probabilmente una ragazzaccia zingara, per prepararsi a farle la guerra.
Quindi sedette sotto l’ombrellone con l’intento di vederla arrivare.
La primogenita della nonna mi ha aiutato molto nella vita in tanti versi, soprattutto mi ha spinto a primeggiare nelle scuole di Pesaro, e la zia Giulia più avanti mi ha pagato gli affitti per anni, dato che lo stipendio meno che modesto mi avrebbe costretto a dare ripetizioni non lasciandomi il tempo di studiare. Oppure a vivere sotto i portici con il cappello di fianco al materasso. Ecco perché tanti colleghi non studiano e devono limitarsi a ripetere i manuali.
Quando ho finito il servizio militare, le due zie più attempate mi hanno comprato la casa a Bologna.
Sicché sono grato a queste sorelle della mamma che sostenevano la mia identità di studioso e di bravo professore però dovevo sventare le trappole di cui riempivano il mio terreno amoroso. Dunque ringraziai la zia Rina e mi scusai dicendo che andavo incontro all’ignota sopravvenuta senza preavviso e senza dare il suo nome, da maleducata. L’avrei redarguita.
“Stai attento - fece - perché tu sei poco furbo mentre le donne sono callide e astute.”
“Non dubitare - risposi - sono stato ammaestrato da te e dalla zia Giulia quando eravamo a Moena”
“Dubito eccome, dato non hai mai cavato un ragno dal buco”.
“Ragni infatti no”, risposi e mi avviai.
Quando ero bambino e davo segni di essere bravo a scuola, questa zia mi spronava da una parte e tirava le briglie dall’altra dicendo: “sei molto intelligente e pure un perfetto deficiente, caro giannettino mio!”
Intendeva intelligente a scuola, deficiente nella vita pratica. Così mi ha spinto a mettercela tutta per funzionare bene a scuola. Non immaginava che avrei coltivato e usato la mia intelligenza come base di lancio per avere successo in altri campi oltre la scuola, in primis quello dei rapporti con le femmine umane. Quando seppe di Helena l’Augusta, la Suprema tra le mie donne, disse che era insuperabile solo nel campo della trasgressione vergognosa e peccaminosa: era l’antitesi di santa Maria Goretti. Solo a me poteva piacere una donna siffatta. “A me sì certamente e più di tutte le altre che pur meravigliosamente conobbi!”, risposi e mi allontanai
Bologna 7 maggio 2025 ore 17, 16
giovanni ghiselli.
p. s.
dedico questo capitolo alle donne della mia stirpe, con gratitudine. Devo molto a non poche di loro. Tanto che non sono stato capace di amare altre donne.
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