martedì 21 maggio 2024

La diversità di Socrate e di don Lorenzo Milani.


Obietto con buona pace di Nietzsche, che Socrate non è ascrivibile alla cultura antimitica né Euripide a quella antieroica.

Nel prologo del Fedro di platone, Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano, fuori luogo, fuori posto (a[topo~) che è (229c). Sarebbe come i sapienti sofistici e causidici dai quali invece sente e sa di essere diverso.

 

Torniamo al dialogo platonico dove Socrate seguita così: “ Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero che io non ho: ejmoi; de; pro;~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).

Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, secondo la scritta deifica,  perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia (Fedro, 230a)

Cfr. don Lorenzo Milani:“Mi devono snobbare, dire che sono un ingenuo e un demagogo, non mi devono onorare come uno di loro, perché non sono come loro” (Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani, L’esilio di Barbiana, p. 221).

Non mi vergogno di affermare che anche io sono sempre stato fiero della mia “stranezza” la quale mi ha spinto a indagare me stesso per capire chi potessi essere, senza dare retta a quanti mi biasimavano o deridevano perché non pensavo né agivo pecorum ritu, pergens non quo eundum est, sed quo itur.

Mi sono dedicato a quanto mi piaceva molto e mi riusciva bene: lo studio, l’amore, la bicicletta.

Bologna 21 maggio 2024 ore 19, 57 giovanni ghiselli

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Il culto del Sole da associare all’umanesimo.


 

 Leopardi nello Zibaldone (3833-3834) afferma che il culto del sole rende più umano e più civile chi lo pratica: "Quando gli Europei scoprirono il Perù e i suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno di civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il culto del sole, quivi i costumi men fieri e men duri che altrove; dovunque non trovarono il culto del sole, quivi (ed erano pur provincie, valli, ed anche borgate, confinanti non di rado o vicinissime alle sopraddette) una vasta, intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza di costumi e di vita. E generalmente i tempii del sole erano come il segno della civiltà, e i confini del culto del sole, i confini di essa (5 Nov. 1823)”. L’attuale culto del freddo e della pioggia, ossia l’anticulto del sole è da associare all’orrenda e spietatissima barbarie delle guerre in corso.

Bologna 21 maggio 2024 ore 12, 09 giovanni ghiselli

p. s.

Aggiungo le amiche cicale “pazze di sole” e “il canto della rana  rimota alla campagna”  

Saluti gianni

Cantico dell’estate benedetta dal Sole.


 

In depraved May (T. S. Eliot, Gerontion, 21)

 

Nel maggio depravato mi vengono in mente pensieri maliziosi. Il primo è che la storia del riscaldamento globale sia un inganno, una delle tante trappole escogitate per indurre la gente a comprare. Sembra che il popolo non stia cascando in quella delle automobili elettriche. Meno male.

 

 Spero che anche i soffi di Borea diffusi  dai condizionatori per mesi passino di moda. Questo è l’ottantesimo maggio della mia vita e non ne ricordo un altro altrettanto orrendo: freddo, buio, piovoso.

E’ la negazione del “maggio odoroso” di Leopardi con “le vie dorate e gli orti” quando “primavera dintorno/brilla nell’aria, e per li campi esulta, /sì ch’a mirarla intenerisce il core”, quando “gli augelli contenti, a gara insieme/per lo libero ciel fan mille giri, /pur festeggiando il lor tempo migliore”.

 

Durante questo maggio, appunto depravato, piove ogni giorno e  dobbiamo stare chiusi in casa oppure uscire coprendoci come in novembre, e si indurisce il cuore. L’occhio del giorno, il sole, e quello della notte, la luna, sono quasi sempre chiusi, come acciecati da nuvole che errano inquiete di giorno e di notte.

Intanto seguitano le guerre con massacri di civili e anche a questo proposito continuano le menzogne.

 

Vero è che l’aria è inquinata in ogni aspetto, anche morale, mentre non è vero che ci sia un riscaldamento globale. Se c’è, non è globale: non riguarda Bologna né Pesaro né l’Italia intera.

