venerdì 31 dicembre 2021

“Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi”.

In questi giorni si regalano calendari e si fanno danzare dinanzi agli occhi di tutti i mesi futuri vaghi di speranze.

Voglio provare ad almanaccare qualche previsione.

La guerra contro il virus continuerà a essere combattuta per mesi con fasi alterne senza vincitori né vinti. L’arma più efficace sarà sempre il caldo. Spero in una lunghissima estate calda che debelli il mostro.

I poveri saranno sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi.

La scuola continuerà a decadere in termini di cultura, serietà, disciplina e perderà del tutto la funzione di ascensore sociale.

Più avanti ci sarà una reazione. Non presto temo, ma ci sarà poiché quando non funziona la scuola no funziona più niente.

Un poco di cultura e di bellezza verranno offerte dal cinema e dal teatro, non gratis, e qualche volta quasi gratuitamente da alcune trasmissioni televisive. Ma non saranno guardate da molta gente.

La politica italiana conterà poco o niente nel mondo.

Gli Stati Uniti chiedono l’allontanamento dell’armata russa dall’Ucraina mentre loro vogliono potare i propri missile a ridosso dei confini russi.

Questo è un pericolo serio.

Spero che Biden e Putin prendano esempio dal comportamento responsabile di Kennedy e Kuscëv nel 1962.

Per me personalmente, spero prima di tutto nella buona salute, nella sopravvivenza degli affetti rimasti e della forte volontà di imparare, studiare, educare scrivendo e parlando.

Questo è l’almanacco più bello che ho per me e per voi che mi leggete

Bologna 31 dicembre 2021-12-31 ore 20, 10

 giovanni ghiselli

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Terenzio, "Adelphoe". 17

Chiusi (SI), Labirinto di Porsenna
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IV, 2 (540-590). (seconda e ultima  parte di questa scena )

 
Demea crede al racconto di Syro e approva Ctesifone che lo ha picchiato. Evidentemente l’umanesimo ellenistico diffuso a Roma dal circolo scipionico non lo ha toccato. Al vecchio catoniano piace che il nipote aducato da lui si comporti come il padre cioè come lo zio che lo ha educato con la premura di un padre e ne ha fatto un vir, un uomo pieno di virtus: “Laudo: Ctesipho, patrissas: abi, virum te iudico”. Invero i figli maschi di solito matrizzano ma qui madri di maschi non si vedono.
Syro risponde minacciando di punire  il manesco se lo menerà ancora.
Demea ribadisce che Ctesifone si è comportato bene.
I padri che difendono i figli senza indagare i fatti ci sono ancora e forse sono una maggioranza. Si pensi a Grillo.
Il servo ribatte con ironia che prendersela con una povera donna e un serviterollo come lui che non ha osato ribattere  è davvero - perquam - un’azione ben fatta e un segno di forza.
Demea approva ancora Ctesifone poi chiede se in  quel losco affare fosse entrato anche Micione. Syro nega e Demea gli domanda dove possa trovarlo. Syro risponde in maniera complicata  per confondere il vecchio. Fa pensare a quanto non sanno dare indicazioni sui luoghi. Alcuni perché non sanno dove si trovano ma si vergognano ad ammetterlo, altri perché confondono la destra con la sinistra, altri ancora perché non sanno parlare con chiarezza.
Syro però lo fa apposta per creare disorientamento.
Pima nomina il porticum apud macellum (573) il portico presso il mercato. Demea deve andare lì poi girare seguendo indicazioni labirintiche dette tutte insieme. Infine deve infilare un angiportum, una viuzza stretta, un vicolo.
Demea ha seguito il percorso meglio di me e ribatte: “id quidem angiportm non est pervium”, non è accessibile. Forse un vicolo cieco simboleggia la volontà di imbottigliare o blindare Demea da parte di Syro il quale dice erravi. Quindi suggerisce di tornare al porticum. Di lì dovrà fare altri giri finché giungerà a un piccolo mulino pistrilla dirimpetto a una fabrica (584) una bottega.
 
Il labirinto è presente nel Satyricon dove indica il disorientamento dei due scolastici Encolpio e Ascilto accompagnati dall’amasio Gitone.
La potenza sessuale diretta alle donne è indebolita dall’ira di Priapo.
 
A un certo punto Encolpio e Ascilto tentano di scappare, ma, terrorizzati dal cane di guardia, cadono nella piscina. Vengono tratti in salvo dal portiere di Trimalchione che, però, non permette loro di uscire. Segue la riflessione di Encolpio: "quid faciamus homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi, quibus lavari iam coeperant votum esse? " (73), cosa possiamo fare uomini disgraziatissimi e rinchiusi in un labirinto di nuovo tipo, per i quali lavarsi già cominciava ad essere un miracolo ?
Il labirinto significa assenza di progresso e il lavarsi come votum sembra alludere a una purificazione sempre più desiderabile e difficile. "La struttura del romanzo, per quanto possiamo giudicare, intreccia ad un andamento lineare progressivo (da Marsiglia all'Egitto?) un andamento circolare, che riporta periodicamente sulla strada di Encolpio personaggi già incontrati e già lasciati, in una sorta di ritorno indietro nel tempo che ha i tratti angosciosi dell'inutile andirivieni del labirinto. L'immagine del labirinto (esplicitamente rievocata in 73) descrive assai bene l'apparente inutilità del continuo ritrovarsi in luoghi chiusi di Encolpio (questo o quell'albergo, l'arena, la prigione, il lupanare, la casa di Quartilla o di Trimalchione, la nave di Lica, il letto di Circe, la stamberga delle maghe) e del suo continuo evadere"[1]. 
 
