lunedì 18 marzo 2024

Un’aggiunta.


 

Alla presentazione riassuntiva dei primi minuti  della conferenza che andrò a tenere tra poco nella biblioteca Ginzburg  aggiungo che i due pedagoghi Settembrini e Naphta  non sono ottimi educatori perché al loro sapere-to; sofovn- che non è scarso pur se unilaterale e dogmatico in entrambi, difetta la sapienza-hj sofiva- che è femminile.

Manca esperienza di vita, di amore, di donne. Sono dunque umbratici doctores, quelli che anche se conoscono i testi degli autori non sanno collegarli alla vita, i dottori cresciuti nell’ombra, gli studiosi la cui cultura non potenzia la natura.  

All’inizio del Satyricon di Petronio, Encolpio mette sotto accusa il tipo dello studioso, estraneo  alla vita, lo stesso che Nietzsche definirà "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino, che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si acceca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"[1]. L’io narrante del Satyricon  contrappone questo topo di biblioteca ai grandi tragici:"nondum iuvenes declamationibus continebantur, cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat, cum Pindarus novemque lyrici Homericis versibus canere timuerunt. et ne poetas solum ad testimonium citem, certe neque Platona neque Demosthenen ad hoc genus exercitationis accessisse video " (2, 3-5), ancora i giovani non erano chiusi nelle vuote declamazioni, quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni, quando Pindaro e i nove lirici[2], si peritarono a cantare in versi omerici. E per non chiamare a testimoniare solo i poeti, di certo non trovo che Platone né Demostene si sono abbassati a questo genere di esercitazione. 

 

Bologna 18 marzo 2024 ore 16, 30 giovanni ghiselli

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[1]Nietzsche, La nascita della tragedia ,  trad. it. Adelphi, Milano, 1977, p. 123.

[2] Il canone alessandrino dei nove lirici più importanti comprendeva Saffo, Alceo, Anacreonte (lirica monodica), Simonide, Bacchilide, Pindaro, Alcmane, Stesicoro, Ibico (lirica corale). Li abbiamo menzionati quasi tutti come poeti d'amore e maestri dei latini.

Ifigenia CXII. Il bagnino Virgilio. Portitor horrendus terribili squalore.


 

A un tratto l’aria immobile del crepuscolo fu attraversata da un urlo orrendo. Nell’oscurità che avanzava da oriente vedemmo avanzare a forza  di remi il vecchio bagnino Virgilio che alla fine degli anni Quaranta mi aveva insegnato a nuotare ma con il volgere delle stagioni il tempo lo aveva mutato dal giovanotto simpatico che era in un vecchio misantropo sempre arrabbiato . Si avvicinava maledicendo la nostra spudorata inverecondia. La bocca spalancata dal grido minaccioso appariva come una squarcio nel viso deformato in  maschera tragica.

Ifigenia spaventata da quella figura infernale stava scivolando sott’acqua ma, dissuasa dal freddo, evitò l’immersione afferrando il laccio di cuoio che lei stessa mi aveva cinto al collo come simbolo di legame amoroso. L’avrei tagliato la notte fra il 12 e il 13 giugno del 1981 quando il piccolo Alfredo morì nell’orribile pozzo dove era caduto. Caduta dolorosa e significativa. Verso le due di quella notte fatale entrai nella cucina sporca di piatti unti e tagliai quel vincolo oramai sfilacciato. Quindi, per slegarmi del tutto , presi la bicicletta e andai su per la Futa fino a Monghidoro dove entrai in chiesa a pregare.

Il 4 luglio 1979 invece il nostro legame era ancora robusto, sia pure per poco, e non lasciò che Ifigenia cadesse sotto l’acqua.

“Ti amo-disse-. Se non ci fossi tu, perderei l’equilibrio” 

“Ma io ci sarò finché tu vorrai restare in piedi con  me”.

Parole che si dicono quando si sente vicina la fine.