Del resto, se d’inverno fa meno freddo è un bene, per i milioni di poveri italiani è un bene. Se a Cortina non si scia più, pazienza: potevano andarci in pochi che si consoleranno in altro modo: troveranno altri postio “esclusivi” per riconoscersi.

 In luglio in effetti ci sono alcuni giorni molto caldi. Luglio però è la seconda parte dell’estate già inclinata verso l’autunno, mentre maggio è la prima, quella ascendente,  e questo è il secondo anno che soffriamo un maggio piovoso e ventoso. Un vento freddo e una pioggia quotidiana. Il 22 giugno, tra un mese, inizierà la decadenza dell’estate. Appena la temperatura risalirà, i plagiati e i pagati riprenderanno ad accusare il caldo che uccide.

E’ vero il contrario: il caldo potenzia la vita, il caldo è benefico, il caldo favorisce la letizia. Il sole è l’immagine visibile di Dio e intensifica la spiritualità. Il caldo ci fa uscire a contatto con una natura amica, favorevole, ridente. Con il caldo la vita ci parla ttraverso la tacchina che singhiozza, l’anatra iridata che sguazza negli stagni, la mimosa che fiorisce ai dì d’estate “coi suoi pennacchi di color di rosa”, e il verso dei grilli che perpetuo trema”, e “stormir di fronde, cinguettio d’uccelli,/risa di donne” fremiti di mare .

Il caldo  ci dona la libertà dei vestimenti leggeri, dei movimenti non inceppati, delle passeggiate a piedi, dei lunghi giri in bicicletta. Sicché la gente usa meno l’automobile e questo non piace al sistema che organizza la nostra infelicità perché quando siamo felici compriamo e sprechiamo meno.

Questi miei sono pensieri di un cervello stanco, avvilito in una stagione fredda e piovosa. Un’estate che si annuncia depravata

Bologna 21maggio 2024 ore 10, 30 giovanni ghiselli

 

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Pindaro Olimpica III strofe 3, antistrofe 3, epodo 3.


Eracle inseguendo la cerva vide anche quella terra

oltre i soffi di Borea

gelido: lì rimase stupito degli alberi e ristette.

Di essi un dolce desiderio lo prese:

di piantarli intorno alla meta da aggirare dodici volte

nella corsa dei cavalli.

Ora viene  a questa  festa benigno

con i gemelli simili agli dèi, i figli di Leda dalla profonda cintura

 

La profonda cintura significa bassa o, piuttosto, stretta in modo che la veste cadesse in pieghe profonde come si vede nelle figure femminili dei fregi del Partendone.

La gara delle quadrighe si correva  con carri a due ruote tirati da 4 cavalli per dodici giri di pista. Era la gara più spettacolare con pericolosi scontri nell’aggirare la meta. Nella Pitica V Pindaro racconta di 41 carri da corsa di cui uno solo giunse al traguardo dopo una gara piena di incidenti.

 

Un incidente mortale è inventato e raccontato nella tragedia Elettra di Sofocle.

La falsa morte di Oreste

 Il vecchio pedagogo ricorda che Oreste vinse la gara di corsa drovmo~. Vinse anche il diauvlo~-doppia corsa, andata e ritorno 384 metri- e le altre gare del pentathlon ( lotta, salto, disco, giavellotto). Ma quando un dio vuole fare del male, non c’è via di scampo, neppure se uno è forte.

Il giorno seguente al sorgere del sole c’era la corsa dei carri veloci-wjkuvpou~ ajgwvn (699). I concorrenti erano dieci da tutta la Grecia e due libici, ossia coloni ellenici della Cirenaica, C’era fragore di carri e polvere che si levava (kovni~, 714). Oreste tenendosi stretto alla meta, la rasentava sempre con il mozzo e allentava la briglia al cavallo di destra, mentre frenava quello di sinistra che la sfiorava. A un certo punto ci fu uno scontro. E l’intera pianura di Crisa si riempiva dei relitti dei carri.

