sabato 25 marzo 2023

La Grecia come paradiso perduto, da riconquistare.


 

 Dal romanzo epistolare  Iperione di  Friedrich Hölderlin

“Amo questa Grecia sopra ogni altra cosa. Essa porta i colori del mio cuore. Ovunque si guardi giace sepolta una gioia (…) Le messi dorate si stendono all’infinito , frammiste al fiordaliso gioioso, e le cime degli alberi, serene e luminose, si levano piene di speranza (…) Le montagne si innalzano una dietro l’altra all’infinito, simili a gradini, fino al sole. La bianca luce è soltanto un respiro dell’etere e la timida luna passa nel giorno chiaro come una piccola nuvola d’argento (…) l’eroica luce del sole dona gioia con i suoi raggi alla terra (…) Certo, anche il cielo e la terra hanno favorito gli Ateniesi, come tutti i Greci, risparmiando loro sia la povertà, sia la sovrabbondanza (…) A questo si aggiunse il gesto grande e ammirevole di Teseo: la spontanea limitazione del potere regale (…) presso i Greci e in particolare presso gli Ateniesi arte e religione sono autentiche figlie della bellezza eterna (…) e’ certo che nelle opere della loro arte si trova quasi sempre l’uomo nella sua maturità. Non si manifestano qui la infantilità e la mostruosità degli Egizi e dei Goti, ma lo spirito e la forma dell’uomo (…) Dalla bellezza spirituale degli Ateniesi derivò necessariamente il loro senso della libertà (…) L’egizio sopporta senza dolore il dispotismo dell’arbitrio, il figlio del Nord sopporta senza avversione il dispotismo della legge, l’ingiustizia sotto forma di diritto (…) l’ateniese non può tollerare l’arbitrio perché la sua natura divina non vuole essere turbata. Dracone[1] non si addice a lui. Egli vuole essere trattato con dolcezza”.

Citazioni dal primo libro edito nel 1797.

Sono tratte da Lettere di Iperione a Bellarmino

L’epigrafe è Non coerceri a maximo contineri tamen a minimo, divinum est  non essere rinchiuso dal carcere massimo, però essere contenuto da un ambiente molto piccolo è cosa divina. Una massima gesuitica.   

 

Passiamo al secondo volume (edito nel 1799)  la cui epigrafe è presa dal III stasimo dell’Edipo a Colono:

“Non essere nati (mh; fu'nai) supera

 tutte le condizioni, poi, una volta apparsi,

tornare al più presto là

donde si venne (vv. 1224-1227)

Un’espressione della sapienza silenica

Hölderlin-Iperione continua a scrivere a Bellarmino ripetendo gli insegnamenti ricevuti dai Greci  “Vivevamo gli ultimi momenti belli dell’anno dopo il nostro ritorno dalla regione dell’Attica (….) Il sacro sole sorrideva tra i rami, il buon sole che non posso nominare senza gioia e gratitudine (…) la santa teocrazia del bello deve stabilirsi uin umo stato libero (…)

 

 Iperione a Diotima “Ti scrivo da una vetta delle montagne di Epidauro (…) Mi trovo ora nel cuore del Peloponneso (…)

Vago per questo paese come per il sacro bosco di Dodona, dove le querce risuonano di profezie di gloria (…) Sull’Eurota il destino mi ha falciato (…) ed è magnifico che solo nella sofferenza sentiamo veramente la libertà dell’anima. Libertà è una parola profonda”.

 

Iperone a Bellarmino. “Tu, natura vivente, divenisti per i Greci un magico modello e ogni agire umano , acceso dalla felicità degli dèi eternamente giovani, tornò a essere, come un tempo, una festa (…) Io non voglio avere figli: non voglio darli a questo mondo di schiavi (…) Alla scuola del destino hai imparato a sopportare; ora potrai agire quanto vorrai (…) Mi sembra una gioia l’invecchiare tra i giovani, ma invecchiare dove tutto è vecchio, mi sembra peggio d’ogni altra cosa (…)

 