Intanto il demente si avvicinava remando in posizione eretta. Mi venne in mente Caronte: traghettatore orrendo di terrificante squallore.

Era infuriato. Tendeva in avanti e piegava indietro freneticamente le braccia muscolose nonostante l’età. Già alquanto vecchio ma cruda e piuttosto verde la sua vecchiezza era ancora. Sembrava un grifone che agita le ali e apre il becco bramoso di sangue. A un tratto però giunse il disincanto, sicché demitizzai la figura primordiale e riconobbi il maestro di nuoto diventato con i decenni un vecchio mezzo matto, un sinistro rompiscatole. Rassicurai anche Ifigenia, quindi rimettemmo al loro posto i costumi e tornammo sulla riva oramai oscurata quasi del tutto. Virgilio stava tirando il moscone sulla sabbia, non lontando da noi. Alzai una mano in segno di saluto. Allora il volto del vecchio tornò a essere umano e abbozzò un sorriso benevolo che mi rese contento e contraccambiai.

Infine accennò due passi di danza con grazia inusitata.

 

Bologna 18 marzo 2025 ore 11, 04 giovanni ghiselli

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domenica 17 marzo 2024

Ifigenia CXI. L’amore nel mare colore del vino.


 

Mercoledì 4 luglio Ifigenia in forma splendente venne a Pesaro per fare l’amore con me. Non nella casa delle zie le quali però, avvertite, la accolsero decentemente. Quel giorno parlammo senza fraintenderci delle nostre vite e delle letture fatte nel frattempo, poi giocammo, nuotammo, remammo e verso la sera facemmo l’amore nel mare che al tramonto assumeva il colore del vino. La bella ragazza era piena di luce: scintillava sulla sabbia, rifulgeva sopra e dentro l’acqua salata, e dopo il tramonto mandava lampi di gioia nella notte musicata dal verso trepido dei grilli e ingentilita da uno spicchio sottile di luna. Alle sette di sera la spiaggia era quasi deserta: sulle cabine chiuse, sull’umida sabbia, sulle sdraie ripiegate e addossate ai gambi degli ombrelloni mietuti, sui mosconi allontanati dall’acqua, si stendevano lunghe le ombre degli alberghi costruiti pazzamente subito sopra la rena. Ifigenia aveva un costume di colore carneo che metteva in risalto l’abbronzatura e la compattezza liscissima della sua pelle.

Verso le otto di sera sulla spiaggia non c’era anima viva e la ragazza propose: “Vieni, andiamo a fare l’amore nell’acqua”.

L’invito mi piacque assai, però domandai: “Come facciamo?”

“Come i pesci”.

Pensavo che poteva essere scomodo e difficoltoso un concubito subacqueo oltre che irregolare e proibito, però se non l’avessi fatto quella sera con la splendidissima giovane che me l’aveva chiesto forse non avrei avuto un’altra occasione di povare tale esperienza che poteva allargare la mia coscienza di me stesso e della vita. Sicché entrammo nell’acqua che non era calda, anzi faceva accapponare la pelle.

“Hai la pelle d’ochina”, dissi per esorcizzare quel freddo con una canzonatura. Ridemmo, poi, per scaldarci, nuotammo fino agli scogli antistanti la riva. Fare l’amore lì sopra non si poteva: era troppo scabroso.

Dove non toccavamo il fondo non era possibile, per mancanza di appoggio.

Allora tornammo verso la riva deserta. Il sole, tramontato dieci minuti prima dietro l’alta terrazza di un albergo sovrastante la spiaggia, era risorto a sinistra dell’edificio e aveva aggiunto un tocco di arancione al mare imasto tuttavia cupo, denso e capace di tenere celata la nostra impudicizia. Ci fermammo dove l’acqua ci arrivava alle spalle: a metà strada tra  gli scogli scabri della scogliera e la rena asciutta.

Ci togliemmi i costumi sistemandoli intorno alle braccia. L’acqua ci dava carezze lascive: senza difficoltà pentrai nella giovane donna come un pesce boccheggiante e silenzioso.

