martedì 21 ottobre 2025

Seneca Epistola 19 Clienti, cacciatori di eredità, monofagia e misantropia. Leopardi giustifica il proprio mangiare da solo.

Il riposo non toglie niente allo splendore dell’uomo buono e capace.
I clientes sono persone quorum nemo te ipsum sequitur , sed aliquid ex te; amicitia olim petebatur, nunc praeda; mutabunt testamenta destitituti senes, migrabit ad aliud limen salutator (4), nessuna delle quali segue te ma qualche vantaggio che deriva da te; una volta si cercava l’amicizia, ora la preda; i vecchi abbandonati cambieranno il testamento, il cliente salutatore migrerà verso un’altra soglia. Per i testamenti cfr. l’ultima parte del Satyricon ambientata a Crotone.
Qualem dicimus seriem esse causarum ex quibus nectitur fatum, talem cupiditatum: altera ex fine alterius nascitur  (6), quale diciamo che è la serie delle cause dalle quali deriva la connessione fatale, tale è quella delle brame: l’una nasce dalla fine dell’altra. Mecenate sottoposto alle torture insite nel potere ebbe a dire:”Ipsa enim altitudo attǒnat summa (19, 9) la stessa altitudine attira i fulmini sulle cime.
Epicuro consiglia di mangiare in buona compagnia: nam sine amico visceratio leonis ac lupi vita est (19, 10), infatti nutrirsi di carne senza un amico è vita da leone o da lupo. Cfr. La monofagia di Leopardi.
Molti odiano chi li benefica: leve aes alienum debitorem facit, grave inimicum (19, 11), un debito piccolo crea un debitore, uno pesante un nemico.
 Bisogna scegliere le persone da beneficare per non dare le perle ai porci. Cfr. il misantropo Timone di Atene in Plutarco (Vita di Alcibiade)  e  Shakespeare.
 
 
Commento
Nel mondo guasto raffigurato dal Satyricon  c'è un ribaltamento che riguarda una città intera:  Crotone dove si svolge l'ultima parte del romanzo (116-141) una urbs antiquissima et aliquando Italiae prima, antichissima e che una volta era stata la prima d'Italia; quando però ci arrivano Encolpio, Eumolpo e Gitone la sua gente si divide in  due categorie: ricchi senza eredi e cacciatori di eredità.
 
"Nella sezione conclusiva del Satyricon, la caratterizzazione degli abitanti di Crotone si ricollega a quella che nella sezione della Graeca urbs era stata fatta da Trimalchione: anch'egli, infatti, è stato un heredipeta [1] come i Crotoniati: anch'egli non può trasmettere i suoi beni a una propria discendenza e come i Crotoniati è come se fosse già morto, tanto più che conosce il momento esatto della morte (77 2) e si preoccupa di farselo costantemente ricordare da un trombettiere e dalla macchina del tempo (26 9)"[2].
A Crotone sono stati pervertiti i sancti mores e annullati i litterarum studia , come spiega un contadino ai tre nuovi arrivati che osservano da un colle non lontano l' oppidum "impositum arce sublimi" (116, 1), posto sopra un' altura.
 Se siete capaci di mentire sistematicamente, dice il vilicus agli errantes, vi arricchirete:"in hac enim urbe non litterarum studia celebrantur, non eloquentia locum habet, non frugalitas sanctique mores laudibus ad fructum perveniunt, sed quoscumque homines in hac urbe videritis, scitote in duas partes esse divisos. nam aut captantur aut captant" (116, 6-7), infatti in questa città non vengono onorati gli studi letterari, l'eloquenza non ha posto, l'onestà e i pii costumi non fruttano elogi, ma tutti gli uomini che vedrete in questa città, sappiate che sono divisi in due categorie: o sono cacciati o danno la caccia.
Nessuno riconosce i figli "in hac urbe nemo liberos tollit, quia quisquis suos heredes habet, non ad cenas, non ad spectacula admittitur, sed omnibus prohibetur commodis, inter ignominiosos latitat. Qui vero nec uxores umquam duxerunt nec proximas necessitudines habent, ad summos honores perveniunt, id est soli militares, soli fortissimi atque etiam innocentes habentur" (116, 7-8), poiché chiunque abbia i suoi eredi non viene invitato a cene, non a spettacoli, ma viene escluso da tutti i vantaggi e vive nascosto tra i malfamati. Quelli poi che non hanno mai preso moglie e non hanno parenti prossimi, raggiungono le cariche più alte, cioè solo loro sono considerati degli strateghi, solo loro fortissimi e irreprensibili. Qui si vede il fallimento della legislazione augustea che cercava di penalizzare i celibi
 