Demea potrà trovare Micione che è andato a ritirare dei divani con i piedi di leccio.  
Il vecchio si muove per raggiungere il fratello ma pima fa un commento acido: “ubi potetis vos. Bene sane!” dove possiate bere, Proprio bene (586)
Syro rimasto solo commenta il disordine e la disunione della famiglia di cui si trova al servizo: Demea è un cadavere ambulante (silicernium); Aeschinus odiose cessat fa insopportabilmente tardi, prandium corrumpitur, il pranzo va a male; Ctesipho autem in amore est totus.
Per lo mano non è colpito dall’ira di Priapo come Encolpio che inveisce contro la propia mentula contumace
 L'invettiva contro la mentula che ha disertato medrita una citazione:"erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem vexavi:"quid dicis-inquam-omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare quidem te inter res serias fas est." (132, 9-10), drizzatomi dunque sul gomito strapazzai il renitente con queste parole più o meno: "che cosa dici - faccio - vergogna degli uomini tutti e degli dèi? Infatti sarebbe un sacrilegio perfino nominarti tra le cose serie.
La risposta silenziosa della mentula mortificata è una citazione con intenti parodici, un centone virgiliano fatto di tre esametri: "illa solo fixos oculos aversa tenebat,/nec magis incepto vultum sermone movetur/quam lentae salices lassove papavera collo" (132, 11), quella teneva gli occhi fissi al suolo, girato dall'altra parte, né, iniziato il discorso, il volto si muove  più dei flessibili salici o dei papaveri dal morbido stelo.
Tra tanta dispersione Syro non ha più compiti e può pensare ai fatti propri: tirerà avanti la giornata mangiando e bevendo.
La solidarietà, il compito del bene comune che una volta riguardava tutti gli abitanti di una città, adesso non spetta nemmeno ai parenti entro una famiglia

 
Bologna 31 dicembre 2021 ore 18, 39

p. s
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[1]M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 183.

Terenzio, "Adelphoe". 16

Hegel e Marx
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IV, 2 (540-590). Prima parte
 

Demea Ctesipho Syrus. Domande e risposte.
Demea non ha trovato il fratello né il nipote e dice di essere infēlix
Ctesifone teme di essere scoperto e da dietro all’uscio si raccomanda a Syro che lo rassicura: “tu animo bono es”.
 
Questi servi sono più intelligenti dei padroni e li manovrano come vogliono. Anticipano la dialettica di servo e signore di Hegel ripresa da Marx. Si prepara un rovesciamento tra le classi. I servi di allora sono i padroni di adesso ma non anno cambiato il carattee: basta fare caso a quante menzogne diffondono i media, magari un contraddizione tra loro per creare confusione.
 
Demea procede continuando a parlare tra sé e a commiserarsi. La confusione creata dai figli e dai servi gli ha tolto l’orientamento.
 
Come a noi le notizie sul virus: ci dicono che non riguarda i vaccinati ma ieri, 30 dicembre 2021, ci sono stati 126888 contagiati (11% dei controllati una percentuale enorme), e 156 morti, non pochi.
 
Il vecchio crede di essere conscio dell’accaduto  più di tutti gli altri e di essere perciò quello che ne soffre di più.
Dicendo questo si rende ridicolo agli occhi del pubblico (cfr. l’ironia sofoclea). Un ridicolo dichiarato da Syro: “Rideo hunc: primum ait se scire; is solus nescit omnia” (548).
 
Ridicoli sono ora quelli che affermano di sapere tutto sul Covid che è un flagello misterioso per tutti (quorum ego, trivaccinato eppure non assicurato)
 
Syro continua a rassicurare Ctesifone preoccupato: “ego cavebo” (551)
Il giovane decide di rinchiudersi con Bacchide in qualche ripostiglio: id tutissimumst, è la cosa più sicura.
 
Come ora vaccinarsi, usare la maschera a punta da carnevale veneziano, lavarsi le mani. Ma non illudetevi: non è sicuro del tutto.
Io aggiungo bicicletta e corsa: ritengo che mi rendano un po’ meno insicura la salute e la sopravvivenza.
 
Syro conferma che caccerà di lì Demea.
Arriva il vecchio e dà subito dello sceleratus a Syro.
Il servo finge di non averlo visto né sentito e lamenta la propria vita grama: “quae haec est miseria!” -555 sotto tanti padroni che non è facile conoscerli, nemmeno contarli- scire equidem volo quot mihi sint domini.
 
