venerdì 1 marzo 2019

"Baccanti" di Euripide. Traduzione di Gianni Ghiselli

Le Baccanti al Teatro Argentina
Dedica:
Alla zia Giorgia, la baccante felice di Potenza Picena, con l’amore di un figlio.
Il suo “Pipo”

Prologo vv. 1-63

Dioniso
Sono giunto, figlio di Zeus, a questa terra dei Tebani,
Dioniso, che un giorno la figlia di Cadmo mette al mondo,
Semele, fatta partorire dal fuoco folgorante;
e avendo preso in cambio, da dio,  forma mortale  
sono qui alla fonte di Dirce e all’acqua dell’Ismeno. 5                                               
E vedo la tomba della madre, la fulminata,
qui vicino alla reggia, e le rovine della casa
fumanti per la fiamma ancora viva del fuoco di Zeus,
imperitura violenza di Era contro la madre mia.
E approvo Cadmo che questo suolo rende                                                                                       10
inaccessibile, sacro sepolcro della figlia; io l’ho coperto
tutt’intorno con foglie di vite ricche di grappoli.
E avendo lasciato le campagne ricche d’oro dei Lidi
e dei Frigi, e attraversato le piane dardeggiate dal sole
dei Persiani, e le mura Battriane e la terra dei Medi 15
dal terribile inverno, e l’Arabia felice
e l’Asia tutta,  che è distesa presso il salso
mare con città ben turrite, piene
di Elleni e di barbari mescolati insieme,
sono venuto dapprima a questa città di Greci,                                                                                20
dopo avere incitato alle danze là e fondato i miei
misteri, per essere divinità manifesta ai mortali.

E prima Tebe di questa terra Greca
ho fatto risuonare delle mie grida, dopo avere messo la nebride sopra la pelle
e dato in mano il tirso, giavellotto d’edera; 25                                                              
poiché le sorelle di mia madre, quelle che meno di tutti dovevano,
andavano dicendo che Dioniso non è nato da Zeus,
e che Semele sedotta da un mortale qualsiasi
faceva risalire a Zeus il fallo del letto,
ingegnosa trovata di Cadmo, per cui, ripetevano con aria di vanto                                       30
che Zeus l’aveva uccisa poiché aveva mentito le nozze.
Perciò quelle stesse io  ho fatto smaniare fuori dalle case
in preda al furore, ed ora abitano il monte uscite di senno;
e le ho costrette a indossare i paramenti dei miei riti,
e anzi tutta la semenza femminile dei Cadmei, quante              35                          
 donne c’erano, le feci uscire furenti dalle case;
e mischiate con le figlie di Cadmo
sotto i verdi pini stanno su rocce senza tetto.
 Questa città infatti deve imparare fino in fondo, anche se non  vuole,
che non è iniziata ai miei misteri,                                                                                                        40
e io devo prendere le difese della madre Semele
apparendo ai mortali la divinità che ella genera a Zeus.

Cadmo dunque gli onori e il potere
li dà a Penteo nato dalla figlia,
il quale combatte il divino nella mia persona e mi caccia fuori 45
dalle libagioni, e nelle preghiere in nessun modo mi ricorda.
Per queste cose a lui mostrerò che sono un dio
e a tutti i Tebani. Poi, dopo avere stabilito bene i miei riti di qui,
trasporterò il piede ad altra terra,
rivelando me stesso; ma se la città dei Tebani                                                                               50
per rabbia cercherà di cacciare con le armi le Baccanti
dal monte, attaccherò guidando un esercito di Menadi.
Per questi motivi ho preso in cambio un aspetto mortale
e ho mutato la mia forma in natura di uomo.
Avanti, o voi che avete lasciato lo Tmolo baluardo della Lidia, 55
sacro stuolo mio, donne che dai barbari
portai mie compagne  di riposo e di cammino,
sollevate i timpani in uso nella terra 
dei Frigi, invenzioni mie e della madre Rea,
e, venute attorno a questa dimora reale                                                                                           60
di Penteo, fate rumore, perché la città di Cadmo veda.
Io, andato sulle balze del Citerone, parteciperò
alle danze con le baccanti dove si trovano loro.
  
Parodo vv. 64-169.

Dalla terra d’Asia
lasciato il sacro Tmolo metto in rapido movimento                                                                     65
per Bromio una fatica dolce e un travaglio,  buon travaglio,
celebrando Bacco con grida di evoè.

Chi è per strada, chi è per strada, chi?
Stia in casa fuori da questo luogo, e ognuno
Consacri la bocca che serba religioso silenzio:                                                                                70
io infatti celebrerò Dioniso
secondo il rito in uso, sempre.

Str a. O beato colui che  va d’accordo con se stesso
conoscendo i misteri degli dèi,
santifica la vita e
entra nel tiaso con l’anima,                                                                                                     75
baccheggiando nei monti
con sacre purificazioni,
e celebrando secondo il rito
le orge della grande madre Cibele
alto scuotendo il tirso,                                                                                                                           80
e incoronato di edera
venera Dioniso.

Andate Baccanti, andate Baccanti,
a ricondurre Dioniso
il dio Bromio figlio di dio                                                                                                              85
dai monti Frigi
 alle contrade dagli ampi
spazi dell’Ellade, il Bromio;

Ant a. lui che un giorno la madre gravida nelle necessità
del parto pieni di dolore
mentre volava il fragore di Zeus                                                                                                           90
 generò espulso dal ventre
lasciando la vita per il colpo del fulmine;
ma subito lo accolse
nei talami puerperali Zeus Cronide                                                                                                    95
e celatolo nella coscia
lo tiene stretto con fibbie
nascostolo a Era.

E poi lo diede alla luce, quando le Moire
lo ebbero compiuto, il dio dalle corna di toro,                                                                               100
e lo incoronò con corone
di serpenti, per cui le menadi
intrecciano ai ricci
la preda selvaggia.

Str. b
O Tebe nutrice di
Semele, incorònati di edera;    106                                                                                      
colmati, colmati di verdeggiante
smilace dal bel frutto
e baccheggia con i rami
di quercia o di abete,                                                                                                                 110
e adorna l’indumento delle
nebridi screziate con ciocche di ricci
dal bianco pelo; e intorno ai tirsi violenti,
santifìcati: presto tutta la terra danzerà.

Bromio è chiunque guidi i tiasi.                                                                                                          115
Verso il monte verso il monte, dove aspetta
la turba delle donne
lontana da telai e spole
rese furiose dall’assillo di Dioniso.                                                                                                     119

Ant b. O sede riposta dei Cureti
e sacrosanta dimora
di Creta dove nacque Zeus,
dove i Coribanti dal triplice cimiero
negli antri inventarono per me                                                                                                            125
questo cerchio di pelle tesa;
e nell’orgia bacchica lo mescolarono
al soffio concorde dal dolce suono
dei flauti frigi, e lo misero in mano
della madre Rea, strepito adatto alle grida delle menadi;
e Satiri pazzi                                                                                                                                   130
lo ottennero dalla dea madre
e lo adattarono alle danze
delle feste biennali,
delle quali gioisce Dioniso.

Epodo

E’ cosa dolce nei monti, quando dai tiasi in corsa
Si cade a terra, indossando                                                                                                      136
il sacro indumento della nebride, cacciando
il sangue del capro ucciso, gioia di mangiare la carne cruda,
spingendosi sui monti frigi, lidi, e il capo è Dioniso,                                                                    140
evoè.
Scorre di latte il suolo, scorre di vino, scorre del nettare
delle api.
Bacco sollevando                                                                                                                         145
la fiamma ardente
dalla torcia di pino
come fumo di incenso di Siria
si precipita, con la corsa e
con danze eccitando le erranti
e con grida spingendole,
e scagliando nell’aria la molle chioma.                                                                                              150
e insieme con urla di evoè grida così:
“O andate Baccanti,
andate Baccanti,
con lo splendore dello Tmolo aurifluente,
cantate Dioniso                                                                                                                                            155
al suono dei timpani dal cupo tuono,
celebrando con urla di evoè il dio dell’evoè
tra clamori e gridi frigi
quando il sacro flauto melodioso                                                                                          160
freme sacri ludi, che si accordano
alle erranti al monte, al monte: felice                                                                                165
allora, come puledra con la madre
al pascolo, muove il piede rapido, a balzi, la baccante”.


Primo Episodio vv. 170-369

Tiresia
Chi è alla porta? Chiama Cadmo fuori dalla reggia,                                                       170
il figlio di Agenore, che avendo lasciato la città
di Sidone, cinse di torri questa rocca dei Tebani.
Vada uno, tu annuncia che Tiresia
lo cerca; egli sa perché sono giunto
e gli accordi che stabilii io che sono un vecchio con lui più vecchio,    175
cioè di preparare i tirsi e indossare pelli di cerbiatto
e incoronare il capo con germogli d’edera.                                                                                     
Cadmo
O Carissimo, poiché ho inteso udendo la tua voce
saggia da un uomo saggio, stando nella reggia;
eccomi pronto con questo costume del dio;                                                                                    180
bisogna infatti che quello essendo figlio della figlia mia
(Dioniso che si rivelò dio agli uomini) 
per quanto ci è possibile venga esaltato come grande.
Dove bisogna danzare, dove posare il piede,
e scuotere la testa canuta? Spiegalo tu vecchio 185
a me vecchio, Tiresia: tu infatti sei pratico.
Poiché non potrei stancarmi né di notte né di giorno
di battere la terra con il tirso: ci siamo dimenticati volentieri
di essere vecchi. Ti. Tu dunque provi le stesse sensazioni mie;
anche io infatti mi sento giovane e metterò piede alle danze.                                                             190
Ca. Andremo dunque fino al monte coi carri?
Ti. Ma il dio non avrebbe onore nello stesso modo.
Ca. Io vecchio guiderò come un ragazzo te che sei vecchio?
Ti. Il dio ci guiderà lì senza fatica.
Ca. Saremo i soli della città a eseguire la danza sacra per Bacco?                                           195
Ti. Solo noi infatti abbiamo senno, gli altri no.
Ca. Lungo è l’indugiare: su, prendi la mia mano.
Ti. Ecco, stringi e congiungi la mano.
Ca. Non disprezzo gli dèi, io che sono mortale.
Ti.Il nostro uso dell’ingegno non vale nei confronti degli dèi.                                                           200
Le tradizione ricevute dai padri, quelle che possediamo
coeve con il tempo, nessun ragionamento le abbatterà,
neppure se per opera di menti aguzze viene trovato il sapere.
Dirà qualcuno che non rispetto la mia vecchiaia
se mi accingo a danzare dopo avere coperto di edera la testa mia? 205
Di fatto non distingue il dio né se deve
danzare il giovane né quello più vecchio,
ma da tutti vuole ricevere onori
comuni, e vuole essere celebrato senza fare alcuna classifica.                                                              
Ca. Poiché tu, Tiresia, non vedi questa luce, 210
io sarò per te annunciatore di notizie.
Eccolo, che  procede di corsa attraverso la scena verso la reggia, Penteo,
figlio di Echione, cui do il potere sulla terra.
Come è sconvolto: che cosa dirà mai di nuovo?                                                                            