 Rimanevano in gara Oreste e l’auriga ateniese. Oreste era dietro e inseguiva, a un tratto luvwn hJnivan ajristeravn, allentando la briglia sinistra (743) del cavallo che faceva la curva (kavmptonto~ i{ppou, 744), urtò l’orlo estremo della stele e spezzò l’asse della ruota. Cadde dal carro impigliato nelle redini. La folla lanciò un grido di orrore. Non c’era più niente da fare. Lo arsero sul rogo.

Clitennestra chiede a Zeus che cosa significhi. Se era una fortuna per lei oppure una cosa tremenda ma utile (deina; me;n, kevrdh dev, 767). Comunque è penoso se mi salvo la vita a prezzo dei miei lutti  (768).

deino;n to; tivktein ejstivn (770), partorire è tremendo. Una madre, anche se maltrattata, non può odiare i figli.

Però poi dice di essersi liberata dalla paura di Oreste (783) e anche del fovbo~ delle minacce di Elettra che infatti si sente distrutta.

Elettra rimasta sola dice che non ha più voglia di vivere: tou` bivou d j oujdei;~ povqo~ (822).

 

Il cavallo montato a pelo , senza sella né staffe doveva compiere un solo giro di pista dell’ippodromo, circa 1500 metri. L’Olimpica I racconta la vittoria del corsiero Ferenìco di Ierone. L’abbiamo già vista.

 

Torniamo A Pindaro

Antistrofe 3

Salendo all’Olimpo, Eracle

affidò a loro- i Dioscuri- di presiedere il mirabile agone

relativo al  valore degli uomini e all’abilità

nel condurre il carro veloce. Me in qualche modo

l’animo spinge a dire che agli Emmenidi  e a Terone

giunse la gloria donata dai Tindaridi equestri

poiché con  le mense ospitali  più frequenti

tra i mortali, figli di Zeus si accostano a loro,

 

Epodo 3

custodendo con mente devota

i riti dei beati.

Se l’acqua eccelle, e tra gli acquisti

l’oro è il più reputato,

ora Terone con le sue virtù

giungendo al passo estremo

tocca le colonne d’Eracle da casa.

L’ oltre è inaccessibile per i sapienti

e  per chi non sa. Non lo seguirò: sarei stolto

 

Fine dell’Olimpica III

 

Bologna 21 maggio 2024 ore 9, 40 giovanni ghiselli.

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lunedì 20 maggio 2024

Il link della mia prossima conferenza sul Mito

La conferenza di lunedì 27  maggio che terrò nella biblioteca Ginzburg dalle 17 alle 18, 30 può essere seguita anche on-line .

L’argomento è

IL MITO NELLA FILOSOFIA, NELLA LETTERATURA E NELLO SPORT

Il link è meet.google.com/ucw-gyvg-dzw

Saluti

Giovanni ghiselli

p. s.

garantisco la qualità e la piacevolezza della mia ricerca

Pindaro Olimpica III. Da Antistrofe 1 a Epodo 2


 

Antistrofe 1

 Lo splendore del corteo

quando le corone  cingono le chiome

esigono da me questo sacro debito

di congiungere la cetra

dalle voci variopinte

e il suono dei flauti e l’ordine delle parole

come si addice al figlio di Enesidàmo

e Pisa stessa esige che io innalzi la voce

da dove vengono agli uomini i canti largiti da dio…

 

L’esigenza del canto viene a Pindaro dall’esterno e pure da se stesso. E’  il bisogno ineluduibile di scrivere, di avere la mente sempre occupata dal bisogno di scrivere quella necessità che Trigorin del Gabbiano di Čechov chiama la maledizione dello scrittore

Il figlio di enesidàmo è Terone e Pisa è Olimpia.