Arrivato alla base del fianco occidentale dell’abergo follemente edificato sulla riva marina, il sole , sgonfio oramai di luce e calore, sembrava una palla rossiccia gettata via da un bambino stupido, che stanco di giocarci, per spregio l’aveva laciata da una finestra 

 

Bologna 17 marzo 2024 ore 20, 23 giovanni ghiselli

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Ifigenia CX. La ritirata da Misano.


 

Ifigenia disse che il desiderio pungente come un assillo di vedermi arrivare non l’aveva lasciata dormire tutta la notte. Poi mi indicò Cicciobello e disse che quel bambolotto era stata la sua unica consolazione in mia assenza.

Mi scrutava per vedere se mi lasciavo prendere dalla sua rete. La osservavo anche io e riflettevo, e ricordavo, e confrontavo come faccio quando leggo i testi e li studio. Notavo che le sue fessure oculari erano poco espressive: nascondevano qualcosa dietro quelle parole spropositate.  Ricordavo le fessure tartare delle finlandesi e rimpiangevo il loro parlare onesto. Vero è pure che c’era una perfetta simmetria nelle braccia, gambe, natiche e seni di Ifigenia. Anche troppa. Mi venne in mente che nemmeno  le colonne dei templi greci  presentano una regolarità assoluta, una concinnitas perfetta. Volevo andare via di lì e probabilmente anche lei. La commedia era finita ed era stata un fiasco. A nessuno dei due era venuta voglia di fare l’amore. Un segno brutto assai.

Camminammo verso la riva marina mentre il sole salendo nel cielo faceva retrocedere tutte le ombre riempiendo di luce e calore ogni angolo che non fosse ipogeo. Pensai che del resto anche l’Olimpo ha le radici nel buio dell’Ade. Quando fummo arrivati sulla spiaggia, la distesa marina che rifletteva quel fulgore abbagliante mi sembrò un grande scudo disteso dalle Nereidi per proteggersi dai raggi canicolari mentre danzavano imprimendo sul fondo sabbioso le bellissime orme dei loro agili piedi.

“Devo partire – dissi- a Pesaro mi aspettano le zie per il desinare del tocco. Hanno cucinato per me”. Finalmente Ifigenia disse parole sensate: “non permettere che diano giudizi sul mio conto”

“Nemmeno sul mio devono darne”, risposi usando la dizione aretina per significarle che con quelle donne avevo comunque molto in comune e mi stavano a cuore.

 

Bologna 17 marzo 2024 ore 18, 26 giovanni ghiselli

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Ifigenia CIX . La commedia di Misano. Prima parte


 

Domenica primo luglio le zie mi aspettavano a Pesaro, Ifigenia a Misano.

Partìi da Bologna assai presto per l’impazienza di vedere non tanto le due aspre vegliarde mie benefattrici del resto, quanto la giovane amante e collega. Sapevo che a tutte e tre mancava la mia presenza ed ero sicuro di essere accolto bene. Le zie erano contente del mio ritorno a Pesaro: mi avevano aiutato come fossi stato il figlio che non avevano avuto, un nipote e pure figlio adottivo di cui erano compiaciute perché simile a loro nel prendere sul serio la scuola; Ifigenia mi gradiva quale maestro che le indicava un metodo per procedere sulla via della vita.

Mi ero svegliato presto: la novità della situazione, degli ambienti dove avremmo recitato per diversi giorni le nostre scene mi infondeva emozioni diverse e indefinite. Non mi erano chiari i sentimenti delle tre donne nei miei confronti, né i miei verso di loro. Le zie erano benefiche ma volevano condizionarmi, limitare la mia libertà; Ifigenia voleva essere amata e pure utilizzarmi. Non era del tutto gratuita come Elena che voleva solo essere amata e amarmi per un mese in tutto. Non voleva prendere e darmi altro che amore fatto del resto anche di parole ornate e intelligenti.

 Questa è sempre rimasta per me la donna e la condizione ideale.