Pensate alle tante “crazìe” denunciate adesso anche da chi obbedisce: “telecrazìa” per esempio o “mercatocrazìa” et cetera.
Si dimentica che la cosa che conta è non essere impotens sui.
 
Demea lo interpella chiamandolo ironicamente bone vir -556- galantuomo. Poi domanda del proprio fratello: “Est frater domi?”
Syro si risente un poco del bone vir, lui che non fa nulla di male, poi si lamenta con il formulare perii, sono perduto.
Così incuriosisce Demea che gli domanda: “quid narras?”.
 
Provocare delle domande suscitando l’attenzione e l’interesse è una tattica che funziona anche nel corteggiamento
Faccio un esempio: una volta a una bella ancora ritrosetta domandai: “che cosa è l’amore per te?”
Rispose che credeva nell’amore umanistico confermandomi che era una donna di valore oltre che formosa. Ma se non avesse contraccambiato la domanda avrei dovuto rinunciare a lei.
Invece mi domandò: “e per te che cosa è’”
“Ottimo segno”, pensai, e risposi tosto citando Cesare Pavese: “Se il chiavare non fosse la cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì”[1] . Tutto questo in inglese. La donna, Helena, una finnica disse che dovevo essre un ragazzo intelligente. Le confessai subito che avevo tradotto un autore italiano del Novecento. Replicò che la scelta era comunque segno di intelligenza. Lo era, soprattutto per un giovane di 26 anni e 8 mesi. Del resto che la finlandese coetanea l’avesse riconosciuta e apprezzata significava anche l’intelligenza di lei.
Una cretina si sarebbe sdegnata: “come ti permetti di mancarmi così di rispetto? Oggi un’ignorante griderebbe alla molestia sessuale.
Ora le cosa più importanti della vita per molti giovani e non giovani sono il cellulare, i cenoni, i consumi in genere.
 
Torniamo a Syro che risponde a Demea: “Rogitas? Ctesipho me pugnis miserum et istam psaltriam usque occīdit” (558), me lo domandi? Ctesifone a furia di pugni ha pestato me e la suonatrice, fino quasi ad ammazzarci.
Il servo mostra a Demea perfino un labbro spaccato. Probabilmente l’aveva rimediato i  qualche rissa.
Il vecchio vuole conoscere meglio l’intera situazione e Syro che non è giovane neppure lui dice che il ragazzo l’ha picchiato credendo che la suonatrice fosse stata comprata per suo suggerimento, quindi deplora che Ctesifone, il quale da bambino veniva tenuto in braccio da lui, ora l’abbia picchato senza pietà e senza vergognarsi: “non puduisse verberare hominem senem!” (562)
 
Bologna 31 dicembre 2021 ore 11, 33
giovanni ghiselli
Oggi c’è il sole, primo fra tutti gli dèi.
Ancora un po’ di lavoro poi andrò in bici in salita poi mangerò insalata e tonno seduto al sole per acquista forza, salute,  calore, colore e diventare egregio
Buon anno ai lettori
gianni
  
 
 


[1] Il mestiere di vivere,  25 dicembre,  1937

Terenzio, "Adelphoe". 15

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Terenzio
Adelphoe III, 5 (vv. 511-516)

Egione parla dall’uscio della casa di Sostrata rivolto verso l’interno e invita la padrona di stare di buon animo: bono animo fac sis e di consolare la figlia.
Andrà a cercare Micione in piazza e lo spingerò a fare officium suum; anche se non darà subito retta, dovrà comunque dare una risposta in modo che possa pensarci Egione  stesso.
A volta gli amici sono migliori degli amanti cui spesso “nulla per l’oro disconviene” come abbiamo sentito ieri sera da Rigoletto.  
 
Terenzio Adelphoe Atto IV scena prima (vv. 517-539)
Ctesifone Syro
 
Il figlio di Demea chiede notizie sul padre. Il servo Syro gli dice che è andato in campagna a lavorare.
Il ragazzo spera di non incontrarlo per tre giorni.
 
I figli si disaffezionano ai padri troppo severi, oltre comportarsi in modo opposto a quello imposto. A volte si fa questo anche con le religioni troppo arcigne e contrarie alla natura come il cristianesimo di molti padri di questa chiesa.