 

Epodo 1

…a chiunque, adempiendo le norme

antiche di Eracle,

l’uomo di Etolia

irremovibile arbitro dei Greci

ponga dall’alto sulle palpebre intorno alle chiome

l’ornamento verde pallido dell’olivo

che un tempo il figlio di Anfitrione portò

dalle ombrose fonti dell’Istro,

memoria bellissima degli agoni di Olimpia,…

L’uomo di Etolia è Ossilo che riportò gli Eaclidi nel Peloponneso ed ebbe il potere sull’Elide. Fu arbitro dunque dei giochi olimpici

Anfitrione era il marito di Alcmena la madre di Eracle, ma il vero padre dell’eroe era Zeus. Cfr. Catullo 68, 112 falsiparens Amphitryoniades- il figlio spurio di Anfitrione.

Pindaro colloca le sorgenti del Danubio nel settentrione estremo.

 

Strofe 2

…dopo avere persuaso con la parola il popolo

degli Iperborei servi di Apollo

in buona fede chiede per l’ospitale

recinto sacro di Zeus la pianta che ombreggia

bene comune agli uomini

e corona delle virtù

già consacrati al padre gli altari

a metà del mese  la luna dall’aureo carro

fece risplendere pieno l’occhio della sera.

 

I giochi olimpici si svolgevano nel secondo o nel terzo plenilunio dopo il sosltizio estivo. Dunque l’occhio dell sera – eJspevra~ ojfqalmov~- è la luna piena

 

Antistrofe 2

Ed egli sancì il sacro giudizio dei grandi agoni

e  insieme la festa che torna al quinto anno

presso le sponde divine dell’Alfeo.

Ma non fioriva di alberi belli

la terra di Pelope nelle valli della collina di Crono.

Nudo gli parve il giardino sottostare ai raggi acuti del sole

E allora l’animo lo spingeva a recarsi…

 

Olimpia, ho scritto più volte, è uno dei luoghi più caldi e ameni di quanti ne abbia mai visto. Grandi pini ombreggiano e attenuano il caldo che non è afoso bensì gradevole anche sopra i trenta gradi

Nell’Olimpica VIII  l’ a[lso~, il sacro recinto di Pisa, cioè di Olimpia lungo l’Alfeo è eu[dendron- dagli aberi belli

 

Epodo 2

…nella terra dell’Istro dove la figlia di Leto

agitatrice di cavalli

lo accolse  quando giunse  dalle balze

e dalle gole sinuose dell’Arcadia

come la necessità del padre lo incalzava

attraverso i messaggi di Euristeo

di condurre la cerva dalle corna d’oro

che un giorno Taigeta

Dedicò con l’iscrizione  “sacra a Ortosia”-

 

La figlia di Leto (Latona) è Artemide la dea vergine, crudele nell’Ippolito di Euripide che viene rappresentato a Siracusa

Pindaro racconta la fatica imposta a Eracle di catturare e portare a Micene, da Euristeo, la velocissima cerva di Cerinea, una mostro se non altro perché una cerva non ha le corna mentre questa era crusovkerw~ (Iigino, Biblioteca, II, 5, 81) le aveva d’oro

Il coro dell’Eracle di Euripide nel primo Stasimo canta  le fatiche di Eracle il quale tra le alte “uccise la cerva dalle corna d’oro dal dorso screziato, flagello delle campagne e la consacrò ad Artemide cacciatrice di fiere”- (epodo 1 vv. 375-379)

  Quanto a Taigeta era una delle sette Pleiadi che Artemide trasformò in cerva perché potesse sottrarsi al desiderio amoroso di Zeus

Quando riprese sembianze umane, Taigeta dedicò l’animale incantato alla dea.  Ortosia è un appellativo di Artemide, come jOrqiva a Sparta e in Arcadia;  o[rqio~ significa diritto.

 

  Bologna 20 maggio 2024 ore 11, 40 giovanni ghiselli

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domenica 19 maggio 2024

Ifigenia CLXXXIX. L’incontro alla stazione di Padova. Hetaera Esmeralda.


 

La incontrai la sera del 22 agosto verso le nove. Ero arrivato a Trieste intorno alle cinque e le avevo telefonato come si era d’accordo. Aveva detto: “Ci vediamo a Padova. Corro a prendere il primo treno. Ti amo!”