Partìi da Bologna che erano solo le sette ma il cielo era già bello e pieno voli.

L’appartamento preso in affitto da Ifigenia era al piano terreno: la piccola porta d’ingresso e le anguste finestre erano oscurate da una  scala a due rampe  addossate alla facciata verde della casetta: il sole nel mese di luglio, nei primi giorni di luglio, si affacciava con stento all’interno soltanto dalle dieci alle due del pomeriggio.

Gli odiatori della luce, dato che le loro opere sono malvagie, penseranno che quel buio era una fortuna d’estate; io invece vi lessi un triste annunzio di prossimi danni e ne fui rattristato. Il mio amore poteva appunto intristirsi in quell’ombra. Pensai che non l’avremmo fatto lì dentro.

Il fatto è che quella donna non mi convinceva.

 Ifigenia mi invitò a enrare nella camera dove si stese su un letto. Prese in mano un bambolotto, lo accarezzò e disse: questo non è Cicciotello ma  il supplente che ha sostituito la tua presenza in questi giorni. Ma ora tu sei qui grazie a Dio”. Dicendo questo lanciò lontano il pupazzo  e alzò un  trillo di gioia, poi mi baciò. Mi strinse le spalle, appoggiò una mano mia sul petto suo per farmi sentire il palpitare affrettato del cuore, come del resto faceva ritualmente ogni volta che ci incontravamo dopo una separazione anche breve.

Bologna 17 febbraio 2024 ore 10, 37 giovanni ghiselli  

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sabato 16 marzo 2024

Le prossime elezioni.


Sono in vista diverse elezioni. Dovrò votare a Pesaro: per il sindaco della città e per il parlamento europeo. Credo  che meriti il mio voto chi si adopera per la pace che salvi l’Europa, per il lavoro dignitosamente remunerato, per una sanità efficiente e gratuita, per una scuola gratuita educativa e informativa, per la diffusione della cultura.

Pesaro come capitale della cultura 2024 deve fare la sua parte.

Cultura è coscienza della propria umanità, della Letteratura, della Storia, della politica, della musica,  delle arti figurative, è insomma buona educazione che è rispetto reciproco tra noi umani, possibilmente anche solidarietà e -perché no?- pure amore. Chi vuole il mio voto deve muoversi in questo senso.

 

Credo che invece vada respinto il candidato, chiunque egli sia, che sale sugli spalti mettendo in moto l’alalà della vittoria- nivkhn oJrmw`nt j ajlalavxai-come canta la Parodo dell’Antigone di Sofocle alludendo a Capaneo che è stato colpito dalla folgore di Zeus il quale detesta le millanterie/di grossa lingua- “megavlh~ glwvssh~ kovmpou~- uJperecqaivrei”.

 

Il pesarese tipico, il vero pesarese non è chiacchierone né fanfarone, dunque il cittadino che vuole essere votato presenti un programma costituito dalla chiarezza dei fatti metodicamente preparati, piuttosto che dal frastuono delle parole. Vesciche piene d’aria destinate a scoppiare.

E a proposito di frastuono, chiedo, in aggiunta a quanto scritto sopra, che venga posto un limite alla velocità e al rumore delle automobili e delle motociclette dal rombo che disturba parecchio gli abitanti di molte vie pure centrali della nostra città e li introna tanto che vorrebbero essere sordi, almeno di notte per non essere svegliati.

Da quando il sindaco di Bologna, dove lavoro per qualche mese all’anno, ha  imposto il limite dei trenta all’ora in questa polis, ci si vive meglio, personalmente e socialmente. 

Bologna 16 marzo 2024 ore 18, 7 giovanni ghiselli

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venerdì 15 marzo 2024

Un uomo un po’ più malato degli altri.


 

Leggo a pagina 14 del quotidiano “la Repubblica” di oggi questo titolo:

Macron: “Prepariamoci alla guerra”.

La guerra è comunque un abominio, minacciarla poi da una posizione di precarietà è pure demenza.