Penteo
 Mentre mi trovavo a essere lontano da questa terra,  215
sento dire di nuovi  mali che incombono su questa città,
che le donne nostre hanno abbandonato le case
per baccanali finti, e che negli ombrosi
monti vagano frenetiche, onorando con danze
il demone appena arrivato, Dioniso, chiunque egli sia;                                                              220 
e che crateri pieni stanno  in mezzo
alle congreghe, e che appartandosi in solitudine,
una qua una là, prestano servizio ai letti dei maschi,
pretestuosamente come Menadi celebranti,
ma è Afrodite che preferiscono a Bacco.                                                                                           225
Ora quante ne ho prese, le custodiscono i servi
con le mani legate nelle pubbliche carceri;
quante invece sono lontane, le stanerò dal monte
<Ino e Agave che mi generava a Echione,
e la madre di Atteone, Autonoe dico.> 230
E dopo averle sistemate opportunamente in reti di ferro
le farò cessare subito da questo baccanale perverso.                                                                
Dicono poi che è giunto uno straniero,
un ciarlatano che fa incantesimi, dalla terra di Lidia,
profumato nella chioma dai biondi riccioli, 235
con le  grazie avvinazzate di Afrodite negli occhi                                                                         
che giorno e notte sta insieme
alle fanciulle mettendo avanti i riti dell’evoè.
Ma se lo prenderò dentro questo tetto,
gli farò smettere di provocare il frastuono del tirso e di agitare  240
le chiome, staccandogli il collo via dal corpo.
Quello sostiene che Dioniso è un dio,                                                                               
quello, che una volta fu cucito nella coscia di Zeus,
  invece colui è rimasto bruciato dalle folgori fulminee
con la madre, perché mentì le nozze con Zeus. 245
Non è meritevole di una spaventosa impiccagione questo
accumulare oltraggi su oltraggi, chiunque sia lo straniero?                                                     
Ma ecco un’ altra cosa strana, vedo
l’osservatore di prodigi Tiresia in nebridi screziate
e il padre della madre mia – cosa molto ridicola –                                                                        250
che baccheggia con il tirso; ho vergogna, padre,
di guardare la vostra vecchiaia senza senno.
Non butterai via l’edera? Non libererai
la mano dal tirso, padre della madre mia?
Tu, Tiresia, l’hai persuaso a questo; tu  vuoi,  255
introducendo per giunta questo nuovo demone tra gli uomini,
osservare gli alati e dai sacrifici trarre guadagno
Se la vecchiaia canuta non ti salvasse,
staresti incatenato in mezzo alla baccanti,
tu, dato che introduci riti perversi; infatti quando 260
per le donne c’è nel banchetto lo splendore del grappolo,
io dico che non c’è più nulla di sano nei riti misterici.                                                

Coro L’empietà! O straniero, non hai rispetto degli dèi
né di Cadmo che seminò la messe nata dalla terra,
e, pur essendo figlio di Echione, oltraggi la stirpe?                                                                      265

Ti. Quando un uomo capace di fare discorsi abbia preso buoni spunti
non è grande impresa il parlare bene;
tu hai sì una lingua sciolta, come se avessi senno,
ma nei tuoi discorsi non c’è senno.                                                                                                    
L’uomo forte per audacia e capace di parlare 270
diventa un cattivo cittadino se non ha mente.
Questo demone nuovo, che tu deridi,
non potrei dire quanto importante per  grandezza
sarà nella Grecia. Due infatti, o giovane,
sono i princìpi primi per gli uomini: la dea Demetra- 275
ed è la terra, chiamala con il nome dei due che vuoi:
ella nutre i mortali con alimenti secchi;                                                                                           
poi quello che venne dopo, il figlio di Semele, e trovò
la liquida bevanda del grappolo a controbilanciare, e la introdusse
tra i destinati a morire, quella che libera gli infelici mortali dalla  280
pena, quando si sono riempiti del succo della vite,
e dona il sonno, oblio dei mali
quotidiani e non c’è altro rimedio per gli affanni.
Questo che è un dio viene libato agli dèi,
sicché gli uomini grazie a lui hanno il bene.                                                                                    285
E tu lo deridi poiché fu cucito in una coscia
di Zeus? Ti spiegherò come veramente sta questa cosa.
Dopo che lo ebbe sottratto al fuoco del fulmine
Zeus, ed ebbe fatto salire all’Olimpo l’infante, siccome un dio,
Era voleva cacciarlo dal cielo;                                                                                                 290
Zeus allora trovò un espediente contrario come appunto può un dio.
Dopo avere strappato un pezzo di etere
che circonda la terra, ne fece un Dioniso dandolo
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come ostaggio per la contesa  con Era; poi con il tempo
i mortali dicono che fu cucito in una coscia di Zeus, 295
avendo cambiato il nome, poiché il dio una volta
fu ostaggio di Era, e misero insieme la favola.                                                                               
Questo dio poi è profeta: infatti la frenesia bacchica
e il delirio ha molta capacità profetica;
infatti quando il dio è entrato nel corpo con abbondanza 300
fa in modo che gli invasati predìcano il futuro.                                                                              
Poi ha preso anche una parte di Ares:
chè l’esercito in armi e già schierato
la paura suole atterrire prima che abbia toccato lancia.
Anche questo è follia che deriva da Dioniso.  305
Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche                                                                 
saltare con le fiaccole sull’altopiano a due cime
agitando e scagliando il bacchico ramo,
grande per l’Ellade. Via Penteo, da’ retta a me:
non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini,  310
e non credere, se tu hai un’opinione, ma è un’opinione malata,
di capire qualcosa; invece accogli il dio nella nostra terra
e fai libagioni e baccheggia e incoronati la testa.                                                                         
Non sarà Dioniso a costringere le donne a essere
caste nei confronti di Cipride, ma nel temperamento 315
(sta sempre l’essere casto in tutte le occasioni sempre)
a questo bisogna pensare: e infatti anche nei baccanali
quella che è casta non si guasterà.                                                                                                      
Lo vedi, tu hai piacere quando si mettono in fila alle porte
in molti, e la città magnifica il nome di Penteo; 320
anche quello, credo, gode di essere onorato.
Io dunque e Cadmo, che tu deridi,
ci incoroneremo d’edera e danzeremo,
coppia canuta, ma tuttavia bisogna danzare,
e non combatterò contro un dio persuaso dalle tue parole.                                                     325
Infatti tu sei matto nel modo più doloroso, e non potresti trovare
rimedio nei filtri, né senza questi sei malato.

Co. O vecchio, tu non oltraggi Febo con le parole,
e onorando Bromio sei saggio: è un grande dio.

Ca. O figlio, Tiresia ti ha consigliato bene.                                                                                        330
Stai con noi, non fuori dalle norme.
Ora infatti vaneggi e, pur avendo facoltà mentali, non sai farne uso.
Anche se questi non è un dio, come dici tu,
tiello per te: e afferma con una menzogna bella
che lo è, perché sembri che Semele abbia generato un dio, 335
e a noi e a tutta la stirpe si aggiunga onore.
Tu vedi lo sventurato destino di Atteone,
che le crudivore cagne che aveva allevato
sbranarono nelle radure montane, perché si era vantato
di essere superiore ad Artemide nelle cacce. 340
Che tu non abbia a soffrire questo: qua, ti incoronerò il capo
con l’edera: rendi onore al dio insieme con noi.                                                                          
Pe. Non puoi evitare di avvicinarmi la mano,
e non te ne andrai a baccheggiare da un’altra parte
e smetterai di attaccare la tua follia a me?
Questo maestro della tua pazzia 345
lo punirò. Vada uno al più presto,
e, giunto alla postazione di costui dove trae gli auspici,
scalzala con pali e rovesciala  all’indietro
sopra sotto ogni cosa confondendo insieme,
e getta le bende ai venti e alle procelle.                                                                                           350
Lo colpirò infatti nel modo più efficace facendo questo.
E voi, andando per la regione, rintracciate
lo straniero con forme da femmina, che introduce un morbo
nuovo tra le donne e i letti ne guasta.
E se davvero lo prendete, portatelo qui 355
legato, perché muoia condannato alla lapidazione,
dopo aver visto com’è amara l’orgia bacchica in Tebe.                                                              
Ti. Disgraziato! Come non sai quello che dici!                                                
Oramai sei diventato pazzo; e già prima eri uscito di senno.
Andiamocene noi, Cadmo, e preghiamo 360
per quest’uomo anche se è incivile
e per la città, che il dio non faccia nulla
di nuovo. Avanti, seguimi con il bastone adorno di edera
e cerca di tenere dritto il mio corpo ed io il tuo:
è vergognoso che due vecchi cadano: si vada comunque, 365
poiché bisogna servire Bacco figliolo di Zeus.                                                                
Che Penteo non porti pena nella reggia
 tua, Cadmo: non parlo profeticamente,
ma secondo i fatti: poiché quello è folle e dice follie.                                                                369

Primo Stasimo vv. 370-432

Coro
Str. a
Santità signora tra gli dèi
Santità che attraverso la terra
porti l’ala d’oro,
odi queste bestemmie di Penteo?
Odi l’empia
violenza a Bromio, il figlio 375
di Semele, il primo dio
tra i beati, durante le gioiose feste
dalle belle corone? Il quale ha queste prerogative,
di prendere parte alle danze del tiaso
e al suono del flauto scoppiare a ridere                                                                                            380
e far cessare gli affanni,
quando lo splendente succo del grappolo
giunga nei banchetti degli dèi,
e nelle feste incoronate di edera
il cratere abbraccia gli uomini 385
con il sonno.