“Quanta fretta adesso! Il ganzo festivo l’ha lasciata”, pensai.

Invece risposi. “Benissimo: chi arriva prima aspetta nell’atrio della stazione, davanti all’edicola chiusa”.

“Chiusa e refrattaria come sei stata tu per un mese con me” pensai. Volevo fargliela pagare.

Ero lì verso le 8. Nel frattempo, mentre guidavo la nera Volkswagen,  le emozioni si erano variegate. Vagavo comunque lontano dalla gioia. Ifigenia non era ancora arrivata. La pena non era smaltita però avevo aperto uno  breve pertugio alla speranza che nel vederci avremmo ritrovato l’intesa erotica dell’autunno precedente.

Speravo che il lepóre e la fragranza della sua carne avrebbe dissolto l’ angoscia  che mi aveva tormentato per un mese nel luogo dove in anni passati avevo vissuto i mesi più belli della mia vita con donne migliori.

Scese dal treno vestita di rosso. Un colore che fa pensare a un tappeto trionfale o a un manto purpureo, imperiale e pure al sangue che esce dalle ferite e al vestito di porpora dell' Ecce homo, il Cristo tribolato che, già sacro alla morte, viene portato fuori da Pilato. "Exivit ergo Iesus portans   spineam coronam et purpureum vestimentum. Et dicit eis-Ecce homo!-" (N. T. Giovanni, 19, 5).

La ragazza fece una corsa fino al mio petto  pesandomi addosso. Aveva le lacrime agli occhi.  " Lacrimae iussae" pensai.

 Prima di parlare mi fece sentire il frequente palpitare del cuore sotto il seno. Ma capiva che tali vezzi non potevano consolare le mie pene. Sicché replicava a  dismisura i vezzi e le menzogne. Disse che mi adorava, che le ero mancato fino quasi a morirne, che la mancancanza della mia presenza l'aveva resa inerte e muta. Tali sproloqui mi disturbavano e innervorsivano assai. Doveva credere che la visione  delle sue forme fiorenti e i profumi emanati da tanto rigoglio carnale mi avrebbero inebbriato. Ma io vedevo solo una satanessa dalle intenzioni malvagie. Perfino il suo aspetto mi pareva infernale. Nessun lepore, proprio nessuno.

Non ne potevo più e la interruppi per porle la domanda che mi girava in testa da settimane:" Perché non mi hai mandato l'espresso che mi avevi preannunciato con un telegramma? Non credi che questa spiegazione debba venire prima di tutte queste moine?"

"Sì, ora ti spiego" disse abbassando gli occhi e tacque.

"Maledetta-pensai- ora confessa la propria fellonia, magari cercando di farla passare per un'opera buona. Se vuole riprendere a fornicare con me, la tratterò come un uomo sputtanato dalla sua collega e concubina".

Capì che i miei non erano lieti pensieri d'amore e cercò di imbonirmi: "Gianni, tesoro, non pensare male di me: non ti ho scritto una lettera temendo di essere giudicato di levatura letteraria troppo bassa per il linguista raffinato che sei. Ho cercato di dirtelo al telefono ma quando ci siamo sentiti me ne è mancato il coraggio. In seguito ho cercato di telefonarti diverse volte ma non ti trovavo mai.

"Stai a vedere che è colpa mia", pensai. Quindi le domandai controllando a stento lo sdegno: "Dove hai telefonato? In collegio non era possibile"

"All'hotel Aranybika. Me l'ha suggerito l'Hetaera Esmeralda".

Era una nostra conoscente così chiamata dalla vita equivoca che conduceva.

Una di quelle farfalle amanti dell'ombra crepuscolare.

"Questa è demente davvero", pensai.

 

Bologna 19 maggio 2024 giovanni ghiselli

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Pindaro Olimpica III. Strofe 1


Celebra di nuovo la gara vinta dal carro di Terone alle Olimpiadi del 476.

