Nel Dialogus de oratoribus[1] di Tacito[2], Messalla biasima i vizi particolari di Roma propria et peculiaria huius urbis vitia , che sono quasi insiti nel DNA dei Romani si direbbe ora:"paene in utero matris concipi mihi videntur, histrionalis favor et gladiatorum equorumque studia" ( 29), sembrano quasi concepiti nello stesso grembo materno, la simpatia per gli istrioni, la passione per i gladiatori e i cavalli. Nell'animo dei ragazzi occupatus et obsessus, occupato e bloccato da tali studia, non rimane spazio per l'interesse nei confronti delle arti liberali. Questo avvertimento può essere attualizzato con la passione per il calcio o per la musicaccia fatta di rumore.
L' histrionale studium del gaglioffo Percennio, per esempio, la sua esperienza di attore, e il suo essere stato dux olim theatralium operarum (Annales, I, 16) un capo della claque teatrale, ne fa un acclamato duce durante la rivolta delle legioni della Pannonia successiva alla morte di Augusto.
Queste parole di Tacito, secondo Auerbach, denigrano la ribellione dei legionari:"A suo modo di vedere, si tratta soltanto d'arroganza plebea e di mancanza di disciplina. (…) Egli batte e ribatte che è soltanto la schiuma sempre pronta alla ribellione; per il caporione Percennio, ex capo di claques teatrali col suo "histrionale studium", che si atteggia a generale (velut contionabundus"), egli ha il più profondo disprezzo"[3].
Nella Germania, Tacito nota che le donne di quella terra vivono con la castità ben custodita, senza essere guastate dalla seduzione degli spettacoli né dagli stimoli dei banchetti:"saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus corruptae" (19, 1).
Negli Annales lo storiografo denuncia, tra le altre passioni basse (foeda studia) di Nerone quella di cantare accompagnandosi con la cetra, come si fa negli spettacoli:“ nec minus foedum studium cithărā ludĭcrum in modum canere” (14, 14).
Poco più avanti
Tacito ricorda che dopo la conquista dell’Asia e della Grecia, a Roma i giochi si erano organizzati con maggiore cura, “nec quemquam Romae honesto loco hortum ad theatralis artes degeneravisse, ducentis iam annis a L. Mummii triumpho qui primus id genus spectaculi in urbe praebuerit” (14, 21), anche se nessun romano nato in una buona famiglia si era abbassato a fare l’attore per duecento anni dal trionfo di Mummio[4] che per primo aveva fatto vedere a Roma quel genere di spettacolo.
giovanni ghiselli
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