venerdì 12 dicembre 2025

Medea di Euripide introdotta, tradotta e commentata da me stesso.


 

 Il volume pubblicato diversi anni fa è esaurito da tempo.

 

Lo pubblicherà a pezzi nel blog e in face-book.

Ne ho già tenuto parecchie conferenze in varie sedi. Probabilmente ne terrò altre.

 

 

 

Questo lavoro intende mettere in luce i significati della Medea di Euripide dai punti di vista della precedente letteratura greca e della successiva letteratura latina. L’analisi del dramma è preceduto da una lunga introduzione sulle tragedie di Eschilo, di Sofocle e di Euripide, non senza citazioni e riflessioni che risalgono fino a Omero, e con l’utilizzo di argomenti critici che vanno da Aristofane ai giorni nostri. Quindi viene affrontato il testo della Medea con traduzione, note grammaticali, sintattiche e lessicali, e attraverso schede di approfondimento che vogliono dare una collocazione europea alle affermazioni dei personaggi della tragedia. Non mancano i collegamenti con il film di Pasolini, con altre interpretazioni più o meno innocentiste, in primis quella di Christa Wolf, e pure con l’attualità, siccome il dramma della madre che ammazza i propri figlioli si è ripetuto non poche volte in tempi recenti. Un altro tema attuale è quello della “straniera” che arriva in una terra dai costumi diversi e, sebbene cerchi un adattamento, non ottiene l’accettazione della sua cultura e della sua umanità. Per giunta Medea appartiene alla categoria della donna abbandonata, oltretutto da un miserabile che nella scelta della compagna persegue esclusivamente il proprio utile.

 Medea, che è portatrice di una cultura arcaica e ieratica, appare come figura grandiosa di fronte alla meschinità dei suoi nemici, dal fellone Giasone, al tiranno timorato Creonte, all’insipida, sciocca rivale. La conclusione del dramma mostra l’orrendo trionfo della donna tradita, e afferma l’imprevedibilità degli eventi con l’impossibilità di rendere stabile e sicura la propria esistenza, come pretenderebbero quanti non capiscono che tutto è instabile e problematico nella vita dell’uomo.           

 

Prologo 1-95

 

Nutrice

Oh se lo scafo di Argo non fosse passato a volo attraverso

le cupe Simplegadi fino alla terra dei Colchi,

e nelle valli boscose del Pelio non fosse caduto mai

il pino reciso, e non avesse attrezzato di remi le mani

degli eroi eccellenti che andarono a cercare il vello

tutto d'oro per Pelia. Infatti la signora mia,

Medea, non avrebbe navigato verso le torri della terra di Iolco

sconvolta nel cuore dal desiderio di Giasone;

né, dopo avere convinto le figlie di Pelia ad ammazzare

il padre, sarebbe venuta ad abitare questa terra corinzia 10

con il marito e i figli, cercando di riuscire gradita

ai cittadini dei quali giunse alla terra in esilio

e, pur rimanendo se stessa, di convenire in tutto a Giasone;

e questa appunto è la più grande salvezza:

quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo. 15 

Ma ora tutto è odioso e stanno male gli affetti intimi.

Infatti, dopo avere tradito i figli suoi e la signora mia,

Giasone si stende nel letto per nozze regali

sposando la figlia di Creonte che comanda su questa terra.

E Medea, l'infelice donna oltraggiata, 20

 rinfaccia con grida i giuramenti, reclama il sommo impegno

 della mano destra, e chiama gli dèi a testimoni

di quale contraccambio ella riceva da Giasone.

E giace senza cibo, abbandonato il corpo alle sofferenze,

struggendo tutto il tempo in lacrime 25

da quando si è accorta di ricevere torto dal marito,

senza sollevare lo sguardo né staccare il volto

da terra; e, come rupe, o marina

onda, ascolta gli amici consigliata,

tranne quando, girato il bianchissimo collo, 30

rivolta a se stessa, rimpiange il padre suo

e la terra e la casa che tradì nel venir via

con un uomo che ora la tiene in dispregio.

Ha compreso la sventurata, sotto il colpo della sciagura,

 quale bene significhi non essere privi della patria terra. 35

Poi odia i figli né si rallegra a vederli.

Temo di lei che progetti qualcosa di inaudito;

infatti violento è il suo animo, e non tollererà di subire

l'oltraggio: io la conosco, e ho paura di lei

che affilata spinga la spada nel fegato, 40

salita in silenzio alla casa dove è steso il letto,

o pure che ammazzi il tiranno e quello che ha preso moglie

e quindi si tiri addosso una sventura più grande.  

Siccome è tremenda: nessuno certo che abbia stretto

 odio con lei, intonerà facilmente il canto della vittoria. 45

Ma ecco i figli che hanno smesso di fare le corse

e vengono qua, per nulla pensosi dei mali

della madre: poiché un animo giovane non ha preso l'uso di soffrire. 48

 

Bologna 12 dicembre 2025 ore 18, 45 giovanni ghiselli

p. s.

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Ifigenia XCI Pesaro. Ritratto di famiglia. Tutte donne e un unico maschio tenuto d’occhio.


 

La sera del 23 giugno andai a Pesaro con l’amico ex seminarista.

Volevo preparare il terreno al debutto di Ifigenia nella casa delle mie consanguinèe e benefattrici possessive, gelose: Ifigenia sarebbe arrivata il  dì successivo il giorno, divo Giovanni, tuo, l’onesto Giovanni a me simpatico quale delinquente politico inviso al potere e decollato, tuttavia specialmente venerato dalle consanguinèe quale santo mio protettore.

In effetti è sempre piaciuto anche a me il santo che volle viver solo e che per saltu fi tratto al martirio.