Dove non c’è morale  l’unica ragione è quella della forza.

Lo capisce don Abbondio che dice a Renzo: “Non si scherza. Non si tratta di torto o di ragione: si tratta di forza”

Manzoni, I promessi sposi, capitolo II).

 

Lo affermano gli Ateniesi in procinto di massacrare gli abitanti della piccola isola di Melos: “ riteniamo infatti che la divinità, secondo la nostra opinione,  e  l'umanità in modo evidente, in ogni occasione, per necessità di natura, dove è più forte, comandi".

Questa  sarebbe un'eterna  legge di natura secondo i minacciosi detentori della talassocrazia sull’Egeo nella tarda estate del 416 a. C.

:"noi  non abbiamo imposto questa legge né l'abbiamo utilizzata per primi quando vigeva, ma avendola ricevuta che c'era, e pronti a lasciarla rimanere per sempre, ce ne avvaliamo, sapendo che anche voi e altri, se vi trovaste nella stessa condizione di potenza in cui siamo noi, fareste lo stesso". (Tucidide, V, 105, 2).

Verso la metà dell’inverno i Melii furono costretti alla resa. Gli uomini adulti furono messi a morte, le donne e i fanciulli resi schiavi, il territorio diviso tra i cleruchi ateniesi.

 

Sulla guerra in Ucraina varie sono le interpretazioni. L’evidenza è che la Russia ha aggredito l’Ucraina ma non si può negare nemmeno che la Nato si stava avvicinando troppo alla  federazione russa e non certo in maniera amichevole.

Ora Macron vuole aggiungere alle armi  anche un’armata più o meno invincibile. Forse vuole la rivincita della partita persa da Napoleone e cerca di indurre i Tedeschi alla rivincita dopo la sconfitta di Hitler.

Ripeto che la guerra mi ripugna in ogni modo. Ma l’auspicio di un conflitto mondiale che verrà perduto da tutti e distruggerà quanto meno l’Europa con la nostra civiltà  nobile e antica è anche l’augurio malamente ominoso di una catastrofe inaudita sul tipo di quella prevista da Svevo con le ultime parole del suo ultimo romanzo.

“Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale espolsivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”

L’uomo un po’ più malato degli altri ha già fatto capolino.

Bologna 15 marzo 2024 ore 19, 37 giovanni ghiselli

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La sapienza silenica è superabile attraverso l’amore e la bellezza.


 

Sentiamo Teognide:"La cosa migliore di tutte per quanti vivono sulla terra è non essere nato (mh; fu'nai)/e non vedere i raggi del sole abbagliante,/ma una volta nati, al più presto varcare le porte dell'Ade,/e giacere sepolto sotto gran massa di terra" (Silloge , vv. 425-428).

 

Che cosa ci salva da questa triste saggezza del Sileno?

Secondo Hans Castorp di T.  Mann salvifico è l’amore: L’amore si oppone alla morte, lui solo, non la ragione è più forte della morte (…) In nome della bontà e dell’amore, l’uomo non deve concedere alla morte il dominio sui suoi pensieri   (La montagna incantata, Sesto capitolo,  Neve).

 

Nietzsche invece sostiene che è  stata la bellezza a giustificare l’esistenza umana. La bellezza contro il terrore del Caos primordiale.

“Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici. L’enorme diffidenza verso le forze titaniche della natura, la Moira spietatamente troneggiante su tutte le conoscenze, l’avvoltoio del grande amico degli uomini Prometeo, il destino orrendo del saggio Edipo, la maledizione della stirpe degli Atridi, che costringe Oreste al matricidio, insomma la filosofia del dio silvestre  con i suoi esempi mitici, per la quale perirono i malinconici Etruschi –fu dai Greci ogni volta superata, o comunque nascosta e sottratta alla vista, mediante quel mondo artistico intermedio degli dèi olimpici.   Fu per poter vivere che i Greci dovettero, per profondissima necessità, creare questi dèi: questo evento noi dobbiamo senz’altro immaginarlo così, che dall’originario ordinamento titanico del terrore  fu sviluppato attraverso quell’impulso apollineo della bellezza, in lenti passaggi, l’ordinamento divino olimpico della gioia, allo stesso modo che le rose spuntano da spinosi cespugli" (F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 3)

 

Queste due posizioni trovano una sintesi in quello che dice Diotima a Socrate  nel Simposio di Platone: Amore è la tendenza a possedere il bene per sempre (206 a).

