martedì 31 ottobre 2023

Ifigenia LII. la casa di Pesaro 3. La telefonata turpe

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Al tocco, durante l’ora del desinare, telefonò Ifigenia. Andai a rispondere con una corsa perché non venisse intercettata.

Disse che aveva iniziato le vacanze nel migliore dei modi: frequentando gli amici di una sua cugina simpatica. Conosceva ogni giorno diverse persone nuove. Alcune non erano male per niente. Ma sopra tutti aveva trovato interessante un ragazzo che la sera prima l’aveva fermata per strada, davanti alla Standa di via Rizzoli. Sembrava dotato di una gran fantasia oltre che di una buona educazione. Perciò non si era sentita di negargli il numero di telefono quando glielo aveva chiesto con garbo.
“Ti ha domandato con garbo anche di quale colore avevi le mutande?”
“No perché?”
“Perché se gli piacevi davvero, te lo chiedeva, come ho fatto io. Comunque prova a vedere che cosa succede. Se son rose profumeranno”
“Sei geloso?”
“No, perché se mi ami, hai detto quello che hai detto solo per ingelosirmi, se non mi ami vai pure con chi ti pare”.
“Vedi come va e fammi sapere. Ti saluto perché sono a pranzo con le mie zie”. Riattaccai senza aspettare la sua risposta.
La scena era stata ignobile, indegna di me. Frequentando le persone volgari ci involgariamo. Avevo mantenuta calma e freddezza ma ero agitato come  un raggio di luce lunare che vibra e guizza sull’acqua.
O come una mosca che ci zampetta dentro.
Mi appoggiai a una parete prima di rientrare nella cucina  perché le zie non mi vedessero piegato in due dall’angoscia. Sbagliavo. Di una così bisognerebbr disamorarsi subito. Anni dopo ne ho lasciata un’altra appena ha tentato di ingelosirmi. La gelosia è una piovra dai cento tentacoli, è un’idra di Lerna cui ricresce ogni testa appena tagliata, è un mostro ingordo che si fa beffe del cibo che inghiotte e ne chiede sempre dell’altro. Non dovevo cascarci. Le tre finniche mi hanno lasciato, ma finché sono state con me non si lasciavano corteggiare da altri. Costei è plebea nell’anima mi dissi.
Poi, ripreso il controllo di me stesso tornai dalle zie. Se avessero letto nel mio viso il travaglio interno, avrebbero detto: “Così smetterai  di  preferire la gente strana, e sceglierai una collega brava, illibata di buona famiglia.  Così imparerai a non confonderi con quelle ragazzacce che ti succhiano il sangue e magari te lo avvelenano”
Mi avrebbero dato il colpo di grazia con queste parole  non tutte prive di senso ma non le dissero quando mi videro rientrare con una maschera ferrea sul volto. Non se la sentirono ma avevano capito perché non erano stupide e di rapporti umani dolorosi si intendevano. Dopo qualche minuto ripresi a sorridere e il pranzo terminò.
 
Bologna 31 ottobre 2023 ore 19, 26 
giovanni ghiselli

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Verità e dignità.


 

Diversi giornalisti calpestano spesso la verità e la propria dignità. Faccio un esempio facile da verificare. Dicono o scrivono che dei civili israeliani compresi i bambini sono stati massacrati in modo efferato. Questo è un orrore vero.

 

Però poi dicono che i bambini palestinesi sono morti. Questo non è vero: i civili della Palestina, adulti e bambini sono stati ammazzati e fatti morire in vari modi altrettanto brutali ed efferati.

In numero molto maggiore per giunta.

Altra menzogna ricorrente è la calunnia di antisemitismo che colpisce chi dice come stanno le cose.

Personalmente non posso rinunciare alla mia dignità e alla verità effettuale che ho il dovere di annotare. Se vogliamo porre fine a questa guerra dobbiamo togliere le maschere ai mimi volgari che insultano il pudore, la verità e l’intelligenza. E incentivano l’odio.

 I bambini palestinesi dunque, come i bambini israeliani, non sono morti ma sono stati ammazzati brutalmente.

 

Bologna 31ottobre 2023 ore 17, 39 giovanni ghiselli.

 

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Ifigenia LI. la casa di Pesaro 2. Al nonno Carlo Martelli, detto Carlino

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Devo comunque essere grato alla mamma e alle zie: da quando non vivo più a Pesaro criticato e limitato in tutto da loro, queste donne mi hanno fornito i mezzi per vivere una vita da studente poi da studioso dedito allo studio, all’amore e alla bicicletta. Un poco mi hanno beneficato per espiare i maltrattamenti inflitti al padre cui fisicamente assomiglio, e ancora di più per consentirmi di prendere la laurea con lode e fare carriera.