Sentiamo Nietzsche
Il nascondiglio, il luogo oscuro è il cristiano. In esso il corpo viene disprezzato, l’igiene respinta come sensualità; la Chiesa si oppone perfino alla pulizia (la prima misura cristiana, dopo la cacciata dei Mori, fu la chiusura dei bagni pubblici, e la sola Cordova ne possedeva 270). Cristiano è un certo gusto per la crudeltà verso di sé e verso gli altri; l’odio per i dissenzienti; la volontà di perseguitare … Cristiano è l’odio mortale per i signori della terra, per i “nobili” … Cristiano è l’odio per lo spirito, per l’orgoglio, il coraggio, la libertà, per il libertinage dello spirito; cristiano è l’odio per i sensi, per le gioie dei sensi, per la gioia in generale … Il cristianesimo vuole dominare su belve predatrici; il suo espediente è farne dei malati, la ricetta cristiana per ammansire, per la “civilizzazione” è l’infiacchimento (…) Il prete  dissacra la natura: è solo a questa condizione che egli esiste … il prete vive dei peccati, egli ha bisogno che si “pecchi” (…) il cristianesimo, forma fino ad oggi insuperata di mortale avversione contro la realtà … Tutti i concetti della Chiesa… sono la più malvagia falsificazione di moneta che esista, intesa a svilire la natura, i valori di natura … Quando uno colloca il peso della vita non nella vita, ma nell’ “al di là” - nel nulla - ha tolto alla vita in generale il suo peso … Al cristianesimo la malattia è necessaria, pressappoco come alla grecità è necessaria un’esuberanza di salute - rendere malati è la vera intenzione recondita dell’intero sistema di procedure di salvezza della Chiesa.[1]
Devo dire che questo cristianesimo non si trova nelle parole di Gesù Cristo ma negli anni passati l’ho sentito nelle parole di molti preti e presunti seguaci di Cristo.
 
Torniamo a Terenzio
Syro asseconda Ctesifone il quale vorrebbe passare la giornata tutta in laetitia (523) ma teme che il padre arrivi presto poiché il podere è vicino e, non trovandolo lì, verrà a cercarlo.
I figli cercano di eludere i genitori che vogliono controllarli: insopportabile per loro, e per molti altri conviventi, è l’autonomia minacciata.
Il giovane libertino domanda a Syro che cosa debba rispondere al padre quando lo rimprovererà dicendogli “ego hodie toto non vidi die” (527)
Il servo consiglia Ctesifone di ricorrere alla scusa di avere fatto un piacere a un cliens, amicus, hospes che potrebbe testimoniare.
 
Il cliente è in cima alla lista dei complici, come c’è da aspettarsi a Roma poi in Italia.
 
Il ragazzo dice che tale scusa non copre la notte che lui vuole passare fuori casa in piena libertà.
Syro allora replica  vantandosi di sapere ammansire come una pecora  il vecchio quando  ribolle al colmo e spumeggia “Quom fervit maxume, tam placidum quam ovem reddo”  (534)
Lo farà lodando Ctesifone, descrivendolo come un dio: “facio te apud illum deum; virtutes narro”.
Virtù mentite ovviamente
I servi possiedono una istintiva scaltrezza e una indistruttibile tendenza alla menzogna. I cretini ci cascano.
Intanto vedono arrivare Demea lupus in fabula (537)
I due cospiratori contro Demea si mettono d’accordo: Syro spinge Ctesifone a nascondersi in casa e Ctesifone gli raccomanda di dirgli di non avere mai visto suo figlio.
Il ragazzo entra ma rimane a spiare dietro l’uscio.
 
A forza di fare combutta con i servi si diventa come loro.
“Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te”[2].
Questo aforisma mi sta molto a cuore. L’ho verificato sperimentandolo. Ho messo in gioco la mia identità frequentando fannulloni, profittatori, ignoranti  e imbecilli, “vil razza dannata”. Per fortuna li ho lasciati in tempo e mi sono ripreso la mia vera identità. Ne sono fiero e contento anche se spiace a molti. È l’amor proprio, da non confondersi con l’egoismo, e l’amore della vita che piace a poche persone. Invero solo chi ama se stesso può amare e aiutare gli altri. Questo mio impegno nello studio nasce non solo dalla filautiva, l’amor proprio, ma anche dalla volontà e dalla possibilità di trasmettere agli altri quello che imparo
 
Bologna 31 dicembre 2021 ore 9, 27
Giovanni ghiselli
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[1] L’anticristo, 21. (Del 1888)
[2] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 146.

giovedì 30 dicembre 2021

Terenzio, "Adelphoe". 14

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III, 4 (447-510) terza e ultima parte di questa quarta scena del terzo atto

 
Egione continua a raccontare a Demea la cattiva azione di Eschino. Il quale in un primo momento si comportò come doveva. Andò dalla madre della ragazza messa incinta da lui  lacrumans, orans, obsecrans - fidem dans, iurans se illam ducturum domum (472-473).
Fu perdonato, la cosa fu messa a tacere, gli si credette.
Ora che sono passati nove mesi da quando la ragazza sedotta si incinse, ille bonus vir, quel galantuomo si è trovato una suonatrice di cetra per conviverci, illam deserit (477) ed ecco che pianta l’altra.
Demea domanda all’amico se sia certo di quello che dice.
 