I Tedeschi

Così giunsi tra i Tedeschi: erano vuoti e disarmonici come i cocci di un vaso gettato (…) non posso immaginarmi un popolo più dilacerato. Puoi incontrare operai , ma non uomini; pensatori, ma non uomini; padroni e schiavi, giovani e adulti ma non uomini (…) quando perfino il bruco mette le ali e l’ape comincia a sciamare, il tedesco rimane ancorato al suo ruolo e non si preoccupa molto del tempo! (…) I buoni! Essi vivono nel mondo come stranieri nella propria casa, simili al paziente Ulisse che sedeva, mendicante, davanti alla sua porta, mentre nella loro insolenza i Proci facevano gran chiasso nella sala chiedendo: “Chi ci ha portato questo vagabondo? (…) le dissonanze del mondo sono come i litigi degli amanti : ogni discordia è abitata dal suo riconciliarsi, e tutto ciò che è stato separato si unisce nuovamente”.

 

Ho aggiunto a Nietzsche queste citazioni tratte dal romanzo epistolare di Friedrich Hölderlin per alcune similitudini tra i due autori e per la matrice culturale che mi lega a entrambi. E anche perché, se Dio vorrà, in luglio tornerò a pedalare in Grecia  traendo ogni energia buona da questa mia patria culturale. Saranno con me due ex allievi amantissimi anche loro della Grecia. Un maschio che ora insegna greco e latino e una femmina che lavora all’università. Due ragazzi cinquantenni più o meno.

 

Una volta irritai un collega e amico di Ragusa dicendo che la Sicilia è un paradiso. Lui mi corresse dicendo: “la Sicilia, sappilo Gianni, è il paradiso”. “

“No, carissimo Tano- replicai- il paradiso per me è la Grecia e in particolare il Peloponneso mai invaso da folle di turisti”.

 

 Bologna 25 marzo 2023 ore 118, 55 giovanni ghiselli

 

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[1]  Dracone nel 621 promulgò leggi di straordinario rigore

 

Le borse di studio


La nascita della tragedia Capitolo XVIII. Ripubblico questo capitolo ampliato con il senno di adesso.

 

Ci sono tre gradi di illusione: quello socratico della conoscenza, quello dell’arte, e la consolazione metafisica per cui la vita eterna continua a fluire indistruttibile sotto il vortice dei fenomeni. Sono le nature più nobilmente dotate che cercano queste illusioni. Costituiscono la cultura e, a seconda delle proporzioni o delle mescolanze, abbiamo una cultura socratica o artistica o tragica, o, con esemplificazioni storiche, una cultura  alessandrina o ellenica o buddhistica.

Socrate è il prototipo della cultura alessandrina e dell’uomo teoretico dotato di grandi forze conoscitive e posto al servizio della scienza (p. 119)

L’uomo di cultura diventa un personaggio erudito.

Faust si precipita attraverso tutte le discipline dedito alla magia e al diavolo per brama di sapere, ma è insoddisfatto ed è l’uomo moderno che comincia a sentire i limiti di quel piacere socratico per la conoscenza e, dal vasto mare del sapere, anela a una costa (p. 120).

Mefistofele a Faust: " Che è questo luogo di martirio? E che vita è questa che consiste nell'annoiare sè e i giovani?" [1]

 

Per l’uomo moderno, l’uomo non teoretico è qualcosa di incredibile e di stupefacente, tanto che Goethe scrisse a Eckermann a proposito di Napoleone: “Sì, mio caro, c’è anche una produttività nelle azioni”.

 

La cultura alessandrina ha bisogno, per durare, di una classe di schiavi di cui del resto nega la necessità, e va incontro alla distruzione quando questa classe barbarica di schiavi ha imparato a considerare la propria esistenza come un’ingiustizia. Le grandi nature capiscono i limiti della  conoscenza e della scienza. Kant e Schopenhauer hanno sconfitto l’ottimismo che si cela nella logica. Tale ottimismo si appoggia su aeternae veritates che crede insospettabili e crede nella conoscibililità di tutti gli enigmi del mondo e considera lo spazio, il tempo, la causalità quali leggi assolute, mentre Kant le considera strumenti dell’apparenza elevata a suprema realtà al posto della vera essenza delle cose rendendo questa inconoscibile e, come dice Schopenhauer, addormentando ancora più profondamente uno che sogna.