L’Olimpica I invece celebra la vittoria del cavallo montato Ferenìco mandato da  Ierone di Siracusa nello stesso anno.

Ad Agrigento era vivo il culto di Elena e dei sui fratelli Dioscùri, Castore e Polluce. Elena e Polluce erano figli di Zeus, Castore di Tindaro, ma Polluce gli aveva donato parte della propria immortalità. Questa Olimpica III  viene composta per la festa delle Teossénie-ta; qeoxevnia cui partecipavano Elena, Polluce e Castore  come si legge nell’Elena di Euripide 1667-1668. Era una festa analoga ai lectisternia o pulvinaria romani con banchetti dove c’erano posti riservati agli dèi.

Con Elena e i Doscuri vengono celebrati  anche Terone e la città retta da lui kleina;n   jAkravganta,  l’inclita Agrigento

 

cfr.  klevo~- rinomanza,  kluvw, clueo, sento dire di me,  ho fama, sono reputato.

Nel primo verso della Pitica XII Agrigento è invocata come kallivsta brotea`n polivwn- bellissima tra le cittò mortali.

 

Ma  veniamo al testo dell’ Olimpica III

Strofe 1

Pindaro chiede pregando di piacere ajdei`n ai Tindaridi, Castore e Polluce, ufficialmente entrambi figli di Tindaro, amici degli ospiti-filoxeivnoi~ e ad Elena  belle trecce- kalliplokavmw/

 

Il nome Elena

Nel secondo capitolo del Doctor Faustus  di Thomas Mann l’io narrante

 Serenus Zeitblom si presenta come dottore in lettere e professore di latino greco e storia di un ginnasio-liceo e dice di avere preso moglie poco dopo l’assunzione nella scuola  a ventisette anni guidato a questo passo da un bisogno di ordine e di inquadramento morale nella vita umana.

Spiegava agli studenti che “la civiltà consiste nell’inserire con spirito ordinatore i mostri della notte nel culto degli dèi”.  Sposò dunque una ragazza di nome Helene: “confesserò che il nome della fresca fanciulla, il caro nome di Helene, non fu l’ultimo argomento che determinò la mia scelta. Un nome siffatto è circondato da un alone sacro (…) anche alla nostra figliola abbiamo imposto il nome Helene” (p. 14 e p. 15)

 

Pindaro vuole erigere-come una statua-  un inno quale fiore –a[wton- dei  cavalli dai piedi infaticabili. La Musa  sta vicino al poeta che ha trovato euJrovnti un verso, un modo dal nuovo splendore neosivgalon trovpon di adattare il suono della voce, di intonarla- ejnarmovxai-  al ritmo dorico- Dwrivw/ pedivlw/.

 Neosivgalon: poeta deve essere il  “Trovatore” di novità.

 Il termine pevdilon, calzare, fa pensare al passo di danza accordato al ritmo

 "Al canto più nuovo, la lode più alta", dice Telemaco nel primo canto dell’Odissea ( 351-352) e Pindaro nell’ Olimpica IX scrive:

ai[nei de; palaio;n me;n oi\non, a[nqea d j  u{mnwn-newtevrwn" (antistrofe 2)  loda il vino vecchio, ma fiori di canti sempre nuovi.  

 

Bologna 19 maggio 2024 ore 11, 37 giovanni ghiselli

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Un film strano, un film bello


 

Suggerisco a chi mi legge la visione di un bel film: C’era una volta in Bhutan.

Mostra una cultura ancora ricca di umanesimo, dunque molto diversa e migliore della nostra segnata e sfregiata dall’egoismo, dalla prepotenza, dall’avidità e dalle guerre. I giovani italiani non possono nemmeno immaginarne una diversa. La mia generazione di nati alla fine della II guerra mondiale ha vissuto per pochi anni una civiltà assai più umana di questa. Alcune scene del film mi hanno ricordato quegli anni belli, anche perché ne avevo meno di trenta. Mi sono commosso.  