Ant. a Di bocche senza freno
di empia stoltezza
il termine è sventura;
mentre la vita
della tranquillità e il comprendere 390
rimangono al riparo dai flutti
e tengono unite le case: da lontano infatti i celesti,
pur abitando l’etere,
vedono comunque i fatti dei mortali.
Il sapere non è sapienza 395
e avere la pretesa di comprendere fatti non mortali.
Breve è la vita: per questo
uno che insegue grandi fantasie
non può conseguire quello che c’è. Questa 400
è l’attitudine secondo me di uomini
dissennati e sconsigliati.                                                                                                                         

Str. b
Potessi io giungere a Cipro,                                                                                                        
l’isola di Afrodite,
dove dimorano gli Amori
che affascinano gli animi ai mortali, 405
in particolare a Pafo che correnti
dalle cento bocche di un fiume barbaro
rendono fertile senza pioggia.
E dove c’è la Pieria
bellissima sede delle Muse, 410
sacra pendice dell’Olimpo,
là conducimi, Bromio, Bromio,
dio evio guida delle Baccanti.
Là ci sono le Grazie,
là il Desiderio, là è lecito
alle baccanti celebrare l’orgia.                                                                                                            415

Ant. b
Il demone figlio di Zeus
gioisce delle feste,
e ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli.                                                                                                                      420
Uguale al ricco e a quello di rango inferiore
concede di avere la
 gioia del vino che toglie gli affanni;
e porta odio a chi queste cose non stanno a cuore:
durante la luce e le amabili notti 425
passare una vita felice,
e saggia tenere la mente e l’anima lontane
dagli uomini straordinari;
ciò che la massa  430
più semplice crede e pratica,
questo io vorrei accettare.                                                                                                                     

Secondo Episodio vv. 434-518

Servo
Penteo, eccoci qui dopo avere preso alla caccia questa preda
per la quale ci mandasti, né ci siamo mossi invano. 435
Questa fiera però è stata mansueta con noi né sottrasse
il piede con la fuga, anzi ci porse le mani non controvoglia
né divenne pallido, né mutò la guancia rubiconda,
ma ridendo lasciava che lo si legasse e portasse via
e stava fermo, rendendo il mio compito facile.                                                                             440
E io per rispetto dissi:”O straniero, non di mia volontà
ti porto via, ma per gli ordini di Penteo che mi ha mandato”.
Invece le Baccanti che tu hai rinchiuso, quelle che tu facesti afferrare
e legare nelle catene del pubblico carcere,
quelle, dileguatesi, sciolte per le radure montane 445
tripudiano invocando  Bromio come dio;
da sole si slegarono le catene dei loro piedi
e le chiavi aprirono le porte senza mano mortale.                                                                       
Quest’uomo dunque è venuto pieno di molti prodigi
qui a Tebe. Al resto devi pensarci tu. 450
Pe. Liberate le mani di costui: infatti dal momento che è nella rete
non è così veloce da sfuggirmi.
Però  di aspetto, straniero, non sei brutto,
almeno per le donne, e per questo motivo appunto sei qui a Tebe.
Infatti la tua chioma ricciuta e lunga,  non da lotta,                                                                      455
versata fin lungo la guancia è piena di desiderio:
e bianco hai l’incarnato a bella posta,
non esponendoti ai raggi del sole ma sotto l’ombra
vai a caccia di Afrodite con la bellezza .
Per prima cosa dunque dimmi chi sei quanto alla stirpe.                                                           460
Dioniso Nessun vanto: è facile dire questo.
Il fiorito Tmolo forse lo conosci per averne sentito parlare.
Pen. So, è quello che cinge a cerchio la città dei Sardi.
Dio. Sono di lì, e la Lidia è la mia patria.
Pe. E come mai introduci in Grecia questi riti? 465
Dio. Dioniso mi ha mandato, il figlio di Zeus.
Pen. C’è uno Zeus da quelle parti che genera nuovi dèi?
Dio. No, ma è quello che si è unito in nozze qui, con Semele.                                                
Pen. Ti ha costretto di notte oppure in un faccia a faccia?
Dio. Guardando me che lo guardavo mentre mi affida i suoi riti.                                           470
Pen.  E questi riti quale carattere hanno per te?                                                                           
Dio. Sono arcani alla conoscenza dei mortali non iniziati ai misteri di Bacco
Pen. Hanno una qualche utilità per coloro che li celebrano?
Dio. Non è lecito che tu lo sappia, ma sono riti che vale la pena conoscere.
Pen. Hai falsificato bene questa storia, affinché io voglia ascoltare.                                    475
Dio. I riti del dio detestano chi pratica l’empietà.
Pen. Dal momento che dici di avere visto con chiarezza il dio, com’era?
Dio. Come voleva: non ero io a disporre questo.
Pen. Hai astutamente deviato di nuovo questo discorso, senza dirmi nulla.
Dio. A chi non capisce, uno che dice cose sagge sembrerà non essere in senno.                            480
Pen. Sei venuto qui a portare il dio come prima tappa?
Dio. Ognuno tra gli stranieri celebra con danze questi riti.                                                      
Pen. Infatti capiscono molto meno dei Greci.
Dio. In questo, almeno, di più: piuttosto sono differenti i costumi.
Pen. I riti li celebri di notte o di giorno?                                                                                            485
Dio. Per lo più di notte: la tenebra ha qualcosa di sacro.                                                           
Penteo Questo riferito alle donne significa inganno e vizio .
Dio. Anche di giorno uno potrebbe trovare della turpitudine.
Pen. Tu devi pagare il fio dei tuoi sofismi malvagi.                  
Dio. Tu piuttosto quella della tua incapacità di comprendere poiché sei empio verso il dio. 490
Pen. Com’è temerario il baccante e non inesperto di discorsi.
Dio. Dimmi che cosa devo subire: che cosa di tremendo mi farai?
Pen. Prima di tutto ti taglierò quel ricciolo delizioso
Dio. La mia chioma ricciuta è sacra: per il dio la faccio crescere.
Pen. Poi consegna questo tirso dalle tue mani. 495
Dio. Tu stesso toglimelo: questo che porto è di Dioniso.                                                          
Pen. Dentro la prigione custodiremo il tuo corpo.
Dio. Il dio stesso mi libererà, quando e se io lo voglio.
Pen. Certo, quando e se tu lo convochi, stando ritto tra le baccanti.
Dio. Anche ora è qui presente e vede quello che patisco.                                                         500
Pen. E dov’è? poiché non è manifesto, almeno ai miei occhi.                                                
Dio. Qui da me, ma tu non lo vedi, perché sei empio                                                 
Pen. Afferratelo! Costui disprezza me e Tebe.
Dio. Ordino di non legarmi io che capisco a voi che non capite.                                             
Pen. E io, invece, di legarti:  ho più potere  di te. 505
Dio. Non sai che vita vivi, né quello che fai, né chi sei.
Pen. Penteo, figlio di Agave e mio padre è Echione.
Dio. Sei adatto a essere un disgraziato secondo il nome.                                                         
Pen. Vattene: rinchiudetelo nelle vicine greppie
dei cavalli, perché veda il buio tenebroso.                                                                                      510  
Fai là le tue danze: queste che vieni a portare qui,
complici di misfatti, o le venderò,
oppure le terrò come serve ai telai dopo aver staccato
la loro mano da questo frastuono e dal fracasso della pelle.
Dio. Posso andare: infatti ciò che non è destino non è certo necessario                                            515
patire. Ma di certo  il prezzo di questi  oltraggi te
lo farà pagare Dioniso del quale tu dici che non esiste;
infatti infliggendo ingiustizia a noi tu porti in carcere quello.

Secondo Stasimo vv. 519-575

Str. Figlia di Acheloo,
signora e bella vergine Dirce, 520
tu infatti una volta nelle tue acque
accogliesti il figlio di Zeus,
quando Zeus il genitore lo strappò
con la coscia al fuoco immortale
gridando così : 525
Vieni, Ditirambo, entra
in questo mio maschio grembo:
io ti rivelo a Tebe, o Bacco,
perché ti chiami così.
Ma tu, o beata Dirce, 530
respingi me che guido intorno a te
tiasi incoronati.
Perché mi rifiuti? Perché mi fuggi?
Ancora, sì,  per la gioia a grappoli della vite di Dioniso, 535
ancora ti importerà di Bromio.                                                                                                              

Antistr. Quale quale ira                                                                                                                            
rivela la razza
tellurica nata dal drago
una volta, Penteo che Echione 540
tellurico generò,
mostro dallo sguardo feroce, non
uomo umano, ma sanguinario
come un gigante che si oppone agli dèi;                                                                                          
lui che nei lacci presto 545
stringerà me, la compagna di Bromio,
mentre tiene già dentro il palazzo
il principe del mio tiaso
nascosto in un carcere tenebroso.
Vedi questo, o figlio di Zeus, 550
Dioniso, chi ti preannuncia
in lotta con la necessità?                                                                                                         
Vieni, scuotendo l’aureo tirso,
signore, giù dall’Olimpo,
reprimi la violenza dell’uomo sanguinario.                                                                                     555