Egione indica la casa di Pamphila e Sostrata, testimoni sicuri   che confermeranno: “Mater virginis- ipsa virgo, res ipsa” la madre della ragazza, la ragazza in persona, il fatto in sé;  inoltre è già presente Geta “hic Geta – praeterea, ut captust servolorum, non malus - neque iners” (479-481), non un mascalzone né un incapace per essere un servo, anzi sostiene da solo tutta la famiglia. Puoi legarlo , portarlo via, farlo torturare. Non mentirà.
 
Sugli schiavi evidentemente gravavano pregiudizi negativi. Tra i Greci vengono parzialmente confutati da Euripide e radicalmente da Antifonte sofista
 
Nell'Elena  di Euripide si trova l'espressione "per gli schiavi nobili" (gennaivoisi douvloi~, v. 1641) che lascia  un’eco in Terenzio: propterea quod servibas liberaliter (Andria, v. 38), poiché facevi lo schiavo con animo libero.
 Del resto non è messa in discussione la sudditanza del servo il quale, anche se anche può essere un magnanimo o perfino uno  che può dare giudizi, se parla meglio di chi comanda (cfr. Elena, v. 1637),   deve comunque essere disposto all’abnegazione in pro del suo signore. Infatti lo schiavo dell’Elena sostiene davanti al suo re, Teoclimeno, che per gli schiavi nobili il gesto più glorioso è pro; despovtwn… qanei'n ( vv. 1640-1641), morire per i padroni.
Nello Ione, il vecchio schiavo-pedagogo rivendica dignità a molte persone del suo ceto: "una sola cosa porta vergogna ai servi: il nome: in tutto il resto un servo non è per niente peggiore dei liberi, se è una persona per bene". (vv. 854-856).
 
Antifonte sofista[1] nel Discorso sulla verità  va oltre Euripide: denuncia come innaturali le differenze che le leggi e le usanze stabiliscono tra gli uomini. "Le disposizioni delle leggi sono avventizie, quelle della natura necessarie. E quelle delle leggi dovute a un accordo non sono naturali. E quelle nate dalla natura non sono dovute a un accordo… La maggior parte delle determinazioni giuste secondo la legge si trovano in posizione ostile nei confronti della natura… quelli che provengono da una casata non illustre non li rispettiamo né onoriamo. In questo ci comportiamo come barbari gli uni verso gli altri. Infatti per natura, in tutto, tutti siamo costituiti  per essere uguali barbari ed Elleni… tutti di fatto inspiriamo nell'aria attraverso la bocca e le narici e tutti mangiamo con le mani "[2].
 
Seneca ha scritto una lettera dove condanna i maltrattamenti inflitti agli schiavi. Invero in queste commedie di Plauto e terenzio non sembrano trattati peggio del proletariato di oggi.
Leggiamo qualche parola di Seneca
Lettera 47 Bisogna essere benevoli con gli schiavi
servi sunt, immo homines.  Servi sunt immo contubernales. Servi sunt immo humiles amici. Servi sunt immo conservi si cogitaveris tantundem in utrosque licēre fortunae (1)
Non habemus illos hostes sed facimus (5)
Haec tamen praecepti mei summa est: sic cum inferiore vivas quemadmodum tecum superiorem velis vivere (11)
Servus est, sed fortasse liber animo (16)
Servus est : ostende quis non sit: alius libidini servit, alius avaritiae, alius ambitioni, omnes timori (17).
 
Torniamo a Terenzio
Geta conferma le parole di Egione e si dichiara disposto a essere torturato.
Dall’interno della casa  arrivano le grida di dolore della ragazza  che sta partorendo.
Egione parla umanamente a Demea: Panfila implora l’onestà della famiglia del seduttore e deve ottenere un aiuto volontario, non quello obbligato dalla legge. Demea e Micione devono porre rimedio al torto di Eschino ut vobis decet 491.
 
Faccio notare che decet secondo le grammatiche richiede comunque l’accusativo della persona cui si addice.
 
 Se non le aiuteranno loro, lo farà Egione stesso che ricorda la propria amicizia con il padre della ragazza. Hanno sopportato insieme il peso della miseria.
Perciò farà di tutto, fino a ricorrere alle vie legali experiar -497- perché l’ingiustizia sia riparata. Insomma non le abbandonerà
Demea risponde che ne parlerà con il fratello.
Egione lo avverte che se loro, ricchi come sono, non cancelleranno questo torto inferto a dei poveri diverranno malfamati.
quam estis maxume-potentes, dites, fortunati, nobiles,- tam maxume vos aequo animo aequa noscere-oportet, si vos voltis perhiberi probos (501-504), quanto più siete signori, ricchi, fortunati, nobili, tanto più è opportuno che riconosciate il giusto con animo giusto, se volete essere chiamati gente perbene.   E’ l’umanesimo  dell’ellenizzante circolo scipionico.
   