Non ne ho fatta poi tanta nell’istituzione ma a loro è bastato e anche a me. Dunque per Natale andavo a trovarle. Mia madre diceva che le sue sorelle-soprannominate da lei anche “ le sorelle Materassi” per il loo nepotismo-quando vedevano me era come se vedessero il sole. Il Natale, come sapete, era il dies Natalis solis invicti, sicché il 24 ero apparso alle zie e il 25 le illuminavo.
Conquistata la mia emancipazione dalla lunga servitù pesarese, non solo ero grato ma volevo bene ai miei consanguinei. L’ambiente conflittuale nel quale avevo passato l’infanzia e l’adolescenza non mi ha consentito il mollescere, diventare mollis-malakov~, ossia il rammollirmi nel torpore, il veternus, dove tanti ragazzi si ottundono in situazioni dai problemi occultati. La durezza delle virago di casa mi ha preparato alle battaglie che avrei dovuto affrontare per diventare e rimanere me stesso. Il dolore mi ha reso buono, la deformità e lo squallore dove ero precipitato a ventanni mi ha spinto alla ricerca della bellezza. Ero stato messo in croce, come il figlio di Dio da suo padre, perché risuscitassi più buono, più bravo e più bello.
L’unico che sorrideva in casa era il nonno Carlo che ho recuperato del tutto al mio affetto anche se non poteva darmi denaro siccome aveva venduto il palazzo quattrocentesco di famiglia a Gherardo Buitoni per 200 mila lire che non investì nel 1944 e gli servirono per pagarsi il funerale una cinquantina di anni più tardi.
Un palazzo che conserva il suo cognome nella piantina che si trova nella pinacoteca di Borgo Sansepolcro nel cui cimitero ora si trovano i resti mortali dei nonni, della mamma delle zie e dei Martelli più antichi.
Sono stato più volte a trovarli, pregare e a prendere auspici su questa tomba che per me è un’ara. Ogni volta scavalcando l’Appennino con la bicicletta. Anche questo devo ai miei cari.
 
A Pesaro c’è  un altro palazzo non più nostro ma con un cognome nostro: il palazzo Scattolari dove nacque nel 1882 la nonna Margherita che invece seppe conservare la terra
 
Nella tragedia Eracle di Euripide, Megara rivendica il palazzo di famiglia: “ figli, seguite il piede disgraziato della madre al palazzo paterno: ou| th'" oujsiva" - a[lloi kratou'si, to; dj o[nom j   [esq j hJmw'n e[ti ( 337-338), del quale altri hanno la proprietà, ma il nome è ancora nostro”. 
 
Questo nonno del tutto improvvido rispetto al denaro ha svolto  la funzione della madre del puer alla fine della IV Bucolica di Virgilio: “incipe, parve puer, risu conoscere matrem (60)
(…)
Incipe, parve puer: cui non risere parentes,
nec Deus hunc mensa, Dea nec degnata cubili est (62-63), comincia bambino fin da piccolo, a conoscere la madre dal sorriso, comincia  fin da piccolo, quelli cui non sorrisero i genitori, né un dio ha giudicato degno della sua mensa, né una dea del suo letto. Sono molto grato anche alle dèe che mi hanno considerato degno del loro letto. Ricordo le due Elene.
Il nonno mi ha lasciato più del denaro: oltre il ricordo dei suoi sorrisi da vecchio povero, l’amore per le donne, per il sole e per la bicicletta.
 
Bologna 31 ottobre 2023 ore 11, 41
giovanni ghiselli

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lunedì 30 ottobre 2023

Ifigenia L. la casa di Pesaro 1. Ora comprendo

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Il 24 dicembre andai a Pesaro. La casa dove ho abitato dal 1946 al 1963 può essere paragonata all’inferno dei poeti greci e latini. Negli anni Cinquanta con me e mia sorella ci abitavano stabilmente i nostri nonni materni e
 due delle loro figliole diffidando ciascuno degli altri, di se stesso e dell’intero genere umano. I più anziani, la nonna Margherita e il nonno Carlo  detto Carlino, litigavano quasi sempre e venivano spesso ingiuriati dalle figliole presenti: la più attempate e la più giovane delle loro cinque figlie. Avevano avuto anche un maschio come sesto, Luigi detto Gigi, che però come ogni gli uomini che mettesse piede in casa nostra era poco considerato.
La vittima bersagliata da tutti era Carlino che ogni giorno durante i pasti veniva assalito dalla moglie, poi dalle figlie che imitavano la madre, una donna piena di risentimento  contro il marito perché lui nel 1900 aveva sottratto lei diciottenne a una cospicua famiglia di proprietari terrieri agognandone la possidenza. Il padre della nonna  possedeva 500 ettari.
La nonna Margherita teneva stretta la roba e maltrattava Carlino che da tale connubio mal calcolato non aveva tratto vantaggi bensì umiliazioni .
Questo è l’ambiente dove sono cresciuto in assenza di padre. La madre mia l’aveva lasciato tornando nella casa dei suoi genitori portandomi con sé quando avevo un anno e cinque mesi.
Da queste vicende derivano le mie malattie spirituali e pure  l’accanimento nel volere rifarmi, cioè recuperare l’Amore, la Bontà e l’Intelligenza  che mi erano stati negati quando vivevo in quella bolgia, prima senza aiuto, poi  con il conforto delle gare ciclistiche vinte sulla Panoramica e degli ottimi risultati scolastici nelle elementari Carducci, nelle medie Lucio Accio e nel Liceo Terenzio Mamiani. Dopo la maturità partìi per Bologna dove rimasi a studiare Lettere antiche.
Durai fatica a intessere una vita adatta alle mie capacità ma infine vi sono riuscito.
La pena di cui mi ero investito per anni è la più grave di tutte: non con l’enorme macigno che pende dal cielo sul capo, non con gli avvoltoi che penetrati nel petto divorano il cuore, non con il terrore del cane tricipite dal ringhio metallico, né delle fetide Arpie, delle Erinni odiose che rinfacciano tutte le colpe, non con l’orrore del Flegetonte tartareo che rumoreggiando travolge anche le rupi nella sua rapina, non con l’attesa di questi tormenti pagano il fio quanti prendono a calci l’altare santo della Giustizia, ma con l’insaziabile fame e l’inestinguibile sete di amore
Discite iustitiam moniti et non  temnere divos[1].
Le smisurate  sofferenze  patite tra i 19 e i 21 anni quando mi recavo al porto di Pesaro o sull’argine del Reno
 “pensoso di cessar dentro quell’acque
 la speme e il viver mio”[2]
mi hanno insegnato la solidarietà con i sofferenti della terra.
Mio nonno Carlino era un uomo buono da vecchio e maltrattato. Anche da me: ero bravo a scuola ma non capivo. Ora comprendo e credo, sono certo che mi ha perdonato.
 