 

Bologna 19 maggio 2024 ore 9, 04 giovanni ghiselli

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sabato 18 maggio 2024

Pindaro Olimpica II. Terza e ultima parte

Pindaro Olimpica II.   

 Terza  e ultima parte

 

Strofe 5 Il pronome relativo che apre questa strofe  riprende Achille che abbattè Ettore l’invicibile diritta colonna di Troia- {Ektora  Troiva~ a[macon ajstrabh` kivona.

 

Si può notare anche qui l’obiettività epica degli autori Greci che riconoscono il valore dei nemici. Omero nell’Iliade racconta episodi cavallereschi della guerra di Troia (p. e. il duello di Ettore contro Aiace nel VII libro dell’Iliade. Finì alla pari , venne interrotto dalla notte e i due si scambiarono dei doni. Oh gran bontà dei cavalieri antiqui!  scriverà Ariosto che esecra gli abominosi ordigni di una scienza abbrutita, l’archibugio per allora.

 

Pindaro ricorda che Achille uccise anche Cicno e l’etiope Memnone figlio dell’Aurora e di Titone, fratello di Priamo.

Quindi l’autore fa una dichiarazione di poetica: nella faretra ho molte frecce che parlano a chi è capace di intendere- polla; bevlh fwnaventa sunetoi`sin-, ma per la massa ci vogliono interpreti-eJrmanevwn-.  Rivendica alla sua poesia quello xenikovn  peregrino,  strano, non ordinario, non pedestre che Aristotele  suggerirà allo scrittore se vuole essere egregio.

Pindaro è maestro in questa arte e chi vuole apprenderla bene deve studiare questo poeta.

Tuttavia lo studio secondo il Nostro non basta: ci vuole  talento.

Sapiente è chi sa molto per natura: sofo;~ oJ polla; eijdw;~ fua` mentre gli addottrinati intemperanti per loquacità maqovnte~ de; lavbroi pagglwssiva/  sono come due corvi che gracchiano invano. Gli interpreti hanno visto in questi due uccelli ciarlieri un riferimento ai poeti rivali di Pindaro Simonide e Bacchilide.

 

Platone nel Menone sostiene che conoscere è ricordare: gli addottrinati non possono essere sapienti se sono stati ammaestrati riguardo a temi che non avevano già dentro. Lo dico anche per esperienza personale: quanto ho imparato per un esame di ciò che è diverso da me,  che non mi piaceva, l’ho dimenticato poco dopo. Quanto invece ho imparato, magari in seconda elementare, che faceva già parte della mia natura, non l’ho mai dimenticato

 

Antistrofe 5.  

I corvi dunque schiamazzano contro l’uccello divino di Zeus.

Il poeta  vuole lanciare frecce gloriose dalla mente ormai mite- ejk malqaka`~ frenov~- Il tiro  dunque ridiventa benevolo dopo la polemica contro i colleghi corvi: puntando la mira su  jAkravga~ Pindaro encomia il suo ospite protettore Terone e afferma che la città non ha generato in cento anni un  evèrgete  più benefico di cuore e più generoso di mano verso gli amici.  E’ un ringraziamento anche personale.

La lode però non deve causare nausea perché essa calpesta la lode- ajll j ai\non ejpevba kovro~. Penso ai  leccapiedi del potere. Oggi se ne sentono tanti. Dunque è ora di concludere il canto per non superare la giusta misura.

 La sazietà che non si accompagna a giustizia ouj divka/ può derivare dal servilismo ma anche dalle maldicenze del ciarlare lalagh`sai.

Cfr. i rumores raccolti e rivelati da Tacito.

I detrattori non devono nascondere il bene mentre gli amici estimatori non possono raccontare tutto quello elargito da Terone siccome la sabbia sfugge al numero-ejpei; yavmmo~ ajriqmo;n peripevfeugen e non è  possibile raccontare quante gioie Terone ha donato ad altri

Fine dell’Olimpica II.

 

Bologna 18 maggio 2024 ore 19 giovanni ghiselli

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