Nel Dyskolos di Menandro, il giova povero Gorgia diffida il ragazzo ricco Sostrato dal cercare di sedurre la sorella approfittando della superiorità economica:
"non è giusto
che il tuo tempo libero diventi un male per noi
che tempo libero non abbiamo. Sappi che il povero il quale
subisce ingiustizia è l'essere più arrabbiato del mondo- ptwco;" ajdikhqeiv" ejsti duskolwvtaton (293-296).
E' questo un invito a non esasperare il malessere dei poveri attraverso la loro umiliazione che invece va attenuata con il rispetto e la filantropia.
Vediamo la chiusura di questa scena.
Demea pomette che si farà giustizia degli Adelphoe.
Egione conferma che a Demea si addice farla decet te facere.
La persona cui si addice è in accusativo anche in Plauto quando è il soggetto dell verbo in dipendenza infinitiva.
Quindi Egione segue Geta in casa di Sostrata.
Demea lamenta la nimia licentia che va a cadere in aliquod magnum malum. Lui l’aveva predetto.
Chiude facendoci sapere che andrà dal fratello per dirgliene quattro.
 
Bologna 30 dicembre 3021 ore 19, 55
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Ora è tardi e freddo ma non voglio essere vile e andrò a correre
Baci
gianni


[1] Attivo nella seconda metà del V secolo.
[2] Oxyrh. Pap. XI Fragmetum I

Terenzio, "Adelphoe". 13

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III, 4 (447-510) seconda parte. La perdita della passione


Egione ricorda a Demea il comune amico defunto Simulo ed entra subito in medias res per quanto riguarda il misfatto di Eschino: “Filiam eius viginem vitiavit”- 466- ha sedotto sua figlia vergine. Demea manifesta indignazione con l’interiezione Hem!
Egione prosegue: c’è di peggio: “mane: nondum audisti , Demea - quod est gravissimum" (467-468)
In fondo la sedizione può essere un fatto umano indotto dalle circostanze: “persuasit nox, amor, vinum, adulescentia-: humanumst” (470-471).
 
Notate che questi giovani fanno l’amore sempre da avvinazzati. Si è persa non solo la passione politica ma anche quella erotica.
“Nella commedia più delicata e più bella di Menandro, gli Epitrepontes, il cui intreccio può essere in qualche modo ricostruito, tutto si svolge in modo che infine un giovane si renda conto del misfatto che ha commesso. Ubriaco, ha usato violenza a una fanciulla che poi sposa senza sapere di averla già incontrata. Quando nasce un figlio prima del tempo, com’egli crede, si adira contro la moglie finché deve scoprire che l’unica persona meritevole della sua indignazione morale è lui stesso.
Come Admeto in Euripide, acquista coscienza della propria situazione e riconosce che le sue grosse parole non erano altro che parole. Così osserva a suo modo l’antico ammonimento delfico: conosci te stesso. Ma non è un Tantalo che nella sua hybris selvaggia ha ignorato il confine tra potere umano e divino, né un Edipo, che nelle sue oneste aspirazioni confidava nel proprio sapere, e neppure un Admeto, che non riconosceva un imperativo a lui posto: è un giovane borghese innocuo che senza un proposito, senza un’idea,  anzi senza vera coscienza, essendo ubriaco, è caduto vittima della debolezza umana. La grandezza di Menandro sta nello sviluppare caratteri umani, con le loro reazioni psicologiche, da temi così inconsistenti…i poeti più antichi erano spinti a comporre da motivi di contenuto: conservare vivo il ricordo di grandi gesta, scoprire una verità, indagare la virtù ecc…Dopo l’intermezzo democratico, con la fioritura ateniese della tragedia e della commedia, i poeti dovevano di nuovo dimostrare il loro talento alle corti dei monarchiE come Menandro essi rinunciano al pathos, ai programmi morali, all’impegno politico, e osservano con sorridente comprensione il comportamento degli uomini[1]. 
 
Parole simili possono essere attribuite ai giovani di buona famiglia rappresentati nelle commedie latine.
 
 Kierkegaard scrive:" Lasciamo che gli altri si lamentino che i tempi sono cattivi; io mi lamento che il nostro tempo è miserabile poiché è senza passioni...è per questo che la mia anima torna sempre all'Antico Testamento e a Shakespeare. Là si sente che quei che parlano sono uomini; là si odia, là si ama, si ammazza il nemico e si maledice la sua stirpe per tutte le generazioni, là si pecca"[2].
 
Poi Gerontion di T. S. Eliot
 I have lost my passion: why should I need to keep it/Since what is kept must be adulterated? (vv.61-62) ho perduto la mia passione: perché dovrei conservarla, se ciò che si conserva deve diventare adulterato?-sono parole di  Gerontion  il vecchio  che non fu alle Termopili.
 