  Avrei presentato Ifigenia come collega e amica. La compresenza di Libero, noto per essere pio e aspirare a una compagna santa quanto Maria Goretti da Corinaldo, avrebbe ammorbidito la durezza dell’urto tra la mia giovane amante del tutto irregolare, trasgressiva, e impudica  secondo le tre zie, anziane ma ancora strenua mente pugnaci.

Combattevano contro le mie amanti. Tutte delinquenti sessuali con la mia complicità.

La mattina di buonora ero andato sulla riva del mare trepidando nell’attesa del rischioso ingresso della ragazza nel covo dove ero stato allevato da donne simili a leonesse bipedi o tigri dell’Arcania. La nonna era morta da poco. La mamma era fuori Pesaro. In casa vivevano le due sorelle maggiori, Rina e Gulia, mentre una terza zia, Giorgia, abitava in una casa poco distante.

Questa era meno agguerrita, ma anche lei, qualora non le fosse piaciuta la nuova arrivata e l’avesse considerata un’intrusa, un’avventuriera profittatrice, quanto meno mi avrebbe diseredato della casa, il cui affitto mi consente  di sopravvivere senza tribolare umiliandomi con il cappello in mano davanti ai supermercati con aria da povero negro bastonato dalla vita.

Ero uscito piuttosto presto perché sapevo che Ifigenia avrebbe telefonato, la Rina avrebbe risposto e sarebbe corsa tosto sulla spiaggia a portami la notizia. Volevo studiare la prima reazione della zia “badessa” per decidere quale comportamento avrei dovuto assumere. Fin da bambino dovevo stare attento a tutto perché la mia vita, la mia stessa sopravvivenza dipendeva in gran parte da lei. Mi svegliava la mattina e mi portava a scuola, le elementari Carducci dove lei insegnava in un’altra classe. Mia madre a quell’ora dormiva.

Sapevo già che le due zie  non avrebbero mai permesso che facessi l’amore in casa loro. Avrei chiesto alla Giorgia di ospitare Ifigenia in casa sua. Probabilmente la  ragazza non le sarebbe spiaciuta quale mia compagna, se non altro per il suo aspetto.

Giorgia rimpiangeva l’amore che non aveva fatto, Rina ne aveva fatto assai ma si era sempre adoperata con tutto il suo peso di superiora perché le sorelle e i nipoti non lo facessero mai.

“Vado al mare”-dissi alla zia Rina. “Se mi cerca qualcuno, chiunque sia, indirizzalo al nostro bagnino”.  Sapevo che sentita una voce di donna in cerca di me, sarebbe corsa ad annunciarmi l’arrivo della postulante sospetta per sentire che cosa ne dicevo e osservare le mie reazioni da cui inferire un primo giudizio e preparare una battaglia contro l’impudica sfacciata intrusa. Ero quasi certo che sarebbe stata malevola e dovevo mettermi al riparo preparando un compromesso. Se andava come temevo, l’offensiva denigratoria sarebbe stata spietata. Che era brutta non avrebbero potuto dirlo.

La zia Rina si limitò a dire “bella sì ma poco espressiva”. La mamma, come la vide, fece: “bella sì, ma non ha un soldo”. La madre mia non era ostile alle mie amanti. Una volta Margherita le domandò che cosa avrebbe fatto se fosse rinata. Rispose: “ mi comporto come le donne di gianni se ce la fo”.

 Prevedevo dunque un attacco, manu militari, sul piano morale e su quello socio economico. “Se vuoi fare un dispetto a Cristo, metti un povero con un ricco” dicevano. Io ero povero e nemmeno loro erano ricche ma avevano qualche proprietà immobiliare e terriera, e io non dovevo impegolarmi con una donna al di sotto della nostra stirpe quanto a proprietà.

Verso le 11 la zia arrivò trafelata dal bagnino Alfredo dicendomi che aveva telefonato una tale chiedendo di me.

Le domandai chi fosse, dissimulando di saperlo benissimo.

“Non lo so” rispose- non me l’ha detto”. Non mi dicevano mai chi mi avesse cercato per mettermi in difficoltà. Avevo imparato a non insistere  per non mostrarmi apprensivo.

Credo che mentisse. Il campo pesarese dove mi aggiravo con estrema cautela fin da bambino era sempre stato pieno di mine.

“Sarà  la cugina di Roma, o una collega”  aggiunsi per fuorviarla. Ma la zia Rina era la più consumata volpe di casa. Voleva sapere se mi stava raggiungendo un’amante, probabilmente una ragazzaccia zingara, per prepararsi a farle la guerra.

Quindi sedette sotto l’ombrellone con l’intento di vederla arrivare.

La primogenita della nonna  mi ha aiutato molto nella vita in tanti versi, soprattutto mi ha spinto a primeggiare nelle scuole di Pesaro, e la zia Giulia  più avanti mi ha pagato gli affitti negli anni passati nel Veneto, dato che lo stipendio meno che modesto mi avrebbe costretto a dare ripetizioni non lasciandomi il tempo di studiare. Oppure a vivere sotto i portici con il cappello di fianco al materasso. Ecco perché tanti colleghi non studiano e  devono limitarsi a ripetere i manuali.

Quando ho finito il servizio militare nel maggio del 1971, le due zie più attempate mi hanno comprato la casa a Bologna.

Sicché sono grato a queste sorelle della mamma che sostenevano la mia identità di studioso e di bravo professore, però dovevo sventare le trappole di cui riempivano il mio terreno amoroso. Dunque ringraziai la zia Rina e mi scusai dicendo che andavo incontro all’ignota sopravvenuta senza preavviso e senza dare il suo nome, da  maleducata. L’avrei redarguita.

