martedì 28 ottobre 2025

Dostoevskij Memorie del sotto suolo. Quarta parte.


Il nostro anacoreta dunque vuole provare a riprendere i contatti con i compagni di scuola e si reca a un incontro con loro. Il personaggio principale, quello da festeggiare,  sarebbe stato Zverkov il quale “si era ficcata in quella sua cervice di montone l’idea di essere infinitamente superiore a me. Solo a supporre una tal cosa mi sentii soffocare”. Il nostro solitario fa qualche tentativo di scuotersi dalla situazione penosa, maniacale in cui si trova, ma appartiene alla schiera degli inetti, irrisoluti, inconcludenti.

Quando arriva,  Zsverkov lo degna di alcune parole dal disprezzo appena dissimulato: “Con meraviglia ho appreso del vostro desiderio di essere dei nostri” cominciò sibilando e strascicando le parole”.

La mancanza di naturalezza nel parlare è sempre un segno di volgarità.

Lo nota lo stesso Dostoevskij a proposito di Gruscenka nei Fratelli Karamazov.

Il Nostro antieroe si trova in imbarazzo e si sente a disagio. Per cominciare  era arrivato un’ora prima degli altri perché avevano mutato l’ora dell’incontro rispetto a quella che gli avevano detto, poi non l’ avevano avvisato del cambiamento. Quindi mancanza di riguardo e di rispetto nei suoi confronti. Un altro meno malsano se ne sarebbe andato.

Alcuni si misero a ridere quando il caporione Zverkov disse “in tono di motteggio: sicché voi siete qui già da un’ora, ah poverino!” (96) Seguono anche alcuni insulti. Il pover’uomo vessato cerca di replicare difendendosi ma la malevolenza è tanta che non c’è verso di mettersi d’accordo. E’ già lo zimbello della serata, il capro espiatorio di tutti i misfatti: è brutto, povero, malvestito, privo di ogni qualità che possa fare una buona impressione su gente siffatta. Il signorotto Zverkov gli fa domande sul lavoro e lo stipendio: tutto assai meschino.

“Ma questo è un esame!” disse l’uomo del sottosuolo arrossendo per la modestia del suo salario.

Segue un battibecco tra il poveretto assediato e i suoi denigratori.

Il nostro uomo chiede che si parli di cose intelligenti e uno gli fa: “Sicché vi preparate a far mostra della vostra intelligenza?”

L’uomo del sottosuolo ci prova: “State tranquillo, sarebbe cosa del tutto superflua”. Però rimane lì in un posto che non gli si confà. Ai malevoli non bisogna rispondere: è inutile. Zverkov fa un poco da paciere ma solo per mettersi in mostra, senza nessuna benevolenza. Il bellimbusto vanta le sue conoscenze: quelle femminili e quelle altolocate

“Tutti m’avevano lasciato a me stesso, e io stavo seduto là umiliato, schiacciato” (99). Quindi  cerca di consolarsi rimuginando pensieri di grandezza sul proprio conto: “Credono gli imbecilli di farmi onore ammettendomi alla loro tavola  e non capiscono che sono io, io che faccio un onore a loro”. Questo pensiero anche se è vero non cambia niente; perché ci fosse un cambiamento bisognerebbe che un altro lo dicesse al Nostro sul suo conto. Chi mi legga sa che a ventuno  anni mi sono tirato fuori da una situazione del genere, dove mi ero follemente cacciato, grazie a un gentiluomo che notò e mi fece riconoscere quanto di buono e di bello c’era in me. Ma il Nostro si vergognava di quello che aveva addosso: “Oh dannati pantaloni! Zverkov deve avere notato già da prima la macchia gialla sul ginocchio” .

Anche la trasandatezza può diventare un segno di distinzione attraverso la categoria letteraria della sprezzatura.

Il Nostro pensa di andarsene “ E domani magari un duello” (p. 100). Invece rimane dov’è e “beve bicchieri su bicchieri”. Si ubriaca e interviene peggiorando la situazione. Prova a fare un discorso alternando minacce a lusinghe ironiche. Finchè arriva a proporre il duello provocando risate per quanto tale pretesa era poco adatta alla sua figura. Ciascuno parlando dovrebbe dire parole e fare gesti che gli si addicono, eventualmente un poco al di sotto di quello che sa e sa fare, mai al di sopra.

Il nostro uomo non se ne va pensando di fare dispetto a tutti con il restare dov’è. Ma nessuno badava a lui. Gli altri parlavano cordialmente tra loro. Lui provava a sorridere sprezzante e a passeggiare per la stanza volendo mostrare indipendenza. Lo fece per tre ore: “dalle otto alle undici, sempre sullo stesso posto, dalla tavola alla stufa e dalla stufa di nuovo alla tavola Così passeggio per conto mio e nessuno può vietarmelo” (p. 103)

E’ un moto che simboleggia la vita di quuest’uomo chiuso in un andirivieni senza alcun progresso.

Bologna 28 ottobre 2025 ore 19, 41 giovanni ghiselli

p. s

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