venerdì 12 dicembre 2025

Ifigenia LXXXIX Rosina. San Luca, Santa Maria Goretti da Corinaldo e Gloria Guida: due tipi dissimili tra loro.

io ed Elena

Una breve appendice con Il Gattopardo di Visconti.   

 
La mattina del 20 giugno ero a Bologna nel mio studio dove facevo lezione su Menandro agli studenti della mia ex classe che doveva affrontare l’esame di maturità e mi aveva chiesto aiuto.
Facevo lezione sulla Commedia Nuova con minore concentrazione del solito perché temevo la perdita di Ifigenia che non sentivo da un paio di giorni. Pensavo che la sua attenzione fosse stata distratta da un maschio.
Verso le 11 però, mentre stavo spiegando il Dyskolos con un’amarezza che mi spingeva a identificarmi con il vecchio misantropo, e sotto la finestra aperta il camion della spazzatura - detta “rusco” a Bologna - faceva un rumore più molesto del solito, Ifigenia telefonò.
“Ciao Gianni”
“Ciao amore, come stai? dove sei?”
“ Sono a Marina di Ravenna con un’amica. Dormiremo nella barca di Stefano”
“Stefano?”
“Sì, il compagno della mia amica Rosina. Sto bene, però tu mi manchi”.
“Mi venne subito in mente una canzoncina o canzonaccia goliardica: “Rosina  dammela, dammela, dammela, dammela; Rosina dammela, dammela per amor!” Non la Rosina di Rossini, dunque.
In ogni modo risposi a tono.
“E tu manchi a me. Allora quando ci vediamo?”
“Presto, anche prestissimo se lo vuoi anche tu”
Allora non potei non ricordare: “io sono docile, son rispettosa, sono obbediente, dolce, amorosa; mi lascio reggere, mi fo guidar”
Queste parole avrei volute cantargliele, magari declinate e coniugate nella seconda persona, ma quella, come Rosina, cambiò tono dicendo:
“Ti ho telefonato solo per dirti che sono sul mare. Se verrai, di giorno potrai trovarmi dalla bagnina Luana, di notte sarò al porto”.
Quel “solo” mi straziò e pure il porto di notte non dipinse pensieri immacolati nella mia mente. Magari proprio ora è arrivato qualcuno che l’ha toccata, pensai anche.
Ero molto fragile allora. E il nostro rapporto evidentemente non funzionava. La sua sensibilità non si confaceva alla mia molto delicata invero, anche troppo, “anca massa” dicevano i colleghi veneti.
Però da altre donne, Elena Augusta in primis, simili colpi non mi erano stati inferti. Vero è pure che queste amanti beneducate dopo un mese appena erano sparite, mentre dopo 9 mesi Ifigenia c’era ancora. In ogni caso quella mattina mi aveva addolorato e indispettito. Sicché troncai la telefonata.
“Ho capito. - dissi - Ora scusami: sto facendo lezione. Magari ci risentiamo”.
In quel tempo, quando ricevevo una parola che mi sembrava sgarbata, cercavo di contraccambiare il dispiacere che mi aveva arrecato. Senza riflettere punto. In casa mia usava così. Poi da altri esempi ho imparato a prendere tempo con maggiore pazienza e civiltà.
Nel pomeriggio mi consolai non poco scalando in bicicletta l’erta salita del tuo santuario, divo Luca, esponendomi al sole e all’aria fortificante dell’estate  piena, ammirando lo splendore delle cose e l’abbronzatura delle persone immerse nella luce di giugno. Le gambe delle ragazze costituivano il massimo oggetto della mia attenzione. Ammiravo quelle con polpacci da ciclista come le mie e quelle della madre mia.
Dopo San Luca passai al colle Donato attraverso altre salite e alcune discese. Spesso nel mese di giugno salgo sui colli per vedere il sole occidente intorno alle nove.  Quel giorno, al dio che si annidava tra gli alberi chiesi di ricordarmi a Ifigenia che forse stava mettendolo a letto anche lei. Il dio ascoltò, poi mi esaudì.
A Pesaro, da metà maggio alla fine di luglio il sole tramonta nel mare tra gli applausi di un gruppo di fedeli devoti al suo nume. Vado a vederlo tutte le sere dal molo del porto. Lo osservo e lo prego.
Verso le dieci andai a trovare un amico, compagno di università. Un ragazzo che aveva studiato in seminario poi ne era scappato siccome gli piacevano troppo le donne. Queste però gli facevano anche paura. Più che a me. Dunque cercai di incoraggiare me e lui con un’apoteosi della femmina umana.
“La donna - peroravo - quando è bella e buona rappresenta nel visibile quello che è il Bene nell’intellegibile, al pari del Sole. Porta significazione di Dio più dei tramonti di giugno sui campi di grano dove i papaveri spruzzati dalla pioggia del temporale passato brillano come rubini; più dello stesso cielo sereno e fiammeggiante che nei meriggi estivi si specchia sulla bonaccia  del mare assopito; più delle erbose convalli che verdeggiano sotto pallide rocce costellate di fiori perlacei, vellutati, inodori. La donna è più appassionante di tutto questo, è più fertile, più profumata, più vicina al creatore. La sua bellezza è feconda, è viva, è odorosa: parla, spesso sa anche pensare. Lo splendore di una femmina davvero umana dà luce alla nostra vita mortale, la indìa quando il  desiderio di lei è appagato, magari  anche soltanto dal raggio divino del suo  sorriso”.
L’amico obiettò che avrebbe voluto una donna pura come Santa Maria Goretti e bella come Gloria Guida.
“Maria Goretti è una bambina martire da Corinaldo - precisai - una marchigiana anche lei, ammazzata dodicenne da un bruto, Gloria Guida però mi sembra tutt’altro tipo. Devi conciliare i due esemplari contrastanti”
“Non ce la faccio se Dio non mi aiuta”, rispose.
Questo amico era un altro pretificato in malo modo. Come me. Non se ne viene mai fuori del tutto.
 
Bologna 11 dicembre 2025 ore 9, 51 giovanni ghiselli.
 
p. s.
Ho rivisto in televisione la scena splendida del ballo che conclude Il Gattopardo di Visconti. L’avevo visto la prima volta da adolescente, ammirandolo ma capendoci poco.
Questa volta, da vecchio, osservando Claudia Cardinale e Alain Delon al culmine della loro bellezza ho pensato che nell’estate del 1971 a Debrecen  Elena e io funzionavamo come quei due nel film girato una decina di anni prima. Ho guardato di nuovo, con occhi nuovi, la fotografia che ci ritrae accostati davanti al collegio del nostro amore nel culmine delle nostre gioventù  e ho trovato una similitudine con la felicità  dei due attori assai belli.
Tuttavia noi due in quella fotografia emaniamo una gioia più autentica e dunque siamo ancora più belli.
Ricordo che una volta la mamma mi disse: “tu non sei un brutt’omo, anzi sei bellino, ma se prendevi gli occhi azzurri da me e la statura di tuo padre eri bello quanto Alain Delon.
Dopo l’amore di Elena risposi alla madre mia: “io non mi cambierei con Alain Delon”.
“Basta che tu sia contento te” fece lei con la sua bella parlata di Sansepolcro. Non mi ha lasciato in eredità i suoi occhi azzurri però mi ha dotato di una seconda lingua, la koinh; diavlekto~ italiana più bella in aggiunta al pesarese, l’aretina, che mi ha aiutato e mi aiuta ancora a parlare e scrivere bene.


 
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