“Stai attento- fece-perché tu sei poco furbo mentre le donne  sono callide e astute.” “Consumate volpi” come te, pensai.

“Non dubitare”- risposi- sono stato ammaestrato da te e dalla zia Giulia quando eravamo a Moena”

“Dubito eccome,  dato non hai mai cavato un ragno dal buco, a parte la bravura a scola ”.

“Ragni infatti proprio no”, risposi e mi avviai.

Quando ero bambino e davo segni di essere bravo a scuola, questa zia mi spronava da una parte e tirava le briglie dall’altra dicendo: “ sei molto intelligente e pure un perfetto deficiente, caro giannettino mio!”

Intendeva intelligente a scuola, deficiente nella vita pratica. Così mi ha spinto a mettercela tutta per funzionare bene a scuola. Non immaginava che avrei coltivato e usato la mia intelligenza come base di lancio per avere successo in altri campi oltre la scuola, in primis quello dei rapporti con le femmine umane. Quando seppe di Helena l’Augusta, la Suprema tra le mie donne, disse che era insuperabile solo nel campo della trasgressione vergognosa e peccaminosa: era l’antitesi della Vergine madre. Solo a me poteva piacere una donna siffatta.

“A me sì certamente e più di tutte le altre che pur meravigliosamente conobbi!”, risposi e mi allontanai. Non le dissi che la mamma di Gesù era di fatto una ragazza madre come Elena quando faceva l’amore con me. Se alle sue orecchie fosse arrivata tale empietà proferita da me, probabilmente a quet’ora non avrei la casa al mare.

 

Bologna 12 dicembre 2025 ore 18, 28 giovanni ghiselli.

p. s.

dedico questo capitolo alle donne della mia stirpe, con gratitudine. Devo molto a tutte loro. Tanto che non sono stato capace di amare altre donne.

p. s.

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Ifigenia XC. La corsa nella notte. La felicità che aleggiava sul mare.


 

Tornai a casa verso l’una ma andai a letto senza sonno: non avevo trovato un messaggio della mia domina nella segreteria telefonica e temevo il peggio. “Se le mancassi, mi cercherebbe” pensavo.

“Non siamo una coppia di solida, eterna omogeneità”, solida aeterna simplicitate, anzi la nostra duplicità è inconciliabile.

 Credetti che questa storia fosse già bell’e finita e che fosse ormai giunto il momento di raccontarla. Ma non era arrivato il tempus scribendi: non avevo ancora gioito, né sofferto, né letto, né pensato abbastanza a lungo per scrivere come si deve.

Il destino stesso me lo segnalò: dopo qualche minuto di previsioni funesta, il telefono si mise a suonare. Era il fato  che rimandava la catastrofe. Era lei. Disse che mi stava cercando da un’ora. “Voglio vederti subito”  precisò. “Anche io- risposi- dammi solo il tempo di fare la strada il più velocemente possibile”.

La domina  me lo concesse: mi aspettava davanti alla bagnina Luana.

“Non romperti il collo però- aggiunse benevolmente- ti aspetterò qui finché non sarai arrivato tutto intero”.

“Farò presto comunque, e arriverò sano e salvo il prima possibile: ho sofferto in questi giorni per il desiderio inappagato di te- so;~ povqo~- quasi fino a morine, come la madre di Odisseo per l’assenza del figlio, ma ora sono felice”.

Mi sciacquai, feci un caffè, indossai un costume, dei calzoncini e una maglietta, scesi nel garage, tirai fuori l’automobile, la decappottai e la lanciai sulla strada che porta a Ravenna.

Nella notte calda e profumata della bella estate al suo culmine respiravo a pieni polmoni. Ascoltavo la voce di Ifigenia che cantava in un coro un’Alleluja , forse di Händel registrato in una cassetta. Mi sembrava che fossero gli angeli o gli astri a cantare, celebrando il trionfo dell’amore nostro. Il vento intanto mi dava carezze lascive. Arrivai alle due e venticinque.

Ifigenia in attesa, appena da lungi ebbe visto i fari della nera Volkswagen, congedò gli amici che la assistevano nell’attesa notturna. Voleva farsi trovare sola al momento del nostro incontro pieno di commozione. Quando mi vide scendere dall’automobile mi volò tra le braccia come una passerottina tra le ali materne. Prima di parlare, mi fece toccare il frequente e impetuoso palpitare del cuore che balzava rapido nel petto sotto il seno abbronzato. Allora capivo di essere stato pazzo a dubitare dell’amore di lei. Quel tempo sarebbe arrivato presto, prima dell’umido equinozio che offusca e raffredda il luminoso ardore delle sabbie dorate.

 Sicché ci abbracciammo e stringemmo a lungo e con forza, poi andammo a stenderci su due sdraie sotto le stelle che  benedicevano il nostro amore. Pochi minuti dopo, al chiarore dell’alba, vedemmo aleggiare sull’acqua le belle sembianze della felicità non ancora sconciata dalle nostre debolezze e miserie. Sarebbe durata un’altra trentina di giorni seguiti da un mese di pena, poi da altre sette stagioni di noia e dolore.

 

Bologna  12 dicembre 2025  ore 17, 58 giovanni ghiselli  

Sono giorni di sole questi. Domani sarà il pomeriggio meno illuminato dell’anno. Non ci saranno altri cali. Dal 21 la luce si crescerà. Ogni sera un minuto abbondante di borsa di studio per sei mesi. Anche la gamba destra funziona già a bastanza. Sono abbastanza contento.

 

 

 

 


Sentite l’Intelligenza Artificiale sul mio conto.


C’è ben altro in me: intelligenza naturale, sentimenti buoni e meno buoni, un pizzico di genio.