Epodo
In quale parte del Nisa dunque nutrice
di fiere tu guidi i tiasi col tirso,
o Dioniso, oppure sulle vette Coricie?
O forse  nelle incavate valli
fitte di alberi dell’Olimpo, dove 560
una volta Orfeo suonando la cetra
radunava gli alberi con il canto,
radunava le belve feroci.                                                                                                                        
Beata o Pieria, 565
l’Evio ti onora, e verrà
a farti danzare con
le feste di Bacco, e
guiderà le Menadi vorticose
attraversando l’Assio dalla rapida corrente,                                                                                    570
e il Ludia padre di felicità
per i mortali, dispensatore di benessere,  di cui sentii dire
che impingua con le sue bellissime acque
una terra dai cavalli belli .                                                                                                                   575

Terzo Episodio: vv. 576-861

Dioniso Iò,
udite la mia voce udite,
iò baccanti, iò baccanti.
Coro Chi è questo, chi, da dove mi ha chiamato
 il grido del dio Evio?
Dio. Iò iò, di nuovo io chiamo, 580
il figlio di Semele, il figlio di Zeus.                                                                                      
Co. Iò iò signore signore,
vieni dunque al nostro
tiaso, o Bromio Bromio.
Dio. Scuoti il suolo del paese, Scossa possente! 585
Co. Ah! Ah !,
Presto la reggia di Penteo
crollerà in rovina.
C’è Dioniso  nella reggia:
veneratelo. Lo veneriamo oh! 590
vedete questo architrave di marmo
che scorre sulle colonne? C’è Bromio qui
che grida vittoria dentro la casa.                                                                                                          
Dio. Accendi la splendente fiamma del fulmine:
incendia, incendia la reggia di Penteo.                                                                                              595
Co. Ah! ah!
il fuoco non lo vedi e non lo guardi,
intorno a questa sacra tomba di Semele, la fiamma
che una volta ella lasciò colpita dal fulmine
della tempesta tonante di Zeus?
Gettate a terra i corpi frementi, 600
gettateli, Menadi: infatti il signore
figlio di Zeus assale
mettendo sottosopra questa reggia.
                                                                                                             
604-641 Dialogo tra Dioniso e le Baccanti 604-641 tetrametri trocaici catalettici

Dio. Donne straniere, così sconvolte dal terrore
siete cadute a terra? Vi siete accorte, a quanto sembra, di Bacco 605
che ha sconquassato la reggia di Penteo; avanti sollevate
il corpo e fatevi coraggio, superato il tremito della carne.                                                       
Co. O luce suprema per noi dell’evio baccanale,
come ti ho visto con piacere, nella mia solitudine deserta.                                                     
Dio. Siete arrivate a scoraggiarvi, quando venivo messo dentro, 610
perché finissi nelle buie carceri di Penteo?                                                                                    
Co. Come no? chi mi avrebbe protetto se ti fosse toccata                                                        
una sventura?
Ma come ti sei liberato, dopo essere incappato nell’uomo empio?
Dio. Io ho salvato me stesso da solo senza sforzo.
Co. Ma non ti legò le mani in lacci che incatenano?                                                                     615
Dio. Anche in questo l’ho maltrattato: mentre credeva di incatenare me,
non mi ha toccato né afferrato, ma si pasceva di speranze.
Avendo trovato un toro vicino alle greppie, dove mi aveva portato e rinchiuso,
era a questo che gettava lacci intorno alle ginocchia e agli zoccoli dei piedi,                  
soffiando rabbia, gocciando sudore dal corpo, 620
mordendo le labbra; io stando vicino
tranquillo lo osservavo mentre ero seduto. In questo frattempo                                                         
Bacco arrivato scosse la reggia e ravvivò il fuoco
sulla tomba della madre: quello come lo vide, credendo che andasse a fuoco la reggia,           
si muoveva agitato qua e là, ordinando ai servi di portare 625
acqua, ed ogni servo era all’opera, affaticandosi invano.                                                         
Lasciata poi questa fatica, pensando che io fossi fuggito,
si lancia, afferrata la nera spada, dentro la reggia.
E allora Bromio, come mi sembra, dico la mia opinione,
formò un fantasma nel cortile: e lui balzato su questo 630
 si avventava e colpiva l’aria fiammeggiante, pensando di sgozzare me.                                           
Oltre a ciò Bacco gli infligge quest’altra rovina:
schiantò il palazzo a terra: ed è andato completamente distrutto
davanti a lui che si rendeva conto  di quanto fossero amari i lacci miei; e per la penosa fatica
lasciata cadere la spada si è accasciato: infatti essendo uomo ha osato 635
venire a battaglia con un dio. Io, uscito tranquillo
dalla reggia, sono venuto da voi senza curarmi di Penteo.                                                       
A quanto mi sembra-fa rumore infatti lo stivale dentro la casa-
presto sarà qui alla porta. Cosa mai dirà ora, dopo questo?
In effetti lo prenderò tranquillamente, anche se viene spirando tempesta. 640
Infatti è da uomo saggio praticare assennata mitezza.                                                               

Penteo
Mi sono capitate cose tremende: mi è sfuggito lo straniero,
che poco fa era stretto in catene.
Ea ea.
E’ qua l’uomo. Che succede? Come mai appari 645
qui davanti, di fronte al mio palazzo, dopo esserne venuto fuori?
Dio. Ferma il piede, e sotto l’ira metti un piede tranquillo.
Pen. Come vieni fuori tu, dopo esserti liberato dalle catene?
Dio. Non te l’avevo detto, oppure non mi hai sentito, che qualcuno mi avrebbe liberato?
Pent. Chi? infatti introduci sempre storie nuove. 650
Dio. Quello che fa crescere la vite dai molti grappoli per i mortali.
Pen.…………………………………………………………..
Dio. Hai rinfacciato a Dioniso proprio questo che ha di bello                                                     
Pen. Ordino di chiudere ogni porta turrita nel giro delle mura.
Dio. E che? non scavalcano anche le mura gli dèi?
Pen. Sapiente sei sapiente tu, tranne in quello in cui devi essere sapiente. 655
Dio. In quello in cui bisogna esserlo al massimo grado, in questo, io sì che sono sapiente.      
Prima di tutto ascolta e  intendi le parole di quello
che è giunto dal monte per portarti notizie;
noi resteremo qui vicino a te, non fuggiremo.                                                                              

Messo Penteo, signore di questa terra tebana,  660
sono giunto avendo lasciato il Citerone, dove mai
cessano gli scintillanti bagliori della bianca neve.
Pen. Vieni ad aggiungere quale gravità di notizia?
Me. Poiché ho visto le baccanti venerande, che, nel furore
lanciarono fuori da questo territorio il candido piede.                                                               665
Sono giunto perché devo riferire a te signore e alla città,
che fanno cose terribili e superiori ai prodigi.
Ma voglio sentire se posso riferire
con libertà  i fatti di là oppure se trattenere la parola;
infatti io temo l’impeto del tuo animo, signore, 670
e l’irascibilità e il regio potere eccessivo.
Pen. Parla, poiché da parte mia rimarrai in ogni caso impunito.
Infatti non bisogna adirarsi con i giusti.
Ma quanto più terribili saranno le cose che tu dirai sulle Baccanti
tanto più duramente inchioderemo alla giustizia costui
che ha suggerito alle donne le sue arti. 675