Bologna 30 ottobre 2023 ore 20, 50 
giovanni ghiselli
 
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[1] Virgilio, Eneide, VI, 620, imparate la Giustizia una volta avvisati e non disprezzare gli dèi.
[2] Leopardi, Le ricordanze, 108-109

Ifigenia XLIX. Ancora ad Antonia

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Il 23 dicembre del ’78 dunque, siccome Luciana era a Venezia dove studiava architettura, andai a trovare soltanto Atonia.
Dopo le accoglienze oneste e liete, le dissi subito che amavo una collega giovane e bella assai. Una che irrobustiva la mia persona: l’intelligenza, la fantasia e pure il corpo.
Insomma Apollo, il dio della luce e della bellezza, che ero andato a pregare nell’Ellade perché mi facesse partecipe delle sue doti, mi aveva esaudito.
Durante quel viaggio ciclistico estivo avevo mandato diverse cartoline provocatorie all’amica cristiana professando la mia devozione  agli dèi della Grecia a partire da Febo, quello a me più congeniale.
Anche quando insegnavo a Carmignano volevo distinguermi dal credo religioso e politico di tanti colleghi di quella scuola diretta da un preside bigotto e refrattario agli spiriti nuovi dei quali mi ero entusiasmato durante l’ultimo anno passato a Bologna dando l’ esame residuo di glottologia e frequentando le assemblèe del movimento studentesco, partecipando ai cortei e facendo miei tanti slogan. Furono mesi questi della primavera del ’68 in cui la gioventù delle Università di buona parte del modo ebbe fiducia in se stessa e nel proprio avvenire. Molti di quei giovani hanno abiurato. Io non sono un apostata e credo ancora in quello che propugnavo allora: giustizia, uguaglianza e libertà. Comunismo aristocratico lo chiamo.
Quando arrivai a Carmignano la sera del 28 ottobre del 1969 il monte Grappa era già bianco di neve come il Soratte della famosa ode di Orazio.
Pensai che nemmeno la bicicletta dovevo tradire e in giugno pedalai su per i 30 chilometri abbondanti di quella salita.
Antonia aveva sempre cercato di redimermi dal mio libertinaggio dicendomi: “si ravveda, si penta, metta la testa a posto: si trovi una buona compagna e la sposi”
“Pentiti e cangia vita:
è l’ultimo momento”
 
“No, no, ch’io non mi pento”, rispondevo.
 
Questo era un nostro duetto non del tutto faceto né serio.
Quel pomeriggio del 23 dicembre però l’amica Antonia non voleva scherzare: era preoccupata del fatto che io fossi tanto innamorato di una donna sposata. Mi piaceva sentirle parlare il suo bel dialetto veneto, tra il padovano e il vicentino.
La pregai di farlo. Sicché cominciò: “mi conosso un vecioto” e si interruppe. Allora domandai: “sicché?”  
“El fa come eo” rispose, fa come lei
“Che cosa vuole dire Atonia?” insistetti fingendo di non capire,
Mi spiegò che questo uomo mezzo vecchio ci provava con tutte finché i mariti delle corteggiate, forse adultere, si coalizzarono, lo bastonarono e lo gettarono in un fosso. Non ne morì ma ci mancò poco.
Antonia dunque temeva che potessi fare la fine del seduttore professionista ucciso da Eufileto, il marito tradito e assassino difeso da Lisia per il delitto d’onore.
Le feci presente che il marito di Ifigenia nemmeno sapeva chi fossi  e  che comunque la mia ultima relazione era irreprensibile perché noi ci amavamo e rendevamo migliori a vicenda: Ifigenia mi ribattezzava nelle onde fresche della sua gioventù mentre io la impregnavo dello spirito mio coltivato e cosciente.
L’amica si rassicurò soltanto un anno più tardi quando portai Ifigenia a Carmignano per fargliela conoscere e l’amica giudicò l’amante bella con semplicità e intelligente. Dovevo sposarla. Nel frattempo aveva lasciato il marito.
Mentre di notte tornavo a Bologna sull’autostrada era tonda la luna.
La pregai chiamandola Selene, Artemide, Diana, Trivia, Helena, Ifigenia. Una sola forma di molti nomi.
Avevo le lacrime agli occhi perché mi sentivo di nuovo partecipe della vita di questo universo bello ordinato da un Dio buono, demiurgo e artista.
Chiesi a quella bianca, rotonda, femminea creatura di conservarmi ancora per tanti dei suoi eterni cicli celesti l’amore di Ifigenia e la facoltà di girare in buona salute per questa opera d’arte: il mondo illuminato ora da lei, ora dal suo splendente fratello. Ero felice come non ero più stato dopo le finniche e lo dovevo a Ifigenia.
 