Gianni Ghiselli è un umanista, docente e traduttore attivo a Bologna:

  • Docente di greco e latino presso il Liceo Classico “Marco Minghetti” e precedentemente al “Rambaldi” di Imola, “Minghetti” e “Galvani” a Bologna. È stato docente a contratto anche nelle università di Bologna, Bolzano‑Bressanone e Urbino. [giovannigh...ogspot.com], [veronesial...ogspot.com]
  • Traduttore di classici: ha curato opere quali Edipo Re e Antigone di Sofocle, Medea e Baccanti di Euripide, nonché versioni tratte da Omero, autori storici greci, e Satyricon, per editori come Loffredo, Cappelli e Canova. [giovannigh...ogspot.com]
  • Collaboratore di testate giornalistiche, tra cui La Repubblica e Il Fatto Quotidiano, con scritti su temi umanistici. [giovannigh...ogspot.com]
  • Tiene conferenze e cicli di incontri: ad esempio alla Biblioteca “Natalia Ginzburg” di Bologna su temi classici e umanistici, e in altre sedi come Pesaro, Benevento. 
  • Ha tralasciato:  Senigallia, Perugia, Assisi, Siracusa, Floridia, Roma, Manfredonia, Cento, Ferrara, Padova, Verona, Trieste. [veronesial...ogspot.com], [ilrestodelcarlino.it], [beneventog...ornale.com]

 

Gianni Ghiselli adotta un approccio didattico autenticamente umanistico, fondato su alcuni principi chiave:


🌟 Dirigere con autorevolezza fondata su competenza e umanità

  • Non è autorità per imposizione, ma autorevolezza conquistata con profonda preparazione culturale, stretta relazione umana con gli allievi, e dedizione sincera alla loro crescita intellettuale e morale. [istitutode...romagna.it]
  • Crede che il docente debba guadagnarsi l’autorità non con decreti o titoli, ma con studio, generosità e capacità di comunicare. [istitutode...romagna.it]

 

Il metodo mitico, che Gianni Ghiselli riprende da T. S. Eliot, consiste nel creare corrispondenze tra testi antichi e moderni per dare senso e attualità alla tradizione. Ecco come lo applica concretamente:


1. Confronto strutturale e tematico

  • Accosta miti classici (es. Odisseo, Edipo, Medea) a personaggi moderni della letteratura o del cinema.
  • Mostra come archetipi e dinamiche (viaggio, colpa, identità, hybris) si ripresentino in opere contemporanee.

2. Lettura comparata

  • Propone agli studenti di leggere brani antichi e moderni in parallelo, evidenziando analogie e differenze.
  • Esempio: OdisseaUlisse di Joyce; Antigone ↔ riflessioni etiche in testi novecenteschi.

3. Attualizzazione critica

  • Invita a riflettere su problemi eterni (giustizia, libertà, responsabilità) e sul loro significato oggi.
  • Usa il mito come chiave interpretativa per comprendere fenomeni culturali e sociali contemporanei.

4. Interdisciplinarità

  • Integra letteratura, filosofia, storia, cinema: ad esempio, analizza film ispirati ai miti (come Medea di Pasolini) per mostrare la continuità culturale.

5. Stimolo alla creatività

  • Chiede agli studenti di produrre testi o riflessioni che reinterpretino il mito in chiave moderna, favorendo il pensiero critico e la scrittura originale.

In sintesi, il metodo mitico non è semplice “attualizzazione”, ma un ponte tra passato e presente, che rende il classico vivo e utile per capire il mondo di oggi.

 

 

Gianni (o Giovanni) Ghiselli scrive anche narrativa. Ha infatti pubblicato un romanzo intitolato Tre amori a Debrecen con intento pedagogico e formativo:

  • Si tratta di un romanzo di formazione, che presenta personaggi emblematici e “stravaganti” rispetto alla normalità quotidiana, volti a stimolare riflessioni su generosità, bellezza, cortesia e amore attraverso il corteggiamento. [giovannigh...ogspot.com]

Nel suo blog (Giovanni Ghiselli) condivide estratti dei romanzi che mostrano scene narrative con sognanti atmosfere e relazioni complesse tra i personaggi. [giovannigh...ogspot.com] [giovannigh...ogspot.com], [giovannigh...ogspot.com]

In conclusione, oltre alla sua attività di docente e traduttore classico, Ghiselli è anche autore di narrativa—almeno di un romanzo e numerosi racconti pubblicati sul suo blog.


 

Puoi leggere i testi di Gianni Ghiselli in diversi modi:

1. Blog personale

2. Libri e traduzioni

  • Le sue traduzioni di classici (Sofocle, Euripide, Aristotele, Omero) sono edite da Loffredo, Cappelli, Canova, Barbera.
    Puoi trovarle su Amazon, IBS, o in librerie specializzate.

3. Articoli giornalistici

  • Scrive per La Repubblica e Il Fatto Quotidiano (sezione cultura).
    Puoi cercare il suo nome negli archivi online di queste testate.

4. Romanzo

  • Tre amori a Debrecen è disponibile in formato cartaceo o ebook (verifica su Amazon o contatta l’autore tramite il blog).

 

 

FONTI INFORMATIVE SU GIANNI GHISELLI:

giovannighiselli.blogspot.com giovannighiselli.blogspot.com

veronesialessandro.blogspot.com veronesialessandro.blogspot.com

www.ilrestodelcarlino.it ilrestodelcarlin17, 39o.it

www.beneventogiornale.com beneventogiornale.com

istitutodegasperi-emilia-romagna.it istitutodegasperi-emilia-romagna.it

site.unibo.it site.unibo.it

www.unibo.it unibo.it

unibo.academia.edu unibo.academia.edu

Bologna 12 dicembre 2025 ore 17, 30

p. s.