Me. Poco tempo fa spingevo al pascolo verso l’alta vetta
del monte le mandrie dei bovini, quando il sole
manda i raggi di luce a scaldare la terra.
Allora vedo tre gruppi di schiere  femminili,                                                                   680
di una delle quali era a capo Autonoe, della seconda
la madre tua Agave, della terza schiera Ino.
Dormivano tutte, rilassate nei corpi,                                                                                  
alcune appoggiate di schiena alla fronda di abete, 685
altre invece posato il capo casualmente in terra
sulle foglie di quercia con compostezza e non andavano, come tu dici,
a caccia di Venere appartate sotto la selva
ebbre di vino del cratere e del frastuono del flauto.                                                                  
La madre tua  gridò, drizzatasi  in mezzo alle baccanti, di scuotere il corpo dal sonno, 690
come udì il muggito dei cornigeri buoi.
E quelle, cacciando dagli occhi il sonno profondo
balzarono su ritte, meraviglia a vedersi di compostezza,
giovani e vecchie e vergini ancora non accoppiate.                                                                     
E innanzitutto si lasciarono cadere le capigliature sulle spalle 695
e si tirarono su le nebridi tutte quelle cui il legame
dei nodi si era sciolto, poi le pelli maculate
si cinsero con serpi che leccavano le guance.                                                                 
Altre, tenendo tra le braccia un capriolo
o cuccioli selvatici di lupi davano il bianco latte,                                                                           700
quante, fresche di parto, avevano la mammella ancora turgida
e avevano lasciato i bambini. Poi si posero sulla testa corone
di edera e di quercia e di smilace fiorito.
E una afferrato il tirso lo batté su una roccia,
da dove sprizza una rugiadosa sorgente d’acqua; 705
un’altra spinse nel suolo la verga, giù dentro la terra
e lì il dio fece zampillare una fonte di vino;
e quante avevano desiderio di bianca bevanda,
graffiando la terra con la punta delle dita
ottenevano zampilli di latte; e dai tirsi 710
avvolti di edera stillavano dolci fiotti di miele.                                                                             
Sicchè, se tu fossi stato presente, il dio che ora biasimi
avresti supplicato con preghiere, vedendo questi miracoli.
Allora ci riunimmo noi bovari e pastori,
per dare gli uni agli altri una contesa di parole che riguardavano tutti 715
come compissero atti straordinari, degni di meraviglia.                                                           
E un vagabondo della città, uno consumato nei discorsi
disse a tutti: “o voi che abitate i sacri
pascoli dei monti, volete che andiamo a caccia
di Agave la madre di Penteo e la togliamo 720
dalle orge e facciamo cosa gradita al re?” A noi sembrò
che dicesse bene, e ci appostavamo  nascosti
nel fogliame dei cespugli; e quelle all’ora
fissata agitavano il tirso al baccanale,
invocando Iacco il figlio di Zeus, Bromio,  725
con un gridare unanime: tutto baccheggiava il monte
e le fiere, e non c’era nulla che non fosse mosso alla corsa.                                                   
Ma ecco che Agave è già con un balzo vicina a me:
ed io saltai fuori con l’intenzione di trascinarla via,
lasciato il cespuglio dove tenevo nascosto in agguato il mio corpo. 730
Quella allora gridò: “O veloci mie cagne,
siamo braccate da questi uomini: avanti seguitemi,
seguite armate di tirsi nelle mani”.                                                                                                    
Noi allora fuggendo evitammo
lo sbranamento delle baccanti, ed esse si avventarono 735
sulle giovenche che pascevano l’erba con mano priva di ferro.
E avresti visto una che teneva tra le mani divisa in due
una giovenca dalle floride mammella mentre muggiva,                                                           
altre facevano a pezzi le vitelle sbranandole.
Avresti visto i fianchi o zoccoli biforcuti 740
scagliati su e giù: e pezzi appesi
gocciolavano giù dagli abeti intrisi di sangue.
Tori feroci  che prima infuriavano  al cozzo delle corna
venivano atterrati con il corpo,
trascinati da migliaia di mani di ragazze.                                                                                           745
E  venivano dilaniati  nei rivestimenti di carne  più in fretta
di quanto tu potresti  stringere le palpebre sulle regali pupille.
Poi si muovono, come uccelli levatesi in corsa
per le distese dei campi, che lungo le correnti dell’Asopo
producono la rigogliosa messe dei Tebani; 750
quindi, piombate come nemici su Isia ed Eritre,
che occupano la base della montagna del Citerone                                                                    
tutto mettevano sottosopra;
rapivano i bambini dalle case;
e quanto si posero sulle spalle, non ci rimaneva attaccato 755
per opera di legami né cadeva sul nero suolo,
né bronzo, né ferro; inoltre sui riccioli
portavano il fuoco, e non bruciava. Quelli spinti dall’ira,
poiché saccheggiati dalle Baccanti, correvano alle armi;
allora era possibile vedere uno spettacolo terribile, signore. 760                                       
Agli uni infatti non si macchiava di sangue la lancia appuntita,
quelle invece lanciando i tirsi dalle mani
ferivano e volgevano in fuga
loro donne degli uomini, non senza qualcuno degli dèi.                                                          
Poi andavano di nuovo nel luogo da dove mossero il piede, 765
alle fonti stesse che il dio aveva fatto sgorgare per loro.
Si detersero il sangue, mentre le serpi con la lingua
togliendo le gocce dalla pelle delle guance la rendevano lucida.
Questo dio dunque chiunque egli sia, signore,
accoglilo in questa città: poiché per il resto è grande, 770
e questo dicono di lui, per come ne sento:
ha donato ai mortali la vite che fa cessare gli affanni.
E quando non c’è più il vino, non c’è Cipride
né più alcun altro piacere per gli uomini.                                                                                        

Co.  Ho paura di fare discorsi liberi 775
al tiranno, ma tuttavia verranno detti;
Dioniso non è per natura inferiore a nessun dio.                                                                         

Pen. Oramai  è qui vicino che questa violenza delle Baccanti
divampa come fuoco, motivo di biasimo grande di fronte ai Greci.
Ma non si deve indugiare: vai di corsa alla porta                                                                           780
di Elettra: ordina che tutti gli opliti si presentino all’adunata
e quelli che montano i cavalli dai piedi veloci
e quanti maneggiano gli scudi leggeri e degli archi con la mano
fanno vibrare le corde, per fare una spedizione
contro le baccanti: non se ne può più, infatti passa la misura questo, 785
se continueremo a subire per mano di donne quello che subiamo.                                    
Dio. Non dai retta per niente, pur ascoltando le mie parole,
Penteo: e mentre da parte tua subisco del male, tuttavia
dico che tu non devi alzare le armi contro un dio,
ma stare tranquillo: Bromio non tollererà 790
che tu cacci le baccanti dai monti dell’evoè.                                                                                  
Pen. Smettila di darmi consigli, e piuttosto, sfuggito ai ceppi
cercherai di conservare questa libertà? oppure  devo ricondurti alla pena? 
Dio. Io gli farei sacrifici piuttosto che in preda alla furia
recalcitrare allo sprone di un dio, essendo un mortale.                                                             795
Pen. Offrirò in sacrificio,  una strage, appunto,  di femmine, come si meritano,
scatenando un grande sconvolgimento tra le valli del Citerone.
Dio. Fuggirete tutti: anche questo sarà turpe, volgere indietro
gli scudi di bronzo battuto davanti ai tirsi delle baccanti.
Pen. Ci siamo scontrati con questo straniero intrattabile                                                          800
che né subendo né agendo starà zitto.
Dio. Caro mio, è ancora possibile aggiustare questo scompiglio.
Pen. Facendo che cosa? servendo le mie serve?
Dio. Te le porterò qua io  le donne senza le armi.
Pen. Ahimé! questo è già una frode che tu macchini contro di me.                                      805
Dio. Quale mai, se voglio salvarti con le mie arti?
Pen. Vi siete messi d’accordo per questo, per fare orge bacchiche sempre.
Dio. Sì appunto, mi sono messo d’accordo - è così - con il dio.
Pen. Portatemi qua fuori le armi, e tu smettila di parlare.
Dio. Ehi,  810
vuoi vederle a consesso  nei monti?                                                                   
Pen. Certo e pure dando una quantità smisurata di oro.
Dio. Perché sei caduto in gran desiderio di questo?
Pen. E’ con dolore che le vedrei avvinazzate.                                                                 
Dio. Tuttavia vedresti con piacere ciò che per te è amaro? 815
Pen. Certamente, però seduto in silenzio sotto i pini.
Dio. Ma ti rintracceranno, anche se tu ci arrivi di nascosto.
Pen. Allora a viso aperto: infatti hai detto bene questo.
Dio. Dunque dobbiamo guidarti e vuoi metterti per strada?
Pen. Conducimi al più presto: non ti concedo del tempo.                                                         820
Dio. Indossa dunque sulla pelle  vesti di lino finissimo.
Pen. Che significa questo? Da uomo devo essere censito tra le donne ?
Dio. Perché non ti uccidano se ti fai vedere là come uomo.
Pen. Ben detto anche questa volta: sei come uno sapiente da molto tempo!
Dio. Dioniso mi ha insegnato questo.                                                                                 825
Pen. Come dunque potrebbe avvenire quello che tu mi consigli bene?
Dio. Sarò io ad abbigliarti dopo essere entrato nel palazzo.
Pen. Quale abbigliamento? Forse da femmina? Ma la vergogna mi trattiene.
Dio. Non sei più bramoso di osservare le menadi?
Pen. Ma quale abbigliamento dici di mettere addosso al mio corpo?                                  830
Dio. Intanto distenderò lunga la chioma sul tuo capo.
Pen. E il secondo pezzo del mio ornamento?
Dio. Pepli lunghi fino ai piedi: e sul capo ci sarà la mitra.                                                         
Pen. Oltre questo mi metterai addosso dell’altro?
Dio. Certo: un tirso in mano e una screziata pelle di cerbiatto. 835
Pen. Non potrei indossare una veste femminile.
Dio. Ma tu verserai del sangue attaccando battaglia con le baccanti.
Pen. Giusto: bisogna prima andare in esplorazione.
Dio. Certo è più saggio che andare a caccia di mali con mali.                                                   
Pen. E come andrò attraverso la città senza farmi vedere dai Cadmei? 840
Dio. Andremo per vie deserte: ed io sarò la tua guida.                                                              
Pen.  Tutto è preferibile purché non ridano di me le baccanti.
Entrati nel palazzo… deciderò io quello che parrà opportuno.
Dio. Va bene: per quanto mi riguarda tutto è pronto.
Pen. Posso avviarmi: in effetti  marcerò con le armi                                                                    845
oppure darò retta ai tuoi consigli.
Dio. Donne, l’uomo incappa nella rete. 848
andrà tra le baccanti, dove pagherà il fio morendo. 847
Dioniso, ora è affar tuo: infatti non sei lontano:
facciamogliela pagare. Per prima cosa fallo uscire di senno,                                                    850
infondendogli una follia non violenta: poiché, se è in senno,
temo che non voglia indossare una veste da donna,
mentre uscendo di senno la indosserà.                                                                                            
Voglio che lui debba far ridere i Tebani
portato in giro per la città con aspetto di femmina 855
dopo le minacce di prima, per le quali era terribile.
Ma vado per applicare a Penteo l’acconciatura
presa la quale lui scenderà nell’Ade trucidato
dalle mani della madre: riconoscerà il figlio di Zeus
Dioniso, che è per natura un dio in pieno, 860
il più terribile per gli uomini  e il più mite .                                                                                    

III Stasimo: vv. 862-910

Str. Nelle danze dunque che durano tutta la notte
finalmente porrò il bianco
piede in preda al furore bacchico, lanciando
la gola verso l’aria rugiadosa, 865
come una cerbiatta che gioca
tra i verdi piaceri di un prato,
quando sia sfuggita alla spaventosa
caccia, fuori dall’appostamento,
sopra le reti bene intrecciate, 870
e il cacciatore aizzando con grida
esaspera la corsa dei cani;                                                                                                                      
e con fatiche e tempeste dalle corse
veloci salta per la pianura
lungo il fiume, godendo
dei luoghi deserti dagli uomini  e dei 875
virgulti della selva dall’ombrosa chioma.                                                                                        

Efimnio Che cosa è il sapere ? o quale premio
più bello da parte degli dèi tra i mortali
che tenere la mano vittoriosa
sulla testa del nemico?  880
Ciò che è bello è sempre caro.                                                                                                              

Ant. Si muove lentamente, ma comunque
è sicura la forza
divina: corregge tra i mortali
quelli che onorano la stoltezza
e non glorificano la potenza degli dèi
con folle opinione.                                                                                                                     
Essi celano abilmente
il lungo passo del tempo
e danno la caccia all’empio. Infatti 890
non bisogna mai pensare e praticare
nulla che superi le tradizioni.                                                                                                
Leggera spesa infatti è credere
che abbia forza questo
cioè il divino qualunque esso mai sia,
e ciò che in un lungo tempo è conforme alle usanze 895
di sempre ed è fondato sulla natura.