Il ventenne Michele Ardengo del romanzo Gli indifferenti di Moravia (scritto nei primi anni della dittatura fascista) rimpiange, non senza ironia, la vita tragica figurandosela come ricca di passioni: "Come doveva essere bello il mondo... quando la vita non era come ora ridicola, ma tragica, e si moriva veramente e si uccideva e si odiava, e si amava sul serio, e si versavano vere lacrime per vere sciagure, e tutti gli uomini erano fatti di carne ed ossa e attaccati alla realtà come alberi alla terra. A poco a poco l'ironia svaniva e restava il rimpianto; egli avrebbe voluto vivere in quell'età tragica e sincera, avrebbe voluto provare quei grandi odi travolgenti, innalzarsi a quei sentimenti illimitati... ma restava nel suo tempo e nella sua vita, per terra"[3].
Ora io vedo gli indifferenti nei giovani che passano ore fissando il cellulare e pigiandone i tasti con movimenti frenetici.

 
Bologna 30 dicembre 2021 ore 12, 27.
giovanni ghiselli

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[1] B. Snell, Poesia e società, pp. 156-157.
[2] Aut-Aut , in Kierkegaard, Opere, p. 12.
[3]  A. Moravia, Gli indifferenti , p. 211.

Terenzio, "Adelphoe". 12

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III, 4 (447-510) prima parte  Il liberalismo è una truffa. Le grammatiche scolastiche anche (don Milani)


Hegio, Demea, Geta, Pamphila.
 
Egione commenta come misfatto indegno –facinus indignum- la cattiva azione che il servo Geta ha raccontato come perpetrata da Eschino: ha messo incinta una ragazza, Pamfila, e non se ne è presa cura né la responsabilità.
Egione si stupisce che da quella “buona famiglia” sia nata un’azione così indegna di un uomo libero, volgare tam inliberale facinus (448)
Molti sono stati i facinora commessi da questo cosiddetto liberalismo ora di moda.
L’amico di Demea commenta l’azionaccia dicendo che Eschino ha compiuto un misfatto indegno del padre suo.
Demea ha sentito queste parole e crede che riguardino la suonatrice de psaltria 451. Biasima il figlio e i fratello che non dà nessun peso al misfatto Pater is nihil pendit (452)
Egione invece biasima fortemente il fattaccio.
Geta lo supplica di aiutarli e gli ricorda che Simulo, il padre di Panfila gli ha raccomandato la  ragazza e tutta la famiglia morendo- ille tibi moriens nos commendavit senex (457)
Le raccomandazioni in Italia non mancano mai.
Egione vuole aiutarli.
Demea si avvicina ai due e saluta: “Salvere Hegionem plurumum- iubeo  460-461
Egione: Oh ! Te quaerebam ipsum. Salve, Demea.
Quindi mette al corrente l’amico dicendogli che il figlio Egione quem fratri adoptandum dedisti , neque boni- neque liberalis functus officium est viri (463-464), non ha compiuto il dovere di un uomo onesto né magnanimo. Notate che fungor non regge l’ablativo come nel latino unico che si studia nelle grammatiche.
"Qualcuno, chissà chi, v'ha scritto perfino una grammatica. Ma è una truffa volgare. A ogni regola ci vorrebbe la data e la regione dove si diceva così"[1].
Altra considerazione: anche il cosiddetto liberalismo economico è una truffa: non può essere liberalis il metodo (  mevqodo") il sistema (ratio),  che sfrutta sistematicamente i poveri, i deboli, che scatena guerre che getta ordigni micidiali su intere popolazioni distruggendo città e sterminando vite umane.
“Una classe che non ha esitato a scatenare il fascismo, il razzismo, la guerra, la disoccupazione. Se occorresse “cambiare tutto perché non cambi nulla” non esiterà a abbracciare il comunismo”[2].

Bologna 30 dicembre 2021 ore 11, 12.
giovanni ghiselli

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[1] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, p. 116.
[2] La frase fra virgolette è nel romanzo “Il Gattopardo”. La dice un principe siciliano all’arrivo dei garibaldini (1860). Poi fa il garibaldino anche lui e così non perde né i soldi né il potere.  Scuola di Barbiana. Lettera a una professoressa, p. 74.

mercoledì 29 dicembre 2021

La storia di Päivi.10 La comunione bizzarra.

 

Ero un poco ubriaco e molto felice.

Intanto alcuni piccoli uccelli si erano posati sopra i dorsi bianchi e villosi delle pecore chine a brucare, e il sole spariva salutato dal primo strimpellìo tremante dei grilli e dall’ultimo verso stridente delle cicale assonnate.

A un tratto, la pecora più originale alzò di scatto la testa; subito dopo sobbalzarono tutte le altre, e gli uccelli volarono via.

Osservavo il cielo maestro di umana sapienza [3].

 

Un salto nel passato di tre estati prima, quella di Helena.

Consiglio di leggerlo.

Mi venne in mente un’aurora serena dell’agosto del ’71, quando, dopo un prolungato banchetto e l’insana dulcedo perpotandi et pervigilandi [4] invece di andare a dormire, con Fulvio, Ezio, Claudio, Danilo e Alfredo, giovanilmente scherzando, uscimmo dal collegio calandoci dalla finestra, siccome l’uscio di sotto era chiavato a quell’ora, intorno alle tre della notte, o del mattino che dire si voglia.