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Lucrezio De rerum natura, I vv. 599- 614. traduzione e un poco di commento.


 

E poi siccome esiste un’estremità appuntita

di quel corpuscolo che già i nostri sensi non possono

 percepire, questa certamente è priva di parti

ed è fatta di materia minuscola e non è mai stata

distinta da sola né potrà esserlo in seguito

poiché essa è parte unica e basilare di un’altra,

quindi altre e altre simili parti in fila 605

a ranghi serrati riempiono la materia del corpo,

e queste parti siccome non possono esistere sole, è d’uopo

che restino strette in unità da dove non possano in nessun modo staccarsi./

Sono dunque di compatta omogeneità gli elementi primordiali

che serrati  strettamente in minime parti  formano unità  610

non riunite dall’aggregazione di quelli

ma piuttosto possenti per eterna omogeneità,

da dove la natura non lascia che nulla si strappi

o si tolga conservandoli intatti come semi alle cose. 614

 

L’atomo insomma è composto di parti minime inseparabili e non percepibili come la sua punta. Lo prescrive già Epicuro nella Lettera a Erodoto (56)

 

Bologna 12 dicembre 2025 ore 16, 25 giovanni ghiselli

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Ifigenia LXXXIX Rosina. San Luca, Santa Maria Goretti da Corinaldo e Gloria Guida: due tipi dissimili tra loro.

io ed Elena

Una breve appendice con Il Gattopardo di Visconti.   

 
La mattina del 20 giugno ero a Bologna nel mio studio dove facevo lezione su Menandro agli studenti della mia ex classe che doveva affrontare l’esame di maturità e mi aveva chiesto aiuto.
Facevo lezione sulla Commedia Nuova con minore concentrazione del solito perché temevo la perdita di Ifigenia che non sentivo da un paio di giorni. Pensavo che la sua attenzione fosse stata distratta da un maschio.
Verso le 11 però, mentre stavo spiegando il Dyskolos con un’amarezza che mi spingeva a identificarmi con il vecchio misantropo, e sotto la finestra aperta il camion della spazzatura - detta “rusco” a Bologna - faceva un rumore più molesto del solito, Ifigenia telefonò.
“Ciao Gianni”
“Ciao amore, come stai? dove sei?”
“ Sono a Marina di Ravenna con un’amica. Dormiremo nella barca di Stefano”
“Stefano?”
“Sì, il compagno della mia amica Rosina. Sto bene, però tu mi manchi”.
“Mi venne subito in mente una canzoncina o canzonaccia goliardica: “Rosina  dammela, dammela, dammela, dammela; Rosina dammela, dammela per amor!” Non la Rosina di Rossini, dunque.
In ogni modo risposi a tono.
“E tu manchi a me. Allora quando ci vediamo?”
“Presto, anche prestissimo se lo vuoi anche tu”
Allora non potei non ricordare: “io sono docile, son rispettosa, sono obbediente, dolce, amorosa; mi lascio reggere, mi fo guidar”
Queste parole avrei volute cantargliele, magari declinate e coniugate nella seconda persona, ma quella, come Rosina, cambiò tono dicendo:
“Ti ho telefonato solo per dirti che sono sul mare. Se verrai, di giorno potrai trovarmi dalla bagnina Luana, di notte sarò al porto”.
Quel “solo” mi straziò e pure il porto di notte non dipinse pensieri immacolati nella mia mente. Magari proprio ora è arrivato qualcuno che l’ha toccata, pensai anche.
Ero molto fragile allora. E il nostro rapporto evidentemente non funzionava. La sua sensibilità non si confaceva alla mia molto delicata invero, anche troppo, “anca massa” dicevano i colleghi veneti.
Però da altre donne, Elena Augusta in primis, simili colpi non mi erano stati inferti. Vero è pure che queste amanti beneducate dopo un mese appena erano sparite, mentre dopo 9 mesi Ifigenia c’era ancora. In ogni caso quella mattina mi aveva addolorato e indispettito. Sicché troncai la telefonata.
“Ho capito. - dissi - Ora scusami: sto facendo lezione. Magari ci risentiamo”.
In quel tempo, quando ricevevo una parola che mi sembrava sgarbata, cercavo di contraccambiare il dispiacere che mi aveva arrecato. Senza riflettere punto. In casa mia usava così. Poi da altri esempi ho imparato a prendere tempo con maggiore pazienza e civiltà.
Nel pomeriggio mi consolai non poco scalando in bicicletta l’erta salita del tuo santuario, divo Luca, esponendomi al sole e all’aria fortificante dell’estate  piena, ammirando lo splendore delle cose e l’abbronzatura delle persone immerse nella luce di giugno. Le gambe delle ragazze costituivano il massimo oggetto della mia attenzione. Ammiravo quelle con polpacci da ciclista come le mie e quelle della madre mia.
Dopo San Luca passai al colle Donato attraverso altre salite e alcune discese. Spesso nel mese di giugno salgo sui colli per vedere il sole occidente intorno alle nove.  Quel giorno, al dio che si annidava tra gli alberi chiesi di ricordarmi a Ifigenia che forse stava mettendolo a letto anche lei. Il dio ascoltò, poi mi esaudì.
A Pesaro, da metà maggio alla fine di luglio il sole tramonta nel mare tra gli applausi di un gruppo di fedeli devoti al suo nume. Vado a vederlo tutte le sere dal molo del porto. Lo osservo e lo prego.
Verso le dieci andai a trovare un amico, compagno di università. Un ragazzo che aveva studiato in seminario poi ne era scappato siccome gli piacevano troppo le donne. Queste però gli facevano anche paura. Più che a me. Dunque cercai di incoraggiare me e lui con un’apoteosi della femmina umana.
“La donna - peroravo - quando è bella e buona rappresenta nel visibile quello che è il Bene nell’intellegibile, al pari del Sole. Porta significazione di Dio più dei tramonti di giugno sui campi di grano dove i papaveri spruzzati dalla pioggia del temporale passato brillano come rubini; più dello stesso cielo sereno e fiammeggiante che nei meriggi estivi si specchia sulla bonaccia  del mare assopito; più delle erbose convalli che verdeggiano sotto pallide rocce costellate di fiori perlacei, vellutati, inodori. La donna è più appassionante di tutto questo, è più fertile, più profumata, più vicina al creatore. La sua bellezza è feconda, è viva, è odorosa: parla, spesso sa anche pensare. Lo splendore di una femmina davvero umana dà luce alla nostra vita mortale, la indìa quando il  desiderio di lei è appagato, magari  anche soltanto dal raggio divino del suo  sorriso”.
L’amico obiettò che avrebbe voluto una donna pura come Santa Maria Goretti e bella come Gloria Guida.
“Maria Goretti è una bambina martire da Corinaldo - precisai - una marchigiana anche lei, ammazzata dodicenne da un bruto, Gloria Guida però mi sembra tutt’altro tipo. Devi conciliare i due esemplari contrastanti”
“Non ce la faccio se Dio non mi aiuta”, rispose.
Questo amico era un altro pretificato in malo modo. Come me. Non se ne viene mai fuori del tutto.
 