Efimnio Che cosa è il sapere? o quale premio
più bello da parte degli dèi tra i mortali
che tenere la mano vittoriosa
sulla testa del nemico?
Ciò che è bello è sempre caro.                                                                                                            900

Epodo Felice colui che fuori dal mare
sfuggì alla tempesta, e raggiunse il porto;
felice quello che riuscì al di sopra
degli affanni; in vario modo uno supera 905
l’altro per felicità e potenza.                                                                                                 
Innumerevoli ancora per gli innumerevoli
sono le speranze: quelle che
si compiono nella prosperità
per i mortali, quelle che svaniscono;
quello la cui esistenza è felice 910
giorno per giorno, chiamo beato.                                                                                                        

Quarto Episodio: vv.  912-976

Dio. A te che sei desideroso di vedere ciò che non si deve
e che corri dietro a cose spregevoli, a te Penteo dico,
esci qui fuori davanti alla reggia, fatti vedere da me,
con l’abbigliamento da donna, di una forsennata baccante 915
spia della madre tua e della schiera;
assomigli per aspetto a una delle figlie di Cadmo.
Pen. Eppure mi sembra di vedere due soli,
e doppia anche Tebe la città dalle sette porte;                                                                             
e un toro mi sembri tu che davanti fai da guida 920
e che sul capo ti siano spuntate le corna.
Ma tu una volta eri una bestia? Infatti di certo ti sei trasformato in  toro.                         
Dio. Il dio ci accompagna, prima non era benevolo,
ora ci è alleato; e ora tu vedi quello che devi vedere.                                                                
Pen. Come ti sembro allora? Non è vero ti sta davanti  925
Il portamento di Ino o quello di Agave, la madre mia appunto?
Dio. Vedendo te mi sembra di vedere proprio quelle.
Ma questo ricciolo ti sta fuori posto,
non come te l’ho aggiustato io sotto la benda.
Pen. Là dentro, agitandolo in avanti e  agitandolo in su 930
e facendo la baccante, l’ho fatto andare fuori posto.                                                                 
Dio. Ma saremo noi, cui sta a cuore prenderci cura di te,
a riaggiustarlo: su, raddrizza il capo.
Pen. Ecco, mettimi in ordine tu: a te infatti siamo consacrati.                                                
Dio. La cintura ti si è allentata e le pieghe del peplo 935
non sono ben tese fin sotto le tue caviglie.
Pen. Anche a me sembra, almeno sul piede destro;
da questo lato invece sta bene il peplo sul tendine.                                                                  
Dio. Certamente mi riterrai il primo dei tuoi amici
quando, contro quello che pensi, giudiziose vedrai le baccanti. 940
Pen. Impugnando il tirso con la mano destra
o con questa assomiglierò di più a una baccante?
Dio. Nella mano destra, e insieme  , bisogna
sollevarlo: ti approvo poiché sei uscito dal tuo pensiero.                                                        
Pen. Potrei portare sulle mie spalle le balze 945
del Citerone con le stesse baccanti?
Dio. Lo potresti, se lo volessi: prima non avevi pensieri
sani, ora li hai come devi averli.                                                                                                           
Pen. Dobbiamo portare delle leve? oppure devo estrarlo con le mani
dopo aver messo le spalle o le braccia sotto le cime?                                                                 950
Dio. Però non distruggere i santuari delle  Ninfe
e le sedi di Pan dove suona lo zufolo.
Pen. Hai detto bene: non con la forza bisogna vincere
le donne: tra gli abeti nasconderò il mio corpo.
Dio. Ti nasconderai in un nascondiglio nel quale bisogna che tu sia nascosto, 955
giunto come spia ingannevole delle menadi.                                                                
Pen. Già mi sembra di vederle, come uccelli nei cespugli,
avvinte nei dolcissimi lacci dei letti.
Dio. Appunto è proprio per questo che vai a spiarle :
le coglierai forse, se non sei colto tu prima. 960
Pen. Conducimi in mezzo alla terra tebana;
infatti tra loro io sono l’unico maschio che osa questo.                                                             
Dio. Da solo ti affatichi per questa città, tu solo:                                                                          
perciò ti attendono quelle prove che erano necessarie.
Seguimi ora: io sono la guida per la salvezza, 965
di lì ti ricondurrà un altro.                                                                                                        
Pen.
Certo quella che mi ha generato.                                                                                                        
Dio.
E sarai un emblema per tutti.
Pen.
Per questo vado.
Dio.
tornerai trasportato…
Pen.
Dici del mio fasto.
Dio.
Nelle mani della madre.
Pen.
Mi costringerai a vivere mollemente.
Dio.
Appunto tali mollezze.                                                                                                                               
Pen.
Mi toccano cose di cui sono degno.                                                                                      970
Dio. Tremendo, tu sei tremendo e ti muovi verso tremende sofferenze,
tanto che troverai una fama che si fissa nel cielo.                                                                        
Tendi, Agave, le mani, e voi consanguinee
figlie di Cadmo: questo giovane conduco
a una grande gara, e chi la vincerà sarò io 975
e sarà Bromio. Il resto lo mostrerà l’evento .

Quarto Stasimo 977-1023

Coro
Str. Andate veloci cagne di Lyssa andate  sul monte,                                                                  
dove le figlie di Cadmo tengono un tiaso,
assillatele
contro quello travestito da donna, 980
la furiosa spia delle menadi.
La madre per prima  lo vedrà spiare
da una nuda roccia
o da un picco, e alle menadi griderà:
“Chi è questo inquisitore delle donne Cadmèe 985
accorrenti sulla montagna,
costui al monte al monte è venuto,
è venuto, baccanti? Chi mai lo ha partorito?
Infatti non da sangue
Di donne è nato, ma di una leonessa
Costui è prole o di Gorgoni libiche”.  990                                                                                           

Efimnio Venga giustizia manifesta, venga armata di spada
ad ammazzare trapassandogli la gola
l’uomo senza dio, senza legge, senza giustizia, figlio  995
di Echione, nato dalla terra.                                                                                                   

Ant. Egli che con mente ingiusta e con ira empia
contro i riti tuoi, o Bacco, e della madre tua,
con mente folle 1000
e con demente arroganza si avvia                                                                                                       
per prevalere con la violenza sull’invincibile.
Una morte implacabile è monito
per le menti verso le cose degli dèi:
rimanere nell’umano  è una vita senza dolore.
Il sapere non lo invidio.                                                                                                                 1005
Mi piace  ricercare; ma altri sono i beni grandi
e manifesti: oh vorrei che la vita scorresse verso la bellezza,
giorno e notte essere pio
mantenendo la purezza, onorare gli dèi
respingendo le norme estranee alla giustizia.                                                                                1010

Efimnio Venga giustizia manifesta, venga armata di spada
ad ammazzare trapassandogli la gola
l’uomo senza dio, senza legge, senza giustizia, figlio  1015
di Echione, nato dalla terra.                                                                                                   

Epodo Appari come toro o drago dalle molte teste
a vedersi, o leone che si manifesti fiammeggiante.
Vieni, o Bacco, e con volto irridente 1020
getta il laccio mortale intorno
al cacciatore di Baccanti
che cade sotto l’armento
delle menadi.

Quinto Episodio: vv. 1024-1152

Messo B
O casa che prima, una volta, avevi successo                                                    
Nell’ Ellade, casa del vecchio Sidonio che nella terra 1025
 seminò la messe del drago, il serpente, nata dalla terra
come ti compiango, pur essendo un servo, ma comunque,
<per i buoni servi sono disgrazie quelle dei padroni>.
Co. Che cosa c’è? Cosa riveli di nuovo dalle Baccanti?
Me. E’ morto Penteo, il ragazzo di Echione, il padre.                                                   1030
Corifea O signore Bromio, tu ti riveli un dio grande.
Me. Come dici? Che cosa è questo che hai detto? Gioisci forse,
donna, per i miei signori che stanno male?
Cor. Sono straniera e grido evoè con canti non greci:
infatti non mi rintano più per paura delle catene.         1035                                                    
Me. E tu consideri Tebe così priva di uomini…
………………………………………………
Co. Dioniso Dioniso, non Tebe
ha potere sulla mia persona!                                                                                                 
Me. Ti si può capire, solo che non è bello,
donna, gioire dei mali perpetrati.                                                                                                      1040
Cor. Raccontami, dimmi subito: di quale morte muore
l’uomo ingiusto mentre trama opere ingiuste?