Andammo a Hortobágy per vedere sorgere il sole. Nella luce attiva del crepuscolo mattutino eravamo contenti. Io per Elena, Fulvio era felice pensando al suo futuro con Bruna: dipingeva lieti pensieri nuziali [5].

Gli altri erano contenti di essere giovani, di essere a Debrecen con tanti coetanei curiosi di conoscersi a vicenda. Era un bel posto quello ed erano belli i primi anni Settanta per quanto riguarda i rapporti umani. Nel ’74, come abbiamo visto e vedremo, i tempi e i costumi erano già peggiorati, e noi, reduci del ’68, eravamo prossimi al disincanto.

 Nel ’71 era ancora diffuso tra gli umani simpatizzare, perfino volersi bene. Una moda presto defunta come molti di quei cari compagni dell’età mia nova. Io non ho rinnegato quei mores oramai antichi, non li ho scordati, anzi, passata la moda, mi sono rimasti dentro del tutto accordati con il mio carattere, quale struttura della mia formazione e li tengo in vita e li pratico con chi me lo permette senza prendermi per deficiente, o per sognatore, o per pazzo.

Arrivati, si saliva sui gradini di legno di un teatro aperto - locus Phoebo Bromioque sacer - da dove si poteva osservare l’oriente infiammato e il fiume verde, popoloso di pesci, folto di canne, sonoro di uccelli che salutavano il giorno. Sentivamo, amavamo la vita che ci contraccambiava. Parlavamo di donne, di amori, di lavoro, facevamo progetti, eravamo contenti. Sul ponte a nove arcate situato davanti alla csárda, transitavano carri stracolmi tirati da grossi cavalli rossicci: portavano i prodotti della puszta al mercato di Debrecen.

Danilo aprì lo spettacolo con un canto popolare trevigiano della prima guerra mondiale. Una canzone di guerra, lenta, lenta, che celebrava gli eroi morti e infondeva desiderio di pace. Ammaliato da quella canzone di stampo Simonideo-Leopardiano , Fulvio assecondò l’aedo di Bassano del Grappa e, sceso nell’ acqua bassa del fiume con il pigiama arrotolato sopra i polpacci muscolosi, da oplita, eseguì alcuni passi di una danza pirrica, quindi intonò un canto di guerra tirtaico, simile a quelli eseguiti dalla forte gioventù spartana prima delle battaglie. Seguì un’ovazione. Quindi Danilo tirò fuori l’amica bottiglia, cara compagna di colazioni, pasti merende e cene, poi disse che in quella circostanza felice la cosa migliore era riprendere dal punto in cui ci eravamo interrotti in collegio. Quel vino, aggiunse, rendeva servigi migliori dell’acqua di seltz.

Quando il gaudente l’ebbe svuotata, gridai: “tra un poco apriranno la csárda; che ne dite se entriamo per colazione e ce ne facciamo stappare altre due?”. “Sicuro, e che tu sia benedetto, compagno pesarese, buon comunista,  caro da Dio!”, rispose l’amico grato della proposta inopinata.

Intanto Fulvio, Claudio, Ezio e Alfredo, riuniti in una comunione bizzarra, si spartivano un grosso salame, due enormi cipolle, tre cetrioli e due peperoni. Quando invitarono me e Danilo, nemmeno noi potemmo astenerci da tali prelibatezze. Sicché facemmo questo banchetto aurorale.

Le ombre a poco a poco si diluivano nel liquido solare.

Eravamo contenti e ci sembrava di vedere gioie maggiori che ammiccavano a noi, ci facevano segni d’intesa. Io pensavo che se ero piaciuto a Elena sarei piaciuto per sempre, alla vita che amavo con tutto me stesso dopo che avevo smesso di sentirmi rinnegato da lei. Ma già con quella finnica mora mora, formosa, dalla pelle bianca e liscissima, dalla tunica candida, la mia vita era giunta vicina allo splendore zenitale.

 

 Erano già trascorsi tre anni da quell’alba ricca di amici, di canti, di affetti. Nel 1974 la danza non era ancora diventata macabra ma il tempo della comunione tra noi mortali era già consumato in gran parte, quasi finito.

 Da cinque anni oramai imperversavano le stragi e altre ce ne sarebbero state. Rimaneva l’amore per una donna. Con il senno di adesso dico che questo non può funzionare a lungo, se rimane isolato dal contesto sociale.

 

 

 

3 Cfr. Platone (Timeo 47 a). Lo ricorda Giuliano Augusto: oujrano;n fhsi Plavtwn hJmi'n genevsqai th'" sofiva" didavskalon (A Helios re 3, 38, 1)

4 Cfr. Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni VI, 2, 2, il piacere malsano di bere e vegliare tutta la notte. Era uno dei vizi dell’eroe macedone.

5 Cfr. A. Manzoni, Adelchi, secondo coro “Com’era allor che umprovida/d’un avvenir fallace,/lievi pensier virginei/solo pingea.”


Quel che resta di Ettore Romagnoli. Di Giuseppe Moscatt

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