Bologna 30 ottobre 2023 ore 19, 32 
giovanni ghiselli

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Ifigenia XLVIII. A Luciana

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Tra le allieve della prima media tutte vivaci e carine, ce n’era una speciale.
  La notai per la sua creatività nelle scrivere, per l’originalità e l’indipendenza delle sue osservazioni, per la vivacità con cui mi faceva delle domande e l’interesse mostrato nell’ascoltarmi. Insomma era una bambina dotata di autonomia mentale e caratteriale e mi assomigliava. Con il volgere delle stagioni saremmo diventati amici. L’ho invogliata a valorizzare la sua intelligenza e gli altri suoi talenti. Luciana a sua volta durante il triennio in cui l’ho aiutata a crescere mi ha fatto capire quanto di buono potessi dare agli allievi in termini di umanità.
A Carmignano di Brenta dove vissi cinque anni della mia gioventù ero apprendista del mio lavoro e di me stesso; allora presi coscienza di tante attitudini mie: prima di tutte quella del maestro  capace di suscitare energie mentali e morali nei giovani. Mi accorsi che con i ragazzi mi trovavo bene e pure loro con me: ci si educava a vicenda.
Carmignano di Brenta mi piace perché assomiglia ai mio venticinque anni quando ci arrivai spaesato e trasecolato. Le varie volte che ci sono tornato dopo il trasferimento a Bologna ho ritrovato nel  paese, nel paesaggio, nel suo fiume, nei suoi profumi, le dolci malinconie, e anche le forti emozioni di allora, quando vivevo ogni evento nell’attesa di beni più grandi e quegli anni con quelle esperienze come preludio e presagio delle  cose egregie  che avrei dovuto compiere una volta tornato a Bologna. Ora che mi avvio agli ottanta e la vita trascorsa mi ha allontanato da quella condizione di giovanotto trapiantato e sbigottito ma vivo, curioso, animato da vaghe e grandi speranze, se penso a quegli anni di Carmignano, ritrovo nell’aurea miniera del cuore i sentimenti di allora, la meraviglia  lo stupore e l’interesse davanti a  ogni persona nuova che mi induceva a osservarla,  interrogarla, capirla per ingrandire e migliorare la mia umanità.
Alcuni dei ragazzini miei allievi  di allora, oramai ultrasessantenni, mi ringraziano ancora per quanto di buono hanno ricevuto da me: voglio rispondere e voglio che sappiano che sento di avere avuto da loro non meno di quanto abbia dato.
 Ci siamo scambiati munera preziosi, funzionali alla crescita, ricchi di reciprocità.
 
Bologna 30 ottobre 2023 ore 15, 30 
giovanni ghiselli  

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domenica 29 ottobre 2023

Ifigenia XLVII. Ad Antonia

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Quindi vennero le vacanze di Natale mai gradite perché durante le feste della casa e della famiglia chi di solito è solo, si ritrova più solo che mai.

Pavese scrisse: “Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?” (Lavorare stanca, 8). 
Quindi: “
Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
che l’inutilità”  (Lo steddazzu, 10-12)
A 42 anni questo poeta si uccise. A venti anche io ero pensoso di finire presto la vita mia inutile peso alla terra. Poi mi sono ricreduto valorizzando tutto me stesso: perfino la solitudine cronica interrotta solo da qualche avventura. Ora rispondo: sì ne è valsa la pena. Ho potuto indagare me stesso, diventare me stesso, studiare, educare, frequentare solo chi mi piaceva.
 