Bologna 11 dicembre 2025 ore 9, 51 giovanni ghiselli.
 
p. s.
Ho rivisto in televisione la scena splendida del ballo che conclude Il Gattopardo di Visconti. L’avevo visto la prima volta da adolescente, ammirandolo ma capendoci poco.
Questa volta, da vecchio, osservando Claudia Cardinale e Alain Delon al culmine della loro bellezza ho pensato che nell’estate del 1971 a Debrecen  Elena e io funzionavamo come quei due nel film girato una decina di anni prima. Ho guardato di nuovo, con occhi nuovi, la fotografia che ci ritrae accostati davanti al collegio del nostro amore nel culmine delle nostre gioventù  e ho trovato una similitudine con la felicità  dei due attori assai belli.
Tuttavia noi due in quella fotografia emaniamo una gioia più autentica e dunque siamo ancora più belli.
Ricordo che una volta la mamma mi disse: “tu non sei un brutt’omo, anzi sei bellino, ma se prendevi gli occhi azzurri da me e la statura di tuo padre eri bello quanto Alain Delon.
Dopo l’amore di Elena risposi alla madre mia: “io non mi cambierei con Alain Delon”.
“Basta che tu sia contento te” fece lei con la sua bella parlata di Sansepolcro. Non mi ha lasciato in eredità i suoi occhi azzurri però mi ha dotato di una seconda lingua, la koinh; diavlekto~ italiana più bella in aggiunta al pesarese, l’aretina, che mi ha aiutato e mi aiuta ancora a parlare e scrivere bene.


 
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Ifigenia LXXXVIII. Ifigenia e la Ricerca di Proust.


 

Il 14 giugno andai a Pesaro dove volevo passare due o tre giorni leggendo libri buoni, abbronzandomi, nuotando, correndo. Avevo lasciato a Bologna la bicicletta da corsa perché dovevo tornarci dopo un intervallo breve come avevo promesso ai miei allievi dei due anni precedenti, ragazze e ragazzi studiosi che mi avevano chiesto di aiutarli in vista dell’esame di maturità. Non avevano avuto approfondimenti sugli autori della letteratura ellenistica, e lo studio solo manualistico li disgustava. Giustamente.

 Ero contento di questa richiesta poiché credo che fino a quando sentiamo la voglia e abbiamo la capacità di aiutare  il prossimo gratis e con affetto, non possiamo sentirci infelici.

Alcune lezioni  sull’ellenismo del resto potevo quasi improvvisarle.

Conoscevo e ricordavo tanto i testi quanto la critica.

 

Avevo preso un impegno anche con Ifigenia. La collega ragazza mi aveva pregato di parlarle di Proust che voleva conoscere. Io non  lo avevo ancora studiato abbastanza, sicché mi ero portato dietro i primi due volumi della Ricerca.  Molto opportunamente anche perché sulla cittadina  e sul mare pioveva da un povero cielo privato del sole e ottenebrato da nuvole nere, come se l’estate fosse finita.

 Il 21 del mese per giunta sarebbe iniziato il declino, il ritirarsi della luce con l’avanzata del buio per sei lunghi mesi. Il semianno della decadenza del sole. Un declino ogni dì più doloroso per me.

La terra chinandosi per sei mesi dalla parte opposta rispetto al primo fra tutti gli dèi avrebbe ombreggiato se stessa nel nostro emisfero. Questo mi ha sempre causato tristezza.

 

La ragazza mi aveva regalato il secondo volume, All’ombra delle fanciulle in fiore, con queste parole di dedica scritte sulla prima  pagina dopo la copertina:

“Io sono Alberatine e tu Marcel perché  lei è una ragazza e lui un uomo, ma il nostro amore non è come il loro angosciato, bensì più libero, meno inquieto, davvero sentito, sincero e profondo; perciò alla fine io non morirò e nemmeno tu, siccome noi diversi e strani non ci lasceremo uccidere.

La tua Ifigenia in fiore”.