Amore è un parto nella bellezza secondo l'anima e secondo il corpo:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" ( 206 b).

Per la procreazione è necessaria la bellezza che è Moira e Levatrice nella procreazione. Amore infatti è desiderio di generazione e di parto nel bello (206 d).

Concludo con la gratitudine: una donna mi ha partorito, questa donna con altre mi hanno tenuto al mondo e mi hanno aiutato a trovare la bellezza e la gioia della vita.

E così sia.

Bologna 15 marzo 2024 ore 11, 40 giovanni ghiselli

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Est modus in rebus. La via di mezzo nel cultus, la cura della persona.

 

Ovidio "si ferma alla proposta di un cultus  misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza troppo costosa.

Per l'uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars  I 505 sgg.): l'ideale virile è un equilibrio fra la mundities  e la robustezza data dagli esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga. Dunque, né rusticitas  né effeminatezza"[1].

L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio; la toga stia bene e sia senza macchie (vv. 511-512).

Inoltre i denti siano senza tartaro (careant rubigine dentes, Ars I, 513), i piedi abbiano calzari della loro misura[2], il taglio di barba e capelli sia buono, le unghie siano ben limate e senza sporcizia (Et nihil emineant et sint sine sordibus ungues, 517), non ci siano peli nella cavità delle narici, non ci siano cattivi odori nel fiato né addosso alla persona. "Cetera lascivae faciant concede puellae/et si quis male vir quaerit habere virum " (521-522), il resto lascia che lo facciano le ragazze lascive e chi, uomo presunto, desidera possedere un uomo. 

Il poeta Peligno sconsiglia vesti sfacciatamente lussuose alle donne eleganti (Ars  III 169 sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est census corpore ferre suos? " , che devo dire della veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?

Potremmo rispondere che l'esibizione maleodorante di soldi è il furor tipico del liberto arricchito scandalosamente, come Trimalchione, il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al collo con frange pendenti da una parte e dall'altra

" Habebat etiam in minimo digito sinistrae manus anulum grandem  subauratum  " (Satyricon  , 32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato, da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro ma cosparso come da stelline di ferro "et ne has ostenderet tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina brillante, "deinde pinna argentea dentes perfōdit " (33), quindi si stuzzicò i denti con una stecca d'argento.

Ho detto e scritto più volte che l’eleganza aristocratica rifugge dallo sfoggio della ricchezza, anzi tende a presentarsi con sovrana neglegentia, la spezzatura di chi non tiene conto del giudizio altrui, di chi non vuole apparire come gli altri né superiore agli altri perché sa di esserlo.

Testimoniano questo Tacito a proposito di Petronio e Nerone, poi Manzoni, Proust e Musil. Se ci saranno domande su questo durante le conferenze, risponderò

 

Bologna 15 marzo 2024 ore 9, 41 giovanni ghiselli

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[1]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 201.

[2] Nec vagus in laxa pes tibi pelle natet " (v. 514), Mentre l' a[groiko" del IV dei Caratteri di Teofrasto è un tipo capace di portare la scarpa più larga del piede:" a[groiko" toiou'tov" ti" oiJ'o" meivzw tou' podo;" ta; uJpodhvmata forei'n.

giovedì 14 marzo 2024

Argomenti della conferenza di lunedì 25 marzo.


La terrò nella biblioteca Ginzburg di Bologna dalle 17 alle 18 e 30.

