lunedì 1 dicembre 2025

Pudicizia e Dissolutezza.


 

Didone aggiunge che dopo l'assassinio di Sicheo, perpetrato da Pigmalione, solo Enea ha scosso i suoi sensi e ha colpito l'animo in modo da farlo vacillare:"Adgnosco veteris vestigia flammae " (Eneide, IV, v. 23), riconosco i segni dell'antica fiamma.

 

 Se ne ricorderà Seneca nella Medea, la cui nutrice, vedendo la furia della moglie tradita, fa:"irae novimus veteris notae " (v. 394), conosco i segni dell'antica ira; quindi Dante mettendone una traduzione letterale nel Purgatorio: "conosco i segni dell'antica fiamma" (XXX, 48). Dante ha visto Beatrice “vestita di color di fiamma viva”  (XXX, 33)

Ogni autore conosce la tradizione e se ne avvale come base aggiungendo del suo. Così l'edificio cresce.

 

Dare retta a un impulso amoroso viene vissuto dalla regina come  una violazione del pudore (Pudor, v. 27) considerato al pari di una divinità la cui offesa sarebbe meritevole di morte: una punizione che la "spudorata" si infliggerà da sola.

"Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat,/vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras,/pallentis umbras Erebi noctemque profundam,/ante, Pudor, quam te violo aut tua iura resolvo./Ille meos, primus qui me sibi iunxit, amores/abstulit; ille habeat secum servetque sepulcro". Sic effata sinum lacrimis implevit obortis " (vv. 24-30), "ma  vorrei che la terra mi si spalancasse dal fondo, o che il padre onnipotente mi precipitasse con il fulmine tra le ombre, le pallide ombre dell'Erebo e nella notte profonda, prima che io ti profani Pudore o che sciolga le tue leggi. Quello che per primo mi congiunse a sé, portò via i miei amori; quello li abbia con sé e li conservi nella tomba". Così avendo detto riempì il seno di lacrime sgorgate.

-Pudor: Pudor  (è) “senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia  era una divinità oggetto di un culto importante; al culto della Pudicitia patricia  la plebe aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia "[1].

 

Orazio nel Carmen saeculare [2] celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[3], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.

 

Valerio Massimo nel proemio del VI libro invoca la Pudicitia:"virorum pariter ac feminarum praecipuum firmamentum ", solido fondamento nello stesso tempo per donne e uomini. Ella appunto è stata onorata come una dea:"Tu enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae Iunonis pulvinaribus incubas[4]", tu infatti abiti i focolari consacrati a Vesta dall'antico culto, tu giaci sui cuscini di Giunone Capitolina.

 

L’insegnante non deve censurare gli autori che presenta agli allievi

 

 Ovidio, in polemica libertina con il regime augusteo vuole scacciare il pudore che deve cedere il posto all'audacia suadente:"

Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor: audentem Forsque Venusque iuvat "(Ars amatoria I, 605-606), è già tempo di parlarle; fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.

“Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx ,/et notos mores non satis Urbis habet,/in qua Martigenae non sunt sine crimine nati,/Romulus Iliades Iliadesque Remus " (Amores, III, 4,  37-40)

E' davvero rozzo quello che una moglie adultera offende, e non conosce bene i costumi di Roma nella quale i figli di Marte non sono nati senza colpa, Romolo figlio di Ilia e il figlio di Ilia Remo.

 Insomma il marito che, tradito, si adonta, è un ignorante integrale.

Secondo Ovidio il pudor , rusticus, va eliminato e sostituito con la Cupido e l'Audacia, e la Facundia. La Fides poi va estorta con l'adulazione.

 

Commento audentem  di Ovidio con Machiavelli il quale nel capitolo XXV di Il principe si domanda “Quanto possa la Fortuna nelle cose umane e in che modo le si abbia a resistere”.

Ebbene la Fortuna viene assimilata a una donna, quindi: “Io iudico bene questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla et urtarla (…) E però sempre, come donna, è amica de’ giovani, perché sono meno respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano.

