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L’uomo risponde alla domanda della ragazza
magnificando l’amore familiare a partire da quello tra i coniugi.
“Sì, forse. Ma ancora una volta, Lisa: l’uomo ama ricordare soltanto le
sue sofferenze, e i momenti felici non li calcola”.
Il fatto è che le sofferenze sono sempre reali e tali
rimangono nel ricordo e quando vengono comprese e superate lasciano un accrescimento vitale , mentre la
felicità una volta finita e rimpianta
viene spesso svalutata come illusoria e ingannevole.
Penso al canto Aspasia
di Leopardi:
“Pur quell’ardor che da te nacque è spento
Perch’io te non amai, ma quella Diva
Che già vita, or sepolcro, ha nel mio core” ( vv.77-79)
Torniamo al nostro corteggiatore “obliquo”
“Se però in una famiglia tutto va per il suo verso, se
Dio la benedice, se il marito esce buono, ti vuol bene, ti vezzeggia, non ti
abbandona!
Se è toccato per marito un uomo buono e onesto, come
può finire l’amore?”
Il fatto è, obietto, che “buono e onesto” a molti non
basta. Per amare non è sufficiente la stima; l’amore richiede ammirazione e
questa nasce dalla constatazione delle capacità della persona. E’ molto
difficile amare una persona incapace: la compatiamo, se siamo buoni la aiutiamo,
ma non l’amiamo.
L’uomo del sottosuolo comunque seguita con il suo
catechismo.
“si uniranno le anime, tutto sarà messo in comune;
l’uno non avrà più segreti per l’altro”.
E’ il momento
della fusione delle anime dopo quella dei corpi: “una caro, sanguis unus” di Vitaliano Brancati.
Poi il mito dei
bambini presente più di una volta negli scritti di Dostoevskij: “ Ti piacciono
i bambini , Lisa? Io li adoro. Sai, un fantolino roseo che ti succhia il petto…
Ma quale marito non si sente fondere il cuore per sua moglie, vedendola col suo
figliolino al petto?”
L’uomo procede con questa visione del matrimonio tutto
rose. Poco realistica invero.
La ragazza tuttavia si intenerisce: “nella sua voce
tremava ormai qualcosa di diverso, non di brusco, di sgraziato e inarrendevole
come poco fa, ma di dolce e vergognoso, di tanto vergognoso, che io stesso a un
tratto mi vergognai, e mi sentii colpevole davanti a lei”.
Questi due rifiuti della società provano a inseguirsi
per prendersi e aiutarsi a vicenda ma oramai l’uomo è troppo segnato dal dolore,
dalle disgrazie, tanto che può recitare tante parti ma non riesce più a vivere
una vita sua.
Lisa prova a contraccambiare il corteggiamento: “Voi
parlate come un libro stampato” (124).
Ma l’uomo troppo ferito e ulcerato legge uno scherno
in questo tentativo: omnia mala malis.
Lo prese un sentimento cattivo. Solo più tardi
comprese che la ritrosia di Lisa era dovuta alla sua timidezza.
Quindi attacca la povera ragazza rinfacciandole la
miseria della sua condizione di donna poco desiderabile per un uomo.
Usa parole dure, sadicamente con una poveretta del
genere, una disgraziata quanto e più di lui.
“Esponi il tuo amore al primo ubriaco che capiti…Ti
comprano tutta intera”. La avverte che presto i clienti proveranno disgusto di
lei
“Allora ti butteranno fuori” Dopo essere stata in
altri due o tre bordelli, ciascuno peggiore del precedente, finirai sulla
Sennaja, cioè sulla trada dove si prendono anche le botte.
Quindi le
descrive una prostituta che poteva prefigurare la sua stessa fine : “L’avevano
messa fuori per derisione, a raffreddarsi un poco, perché urlava troppo. Alle
nove di mattina era già ubriaca fradicia, scarmigliata, discinta, tutta pesta.
Stava seduta sulla scaletta di pietra e teneva in mano un pesce salato; urlava,
si lamentava della sua sorte e batteva il pesce sui gradini della scala.
Intorno c’erano cocchieri e soldati ubriachi che la stuzzicavano” Il sadismo
gli suggerisce diversi aspetti della degradazione.
Quindi: “Non credi che diventerai anche tu come quella?” (127)
E aggiunge: “Sarà ventura per te se morirai tisica al più presto”.
La sventura la seguirà anche nell’orribile fossa dove la metteranno i
becchini ubriachi: “Ti butteranno sopra alla svelta un po’ d’argilla bigia e
fradicia e se ne andranno alla svelta” 129.
Nella tragedia greca gli scrosci sono cascate di sangue, mentre in
taluni personaggi di Dostoevskij come Karamazov padre o il generale Ivolgin
dell’Idiota troviamo lunghe correnti di
parole cattive o stupide, comunque penose.
Sentiamo anche la conclusione con la catastrofe finale: “Fango e
pantani, non ci sarà altro per te, e avrai un bel picchiare contro il coperchio
della bara, la notte, quando i morti si levano: “Lasciatemi, buona gente,
tornare al mondo! Sono morta senza avere vissuto, la mia vita me l’hanno
rubata; se la sono venduta per andarsela a bere in una taverna sulla Sennaja;
lasciatemi, buona gente, vivere un’altra volta” (p. 129). Il bere è spesso parte
della degradazione. Penso aMarmeladov di Delitto
e castigo.
In questo romanzo però la prostituta e l’assassino si salvano a vicenda
attraverso la prospettiva della carità; mentre quest’uomo del sottosuolo recita
diverse parti ma è del tutto incapace di sentimenti buoni per chicchessia, abituato
com’è a maltrattare se stesso e a giocare al massacro con tutti
Bologna 30 ottobre 2025 ore 19, 38 giovanni ghiselli
p. s.
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