domenica 7 dicembre 2025

Ifigenia LXXIII. Contro le droghe.


Nell’ultimo pomeriggio della gita scolastica, a Montefiascone, ascoltai una ragazzina di una classe non mia, una che diceva di assumere droghe leggere.

Le domandai perché lo facesse.  Rispose che aveva iniziato per imitare una sua amica. Diceva che l’ammirava in quanto l’aveva trovata più interessante di tanti altri giovani che deplorano lo squallore della società però vi si adattano e combinano affari meschini. Parlava stancamente e con una tristezza che contrastava con lo scherzare  e il ridere dei suoi coetanei.

Cercai di dissuaderla dal procedere sulla via dell’autodistruzione.

Le dissi: “prova a osservare la forza delle gemme, la bellezza dei fiori, i colori della terra  variopinta e il trascolorare del cielo , il frullare degli alati pieni di vita, l’ordine del firmamento, la luce del sole, e cerca di essere più naturale, più viva, più allegra anche tu. Cerca di correggere il tuo disordine osservando l’ordine cosmico”.

 

Replicò che voleva dimenticare i dolori sofferti, le delusioni patite, i tradimenti subiti.

 

Obiettai che bisogna rammentare le sofferenze piuttosto che scordarle.

Ricordare il dolore per trarne intelligenza e amore della vita.

Quando soffriamo, significa che abbiamo sbagliato strada: ci siamo traviati o lo siamo stati. Come ce ne accorgiamo, dobbiamo tornare indietro fino al trivio dell’errore. Quindi bisogna trovare o ritrovare la strada che è nostra,  quella dove procediamo bene. Per tornare su quel crocicchio è necessario non  obliare il percorso dei passi sbagliati.  

Mi ringraziò e promise che avrebbe cercato di emanciparsi dalla schiavitù della droga.

 

Oggi penso che quanti si drogano lo fanno perché non trovano a casa né a scuola modelli di forza mentale, caratteriale, e di pulizia morale; viceversa la debolezza dissimulata ostentando  prepotenza con i più deboli di cui tanti adulti e ragazzi danno spettacolo osceno, contagiano le identità deboli e predisposte al gregariato.

La sera finalmente telefonai a Ifigenia dicendole che mi mancava  la sua presenza vitale e radiosa. Ne fu contenta e si rassicurò sul mio amore per lei. Fui certo a mia volta del suo per me. Rimasto solo, pensai che non mi avrebbe lasciato o tradito neppure se Giove stesso o Gesù Cristo o l’onesto Giovanni le avessero fatto la corte.  

Invece un paio di anni più tardi mi abbandonò per seguire un trombone circense in una notte di mezza estate.

Ora so che questo è stato un bene, ma allora ne piansi al lume della luna, bianco sulla rena e tremulo sulla distesa marina.

Ogni amore finisce quando non ha più ragione di essere.

Questo si dovrebbe insegnare agli uomini che ammazzano le donne stanche di loro. Dovrebbero ringraziare la donna che se ne va e serbarle gratitudine per tutta la vita invece di ammazzarla. Lo scrivo per i miei lettori recenti, degli antichi  già ognuno  sa che  penso e cerco di fare così

 

Bologna 7  dicembre  2025  ore 13, 05  giovanni ghiselli.

 

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