Durante i giorni di Natale e Santo Stefano andavo a Pesaro dalle mie zie  e dalla nonna che erano le più anziane e sole tra le mie consanguinèe. Lo facevo per gratitudine dell’aiuto che mi davano e per la pietas erga popinquos. Il 23 dicembre invece, da quando vivevo a Bologna, facevo la visita del solstizio invernale alla vicepreside della scuola, Antonia Sommacal, che era diventata la più cara delle mie amiche. Fino al 2005 quando è morta sono andato a trovarla tutti gli anni due volte all’anno: per i solstizi. E’ una magnifica persona che mi ha aiutato e incoraggiato a essere come sono. Non è facile per chi è troppo diverso e strano.
Ricordo una frase tra le più belle che abbia sentito sul mio conto. Quando le dissi che per Natale andavo sempre dalle zie che erano sole e molto anziane, Antonia mi fece: “lei avrà fortuna Ghiselli, perché è una persona buona”. E’ il complimento più bello e gratificante che abbia mai ricevuto e mi ha ripagato della malevolenza che non poche volte mi hanno manifestato i nemici e anche certi presunti amici.
A Carmignano del resto dopo il trasferimento a Bologna  tornavo volentieri quelle due volte ogni anno per rivedere i luoghi divenuti poetici dove venticinquenne avevo cominciato a insegnare, dove rimasi fino a quasi trentanni imparando a  fare la parte dell’uomo adulto, a cavarmela senza rinnegare né smentire la mia identità, a non seguire i luoghi comuni che nella profonda provincia veneta erano molto diffusi e quasi coattivi. Dopo la morte di Antonia ogni tanto vado ancora a Carmignano per raccogliere qualche fiore che vedo tra l’erba e metterlo sulla sua tomba mandandole un bacio.
La sua benevolenza mi ha aiutato davvero ad avere la buona sorte che mi auspicò e previde quando ero giovane molto. Ci si dava del lei, stranamente.
Ora però le dico: che tu sia benedetta Antonia carissima, gunhv t  j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"( Alcesti, v.-151), di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole. Nessuna delle mie amanti mi ha aiutato con maggiore intelligenza, onestà e generosità.

Bologna 29 ottobre 2023 ore 21, 51 
giovanni ghiselli

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Le sofferenze dei bambini costano un dolore eccessivo rispetto a qualsiasi risultato.


 

I miei nemici e i falsi amici hanno trovato una via per farmi soffrire: sostenere che ammazzare diverse migliaia di abitanti di Gaza compresi i bambini è la giusta punizione per i  criminali Palestinesi.

Non serve a niente chiedere che cosa c’entrano i figli piccoli e citare Dostoevskij sul fatto che le sofferenze inflitte ai bambini sono un  prezzo troppo alto per qualsiasi risultato.

 

:“Se le sofferenze dei bambini sono servite a completare la somma delle sofferenze necessarie per acquistare la verità, io dichiaro fin d’ora che tutta la verità presa insieme non vale quel prezzo (…)  E perciò mi affretto a restituire il biglietto d’ingresso” (F. Dostoevkij, I fratelli Karamazov, Parte seconda,   libro V, capitolo 4 E’ Ivan che parla)

 

Nella Medea di Seneca, Giasone rivela il suo punto debole: l'amore paterno. Allora la follia lucida di Medea vede dove può colpire e dice fra sé:"sic natos amat?/Bene est, tenetur, vulneri patuit locus" (549-550), ama così i figli? Va bene, ce l'ho in pugno, si è aperto un varco per la ferita.

E’ la quintessenza del sadismo: per tenere in pugno una persona bisogna infliggerle sofferenza.

“Come fa un uomo ad affermare il suo potere su un altro uomo, Winston?” domanda O’ Brien

Winston ci pensò un po’ su. “Facendolo soffrire” disse-“ by making him suffer “ he said.

“Esattamente. Facendolo soffrire. L’obbedienza non basta…Il potere consiste appunto nell’infliggere la sofferenza e la mortificazione. Il potere consiste nel fare a pezzi i cervelli degli uomini e nel ricomporli in nuove forme e combinazioni di nostro gradimento” G. Orwell, 1984, III, 3

 

Ammazzare perfino i bambini è un orrendo crimine terroristico compiuto prima da Hamas poi dall’esercito israeliano. Vanno condannati entrambi. L’ho scritto e lo ribadisco ogni volta che si apre il discorso. Quando vedono la mia sofferenza queste persone cattive insistono che i bombardamenti sui civili di Gaza è opera buona e deve continuare fino allo sterminio, bambini o non bambini.

Non posso cenare con certa gente. Mi capitò già alcuni anni fa con una donna orribile la quale sosteneva che uccidere i bambini usati come scudi umani dalle madri arabe è giusto. Mi alzai dalla tavola e me ne andai. Lo farò di nuovo perché cenare insieme è una forma di comunione e con tali persone non ho niente in comune. Io sto con i perseguitati e condanno ogni forma di violenza.

 

Bologna 29 ottobre 2023 ore 16, 42 giovanni ghiselli

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Ifigenia XLVI. “Faccia il nostro cavaliere, cavaliera ancora te!” (Don Giovanni, I, 8)

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Nei primi tempi della relazione amorosa con Ifigenia, l’angoscioso pregiudizio della necessaria verginità della mia donna inculcatomi in famiglia, a scuola e in parrocchia aveva trovato un efficace contrasto nell’immenso piacere che la radiosa ragazza mi dava e nel pensiero razionale, nella constatazione che una femmina siffatta non era venuta con me per ripiego dopo essere stata scartata dal suo seduttore iniquo e libertino bensì mi aveva preferito al marito con decisione propria.