Per il mangiare in solitudine cfr. Leopardi monofavgo~
  Il Recanatese cerca di giustificare  la propria monofagia:"Il mangiar soli, to; monofagei'n, era infame presso i greci e i latini, e stimato inhumanum, e il titolo monofavgo" , si dava ad alcuno p. vituperio, come quello di toicwruvco" , cioè di ladro…Io avrei meritata quest'infamia presso gli antichi (Bologna. 6. Luglio. 1826.). Gli antichi però avevano ragione, perché essi non conversavano insieme a tavola, se non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della comessazione[3], ossia di una compotazione, usata da loro dopo il mangiare, come oggi dagl'inglesi, e accompagnata al più da uno spilluzzicare di qualche poco cibo p. destare la voglia del bere. Quello è il tempo in cui si avrebbe più allegria, più brio, più spirito, più buon umore, e più voglia di conversare e di ciarlare. Ma nel tempo delle vivande tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l'uso naturalissimo e allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io non posso mettermi nella testa che quell'unica ora del giorno in cui si ha la bocca impedita, in cui gli organi esterni  della favella hanno un'altra occupazione (occupazione interessantissima, e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale dell'uomo, e la digestione non può essere buona se non è ben cominciata nella bocca, secondo il noto proverbio o aforisma medico), abbia da esser quell'ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacché molti si trovano, che dando allo studio o al ritiro per qualunque causa tutto il resto del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien fachés di trovarsi soli e di tacere in quell'ora. Ma io che ho a cuore la buona digestione, non credo di essere inumano se in quell'ora voglio parlare meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che voglio potere smaltire il mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non secondo quello degli altri, che spesso divorano, e non fanno altro che imboccare e ingoiare!"[4].
Nel mangiare solo tuttavia c'è qualche cosa di poco umano. Leopardi, come tutti i frustrati sessuali, doveva avere un rapporto malsano con il cibo. Ce ne dà testimonianza il sodale Antonio Ranieri il quale racconta che i medici gli vietavano "le cose dolci, ed assolutamente, i gelati". Ma il poeta, "bramosissimo delle une e degli altri, lasciata dall'un dei lati ogni apprensione, perseverava i più incredibili eccessi: il caffè, sciroppo di caffè; la limonea, sciroppo di limone; il cioccolatte, sciroppo di cioccolatte (e non senza le vainiglie, rigorosamente vietategli); e così via. E quanto ai gelati, era un furore: forse che il morbo stesso lo spingeva! Più i medici minacciavano sputi sanguigni, bronchiti e vomiche, e più il furore cresceva…"[5].
Personalmente sono e sono  stato incline al dormire da solo piuttosto, anche nel tempo della beata gioventù.
 
Bologna 21 ottobre 2025 ore 12, 20 giovanni ghiselli
 
p. s.
Statistiche del blog
  All time1830749
Today69
Yesterday292
This month12552
Last month14471
 
 
 
 


[1] Heredipĕta, formato da heredium e peto, significa "cacciatore di eredità".
[2] P. Fedeli, Lo spazio letterario di Roma antica, vol. I, p. 351.
[3] Latinismo: comissatio  significa propriamente "baldoria dopo il banchetto".
[4] G. Leopardi, Zibaldone, 4183-4184.

[5] A. Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, p. 69.


Nessun commento:

Posta un commento