L’ingresso è gratuito ma è bene prenotarsi telefonando alla biblioteca ospite per essere sicuri del posto: 051-466307

 

Si può seguire anche collegandosi da lontano

Link della riunione

meet.google.com/xss-fwkm-kzu

 

Titolo generale

 

Desiderio di umanesimo

 

 

Il sapere non è sapienza

 

Il sapere non è sapienza se non arriva a conoscere il Bene.

Cfr hj tou` ajgaqou` ijdeva mevgiston mavqhma (Platone, Repubblica, 505 a).

Salviamo il liceo classico con il greco e il latino letti nella lingua degli autori.

 

Umanesimo è avere coscienza di essere uomo: nell'Edipo a Colono di Sofocle Teseo  dice al vecchio parricida, incestuoso, cieco malfamato e vagabondo:"e[xoid  j ajnh;r w[n"(v.567), so bene di essere uomo ed è per questo che ti aiuto.

In latino abbiamo il verso più noto e citato dell’Heautontimorumenos (77)  di Terenzio"  :"Homo sum: humani nil a me alienum puto ", sono uomo: tutto ciò che è umano mi riguarda.

 

Umanesimo è adoperarsi per gli altri

Umanesimo  è imparare dal dolore a succurrere miseris  cfr Eneide, I, 630.

Quindi Seneca:" Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur " (Epist. ad Luc, 60, 4) vive chi si rende utile a molti, vive chi si adopera

Lo sa anche l’olivo nella disputa con l’alloro del quarto giambo di Callimaco il quale attribuisce umanità anche a una pianta utile.

Ripeterà questo per la vite Giacomo  Zanella.

 

Umanesimo è non sentirsi separato dal cosmo

“Tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l'io dà troppa importanza a se stesso”  Hermann Hesse, La cura.

 

Umanesimo è anche la cura della parola che poi è cura della propria anima siccome parlare male fa male all’anima appunto cfr. Platone, Fedone,  115e. E pure Shakespeare- John Fletcher.: “Enrico VIIII   It is a kind of good did- to say well (III, 2, 153) E’ una specie di fare bene parlare bene.

Oggi è di moda parlare male . A parer mio significa:  “me ne frego di te” o addirittura “ti frego”.

 

Il rispetto e la verità

Una colonna dell’umanesimo è il rispetto: quello delle persone, della natura, della verità. Rispettare significa osservare (cfr. latino  respicio) senza volere sottomettere, impossessarsi, sfruttare, umiliare la persona o la cosa osservata.

Per quanto riguarda la verità questa in greco è ajlhvqeia cioè “non latenza”  e pure “non dimenticanza” –lanqavnw significa “rimango nascosto” e lanqavnomai “mi dimentico”. 

 

Necessità dello studio della storia.

Per recuperare la lezione umanistica e umana dei classici bisogna studiare non solo la lingua e la letteratura ma anche la storia.

Cicerone nell'Orator (46 a. C.) ha scritto: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. La conoscenza della storia è necessaria alla coscienza adulta.

L’umanità compiuta comporta anche la maturità

 

Segni di contraddizione

Nella storia come nella letteratura si trovano personaggi che sono segni di contraddizione

Alessandro Magno, Annibale, Nerone sono reputati in maniera non univoca da chi ha scritto di loro: storiografi appunto e poeti. Ovviamente lo studio deve essere una ricerca fatta sulle fonti.

  E’ umanesimo dunque vedere uomini e donne come problemi, e non in maniera dogmatica.

 

I sacrifici umani

Un altro argomento è la disumanità dei sacrifici umani imposti dalla superstizione o dall’avidità e dall’ambizione di chi vuole le guerre.

I sacrifici umani di Astianatte (un infanticidio) e di Ifigenia e Polissena: (due femminicidi).  Euripide e Lucrezio.

 

L’eroismo nei testi greci

L’uomo Achille e l’uomo Odisseo danno esempi diversi di eroismo.

Hanno tuttavia in comune la volontà di non cedere mai.

Achille non cede perché vuole primeggiare, Odisseo piuttosto desidera  imparare a tutti i costi.