 
In questo amore  furono piuttosto i difetti di educazione e sensibilità della ragazza a mettermi addosso le prime inquietudini gravose.
 
Faccio un paio di esempi
Una mattina di mezzo inverno, quando piccoli uccelli quasi assiderati spargevano flebili versi latori di auspici non buoni, mentre rattrappiti dal gelo pure noi stavamo entrando nel solito bar dell’intervallo tra le ore di scuola, Ifigenia disse: “ verrà a recitare al Duse  il grande attore di cui ti ho parlato: voglio andare nel suo camerino per fargli delle proposte”.
“Quali?” domandai allarmato.
“Quelle lascive che ho avuto in mente di fargli fin da bambina quando lo vedevo in televisione e lo ammiravo, poi lo sognavo”.
“Sicché ho fatto male a lasciare le  altre amanti e a farmi manovrare da te”.
Capì e si corresse: “volevo dire che gliele farei se non fossi legata con te”.
“Puoi scioglierti quando vuoi” dissi con tono  maligno e doloroso.
La frase volgare e violenta oramai era stata scagliata come un dardo velenoso e mi aveva ferito. Il vulnus volgeva all’ulcus, la ferita alla piaga. Mi piegai su me stesso, offeso, senza dire parola.
 
Pochi giorni dopo andammo al Duse a vedere quell’ attore nei panni di Otello. Soffrivo di gelosia anche io. Leggendo la storia fino alla catastrofe finale vedrete che ne avevo di che.
Durante l’ intervallo Ifigenia si allontanò con un suo allievo bello assai. Probabilmente ingelosirmi era nelle sue intenzioni: per farmi soffrire e sottomettermi. Rimasto solo pensavo questo e provavo disgusto.
“Meglio perderla che trovarla una così”, mi dissi. “Se va a fare le porcherie nel camerino dell’ ’istrione magari esibendosi prima con il ragazzo davanti a quel vecchio per ringalluzzirlo e fornicare, sarà solo un bene: “Faccia il nostro grande attore grande attrice pure te”. Ero stralunato come Masetto[1]
I  mostri delle mie angosce avevano ripreso a tormentarmi.
Del resto c’ era un terzo elemento che mi portava a non sopportare i difetti delle persone che frequentavo. L’amore della solitudine e il distacco dagli altri erano già attitudini radicate nel mio carattere e nel mio vissuto, al punto che soltanto una donna giovane, bella e vivace come Ifigenia, educata, fine e formosa come Helena, colta, carina e spiritosa come Kaisa, studiosa e significativa come Päivi avrebbe potuto indurmi a una relazione priva di pensieri cattivi e dolorosi. L’amore delle tre finlandesi mi aveva insegnato  che non avevo bisogno di verginità né di ricchezza ma di una compagna non stupida, non volgare, non ignorante, non perfida.
Del resto Ifigenia era giovane molto e a una maggior finezza di comportamento avrei dovuto educarla. In fondo mi aveva cercato anche per questo. Io la educavo solo scolasticamente ma lei aveva bisogno di educazione e sapienza umana. Ne avevo bisogno anche io.
Finito l’intervallo, la professoressa e l’allievo tornarono ai loro posti.
Iniziò subito l’ultimo atto e non feci domande. Però sentivo già che molte cose non funzionavano punto.
 
Bologna 29 ottobre 2023 ore 11, 40 ora solare
giovanni ghiselli
 
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[1] Cfr. Don Giovanni, Da Ponte, Mozart, I, 21

sabato 28 ottobre 2023

Ifigenia XLV. I due demoni e cattivi maestri

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Apollonio Rodio ci avverte: “noi stirpe infelice degli uomini non possiamo entrare nella gioia con piede intero
o{lw/ podiv (Argonautiche, IV, 1166) e l’amaro dolore - pikrh; ajnivh (1167) sempre si insinua in mezzo ai momenti del nostro piacere.
Questi versi mi avevano colpito quando li lessi siccome mi sembravano scritti proprio per me.
 
Ifigenia era bella, non era stupida e voleva vivere la nostra storia con gioia; io viceversa, passate le ore dell’euforia sessuale, se scrutavo al di là del piacere goduto in cerca della felicità e del bene di entrambi, ero predisposto e incline a vedere problemi, cioè veri e propri ostacoli che ci avrebbero costretti a fuorviarci verso situazioni difficili, forse anche dolorose. Mi appariva vietato il senso diretto alla felicità permanente; temevo che la via da percorrere metodicamente per giungere a una gioia stabile e sicura fosse minata.
Di fatto le mine erano dentro di me e allora non avevo la forza mentale né  culturale né morale che ci volevano  per disinnescarle.
Gli ordigni più micidiali da me interiorizzati erano due cattive educazioni subite: quella clericale e quella borghese nemica del  proletariato.
Ifigenia era di condizione proletaria appunto e questa la rendeva poco gradita alla mia famiglia: “bella sì -disse la madre mia come la vide- bella davvero ma non ha un soldo”.
Io all’epoca dipendevo ancora non poco da loro, soprattutto mentalmente ma non solo.
 