La cultura tragica diversamente dalle scienze, guarda l’immagine totale del mondo e ne raccoglie l’eterna sofferenza come sofferenza propria (p. 122)    

To; sofo;n d  j ouj sofiva (Baccanti, v. 395):  La sofiva è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica:" la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel fiume della vita. La scienza al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume  dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva"[2] .

“La scienza lavora incessantemente a quel grande colombario dei concetti, cimitero delle intuizioni”[3].

La grammatica se è un fine e non un mezzo è un grande sepolcreto della lingua e della letteratura.

“Vi sono coloro che promettono di risolvere una questione come quella omerica, prendendo spunto dalle preposizioni, e credono di tirar su la verità dal pozzo servendosi di ajnav e katav. Tutti poi, secondo le più diverse tendenze, scavano e frugano il terreno greco con una tale irrequietezza, con una tale imperizia sgraziata, che un serio amico dell’antichità deve davvero impensierirsene”[4]

 

“All’idea di classicità, Nietzsche sostituisce in definitiva quella di tragicità: la civiltà greca non è una civiltà classica ma piuttosto una civiltà tragica”[5].

Sulla opposizione sapere/sapienza riferisco, di seconda mano, Eliot che pure è uno dei miei massimi maestri:"Eliot affermava:"Qual è la conoscenza che noi perdiamo nell'informazione e qualè la sapienza (wisdom) che perdiamo nella conoscenza?"[6].

 Interessante a questo proposito è un elogio dello stupore di H. Hesse:"Per stupirci siamo qui!" dice un verso di Goethe. Tutto inizia con questa stupefazione e con essa termina, tuttavia non è un cammino vano. Sia che io ammiri un musco, un cristallo, un fiore, un maggiolino d'oro, sia che guardi un cielo solcato dalle nuvole, un mare con il pacato gigantesco respiro della sua risacca, l'ala di una farfalla con la trama ordinata delle sue costole vitree…in quello stesso istante io ho abbandonato e dimentico il mondo avido e cieco dell'umana necessità e, anziché pensare a comandare, acquistare, sfruttare, combattere o organizzare, non faccio altro, per quell'istante, che provare la "stupefazione" goethiana e, contemporaneamente, non divengo solo fratello di Goethe e di tutti i poeti e saggi, ma sono anche fratello del cosmo vivente che contemplo e sperimento: della farfalla, del coleottero, della nuvola, del fiume e del monte. Percorrendo la via dello stupore, sono infatti sfuggito per un attimo al mondo delle differenziazioni e sono entrato in quello dell'unità, dove ogni cosa o creatura dice all'altro: Tat twam asi ("Sei Tu")...non desideriamo prendere il nostro tempo più seriamente di quanto meriti, non vogliamo lamentarci che nelle nostre università non si insegni a percorrere le strade più semplici per conseguire la saggezza e che, al posto dello stupore, si insegni l'esatto contrario: a contare e a misurare invece che perdersi nell'estasi, l'oggettività invece della malia, il rigido attenersi alle differenziazioni anziché subire l'attrazione del Tutto e Uno. Le università non sono scuole di saggezza, sono scuole di sapere, ma tacitamente postulano come conosciuto ciò che esse non possono insegnare: la capacità di osservare, la stupefazione goethiana, e i loro spiriti migliori non conoscono altra finalità più nobile che costituire un altro gradino perché Goethe e altri nuovi saggi si manifestino di nuovo"[7].

 

Principio di ogni filosofia è il meravigliarsi, afferma Platone[8] e dal fatto che il giovane Teeteto si meraviglia, deduce la sua attitudine alla filosofia.

 

Aristotele  sostiene che gli uomini hanno cominciato a fare filosofia, sia ora sia in origine, a causa della meraviglia: "dia; ga;r to; qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n"[9]. Dallo qaumavzein  non nasce solo la filosofia ma anche la poesia e tutta la cultura. Aristotele precisa che il filovsofo~ è anche filovmuqo~ poiché il mito è composto da cose che suscitano meraviglia oJ ga;r mu'qo~ suvgkeitai ejk qaumasivwn (Metafisica, 982b).

 

Seneca sostiene che la sapienza è l’unica libertà:  Sapientia quae sola libertas est[10].

