lunedì 4 marzo 2019

Le "Troiane" di Euripide. Introduzione. Parte 7

Heinrich Fueger
Prometeo porta i fuoco agli uomini


Le Troiane di Euripide (415 a. C.)


Parte 7

La Necessità
breve excursus

Prometeo si vanta di avere inventato tutte le tevcai e di avere beneficato i mortali: i quali vivevano sottoterra come labili formiche, in grotte fonde, senza sole. Prometeo ha insegnato loro tutto: i numeri, le lettere, l’aggiogamento degli animali, la navigazione. Non avevano farmaci, e io indicai loro miscele e[deixa kravsei~ di salutari rimedi che tengono lontani tutti i morbi. E ordinai le molte forme della mantica e l’interpretazione dei sogni (485 - 6) e dei presagi, i voli degli uccelli, gli auspici, l’aruspicini. Aprii anche gli occhi dei mortali ai presagi della fiamma. Ho scoperto i metalli.
Isomma tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo: "pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (Prometeo incatenato, v. 507).

"Questo sapere è sempre una conoscenza pratica: è il sapere che ha creato la civiltà, le tevcnai. Egli ha insegnato loro i diversi mestieri, inoltre l'astronomia, i numeri e le lettere; ma non per allargare la conoscenza del mondo nel senso degli antichi ionici: al contrario, questo sapere è orientato, alla maniera attica, verso le tevcnai, verso uno scopo pratico e un'utilità… il fuoco è il simbolo delle tevcnai, dell'attività pratica"[1].
Questo Titano è una divinità solo apparentemente benefica. Deve riconoscere: ho infuso in loro[2] cieche speranze ("tufla;" ejn aujtoi'" ejlpivda" katw/vkisa", Prometeo incatenato ,v.250).
Prometeo del resto sa bene che la forza della Necessità è superiore “ tevcnh d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ” (v. 514):, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.

Cfr. a questo proposito Curzio Rufo: “Ceterum, efficacior omni arte, necessitas non usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”( Historiae Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono i Tirii che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C.
Avanzando nella Sogdiana Al. si trovò in difficoltà per il freddo e incendiò un bosco: “efficacior in adversis necessitas quam ratio, frigoris remedium invenit” (8, 4, 11). Ancora la necessità che prevale sulla ratio (cfr. 7, 7, 10: necessitas ante rationem est).

Il potere assoluto dell' jjjjAnavgkh è apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. Nel terzo Stasimo della sua tragedia più antica ( è del 438) tra le diciassette a noi pervenute, il poeta attraverso il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka" - hu|ron oujdev ti favrmakon, 965 - 966)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962 - 972). Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.
E ancora: la Necessità non è meno forte di Zeus: “kai; ga;r Zeu;~ o{ti neuvsh/ - su;n soi; tou'to teleuta'/” (Alcesti, 978 - 979), e infatti qualunque cosa Zeus approvi, con te (la Necessità) lo porta a compimento, le dice il coro dei vecchi di Fere.

Nella Prefazione al romanzo Notre - Dame de Paris, Victor Hugo scrive che “rovistando all’interno di Notre - Dame…trovò in un recesso oscuro di una delle torri, questa parola incisa a mano sul muro: ANAGKH
Ebbene, conclude la prefazione: “Proprio su quella parola si è fatto questo libro.
Marzo 1831”. E’ l’anno di pubblicazione del romanzo

Delle mie sciagure non c’è misura né numero e i mali gareggiano con i mali ( w|n g j ou[te mevtron ou[t j ajriqmov" estiv moi: - kakw'/ kako;n ga;r eij" a{millan e[rcetai), Troiane, vv. 620 - 621), dice ancora Ecuba.

Nell’Edipo re, il Coro nella Parodo canta: “ajnavriqma ga;r fevrw phvmata ” (268 - 170) e : “nosei` dev moi provpa~ stovlo~”.

Pavese 10 giorni prima di uccidersi scrisse: “più il dolore è determinato e preciso, più cade l’dea del suicidio” (18 agosto, 1950).

Andromaca annuncia la morte di Polissena e cerca di consolare la suocera dicendo che la propria vita sarà peggiore della morte.
Ma Ecuba replica che nel vivere ci sono sempre delle speranze (tw'/ de; e[neisin ejlpivdeς, 632) ribaltando così la sapienza silenica. Cfr. Achille nella Nevkuia.
Andromaca ribadisce che è meglio essere morti piuttosto che vivere nelle pene (637). Lei era un’ottima moglie, stava in casa (650), eppure ha fallito.
La moglie di Ettore fa il ritratto della buona sposa, casalinga, silenziosa e sottomessa.