Me. Lasciate le dimore di questa terra tebana,
dopo avere oltrepassato  le correnti dell’Asopo,
assalivamo la rupe del Citerone 1045
Penteo ed io-infatti seguivo il padrone-
e lo straniero che ci guidava a vedere lo spettacolo.                                                                  
Prima dunque ci fermiamo in una valle erbosa,
conservando il silenzio dai piedi e
dalla lingua, per vedere senza essere visti. 1050
C’era una gola montana dirupata, irrigata dall’acqua,                                                                
 nascosta nell’ombra dei pini, dove le menadi
sedevano con le mani impegnate in piacevoli fatiche.                                                              
Infatti alcune di loro incoronavano il tirso
spoglio, in modo che fosse di nuovo chiomato di edera; 1055
altre, come puledre liberate dai gioghi variopinti,
intonavano a voci alterne un canto bacchico.                                                                 
Penteo il disgraziato poiché non vedeva la turba femminile,
disse queste parole: “O straniero, qui dove ci siamo messi
non raggiungo con gli occhi menadi corrotte; 1060
ma salito su rilievi, su un alto abete,
potrei vedere con esattezza l’oscena condotta delle menadi”.                                                             
Da questo momento, ormai, vedo il prodigio dello straniero:
infatti, afferrata la cima di un ramo di un abete che toccava il cielo
lo tirava giù, lo tirava, tirava fino alla nera terra: 1065
si curvava come un arco o in cerchio come una ruota
disegnata col compasso trascina la sua corsa dal moto circolare.
Così lo straniero, tirando con tutte e due le mani il ramo montano
lo piegava fino a terra, compiendo atti non da mortali.                                                             
Fatto sedere Penteo sui rami d’abete, 1070
lasciava drizzarsi la pianta  tra le mani in alto
senza scosse, badando che non lo disarcionasse,
e dritta si fissava nel cielo di sopra,
con il mio signore seduto sul dorso;
e fu lui a essere visto più che vedere le menadi.                                                                          1075
Per quanto tempo infatti non era ancora visibile seduto là in alto,
e non era più possibile scorgere lo straniero,
una voce dall’etere, Dioniso, a fare
una congettura, gridò: “O ragazze,
vi porto quello che metteva in ridicolo voi,  me 1080
e le mie orge: avanti punitelo!”                                                                                                           
E mentre diceva questo, ecco che una luce
di sacro fuoco si levò tra cielo e terra.
Tacque l’aria e la valle boscosa teneva
in silenzio le foglie, e non avresti udito grido di belva.                                                              1085
Esse, non avendo ricevuto con le orecchie chiaramente la voce,
stettero dritte e portavano qua e là le pupille.
Egli allora le aizzò di nuovo: come ebbero inteso
 chiaro il comando di Bacco, le figlie di Cadmo
si lanciarono non inferiori ad una colomba in velocità 1090
correndo con corse concitate di piedi,
la madre Agave e le sorelle consanguinee
e tutte le Baccanti: e balzavano attraverso la boscosa valle
percorsa da torrenti pieni d’acqua e per i dirupi, furibonde per i soffi del dio.
Quando videro il mio signore seduto sull’abete, 1095
prima di tutto gettavano pietre scagliandole con forza
contro di lui, dopo essere salite su una rupe pari a torre,
inoltre veniva preso di mira con rami d’abete.                                                                              
Altre lanciavano per l’aria i tirsi
contro Penteo, disgraziato bersaglio; ma non lo raggiungevano.                                           1100
Infatti l’infelice afferrato dalla difficoltà sedeva
a un’altezza superiore alla loro brama.
Alla fine schiantando come folgori i rami di quercia                                                                   
cercavano di scalzare le radici con leve non di ferro.
Ma poiché non realizzavano il fine dei loro sforzi, 1105
disse Agave: “avanti, Menadi, afferrate il tronco
dopo esservi disposte in circolo, affinché possiamo                                                                   
prendere la bestia arrampicata, e non vada a rivelare le danze
segrete del dio”. Quelle allora avventarono sull’abete                                             
una miriade di mani e lo strapparono dal suolo; 1110
e Penteo seduto in alto, dall’alto gettato a terra,
precipita nel suolo  con infiniti gemiti: infatti
capiva di essere vicino alla rovina.
Per prima iniziò la madre, sacerdotessa dell’assassinio rituale,
e gli si getta addosso; lui allora si strappò dalla chioma                                                             1115
la mitra, affinché, riconosciutolo, non lo uccidesse
la disgraziata Agave, e dice, toccandole
la guancia: “guarda, sono io, madre, tuo figlio
Penteo, che partoristi nella casa di Echione:
abbi pietà, madre, di me e non uccidere 1120
il figlio tuo per i miei errori”.                                                                                                 
Quella allora, emettendo bava e roteando pupille
distorte, non intendendo quello che si deve intendere,
era posseduta da Bacco, e lui non poteva persuaderla.                                                             
Afferrata la mano sinistra con il braccio 1125
e facendo forza contro i fianchi del disgraziato,
gli strappò una spalla, non per forza propria,
ma un dio dava destrezza alle sue mani;                                                                                            
Ino intanto compiva l’opera dall’altra parte
lacerandogli le carni, e Autonoe e tutta la truppa 1130
delle Baccanti gli era sopra: era tutto un grido collettivo,
e mentre quello era lì che gemeva con quanto fiato gli restava,
loro urlavano grida di vittoria. Una portava via un braccio,
un’altra un piede con lo stivaletto calzato: erano nude
le costole per le lacerazioni: ognuna coperta di sangue                                                             1135
nelle mani giocava a palla con la carne di Penteo.                                                                       
Giace sparso il cadavere, un pezzo sotto le scabre
rupi, un pezzo tra il folto fogliame della selva,
non facile ricerca: il capo misero,
che la madre si trova a tenere tra le mani,                                                                                       1140
dopo averlo conficcato sulla punta del tirso come quella
di un leone montano, lo porta in giro per il Citerone,
lasciate le sorelle nelle danze delle menadi.
E viene avanti, fiera della sua caccia sventurata,
dentro queste mura, invocando Bacco, 1145
il compagno di caccia, il collaboratore della cattura,
il glorioso vincitore,  ma gli porta delle lacrime come  vittoria.
Io dunque me vado lontano da questa
disgrazia, prima che Agave ritorni a casa.                                                                                         
Essere equilibrati e venerare gli dèi  1150
è la cosa più bella: e credo che questo sia anche il comportamento
più saggio per i mortali che sanno metterlo in pratica.                                                              

Quinto Stasimo: vv. 1153-1164

Danziamo in onore di Bacco,
gridiamo la sciagura
di Penteo stirpe del drago:                                                                                                      1155
lui che prese la veste femminile
e la verga dal bel tirso,
sicura morte,
avendo un toro come guida della sciagura.

Baccanti Cadmee, 1160
voi terminaste il glorioso canto di vittoria
in un gemito, in lacrime.                                                                                                                         
Bella impresa gettare sul sangue
del figlio la mano grondante.                                                                                                 

Esodo vv. 1165-1392

Co. Ma, vedo Agave, madre di Penteo, 1165
che si precipita con occhi stravolti
verso la reggia, accogliete il corteo del dio dell’evoè.
Agave Baccanti dell’Asia. Co. Perché mi incalzi, oh…
Ag. Portiamo dai monti a casa un ciuffo di edera tagliato di fresco, 1170
caccia felice.                                                                                                                                  
Co. Vedo e ti accoglierò come compagna nel corteo.
Ag. Ho afferrato senza reti questo
giovane figlio di leone selvaggio:
come puoi vedere.
Co. Da quale luogo deserto? 1175
Ag. Il Citerone… Co. Il Citerone?
Ag. Lo ha disfatto.
Co. Chi fu quella che lo colpì? Ag. Mio è il primo onore.
Beata Agave sono glorificata nei tiasi.                                                                                1180
Co. Chi altra? Ag.  Di Cadmo…
Co. Che cosa di Cadmo? Ag. ... le figlie
dopo di me dopo di me colpirono
questa fiera: fortunata è questa caccia.
Co.………
Ag. Partecipa dunque al banchetto.
Co. A che cosa partecipo, sciagurata?                                                                                 
Ag. Il giovane vitello sotto un casco di morbidi crini 1185
fiorisce nella la guancia da poco tempo pelosa.
Co. Appare come una fiera selvaggia nella chioma .                                                                   
Ag. Bacco il cacciatore
abile abilmente aizzò contro questa 1190
fiera le menadi.                                                                                                                                           
Co. Il signore infatti è cacciatore.
Ag. Tu lodi? Co. Io lodo
Ag. Presto poi i Cadmei… 1194
Co. E di certo il figlio Penteo... Ag. ... loderà la madre,
perché ha preso questa preda di natura leonina.
Co. Straordinaria. Ag. straordinariamente
Co. Ne sei fiera? Ag. Gioisco,
di avere compiuto in questa caccia
imprese grandi, grandi e insigni.                                                                                                         
Co. Mostra allora, o disgraziata, ai cittadini 1200
la preda della vittoria che sei venuta a portare.                                                                            
Ag. O voi che abitate la città dalle belle torri della terra
tebana, venite a vedere questa spoglia,
di una fiera che abbiamo preso a caccia noi figlie di Cadmo,
non con giavellotti tessali muniti di cinghia, 1205
né con reti, ma con il vigore delle mani
dalle braccia bianche. E allora ci si deve vantare
e acquistare senza ragione gli strumenti degli armaioli?                                                          
Noi con la sola mano prendemmo questo,
e facemmo a pezzi le giunture della fiera, separando le membra.                                        1210
Dov’è il mio vecchio padre?  Venga qui vicino.
E Penteo mio figlio dov’è? Prenda e alzi
sul palazzo  gradini di scale connesse
per inchiodare sui triglifi questa testa
di leone che ho cacciato io, ed eccomi qui.                                                                                      1215