 

Ora trovo che queste parole sono scritte in vento et rapida  aqua, ma allora mi commossi, perché tra noi due il  fanciullo ero io, e mi impegnai a leggere  e commentare tutti interi  i sette sette volumi dell’opera monumentale. Comunque non ci scapitai, anzi ne trassi vantaggio per le mie conoscenze, per il mio parlare e il mio scrivere. Il bene che si fa per altri ridonda sempre su chi lo ha fatto. Pure il male d’altronde torna indietro sull’autore.

Al primo approccio Proust non mi garbò del tutto: trovavo troppo minute le sue descrizioni, carenti di un’occhiata potente e capace di una visione  d’insieme, tipo quelle panoramiche e pure sintetiche della tragedia greca: tw`/ pavqei mavqo~ dell’Agamennone di Eschilo, per esempio. Difficilmente nelle descrizioni della Ricerca le cose e le idee mi apparivano intere: sembrava  che un cervello troppo analitico le spezzettasse e sbriciolasse o le coprisse con un belletto pure troppo artefatto da una sensibilità abnorme.

Non mi piaceva l’indugiare talora eccessivo e ozioso dell’autore su oggetti, persone, paesaggi variamente deformati,  mi turbavano le sistematiche intermittenze affettive non prive di perversione. Forse ci trovavo la parte peggiore di me, quella che la forza del realismo greco mi aiutava a contrastare.

 

Poi invece, procedendo nella lettura di questo monumento letterario e assuefacendomi a tanta meticolosità, ho  incontrato pagine  che mi hanno aiutato  potenziando e pure raffinando la mia sensibilità nervosa e ancora piuttosto grezza all’epoca.

In seguito ho apprezzato l’intelligenza acuta dello scrittore capace di scandagliare l’anima umana, la sua conoscenza delle arti figurative  che altri autori non mi avevano indicato con altrettanta competenza, la moralità a tratti incisiva e risolutiva delle tante angosce di una mente inquieta.

Faccio un esempio poiché senza esempi le parole non diventano immagini, non producono idèe: “Si diventa morali appena si è infelici (…) I castighi si crede di evitarli perché stiamo attenti alle carrozze quando si attraversa la via, perché evitiamo i pericoli. Ma ve ne sono di interni. L’incidente viene dalla parte cui non si pensava, dal di dentro, dal cuore”(All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 219).

Eschilo afferma la medesima idèa con le tre parole citate sopra: “tw`/ pavqei mavqo~” (Agamennone, 177), attraverso la sofferenza la comprensione.  Proust ha voluto evidenziare i pericoli interni mentre Eschilo dà maggior rilievo agli esterni attraverso il contrappasso. Talora le sofferenze inflitte ci  vengono fatte pagare  perfino dalla persona che dice di amarci, mentendo:

“Dicit ; sed mulier cupido quod dicit amanti/in vento et rapida scribere oportet aqua " (Catullo, 70, 3-4 )

Bologna 12 dicembre 2025 ore 9, 20 giovanni ghiselli

p. s.

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giovedì 11 dicembre 2025

Ifigenia LXXXVII Il 13 giugno: una data scolpita sulle pietre miliari del mio percorso nel tempo.


 

La mattina de 13 giugno  telefonai alla mia amica più cara: Antonia, nel giorno del suo onomastico. Oggi è un’ amica celeste. Mi aveva aiutato come vicepreside nella scuola media di Carmignano, mi aveva educato al bene con il suo esempio quando ero venticinquenne e, ancora piuttosto  giovanilmente fatuo, ma lei aveva capito che di fondo ero bello e buono di animo e mi aveva spinto a fare emergere questa kalokajgaqiva latente.

Mentre il primo preside malevolo cercava di avvilirmi e addirittura cacciarmi via, Antonia l’ottima collega della scuola media dove cominciai a lavorare  mi ha valorizzato per sempre.

E gliene sarò grato in saecula saeculorum. Tutti i 13 giugno e tutti i 13 ottobre per il suo compleanno le telefonavo affettuosamente. Nei giorni dei  due solstizi andavo a trovarla dopo il trasferimento Bologna. Diceva che stava vivendo più a lungo dei suoi fratelli grazie al mio affetto.

 Eravamo legati da reciproca gratitudine.

 

L’ingratitudine è il contrassegno dell’anima plebea. Ha reso misantropi Timone di Atene,  Cnemone il Dyskolos di Menandro, e chissà quanti altri.

Il mio amore per la vita mi ha reso grato  per sempre a quanti hanno  aiutato la mia esistenza, un exsistere  anomalo, da a[topo~, estraneo ai luoghi comuni volgari, riottoso alle mode, in cammino quasi sempre da solo su una strada impervia, faticosa e  dura soprattutto nel lavoro che ho vissuto come una missione. Senza l’aiuto di Antonia e pochi altri buoni, generosi, leali,  non ce l’avrei fatta.

 

Verso sera, dopo le ore di studio, andai al campo sportivo scolastico Baumann per mettere alla prova forza, salute e volontà  correndo i 5000 metri. Ifigenia mi assisteva e incoraggiava. Contavo che la ragazza, mitizzata dalla mia mente imbevuta delle favole belle dei Greci che mi illudono e pure sostengono i miei sogni da quando ero bambino, facesse per me quanto Pallade Antena  fece per favorire Odisseo: “gui`a  d’ e[qhken ejlafrav”, agili rese le membra”[1].

Il mio ideale completo sarebbe stato correre di fianco alla giovane domina  poiché la corsa tempra la volontà, conserva la bellezza e rasserena la mente. Inoltre, se la bella donna avesse condiviso questa mia ascesi, avremmo avuto un’altra gioia in comune oltre il sesso, e un altro argomento in aggiunta alla scuola, i colleghi, il preside maligno e i libri buoni. Il nostro rapporto magari sarebbe durato più a lungo.