 Il sapere non vale nulla, non è sapienza quando non riconosce sopra di sé il sacro e il divino  che inspiegabilmente lega"con amore in un volume ciò che per l'universo si squaderna".

Agostino afferma: “Ecce pietas est sapientia[11].

 

E' il caso di Edipo re  che crede di azzeccarci con l'intelligenza senza avere imparato nulla dagli uccelli ("gnwvmh/ kurhvsa" oujd j ajp j oijwnw'n maqwvn", v. 398) e fallisce. "Coloro che hanno interpretato l'Edipo re  secondo il modulo della "tragedia di conoscenza" hanno postulato che Sofocle abbia voluto rappresentare due tipi di conoscenza differenti per mezzi e possibilità, dal cui incontro-scontro risulterebbe il senso stesso del dramma. Si è parlato di un "sapere umano" e un "sapere divino"[12], di una conoscenza umana sensitiva e fondata sull'apparenza ed una conoscenza divina vera, cioè dovxa e ajlhvqeia, illusione e saggezza[13]. Edipo sulla scena sofoclea rappresenterebbe l'uomo raziocinante che si basa sulla conoscenza dei sensi e del proprio intelletto e che agisce di conseguenza, ma le coincidenze degli eventi fanno sì che alla fine tutte le sue costruzioni intellettuali si rivelano fallaci, mentre il sapere degli dei, incontrollabile e spesso incomprensibile per gli uomini, risulta essere l'unico sapere veritiero...In realtà, quello di Edipo non è un generico "sapere umano", ma rappresenta allusivamente il sapere di alcune correnti di sapere razionalistiche dell'epoca, e analogamente non si deve parlare tanto di generico "sapere divino", quanto piuttosto di sapere oracolare delfico, con le sue peculiari modalità espressive e celebrante un dato sistema di valori etici"[14]. 

 

Insomma la gnwvmh è fallace e gli uomini non possono comprendere tutto. Non solo le vie della divinità sono imperscrutabili ma anche quelle dell'incoscio.

Il motivo antiintellettualistico, ricorrente nell'Edipo, avrà un'infinità di riprese: da Euripide, il "filosofo della scena", quando giunge alla stanchezza postfilosofica delle Baccanti , al movimento dello Sturm und Drang ("il mio cuore-annota Werther  il 9 maggio 1772-è l'unica cosa della quale sono superbo...Quello che io so, lo può sapere chiunque, ma il mio cuore lo possiedo io solo". ), fino a Elias Canetti il quale in La provincia dell'uomo  afferma che "L'ignoranza non deve impoverirsi con il sapere...Per ogni risposta deve saltare fuori una domanda che prima dormiva appiattata...Le sole risposte inaridiscono il corpo e il respiro"(pp. 1600-1601).

E' il  profeta  a nutrire la forza della verità ( Tiresia dice a Edipo di essere al di sopra delle sue accuse: “ tajlhqe;" ga;r ijscu'on trevfw  Edipo re, v.356) che non è potenza economica né militare, ma nemmeno cerebrale, anzi è consapevolezza dei limiti angusti che racchiudono le nostre facoltà intellettive.

Nell'episodio di Aconzio e Cidippe , una famosissima storia d'amore compresa nel terzo libro degli Aitia, poi imitata da Ovidio nelle Heroides  (XXI lettera: Cidippe ad Aconzio) il poeta di Cirene afferma che l'ampiezza e la varietà del conoscere è un bene soltanto se conferisce a chi le possiede e le usa la capacità di padroneggiare la lingua:

" il molto sapere è un grave male, per chiunque non sia padrone

della lingua (polui>dreivh calepo;n kakovn, o{sti" ajkartei' -glwvssh"): è proprio come per un bambino avere un coltello"(fr.75 Pf, vv. 8-9).

 

L’uomo della cultura tragica è un uccisore di draghi che si lancia verso l’immenso, volge le spalle alle mollezze dell’ottimismo e desidera un’arte nuova, l’arte della consolazione metafisica e la tragedia come l’Elena che spetta a lui.

