La nascita
della tragedia Capitolo XVIII. Ripubblico
questo capitolo ampliato con il senno di adesso.
Ci sono tre gradi di illusione: quello socratico della
conoscenza, quello dell’arte, e la consolazione metafisica per cui la vita
eterna continua a fluire indistruttibile sotto il vortice dei fenomeni. Sono le
nature più nobilmente dotate che cercano queste illusioni. Costituiscono la
cultura e, a seconda delle proporzioni o delle mescolanze, abbiamo una cultura
socratica o artistica o tragica, o, con esemplificazioni storiche, una
cultura alessandrina o ellenica o buddhistica.
Socrate è il prototipo della cultura alessandrina e
dell’uomo teoretico dotato di grandi forze conoscitive e posto al servizio
della scienza (p. 119)
L’uomo di cultura diventa un personaggio erudito.
Faust si precipita attraverso tutte le discipline
dedito alla magia e al diavolo per brama di sapere, ma è insoddisfatto ed è
l’uomo moderno che comincia a sentire i limiti di quel piacere socratico per la
conoscenza e, dal vasto mare del sapere, anela a una costa (p. 120).
Mefistofele a Faust:
" Che è questo luogo di martirio? E che vita è questa che consiste
nell'annoiare sè e i giovani?"
Per l’uomo moderno, l’uomo non teoretico è qualcosa di
incredibile e di stupefacente, tanto che Goethe scrisse a Eckermann a proposito
di Napoleone: “Sì, mio caro, c’è anche una produttività nelle azioni”.
La cultura alessandrina ha bisogno, per durare, di una
classe di schiavi di cui del resto nega la necessità, e va incontro alla
distruzione quando questa classe barbarica di schiavi ha imparato a considerare
la propria esistenza come un’ingiustizia. Le grandi nature capiscono i limiti
della conoscenza e della scienza. Kant e
Schopenhauer hanno sconfitto l’ottimismo che si cela nella logica. Tale ottimismo si appoggia su aeternae veritates che crede
insospettabili e crede nella conoscibililità di tutti gli enigmi del mondo e considera lo spazio, il tempo, la causalità
quali leggi assolute, mentre Kant le considera strumenti dell’apparenza
elevata a suprema realtà al posto della vera essenza delle cose rendendo questa
inconoscibile e, come dice Schopenhauer, addormentando ancora più profondamente
uno che sogna.
La cultura tragica diversamente dalle scienze, guarda
l’immagine totale del mondo e ne raccoglie l’eterna sofferenza come sofferenza
propria (p. 122)
“Vi sono coloro che promettono di risolvere una questione
come quella omerica, prendendo spunto dalle preposizioni, e credono di tirar su
la verità dal pozzo servendosi di ajnav e katav. Tutti poi, secondo le più diverse
tendenze, scavano e frugano il terreno greco con una tale irrequietezza, con
una tale imperizia sgraziata, che un serio amico dell’antichità deve davvero
impensierirsene”
Interessante a questo proposito è un elogio
dello stupore di H. Hesse:"Per
stupirci siamo qui!" dice un verso di Goethe. Tutto inizia con questa
stupefazione e con essa termina, tuttavia non è un cammino vano. Sia che io
ammiri un musco, un cristallo, un fiore, un maggiolino d'oro, sia che guardi un
cielo solcato dalle nuvole, un mare con il pacato gigantesco respiro della sua
risacca, l'ala di una farfalla con la trama ordinata delle sue costole
vitree…in quello stesso istante io ho abbandonato e dimentico il mondo avido e
cieco dell'umana necessità e, anziché
pensare a comandare, acquistare, sfruttare, combattere o organizzare, non
faccio altro, per quell'istante, che provare la "stupefazione"
goethiana e,
contemporaneamente, non divengo solo fratello di Goethe e di tutti i poeti e
saggi, ma sono anche fratello del cosmo vivente che contemplo e sperimento:
della farfalla, del coleottero, della nuvola, del fiume e del monte.
Percorrendo la via dello stupore, sono infatti sfuggito per un attimo al mondo
delle differenziazioni e sono entrato in quello dell'unità, dove ogni cosa o
creatura dice all'altro: Tat twam asi ("Sei
Tu")...non desideriamo prendere il nostro tempo più seriamente di quanto
meriti, non vogliamo lamentarci che
nelle nostre università non si insegni a percorrere le strade più semplici per
conseguire la saggezza e che, al posto dello stupore, si insegni l'esatto
contrario: a contare e a misurare invece che perdersi nell'estasi,
l'oggettività invece della malia, il rigido attenersi alle differenziazioni
anziché subire l'attrazione del Tutto e Uno. Le università non sono scuole
di saggezza, sono scuole di sapere,
ma tacitamente postulano come conosciuto ciò che esse non possono insegnare: la capacità di osservare, la
stupefazione goethiana, e i loro spiriti migliori non conoscono altra
finalità più nobile che costituire un altro gradino perché Goethe e altri nuovi
saggi si manifestino di nuovo".