Per quanto riguarda l’altra educazione cattiva, quella clericale, la ragazza non era vergine, non era la Madonna, nemmeno Santa Maria Goretti di Corinaldo era, e  quando la portai a Pesaro con me non l’accolsero con il rispetto che avrebbe dovuto avere la mia compagna. Dicevano a chi chiedeva chi fosse che era “un’ amica di Gianni”. Significava che mai  noi due ci saremmo messi nella grazia di Dio. Questa storia della necessaria verginità della fidanzata è stato un problema, un ostacolo all’amore, alla libera scelta dell’amore per molti ragazzi e ragazze della mia generazione.
A me dava l’angoscia. Mi capitava di sognare un’orribile vecchia che in preda al fanatismo dell’odio gridava: “Lurido sangue di donna dall’imene squarciato una volta caduto a terra ne insozza le zolle, le inaridisce, deturpa l’onore dell’uomo che l’ha sposata. Non c’è valore che possa redimere la donna traviata: né prezzo in denaro, né multa di roba può riscattare l’immonda, cancellare la macchia indelebile.
La tua “ amica” è solo carne bucata da un altro  con tuo disonore perenne, con tua sempiterna infamia e pena mortale. Per giunta non è possidente di poderi con vigne, olivaei, granai, muggiti di buoi, porcili e pozzi, né di mobili antichi, quadri, appartamenti  affittati: niente di niente ”. Mi svegliavo affranto, sudato. Lottavo con la forza della ragione alleata alla gioia dei sensi ma i demoni che pretendevano verginità e  denaro spuntavano quasi tutte le notti e talora anche di giorno a ribadire il loro catechismo infernale.
 
Bologna 28 ottobre 2023 ore 20, 20
giovanni ghiselli

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Una cena poco serena.


 

Noi pacifisti veniamo accusati di simpatizzare con i terroristi di Hamas.

E’ una calunnia ripetuta da coloro che approvano, loro sì, i massacri di migliaia di abitanti della striscia di Gaza compresi i bambini.

Noi siamo contrari ad ogni atto terroristico, a chiunque se ne insanguini le mani, e vogliamo  soltanto la Pace. Assimilo a questi calunniatori bugiardi e mascalzoni coloro i quali criminalizzano l’ amore  senza ragione.

 

Mi spinge a scrivere questo una discussione non abbastanza amichevole  avvenuta durante una cena e alcuni versi di Ovidio.

Il poeta di Sulmona vuole insegnare vie di uscita dall’amore disperato per ragazze indegne. Remedia amoris che escludano il suicidio e, aggiungo, l’omicidio cui ricorrono  amanti rifiutati. Ebbene, il verso 20 suona così: “Invidiam caedis  pacis amator habes” , tu che ami la pace raccogli l’odiosità della strage.

Questo  pacis amator è lo stesso dio Amore.

 

Succede anche a me e ad altri migliori di me: parliamo e scriviamo da tempo in favore della Pace, di due Stati per due popoli, di dialogo e rispetto tra genti diverse con idèe  e tradizioni diverse.

Quelli che pensano in modo diverso dal nostro e non vogliono farmi del male. Pochi: happy few.

  Mi addolorano e disgustano i cretini e ancora di più gli opportunisti in malafede che cercano di infamare ogni affermazione di pacifismo accusandola di partigianeria favorevole agli assassini.

Noi pacifisti condanniamo ogni assassinio e tutte le stragi chiunque le compia. Difendiamo sempre la vita.

Mi ha commosso positivamente l’anziana signora  tenuta prigioniera che mentre la liberavano ha salutato uno dei suoi carcerieri dicendo “Shalom”. Della Pace ha bisogno l’umanità, non di strage su strage e colpo e contraccolpo e male che su male si posa: “ kai; tuvpo" ajntivtupo", kai; ph'm  j ejp  j phvmati kei'tai” Questo è Erodoto ( I, 67, 4) che poco dopo maledice la guerra scrivendo :" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai", il ferro è stato trovato per il male dell’uomo I, 67, 5)

Maledetti siano i ferri dei tagliagole, i razzi , i mitra di Hamas e le bombe dell’esercito israeliano dunque.

 Benedetti gli Israeliani come l’anziana prigioniera rilasciata, gli Ebrei come Moni Ovadia e quanti di varia provenienza si sono riuniti  oggi per manifestare in favore  della pace.

 

Bologna 28 ottobre 2023 giovanni ghiselli.