Tale uomo grida con Faust

“E non dovrei, con la più anelante violenza

Trarre in vita la forma unica fra tutte?” (Goethe, Faust, 7438-7439). Si tratta di Elena : “quale rara fortuna l’amore conquistato oltre il destino!” 7436-7437-  Chi mi legge spesso può associarsi a me nel ricordo della storia di Elena: “quell’essenza eterna, pari agli Dei, grande quanto gentile, augusta quanto amabile 7440- 7441

 

L’uomo teoretico si spaventa delle conseguenze da lui prodotte e non osa più affidarsi al terribile fiume ghiacciato dell’esistenza ma corre su e giù lungo la riva. La concezione ottimistica l’ha rammollito. L’uomo moderno teoretico rimane l’eterno affamato, il critico senza piacere e senza forza, l’uomo alessandrino che è in fondo un bibliotecario e un emendatore che si accieca miseramente sulla polvere dei libri e sugli errori di stampa”. (La nascita della tragedia, capitolo 18)

Quindi : “Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano: perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato. Costoro si vantano di non mentire: ma essere impotenti alla menzogna non vuol dire ancora amare la verità. State in guardia!  [15].

 

"La cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo, e il compito di colui che avvia alla cultura ha inizio con il reprimere l’ “interesse stoico” , ovunque incalzante, quando occorra prima di tutto agire rettamente, e non già conoscere. La nostra lingua materna , d’altronde,ò appunto una sfera in cui lo scolaro deve imparare ad agire rettamente: ed è solo secondo questa prospettiva pratica che l’insegnamento del tedesco nelle nostre scuole risulta necessario”[16].  

La sapientia , sostiene Seneca "res tradit, non verba"[17] insegna ad agire, non solo a parlare. E in un'altra Epistula: "Sic ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera" (108, 35), cerchiamo di apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole diventino azioni

 

Infatti "Soltanto il pensiero vissuto ha valore. Tu sapevi che il tuo mondo lecito era soltanto la metà del mondo e hai tentato di ignorare la seconda metà come fanno i preti e i maestri"[18].. I cattivi maestri, mi permetto di aggiungere.  

Le azione si preparano con il pensiero e con la parola. Ciò che è verbale deve diventare reale in termini di comunicazione produttiva :"aveva visto che la sua esperienza era reale. Era irradiata da lui e l'aveva mutato, aveva attirato verso di lui un'altra creatura umana. Il suo isolamento era infranto…"[19]. 

 

Qual è il segno che il sapere è diventato sapientia? La borsa di studio: la donna corteggiata, affascinata da quello che dici. Elena e le altre. Borse di studio non tutte uguali. Il loro sapore, colore, odore dipende dall’impegno impiegato, dal tempo dedicato, dalle forze a disposizione, dal favore dell’ambiente circostante. Una serie di fattori favorevoli producono il risultato massimo: la borsa di studio più bella e generosa.

 

“L’artista tragico non è pessimista-dice appunto sì a ogni cosa problematica e anche terribile, è dionisiaco” (Crepuscolo degli idoli o come si filosofa col martello, 1888, La ragione nella filosofia, 6)

“Giacché soltanto nei misteri dionisiaci, nella psicologia dello stato dionisiaco si esprime il fatto fondamentale dell’istinto ellenico-la sua “volontà di vivere” Wille zum leben. Che cosa si garantivano i Greci con questi misteri? La vita eterna, l’eterno ritorno della vita; il futuro , promesso e consacrato nel passato il sì trionfante sì alla vita oltre la morte e il mutamento  ; la vera vita come totale continuazione di essa tramite la procreazione , tramite i misteri della sessualità. Per i Greci il simbolo sessuale  era pertanto il simbolo venerabile in sé, il vero senso profondo all’interno di tutta l’antica pietas.  [20].

Bologna 25 marzi 2023 ore 10, 37 giovanni ghiselli

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Domani un’altra borsa di studio: l’ora legale. Potrò andare in bici anche di sera dopo il lavoro su queste sudate e amate carte. Andrò a vedere il sole  che tra i colli cadendo si dilegua. Molti anni fa pareva dire: “che la beata gioventù vien meno”. Adesso non più. Basta essere vivo e guadagnare altre borse di studio vivendo operosamente. Baci gianni.