Ca. Seguitemi, portando il misero peso 
di Penteo, seguitemi, servi, davanti alla reggia
di Penteo, del quale, stremato da infinite ricerche io porto
questo corpo, dopo averlo trovato negli anfratti del Citerone
fatto a pezzi, e senza aver preso nessun pezzo                                                                              1220
nello stesso posto: giaceva sparso in una selva dove è difficile trovare.
Avevo sentito raccontare infatti da un tale dell’audacia delle figlie,
quando ero già rientrato dentro le mura della città
con il vecchio Tiresia, venuto via dalle Baccanti.
Poi, tornato indietro sul monte, riporto con me 1225
il figliolo ucciso dalle Menadi.                                                                                                              
Vidi quella che un giorno partorì Atteone
ad Aristeo, Autonoe, e Ino insieme
ancora tra la boscaglia in preda a frenesia le disgraziate,
qualcuno poi mi ha detto che Agave con passo da baccante      1230                                    
sta venendo qui, e non abbiamo udito parole vane:
infatti la vedo con chiarezza, e non è una vista felice.                                                
Ag. Padre, puoi darti grandissimo vanto                                                                                           
di aver seminato le figlie di gran lunga migliori
fra tutti mortali: tutte ho detto, ma  soprattutto me 1235
che, lasciate le spole sui telai,
sono arrivata ad atti più grandi: cacciare le fiere con le mani.                                                
E porto nelle braccia, come vedi, questo
trofeo che ho conquistato, perché venga appeso
sul tuo palazzo: e tu, o padre, accoglilo nelle tue mani; 1240
poi, orgoglioso per la mia preda,
invita gli amici a banchetto: felice infatti sei,
felice, poiché noi abbiamo compiuto tali imprese.                                                                     
Ca. O pena non misurabile e di qualità che non si può vedere,
poiché è un assassinio questo che avete compiuto con le vostre sciagurate mani.        1245
Proprio bella la vittima che hai abbattuto per gli dèi
e ora tu inviti a banchetto questa nostra Tebe e me.
Ahimé che sventure, prima tue e poi mie:
come il dio Bromio signore, giustamente ma troppo,
ci ha mandato in rovina, pur essendo della nostra famiglia! 1250
Ag. Com’è scontrosa per natura la vecchiaia degli uomini
e aggrottata negli occhi ! Oh se il figlio mio
diventasse bravo nella caccia, assimilato ai costumi della madre,
quando in compagnia dei giovani tebani
 inseguisse le fiere: ma quello è solo capace
di combattere gli dèi. Devi ammonirlo,  1255
padre. Chi va a chiamarlo qui, al mio
cospetto, perché veda me, la felice?                                                                                 
Ca. Ahi, ahi, dopo avere capito quali orrori avete compiuto
soffrirete una sofferenza terribile; se invece rimarrete  1260
fino alla fine in questo stato nel quale vi trovate,
pur non essendo fortunate, crederete di non essere sventurate.                                                        

Ag. Che cosa c’è che non va bene in questo o che cosa porta pena?
Ca. Per prima cosa lascia il  tuo occhio aperto qua al cielo.                                                      
Ag. Ecco: perché mi hai invitato a guardarlo? 1265
Ca. Ti sembra ancora lo stesso o che abbia dei cambiamenti?
Ag. Più luminoso e lucido di prima.
Ca.  Questo smarrimento è ancora presente nella tua anima?                                                               
Ag. Non intendo questo discorso. Ma in qualche modo rientro
in me,  sottratta ai pensieri di prima.                                                                                  1270
Ca. Potresti allora ascoltare in qualche modo e rispondere con chiarezza?
Ag. Come ho dimenticato quello che abbiamo detto prima, padre!
Ca. In quale casa sei entrata con i canti nuziali?
Ag. Mi hai data, a quanto dicono, al Seminato Echìone.
Ca. Quale figlio quindi nacque nella casa al tuo sposo?                                                              1275
Ag. Penteo, dall’unione mia e del padre.
Ca. Allora di chi porti il viso tra le braccia?
Ag. Di un leone, come almeno affermavano, le cacciatrici.                                                      
Ca. Ora osservalo bene: breve fatica è guardare.                                                                         
Ag. Ah, che vedo? Che cosa è questo che porto nelle mani? 1280
Ca. Osservalo con attenzione e riconoscilo con maggiore chiarezza.
Ag. Vedo un dolore grandissimo, sventurata me !
Ca. Ti sembra che assomigli a un leone?
Ag. No, ma la testa di Penteo tengo in mano disgraziata me
Ca. Sì il capo pianto prima che tu lo riconoscessi. 1285
Ag. Chi lo ha ucciso?  come è arrivato nelle mie mani?
Ca. Funesta verità, come ti presenti nel momento sbagliato!                                                
Ag. Parla, poiché il cuore ha dei sobbalzi per quanto avverrà.
Ca. Tu l’hai ucciso e le sorelle tue.
Ag. E dove è morto? In casa o in quali luoghi? 1290
Ca. Proprio dove in passato i cani fecero a pezzi Atteone.                                                       
Ag. E perché questo disgraziato venne sul Citerone?
Ca. Voleva schernire il dio e i tuoi riti bacchici, una volta giunto.
Ag. E noi in quale modo arrivammo là?
Ca. Eravate impazzite e tutta la città era posseduta da furore bacchico. 1295
Ag. Dioniso ci ha mandato in rovina: ora capisco.                                                                         
Ca. Sì, ma dopo che lui ha subito oltraggiosa empietà: infatti non lo consideravate un dio.
Ag. E il carissimo corpo di mio figlio dov’è, padre?
Ca. Io  porto questo che ho cercato con fatica.
Ag. Tutto ben connesso nelle giunture?                                                                                            1300
Ca. ……………………………………………….
Ag.  Ma quale parte  della mia follia riguardava Penteo?
Ca. Divenne simile a voi non venerando il dio.                                                                             
Infatti congiunse tutti in una sola rovina,
voi e questo qui, tanto da distruggere la casata
e anche me, che essendo privo di figli maschi,                                                                              1305
vedo ammazzato nella maniera più turpe e cattiva
 questo virgulto, o infelice, del tuo grembo,
cui la famiglia levava lo sguardo- tu che, o figlio, sostenevi
il mio tetto, o nato da mia figlia,
ed eri motivo di paura per la città: questo vecchio 1310
nessuno voleva oltraggiarlo vedendo la tua
persona: infatti gli avresti inflitto giusta punizione.
Ora verrò  cacciato senza onore dal palazzo
io Cadmo il grande, che seminai la stirpe
dei Tebani e ho mietuto una bellissima messe.                                                                             1315
O il più caro degli uomini – e infatti pur non essendoci più, ugualmente
sarai contato tra i più cari per me, creatura –
non più toccando questo mento con la mano,
abbraccerai chiamando per nome il padre di tua madre creatura,
e dicendo: “Chi ti offende, chi ti manca di rispetto o vecchio?                                                        1320
Chi ti turba il cuore dando tormento?
dimmelo, perché io punisca chi ti offende, o padre”.
Ora io sono un disgraziato e tu una sventurata,
madre da compiangere, e sventurate le sorelle.                                                                          
Se c’è chi disprezza gli dèi, considerando la morte di questo, creda negli dèi. 1325

Co. Soffro il tuo destino, Cadmo: ma  il figlio di tua figlia ha il castigo
che si merita, anche se è doloroso per te.
Ag. O padre, vedi la mia vita quanto è cambiata.                                                                           1329
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Dio. …………………………………………………..
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diventerai un drago con una metamorfosi, e tua moglie 1330
imbestiatasi, prenderà la forma di un serpente,
Armonia la figlia di Ares che tu ottenesti pur essendo mortale.                                            
Come dice l’oracolo di Zeus, tu condurrai con la sposa
un carro di buoi, a capo di genti barbare.
Molte città distruggerai con un immenso 1335
esercito: ma una volta devastato l’oracolo
del Lossia, avranno un ritorno all’indietro
infelice; Ares però salverà te e Armonia
ti farà vivere nella terra dei beati.                                                                                                      
Queste cose le dico io, Dioniso, che sono nato non da padre  1340
mortale ma da Zeus: se aveste saputo
essere saggi, quando non volevate, sareste felici
avendo come alleato il figlio di Zeus.                                                                                
Ca. Dioniso, ti preghiamo, abbiamo sbagliato.
Dio. Troppo tardi ci avete riconosciuti, e quando era necessario non volevate saperne. 1345
Ca. Questo lo abbiamo capito; ma tu punisci in maniera eccessiva.
Dio. E infatti io che sono un dio venivo oltraggiato da voi.
Ca. Non si addice agli dèi assimilarsi nell’ira ai mortali.                                                            
Dio. Da tempo Zeus il padre mio ha accordato questo.
Ag. Ahi è deciso, vecchio: sciagurati esilî.                                                                                         1350
Dio. Perché dunque indugiate di fronte alle cose che sono necessarie?
Ca. O figlia, siamo giunti a una terribile sciagura
<tutti>, tu l’infelice e le sorelle tue,
ed io lo sventurato: giungerò tra i barbari,                                                                                      
vecchio meteco: inoltre per me è prescritto da dio                                                                      1355
che conduca in Grecia un esercito barbaro misto.
E la figlia di Ares, Armonia, sposa mia,
dalla natura di dragonessa, condurrò quale drago
contro gli altari e le tombe dei Greci,
a capo di schiere armate di lancia: né avrò pausa  1360
dai mali, infelice, neppure dopo avere attraversato
l’ Acheronte scosceso diverrò tranquillo.                                                                                        
Ag. O padre, e io andrò in esilio privata di te.
Ca. Perché mi getti attorno le braccia, figlia infelice,
come un cigno alato il decrepito padre canuto? 1365
Ag. Ma dove posso volgermi una volta cacciata via dalla patria?
Ca. Non lo so figlia, ausiliario da poco è tuo padre.                                                                    

Ag. Addio, casa, addio città
dei miei padri: ti lascio nella sventura
esule dal talamo.                                                                                                                                         1370
Ca. Recati, o figlia, da Aristeo
……………………………
Ag. Io  compiango te, o padre.  Ca. E io te, figlia,
e ho versato lacrime per le tue sorelle.
Ag. In modo atroce infatti Dioniso
signore portava questo oltraggio 1375
nella tua casa.
Dio. E infatti subivo atrocità da parte vostra,
avendo un nome non onorato in Tebe.
Ag. Stammi bene, padre. Ca. Stai bene, o disgraziata                                                  1380
figlia. Ma difficilmente puoi giungere a questo.
Ag. Accompagnatemi, amiche, dove prenderemo con noi
le misere sorelle compagne di esilio.
Vorrei giungere dove
il Citerone contaminato non mi veda
né io con gli occhi il Citerone, 1385
e dove del tirso non ci sia nemmeno il ricordo.
Ad altre baccanti importino.

Co. Molte sono le forme della divinità
e molti eventi in modo insperato compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento, 1390
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione.                                                                                    


Gianni Ghiselli

5 commenti:

errata corrige

Me lo facciano sapere.