 

Nelle Nuvole di Aristofane il Lovgo" a[diko" sostiene che Peleo venne lasciato da Tetide siccome non era ujbristhv" (1068) –impetuoso, ma “respettivo”, e passare la notte  sotto le  coperte con lui non era piacevole-oujd j hJdu;" ejn toi`" strwvmasin th;n nuvkta pannucivzein- (1069).

Gunh; de; sinamwroumevnh caivrei (1070), la donna gode quando viene sbattuta,

 Questo dice precisamente il Lovgo" a[diko", il discorso che  era appunto, e infatti,  ingiusto.

I detrattori della mia didattica, quando riferivo questi autori senza condividerne le opinioni eppure senza censurarle, sostenevano che spingevo i miei allievi a bastonare le donne. Avrei dovuto essere reticente sul bieco maschilismo di Machiavelli e Aristofane. Al rogo tutti e due! Eretici rispetto al doveroso, necessario femminismo di moda!

Un esempio chiaro di cretinismo integrale se costoro credevano a quanto dicevano, altrimenti di assoluta disonestà. Non praevaluerunt

 

Anna cerca di convincere la sorella a liberarsi dagli scrupoli vedovili:" Anna refert:" O luce magis dilecta sorori,/solane perpetua maerens carpēre iuventa/nec dulcis natos, Veneris nec praemia noris?/id cinerem aut manis credis curare sepultos?" (vv. 31-34), Anna risponde: o tu che alla sorella sei più cara della luce, ti consumerai da sola piangendo  durante tutta la tua gioventù e non conoscerai i dolci figli, né i doni di Venere?  credi tu che di ciò si curino le ceneri o i mani sepolti?.-

carpēre: futuro passivo=carperis.-perpetua…iuventa: ablativo di tempo.-dulcis= dulces. -Veneris nec praemia noris (forma sincopata da noveris): ho tradotto praemia con "doni " ricordando i "dw'r' ejrata; ... crusevh"  jAfrodivth"" gli amabili doni dell'aurea Afrodite che un altro fratello, Paride, chiede al fratello Ettore di non disprezzare (Iliade, III, 64).-manis=manes. Essi sono le anime dei morti, letteralmente "i buoni". Ma questa denominazione, osserva G. De Sanctis, deve considerarsi eufemistica "perché con gli estinti, con qualunque nome si venerino, non si vuol mai stare troppo a contatto"[5].-

 

 L'ultimo verso citato sopra  (Eneide, IV, 34)  viene riusato in funzione esortativa e con effetto parodico  nella fabula Milesia[6] del Satyricon dall'ancella della matrona di Efeso quando vuole abbattere l'ostinazione della padrona che nelle prime ore della vedovanza si rifiuta di prendere perfino il cibo. L'ancilla dunque cita Virgilio :" "id cinerem aut manes credis sentire sepultos?" e seguita:

“vis tu reviviscere? vis discusso muliebri errore, quam diu licuerit, lucis commodis frui? ipsum te iacentis corpus admonere debet ut vivas" (111, 12), tu credi tu che di ciò si curino il cenere o i mani sepolti? vuoi tu tornare alla vita? vuoi, dissipato lo smarrimento da femmina, godere delle gioie della luce il più a lungo possibile? lo stesso corpo del morto deve avvertirti di vivere.

 

La signora  si lasciò convincere abbastanza presto e anzi si riempì di cibo. E non si fermò a questo piacere

 

Virgilio dunque ha dato voce agli scrupoli sessuali che trattengono la regina, e alle direttive augustee, mentre la sorella Anna mossa  dal buon senso le consiglia di non opporsi anche a un amore gradito ("placitone etiam pugnabis amori? ", v. 38) e dunque naturale.

 

Bologna primo dicembre 2025 ore 9, 55 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

All time1876544

Today359

Yesterday1051

This month359

Last month33522

 



[1]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 373.

[2] Del 17 a. C.

[3] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.

[4] Factorum et dictorum memorabilium libri IX , VI, 1.

[5] Storia Dei Romani, vol. I, p. 303.

[6] La novella licenziosa introdotta nelle lettere latine in età sillana da Cornelio Sisenna che tradusse i Milhsiakavvv di Aristide di Mileto (II sec. a. C.). Appartiene a questo genere la storia della "Matrona di Efeso" ( Satyricon, 111-112). 


Nessun commento:

Posta un commento