 

 



[1] Goethe, Faust , Prima parte (del 1808), in Goethe, Opere ,   p. 22.

[2] La nascita della tragedia , capitolo 18.

[3] G. Vattimo, Dialogo con Nietzsche, p. 159.

[4] Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole, 1872, Terza conferenza in Adelphi, 1975

 

[5] G. Vattimo, Op.cit., p. 69.

[6] E. Morin, op. cit., p. 45.

[7]H. Hesse,  La bellezza della farfalla , in Hesse L'arte dell'ozio , pp. 401-402.

[8] Teeteto, 155d.

[9] Metafisica , 982b.

[10] Seneca, Ep., 37, 4.  

[11] Confessiones, 5, 5, ecco la sapienza è pietà.

[12]Diller 1950.

[13]Cfr. su questa linea soprattutto Reinhardt 1933, trad. it. pp. 111-52; Bowra 1944, p. 162-211; Champlin 1969.

[14]G. Ugolini, Sofocle e Atene , p. 161.

[15] Così parlò Zarathustra, IV, Dell’uomo superiore, 9

[16] F. Nietzsche, Sull'avvenire delle nostre scuole, 1872,  Seconda conferenza.

[17]Seneca, Epist. ad Luc. , 88, 32.

[18] H. Hesse, Demian (del 1919),  p. 116.

[19] H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920), p. 132.

[20] Crepuscolo degli idoli, Quel che debbo agli antici, 4

Seconda parte del post su gli studiosi seri in via di estinzione. Dedicato ai fortunati pochi.

 

Storicizzando i diluvi ricordati dal vecchio sacerdote egizio nel Timeo di Platone, posso devo aggiungere che il decadere della cultura, delle tradizioni e dei costumi, spazza via la classe colta.

Si pensi all’attuale declino del liceo classico dello studio del greco e del latino, o facendo un salto indietro, si pensi agli “Ottimati” rimproverati da Augusto perché non si sposavano e non facevano figli.

 

Cassio Dione racconta che  Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "(LVI, 3, 3) ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri figlioli; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva, LVI, 3, 7) di lavoratori e di soldati.

Quindi l’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. Voi, disse in sostanza, siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta:"a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j  ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli uomini infatti in qualche misura costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini[1].

Poi Augusto accusò i celibi paragonandoli ai briganti e alle fiere selvatiche: voi, disse, non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno  mangia o dorme solo:"ajll' ejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete" (LVI, 4, 6-7), ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza. Infine il Princeps senatus ammise che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti sgradevoli (ajniarav tina), ma, aggiunse, non  mancano i vantaggi. Ci sono per giunta i premi promessi dalle leggi:"kai; ta; para; tw'n novmwn a\qla", 8, 4).

 

.

 Torno al Timeo  di Platone e concludo

Gli Ateniesi-racconta ancora il vecchio sacerdote egizio.  novemila anni prima avevano le stesse leggi degli Egiziani e pure migliori in quanto la loro città era stata disposta e organizzata dalla dea Atena in un luogo scelto dopo avere notato in esso la mitezza delle stagioni-th;n eujkrasivan tw`n wJrw`n ejn aujtw`/ katidou`sa- 24c6-7)

Gli Ateniesi si opposero all’imperialismo di Atlantide un’isola che, posta davanti alle colonne di Eracle e più grande della Libia e dell’Asia messe insieme,  aveva invaso con tracotanza-u{brei- (24e ) tutta l’Europa e l’Asia. Ma la vostra città sconfisse gli invasori di Atlantide e pose fine una buona volta a una grande potenza-hJ povli~ uJmw`n e[pausevn pote duvnamin (24e). Allora Atene dopo avere affrontato i pericoli estremi, vinse gli invasori e innalzò il trofeo della vittoria – trovpaion e[sthsen (25c)- Aveva liberato tutti i popoli che vivevano al di qua delle colonne d’Ercole.