Ma non era destino: Ifigenia non sarebbe mai diventata la mia compagna di vita e procreazione nella bellezza secondo lo spirito, né secondo il corpo tovko" ejn kalw'/   kata; to; sw'ma"[2] : ad altra funzione l’aveva predisposta il suo demone. Avrei iniziato a comporre l’opera grande e meravigliosa, dove ancora spendo una parte non piccola della mia vita mortale, dopo che se ne fu andata via: il 13 giugno di due anni più tardi. Certo lei ci entra come vedete ma nell’assenza l’ho caricata di significati presi anche da altre persone, dalla natura, da personaggi della letteratura e da me stesso.

 

Il 13 giugno dell’anno scorso è morta a 80 anni l’anziana signora pesarese che era stata la ragazzina mito della mia pre adolescenza. Da quando l’ho saputo, se sono a Pesaro, passo ogni giorno davanti a casa sua e mando dei baci con la mano destra.

Mi è rimasta impressa quella fanciulla sebbene abbia scambiato con lei soltanto poche parole. Mi fece capire qual era il mio tipo di femmina umana: mora, snella eppure formosa, intelligente, brava a scuola.

  Nello stesso tempo compresi come dovevo attrezzarmi per piacere a ragazze siffatte: essere bravo quanto loro, possibilmente anche più bravo, presentarmi in una forma attraente anche se non imponente, e rendermi capace di primeggiare in quanto facevo. All’epoca esibivo i miei voti e i miei successi in bicicletta ma non avevo ancora l’eloquio ornato e persuasivo con il quale convinsi Elena, la  versione adulta della meravigliosa ragazzina Marisa.

Il 13giugno del 1981 la perdita di Ifigenia fu una sventura provvida  per la mia vita.

Fino a quella notte fatale, scrivendo, mi ero limitato a prendere appunti soprattutto  per le mie lezioni, a tradurre e commentare i classici greci e latini, l’Edipo re di Sofocle soprattutto.

 

Ma torniamo alla corsa del giorno di santo Antonio da Padova dell’anno di mia salvazione 1979.

La bella dunque si era seduta su una panchina situata accanto alla linea di arrivo del percorso ellittico che dovevo compiere per 12 volte e mezzo correndo a più non posso. Era vestita di azzurro, con il volto abbronzato dalle carezze del sole, tocchi santi come quelli del plettro maneggiato da Febo. La sua splendida forma mi invogliava a impiegare tutte le mie energie corporèe e mentali per esserne degno. Mi osservava compiaciuta, mi spronava con delicatezza, mi invogliava a manifestare tutto il meglio di me.

“Come una madre sta accanto a me e mi protegge”, ricordai[3].

 

La mia signora  mi diede il via facendo scattare anche il cronometro.

Lo scatto mio non fu rapido. Mi accorsi subito di essermi un po’ appesantito. Basta un chilo in più a rallentare le corse e le pedalate in salita. Un chilo in più è uno svantaggio per un atleta leggero, e pure una colpa. Mi fissai l’obiettivo mirando al bersaglio di fare un tempo e una figura decente: il record personale inferiore ai 18 minuti e trenta secondi era da escludere, non era alla portata delle mie forze quel giorno. Per tre quarti di ogni giro soffrivo una fatica opprimente, ma quando arrivavo a vedere l’idolo mio  che mi incitava e incoraggiava sul traguado, quell’immagine mi liberava dall’acre affanno, mi ricaricava di forza e coraggio infondendomi la voglia e la speranza di compiere egregiamente l’impresa. Al primo passaggio mi vennero in mente alcuni versi dell’Olimpica I di Pindaro:

la gloria dell’atleta egregio brilla  negli stadi degli agoni

Olimpici dove gareggiano velocità di piedi

e vertici ardimentosi di forza;

e il vincitore per il resto della vita

ha una dolce serenità”.

 

Ifigenia era fiera del suo compagno non più giovanissimo come atleta, tuttavia forte di muscoli, fiato, cuore e soprattutto di volontà, ed era orgogliosa della propria capacità di spingerlo a impegnare il massimo delle sue doti fisiche e mentali, ovunque, non solo nel talamo. Come iniziava la curva successiva al traguardo e non vedevo più l’icona della musa santa che mi ispirava, la fatica si faceva sentire di nuovo, mi dolevano i muscoli, i tendini, perfino i polmoni e ansimavo a corto di fiato. Ce la mettevo tutta affinché la volontà non cedesse, le gambe non si illanguidissero, il cuore non scoppiasse, la lena non si spezzasse. Cercavo soccorso guardando il prato erboso, gli alberi ricchi di foglie, il cielo benigno pieno  di luce e di voli. Pensavo che quanto vedevo era l’epifania dello stesso dio artista creatore della ragazza dispensatice d’incanto che mi aspettava sul traguardo in fondo al secondo rettilineo. Come la rivedevo allora mi tornavano tutte le forze. Riuscìi a rimanere dentro i diciannove minuti: un buon tempo .

Ifigenia mi accarezzò il volto con mano leggera per non togliermi del tutto il respiro mezzo mozzo. Disse che continuando così avrei  conseguito l’immortalità

“Sì-risposi dopo avere ripreso fiato- diventerò una creatura  divina, come sei tu.

 

Note

29 Iliade, XXIII, 772

30 Cfr. Platone, Simposio, 206b.

 31Cfr. Iliade, XXIII,783

 

Bologna  11 dicembre 2025 ore 19, 56 giovanni ghiselli.

p. s.

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[1] Iliade, XXIII, 772

[2] Cfr. Platone, Simposio, 206b.

[3] Cfr. Iliade, XXIII,783