Principio di
ogni filosofia è il meravigliarsi,
afferma Platone e dal fatto che il giovane Teeteto si meraviglia, deduce la sua attitudine alla filosofia.
Aristotele sostiene che
gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, sia ora sia in origine, a causa
della meraviglia: "dia;
ga;r to; qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto
filosofei'n". Dallo qaumavzein non nasce solo
la filosofia ma anche la poesia e tutta la cultura. Aristotele precisa che il filovsofo~ è anche filovmuqo~ poiché
il mito è composto da cose che suscitano meraviglia oJ ga;r mu'qo~ suvgkeitai ejk
qaumasivwn (Metafisica, 982b).
Seneca sostiene che la sapienza è l’unica libertà: “Sapientia
quae sola libertas est”.
Il sapere non vale nulla, non è sapienza quando non riconosce
sopra di sé il sacro e il divino che
inspiegabilmente lega"con amore in un volume ciò che per l'universo si
squaderna".
Agostino
afferma: “Ecce pietas est sapientia”.
E'
il caso di Edipo re che crede di azzeccarci con l'intelligenza
senza avere imparato nulla dagli uccelli ("gnwvmh/ kurhvsa" oujd j ajp j oijwnw'n
maqwvn", v. 398) e fallisce.
"Coloro che hanno interpretato l'Edipo
re secondo il modulo della
"tragedia di conoscenza" hanno postulato che Sofocle abbia voluto
rappresentare due tipi di conoscenza differenti per mezzi e possibilità, dal
cui incontro-scontro risulterebbe il senso stesso del dramma. Si è parlato di
un "sapere umano" e un "sapere divino",
di una conoscenza umana sensitiva e fondata sull'apparenza ed una conoscenza
divina vera, cioè dovxa e ajlhvqeia, illusione e
saggezza.
Edipo sulla scena sofoclea rappresenterebbe l'uomo raziocinante che si basa
sulla conoscenza dei sensi e del proprio intelletto e che agisce di
conseguenza, ma le coincidenze degli eventi fanno sì che alla fine tutte le sue costruzioni intellettuali si rivelano fallaci,
mentre il sapere degli dei, incontrollabile e spesso incomprensibile per gli
uomini, risulta essere l'unico sapere veritiero...In realtà, quello di Edipo non è un generico
"sapere umano", ma rappresenta allusivamente il sapere di alcune
correnti di sapere razionalistiche dell'epoca, e analogamente non si deve
parlare tanto di generico "sapere divino", quanto piuttosto di sapere
oracolare delfico, con le sue peculiari modalità espressive e celebrante un
dato sistema di valori etici".
Insomma
la gnwvmh è fallace e gli uomini non possono comprendere tutto.
Non solo le vie della divinità sono imperscrutabili ma anche quelle
dell'incoscio.
Il motivo antiintellettualistico,
ricorrente nell'Edipo, avrà un'infinità di riprese: da Euripide, il
"filosofo della scena", quando giunge alla stanchezza postfilosofica
delle Baccanti , al movimento dello Sturm und Drang ("il mio
cuore-annota Werther il 9 maggio 1772-è l'unica cosa della
quale sono superbo...Quello che io so, lo può sapere chiunque, ma il mio cuore
lo possiedo io solo". ), fino a Elias Canetti il quale in La provincia dell'uomo afferma che "L'ignoranza non deve impoverirsi con il sapere...Per ogni risposta
deve saltare fuori una domanda che prima dormiva appiattata...Le sole risposte
inaridiscono il corpo e il respiro"(pp. 1600-1601).
E' il profeta a nutrire la forza della verità ( Tiresia
dice a Edipo di essere al di sopra delle sue accuse: “ tajlhqe;" ga;r ijscu'on
trevfw” Edipo re, v.356) che non è potenza
economica né militare, ma nemmeno cerebrale, anzi è consapevolezza dei limiti
angusti che racchiudono le nostre facoltà intellettive.
Nell'episodio di Aconzio
e Cidippe , una famosissima storia d'amore compresa nel terzo libro degli Aitia, poi imitata da Ovidio nelle Heroides
(XXI lettera: Cidippe ad Aconzio) il poeta di Cirene afferma che
l'ampiezza e la varietà del conoscere è un bene soltanto se conferisce a chi le
possiede e le usa la capacità di padroneggiare la lingua:
" il molto sapere è un grave male, per chiunque non
sia padrone
della lingua (polui>dreivh calepo;n kakovn,
o{sti" ajkartei' -glwvssh"): è proprio come per un bambino avere un coltello"(fr.75 Pf, vv.