Una liberazione di nuovo auspicabile

 In tempi successivi però, quando ci furono terremoti violenti e inondazioni, uJstevrw/ de; crovnw/ seismw`n ejxaisivwn kai; kataklusmw`n genomevnwn,   i guerrieri ateniesi sprofondarono tutti sotto terra e l’isola Atlantide allo stesso modo  sparì sommersa dal mare h{ te   jAtlanti;~ nh`so~ wJsauvtw~ kata; th`~ qalavtth~ du`sa hjfanivsqh- Quel mare è ancoa impercorribile e inespoìlorabile siccome è di notevole impedimento il fango che produsse l’isola andando a fondo (Timeo, 25c-d).

Bologna 25 marzo 2023 ore 8, 58

giovanni ghiselli

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[1] ll problema del calo demografico, adesso di nuovo attuale, era stato posto già nel II secolo a. C., per il mondo ellenico, da Ocello lucano e da Polibio il quale viceversa notava la virtù delle matrone romane. Nel libro XXXVI delle Storie  viene ricordata la crisi demografica della Grecia, una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5) che hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie. In questo caso non si tratta di interrogare o di supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini hanno cominciato ad abbandonarsi all'arroganza, all'avarizia, alla perdita di tempo, a non volersi sposare, o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e, come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!

 

 

venerdì 24 marzo 2023

Le fosse Ardeatine e via Rasella.


Dirò “ in un medesimo tratto

cosa non detta in prosa mai né in rima”.

Personalmente sono fautore di un comunismo colto, letterario, aristocratico, e considero personaggi esemplari uomini come Engels un ricco che stava dalla parte dei poveri, Bertolt Brechet che scelse Berlino Est, e Luchino Visconti un esteta comunista capace di creare e mostrare bellezza.

Sono del tutto inattualmente comunista dunque, tuttavia oggi con la rappresaglia delle fosse Ardeatine, un episodio davvero abominevole della barbarie nazista che esecro, condanno  l'attentato di via Rasella di cui nessuno sa nulla. E io so poco.

Copio da Wikipedia

 Questa fu un'azione della Resistenza romana condotta il 23 marzo 1944 dai Gruppi di Azione Patriottica (GAP), unità partigiane del Partito Comunista Italiano, contro un reparto delle forze d'occupazione tedesche, l'11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment "Bozen", appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d'ordine) e composto da reclute altoatesine. Fu il più sanguinoso e clamoroso attentato urbano antitedesco in tutta l'Europa occidentale.

L'azione, del cui ordine dopo la guerra si assunse la responsabilità Giorgio Amendola, fu compiuta da una dozzina di gappisti (tra cui Carlo Salinari, Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna e Carla Capponi) e consistette nella detonazione di un ordigno esplosivo improvvisato al passaggio di una colonna di soldati in marcia e nel successivo lancio di quattro bombe a mano artigianali sui superstiti. Causò la morte di trentatré soldati tedeschi (non si hanno informazioni certe circa eventuali decessi tra i feriti nei giorni seguenti) e di due civili italiani (tra cui il dodicenne Piero Zuccheretti), mentre altre quattro persone caddero sotto il fuoco di reazione tedesco. Il 24 marzo, senza nessun preavviso, seguì la rappresaglia tedesca consumata con l'eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui furono uccisi 335 prigionieri completamente estranei all'azione gappista, tra cui dieci civili rastrellati nelle vicinanze di via Rasella immediatamente dopo i fatti.

Sono dunque assolutamente contrario alla pena di morte per chiunque,  e credo che un politico onesto dovrebbe condannare entrambe queste stragi, certo con parole diverse e senza metterle sullo stesso piano.

 Infatti gli italiani antifascisti orrendamente uccisi non stavano facendo la guerra come gli altoatesini, pur sempre cittadini italiani impegnati in un orrendo conflitto fratricida anche loro, ma i partigiani che li hanno uccisi avrebbero dovuto mettersi fuori tiro, al riparo dai nazisti, poi autodenunciarsi dicendo ai nemici: venite a combattere noi, siamo stati noi a ompiere l’attentato contro i vostri soldati che occupano Roma ; quelli che volete ammazzare non c’entrano niente con noi né con voi.

Bologna 25 marzo ore 1, 06

giovanni ghiselli

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Gli Italiani desiderosi di imparare avrebbe bisogno di tanti maestri che fossero studiosi seri.