Tale autoelogio si trova già nell’Andromaca (del 427) dove la moglie di Ettore arriva a dire che offriva perfino il proprio seno ai bastardi del marito per compiacerlo
"O carissimo Ettore, io per compiacerti / partecipavo ai tuoi amori[3], se in qualche occasione Cipride ti faceva scivolare,/e la mammella ho offerto già molte volte ai tuoi bastardi /, per non darti nessuna amarezza. / E così facendo attiravo a me lo sposo / con la virtù; tu neppure una goccia di celeste rugiada/ lasci che si posi sul tuo sposo per paura" (vv. 222 - 228).
 L'abnegazione di Andromaca arriva al punto di accettare le amanti di Ettore condividendo gli amori di lui, ossia amandole. Se questo le dava amarezza (pikrovn , v. 225) non importa: bastava toglierla allo sposo. Con tali parole la vedova di Ettore cerca di istruire la giovane Ermione.

Andromaca dunque racconta che offriva allo sposo silenzio di lingua e volto calmo (Troiane, 654). E non lasciava entrare in casa scaltre chiacchiere di femmine: e[sw te melavqrwn komya; qhleiw`n[4] e[ph - oujk eijsefrouvmhn (vv. 651 - 652)

La corifea dell’ Elettra di Euripide dice a Clitennestra che le donne devono cedere in tutto allo sposo: gunai`ka ga;r crh; pavnta sugcwrei`n povsei (v. 1052).

Ettore per Andromaca era tutto ( come nel VI dell’Iliade).
Ora nella sua vita non c’è più la speranza. Polissena dunque sta meglio di lei, conclude la vedova dell’eroe. Io infatti sarò schiava in casa di assassini (v.660)
Ecuba raffigura la propria disperazione con un’altra metafora marina: il flutto funesto scatenato dagli dèi la vince ( nika'/ ga;r oujk qew'n me duvsthno" kluvdwn , 696) come succede ai marinai quando il mare grosso e perturbato (polu;~ taracqei;~ povnto~, 692) ha il sopravvento.

Cfr. il prologo dell’Edipo re dove povli~ saleuvei, la città fluttua e non riesce più a sollevare il capo dai vortici del flutto insanguinato.

Ecuba del resto consiglia alla nuora di offrire al padrone presente fivlon devlear sw`n trovpwn (Troiane, 700) la cara esca dei tuoi costumi. Andromaca stessa aveva detto che la sua reputazione di donna per bene l’ha resa desiderabile tra gli Achei (v. 657).

Rientra Taltibio a portare oujc eJkwvn (710), non volentieri, una notizia orrenda. E’ prevalso il parere di Odisseo di ammazzare Astianatte. Taltibio consiglia la madre di non ribellarsi, se vuole che il bambino venga almeno seppellito.
Andromaca nota che il mondo va a rovescio: è proprio la nobiltà del padre che lo ucciderà: hJ tou` patro;~ dev s j eujgevnei j ajpoktenei` (v. 742), quella nobiltà che per altri è stata la salvezza.

 E’ l’acta retro cuncta dell’Oedipus (367). L'ordine è stato rovesciato e la profetessa Manto, figlia di Tiresia, dice:" Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta (vv. 366 - 367).
nel Macbeth di Shakespeare la moglie di Macduff, invitata a fuggire da un messaggero, prima che arrivino i sicari del tiranno, risponde: “Whither should I fly? - I have done no harm. But I remember now. - I am in this earthly world where to do harm - is often laudable; to do good, sometime - accounted dangerous folly” (IV, 2), dove dovrei scappare? Io non ho fatto del male. Ma ora ricordo. Io sono in questo basso mondo dove fare il male è spesso lodevole; fare il bene, talora è considerata pericolosa follia.

Il bambino piange e cerca rifugio neosso;~ wJseiv (751), come un uccellino sotto le ali della madre. Tutte le fatiche per partorirlo e allevarlo sono state spese a vuoto (dia; kenh`~, 758) e invano (mavthn, 760).
La madre chiede al bambino di abbracciare th;n tekou`san (v. 761) colei che lo ha partorito.

Il parto breve excursus
La fatica del parto è spesso rievocata dalle donne della tragedia greca.
Le sofferenze della donna nel dare alla luce sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì: "oujk i[son kamw;n ejmoi; - luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous' ejgwv" ( vv. 531 - 532). Qui il seminare conta meno del partorire. Cfr. viceversa Apollo nelle Eumenidi.

Nelle Fenicie di Euripide, la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ di' wjdivnwn gonaiv, - kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355 - 356), sono terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in qualche modo amante dei figli.

Giocasta lo è stata anche troppo; Medea evidentemente fa eccezione.
In ogni caso anche lei ricorda il dolore del parto.

Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli/ in casa, mentre loro combattono con la lancia,/ pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo/ preferirei stare che partorire una volta sola. (Medea, vv. 248 - 251).


Nell' Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola, ricordando quale prova terribile sia il parto: "deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga - pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917 - 918), tremendo è partorire e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.
Partorire dunque è una delle cose tremende (ta; deinav Cfr. Antigone di Sofocle I stasimo).
Fine parto


CONTINUA


[1] B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica, p. 121.
[2] Negli uomini.
[3] Cfr. Amarcord di Fellini.
[4] qhvleia - femina - felix - fecundus - filius - fello - as, succhio. Inglese female, feminin).

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