 

La brutalità.

L’antitesi dell’umanesimo è la brutalità, cioè la mancanza di spirito critico associato all’ignoranza, al conformismo e al servilismo. Non senza idiozia.

“Il bruto è più tenace servo dell’assuefazione” secondo Leopardi (Zibaldone, 1762)

 

 Nel Miles gloriosus di Plauto parla un lepidus semisenex dicendo parole utilizzabili contro la canèa delle trasmssioni televisive fatte di parole inascoltabili in quanto si sovrappongono a vicenda, ad alta voce. Ascoltare è parte essenziale della persona educata; ascoltare e farsi ascoltare parlando con chiarezza.

 

Il pensiero è reso fecondo dall’amore:  Sofocle, Joyce, T. Mann, E. Morin.

La figlia di Edipo vale per tutti quando dice:  ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (Sofocle, Antigone, v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore.

 

Gratitudine e ingratitudine

La gratitudine è segno di anima nobile, l’ingratitudine il marchio della bassezza d’animo (cfr. Teognide)

Dobbiamo separarci dalla vita con gratitudine quando giunge il momento.

Dalla vita come dalla migliore delle amanti

Lucrezio e Marco Aurelio

 

Umanesimo è anche la capacità di mettersi nei panni degli altri.

Pirandello e L’umorismo. Joyce e Dedalo supplente  a scuola.

 

Amor matris: genitivo soggettivo e oggettivo. Joyce e Lucrezio.

Come preparare seriamente e umanamente una lezione o una conferenza. Importanza delle citazioni.

 

La capacità di meravigliarsi porta alla filosofia: Platone e Aristotele.

 

Il fascino dell’esotico nel linguaggio (Aristotele e Leopardi)   e anche  nelle persone (T. Mann e Claudia Chauchat).

 

Il bisogno di delicatezza fa parte dell’umanesimo (Omero, Saffo, Ovidio e  Italo Calvino)

 

 

Un dilemma.

Bastonabili, bastonabilissimi gli ambasciatori?

Il conte Attilio e Fra’ Cristoforo nel romanzo di Manzoni

E i ragazzini liceali?

 

 

Umanesimo secondo Schopenhauer è anche la pietas  verso gli animali.

Il caso di Pitagora nel De magia di Apuleio.

 

Una forma di umanesimo è evitare ogni eccesso. Orazio e Seneca.

La teoria della classe media nelle Supplici e nell’ Oreste di Euripide

Nulla di troppo raccomandato nella Medea di Euripide dalla Nutrice e dal Coro delle donne corinzie.

 

 

Hans Castorp e l’umano della disciplina

 

Bologna 14 marzo 2024 ore 18, 23

giovanni ghiselli

p. s.

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Festival itinerante di Filosofia FILOSOFI LUNGO L'OGLIO

ASPETTANDO LA XIX EDIZIONE, Rivivi il Festival Osare – 2023

Vi ricordiamo le altre lezioni previste nel mese di marzo che verranno pubblicate ogni lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 9
Dal 14 febbraio al 22 aprile 2024:
Mercoledì 13 marzo lectio magistralis di Massimo Recalcati
Venerdì 15 marzo lectio magistralis di Vincenzo Paglia
Lunedi 18 marzo lectio magistralis di Gianfranco Pasquino
Mercoledì 20 marzo lectio magistralis di Catherine Chalier
Venerdì 22 marzo lectio magistralis di Maria Rita Parsi – Premio internazionale di filosofia/ Filosofi lungo l’Oglio. Un libro per il presente
Lunedi 25 marzo lectio magistralis di Francesca Rigotti
Mercoledì 27 marzo lectio magistralis di Giovanni Ghiselli
Venerdì 29 marzo lectio magistralis di Maurizio Bettini

Un’aggiunta.

  Alla presentazione riassuntiva dei primi minuti   della conferenza che andrò a tenere tra poco nella biblioteca Ginzburg   aggiungo ...