 

  Platone nel Timeo racconta che quando Solone si trovava in Egitto, un sacerdote molto vecchio gli disse: “Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non esiste ’W SÒlwn, SÒlwn, “Ellhnej ¢eˆ pa‹dšj ™ste, gšrwn d “Ellhn oÙk œstin; voi siete giovani d’anima perché in essa non avete riposto nessuna antica opinione che pervenga da una lunga tradizione, nè avete alcuna conoscenza che con il trmpo sia diventata canuta (Timeo, 22b).

In Egitto si sono conservate le tradizioni più antiche, mentre gli altri popoli non hanno ricordo delle vicende più lontane nel tempo a causa dei diluvi che periodicamente ne sconvolgono la civiltà. Ci sono state catastrofi che hanno lasciato sopravvivere solo gli ignari di lettere e di Muse, sicché si è  perduto quasi dovunque il ricordo dei tempi antichi.

 

La morte di alcuni studiosi veri come Remo Bodei e Tullio De Mauro e la constatazione di quanto pochi rimangano della loro  “razza intellettuale” mi fa pensare a questo passo del Timeo. Già oggi gli studiosi seri che volano alti e hanno visioni d’insieme della loro disciplina sono rarae aves. Pochi sono pure quelli che capiscono un discorso radicato nella tradizione antica fatto dagli studiosi superstiti.

Anche il popolo italiano sta diventando un aggregato di fanciulli di tutte le età. Si sentono parlare settantenni spacciati per professori che non rivelano niente di nuovo né significativo né bello in quello che dicono. Eppure sono tante le persone che gradirebbeo maestri di buon formato.

 Lo capisco dai chi segue la mie conferenze e da quanti mi leggono.

Saluti e baci

Bologna 23 marzo 2023 ore 19, 58

giovanni ghiselli

p. s.

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I maestri che pungolano.


 

Leopardi nello Zibaldone (3474) pone questa domanda retorica su Socrate: “ che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?”

 

Socrate nella difesa  scritta da Platone risponde a siffatta accusa, che evidentemente girava nell’Atene di quegli anni. Il vecchio maestro  dice ai giudici e ai cittadini presenti al processo che i suoi accusatori sostengono tra l’altro, che il loro accusato è un abile parlatore, tanto abile da essere tremendo nell’eloquio deino;~  levgein-(Platone, Apologia di Socrate 17 b).

Socrate  risponde a questa critica dicendo  che se essere parlatore terribilmente bravo significa dire la verità, in questo caso lui lo è.

La verità infatti è terribile per chi poco o nulla di vero dice come questi calunniatori che lo accusano di essere un um uomo empio  e di corrompere i  giovani . Costoro fanno discorsi e pronunciano parole abbellite, mentre lui l’accusato, non usa parole ornate dal trucco lovgou~ kekosmhmevnou~, bensì, chiarisce subito: “ascolterete da parte mia  discorsi detti alla buona, con i termini che capitano: “ajll’ ajkouvsesqe eijkh`/ legovma toi`~ ejpitucou`sin ojnovmasin- (17c).

Tuttavia, aggiunge più avanti, sarete pungolati. Poiché  mi trovo messo da un dio accanto alla nostra polis come vicino a un cavallo grande e di razza, ma piuttosto pigro a causa della sua mole e bisognoso di essere stimolato da un tafàno (30c-31a).

 

Bologna 24 marzo 2023 ore 18, 13

giovanni ghiselli

Oggi è un anniversario per me: il 24 marzo del 1969 mi laureavo a Bologna; in aprile e maggio feci un paio di supplenze a Pesaro, poi in ottobre ebbi la nomina a tempo indeterminato a Carmignano di Brenata. Poi Imola, poi sono tornato Bologna, la città meglio dove si vive meglio tra quante ne ho conosciute.

Ho fatto quello che dovevo, quello per cui sono nato nel novembre del 1944.

Ho stimolato e pungolato i giovani di buona razza spirituale che avevano bisogno di essere informati, corretti, educati per fare il meglio che potevano.

Sono contento di potere rivendicare a me stesso quello che Platone ha scritto di Socrate

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Ho fatto e tuttora faccio  il tafàno che sprona e punge non solo parlando ma anche scrivendo.