8-9).
L’uomo della cultura tragica è un uccisore di draghi che si
lancia verso l’immenso, volge le spalle alle mollezze dell’ottimismo e desidera
un’arte nuova, l’arte della consolazione metafisica e la tragedia come l’Elena
che spetta a lui.
Tale uomo grida con Faust
“E non dovrei, con la più anelante violenza
Trarre in vita la forma unica fra tutte?” (Goethe, Faust, 7438-7439). Si tratta di Elena : “quale
rara fortuna l’amore conquistato oltre il destino!” 7436-7437- Chi mi legge spesso può associarsi a me nel
ricordo della storia di Elena: “quell’essenza eterna, pari agli Dei, grande
quanto gentile, augusta quanto amabile 7440- 7441
L’uomo teoretico si spaventa delle conseguenze da lui
prodotte e non osa più affidarsi al terribile fiume ghiacciato dell’esistenza
ma corre su e giù lungo la riva. La concezione ottimistica l’ha rammollito.
L’uomo moderno teoretico rimane l’eterno affamato, il critico senza piacere e
senza forza, l’uomo alessandrino che è in fondo un bibliotecario e un
emendatore che si accieca miseramente sulla polvere dei libri e sugli errori di
stampa”. (La nascita della tragedia,
capitolo 18)
Quindi : “Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano:
perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni
uccello giace spennato. Costoro si vantano di non mentire: ma essere impotenti
alla menzogna non vuol dire ancora amare la verità. State in guardia! ”.
"La cultura comincia proprio dal punto in cui sa
trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo, e il compito di colui che avvia
alla cultura ha inizio con il reprimere l’ “interesse stoico” , ovunque
incalzante, quando occorra prima di tutto agire rettamente, e non già
conoscere. La nostra lingua materna , d’altronde,ò appunto una sfera in cui lo
scolaro deve imparare ad agire rettamente: ed è solo secondo questa prospettiva
pratica che l’insegnamento del tedesco nelle nostre scuole risulta necessario”.
La sapientia
, sostiene Seneca "res tradit, non
verba" insegna ad agire, non solo a parlare. E in un'altra Epistula:
"Sic ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera" (108,
35), cerchiamo di apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole
diventino azioni
Infatti "Soltanto il pensiero vissuto ha valore. Tu
sapevi che il tuo mondo lecito era soltanto la metà del mondo e hai tentato di
ignorare la seconda metà come fanno i preti e i maestri".. I cattivi
maestri, mi permetto di aggiungere.
Le azione si preparano con il
pensiero e con la parola. Ciò che è verbale deve diventare reale in termini di comunicazione
produttiva :"aveva visto che la sua esperienza era reale. Era irradiata da
lui e l'aveva mutato, aveva attirato verso di lui un'altra creatura umana. Il
suo isolamento era infranto…".
Qual è il segno che il sapere
è diventato sapientia? La borsa di
studio: la donna corteggiata, affascinata da quello che dici. Elena e le altre.
Borse di studio non tutte uguali. Il loro sapore, colore, odore dipende dall’impegno
impiegato, dal tempo dedicato, dalle forze a disposizione, dal favore dell’ambiente
circostante. Una serie di fattori favorevoli producono il risultato massimo: la
borsa di studio più bella e generosa.
“L’artista tragico non è pessimista-dice appunto sì a ogni
cosa problematica e anche terribile, è dionisiaco” (Crepuscolo degli idoli o come si filosofa col martello, 1888, La
ragione nella filosofia, 6)
“Giacché soltanto
nei misteri dionisiaci, nella
psicologia dello stato dionisiaco si esprime il fatto fondamentale dell’istinto ellenico-la sua “volontà di
vivere” Wille zum leben. Che cosa si garantivano i Greci con questi
misteri? La vita eterna, l’eterno ritorno della vita; il futuro , promesso e
consacrato nel passato il sì trionfante sì alla vita oltre la morte e il
mutamento ; la vera vita come totale continuazione di essa tramite la procreazione
, tramite i misteri della sessualità. Per i Greci il simbolo sessuale
era pertanto il simbolo venerabile in sé, il vero senso profondo
all’interno di tutta l’antica pietas. ”.
Bologna 25 marzi
2023 ore 10, 37 giovanni ghiselli
p. s.
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Domani un’altra borsa di studio: l’ora legale. Potrò andare in bici
anche di sera dopo il lavoro su queste sudate e amate carte. Andrò a vedere il
sole che tra i colli cadendo si dilegua.
Molti anni fa pareva dire: “che la beata gioventù vien meno”. Adesso non più.
Basta essere vivo e guadagnare altre borse di studio vivendo operosamente. Baci
gianni.
Nietzsche, Sull’avvenire delle
nostre scuole, 1872, Terza conferenza in Adelphi, 1975