 

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venerdì 27 ottobre 2023

Ifigenia XLIV. Il festoso rito invernale. La crescita concorde. La felicità

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Il dicembre del ’78
  fu il primo di una serie di mesi belli assai, non meno belli di come erano stati  i tre vissuti con le tre finniche. Un periodo che durò fino al 21 luglio del 1979 quando ripresi la strada di Debrecen per mettere alla prova la serietà del nostro amore ponendo  me stesso e lasciando lei esposti alle tentazioni amorose. Ifigenia era andata in vacanza nella babilonica riviera romagnola ,  io ero tornato nel luogo dei miei ricordi amorosi più belli. La prova non sarà superata dalla nostra relazione: a Debrecen aspettavo ogni giorno la posta che lei mi aveva promesso e non mi mandò mai. Sicché, tornato in Italia, non mi fidavo più di Ifigenia e  il  desiderio del corpo  di lei era contaminato dal rancore.
Racconterò questo  a suo tempo. Prima di quella caduta vivemmo diversi mesi felici nei quali fruimmo di un piacere sessuale festoso e gioioso. Ma quando il piacere, la festa e la gioia avrebbero dovuto evolversi in felicità  fiduciosa questa trovò ostacoli insuperabili nei nostri caratteri e nelle nostre esperienze passate. Non eravamo abbastanza buoni e intelligenti per quella felicità che è solo di breve intervallo  inferiore a quella divina.
Nei mesi del grande piacere, i migliori furono quelli invernali marzo compreso, quasi ogni giorno sulla metà del pomeriggio celebravamo il rito festoso. Ifigenia mi telefonava, io andavo a prenderla in una strada non visibile dalle finestre di casa sua e la portavo a casa mia dove si faceva l’amore almeno tre volte: dicevamo che era appena la sufficienza e in genere, dato che eravamo entrambi libidinosi e ambivamo all’atletismo sessuale, si seguitava a oltranza. Quindi ci si congratulava a vicenda per la potenza amorosa fisica e pure mentale manifestata nel grande letto.   
   Quindi scendevamo dal podio dove ci eravamo premiati a vicenda e parlavamo di scuola, di cinema, di teatro, dei nostri allievi, dei parenti, dei colleghi commiserandoli in genere, delle ultime letture fatte cercandovi sempre analogie o differenze con i nostri vissuti. Ci piaceva paragonarci ai grandi amatori, ai giovani e belli di successo. Alcibiade era il personaggio ricordato più spesso. Insomma avevamo parecchi interessi comuni e argomenti di conversazione significativi per entrambi. Ifigenia faceva commenti appropriati  e osservazioni acute. Spesso prendeva spunto da quanto sentiva dire da me. Io, che cercavo di insegnarle il meglio di quanto sapevo la guardavo come una mia discepola. Quando si parlava  la vivevo anche come una figlia. Lei mi osservava con totale fiducia e ammirazione che contraccambiavo: imparava alla perfezione quanto le insegnavo. Finalmente avevo trovato uno scopo preciso e nobile: aiutare a crescere una creatura che mi somigliava e poteva succedermi su questa terra. Avevo la possibilità di favorirne la crescita, di farle acquistare fiducia in se stessa, potenza, felicità.
Lei d’altra parte con la sua curiosità, volontà di imparare, con l’ascolto che mi donava , mi stimolava a leggere, a pensare, a ricordare. Con l’attenzione che  rivolgeva al mio aspetto mi motivava a fare sport, a mangiare soltanto il necessario e solo quando avevo fame, insomma a rispettare il mio corpo.
Tutto sommato eravamo felici.

Bologna 27 ottobre 2023 ore 18, 43 
giovanni ghiselli

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Ifigenia XLIII. Il congedo

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
“Il poeta è un grande artiere,

Che al mestiere
Fece i muscoli d’acciaio” Carducci
Arrivato a casa, telefonai a Pinuccia dicendole che di sera avrei dovuto parlarle. Disse solo “va bene”, remissiva come sempre. E rassegnata siccome conosceva la mia situazione. Sicché andai a prenderla alle nove, sotto la casa dove abitava con i suoi genitori. Andammo nell’osteria dove eravamo soliti vivacizzare la prima parte delle nostre serate con mezzo litro di vino in mancanza di argomenti comuni scolastici e politici. Quella sera però, che del resto non era mercoledì, l’argomento l’avevamo: appena seduti, le dissi direttamente che non me la sentivo più di amoreggiare con lei dal momento che mi ero innamorato della collega. Pinuccia non divenne una menade, anzi reagì con il suo carattere e stile da donna mite, comprensiva e dignitosa: disse che l’aveva previsto,  se lo sentiva, e non aveva potuto evitarlo.
“Già. Non sono varcabili i confini del fato” dissi.
Assentì chinando la testa. Era buona Pinuccia: mi aveva perfino leccato con lingua amorevole e non svigorita le profonde  ferite buscate da un automobilista che mi aveva travolto mentre pedalavo. Non si lamentò, non mi rimproverò, non chiese niente per sé. Anzì, mi augurò buona fortuna. Del resto anche lei una volta, in gennaio, mi aveva lasciato. Era tornata in primavera con Zefiro che il bel tempo rimena.
Me lo ricordò lei per scagionarmi: “Così siamo pari”, disse
“Già -feci io- la prossima volta sta a te”.
“Non credo che ci sarà una prossima volta” ribatté con mente profetica.
Poi  però aggiunse: “Oddio, forse queste parole non sono definitive. Se questa sposa novella ti farà soffrire, io ci sarò”
“Io allora, ferito e poi curato da te, saprò sorriderò come lo spartano morsicato dalla volpe”, le dissi.
Pinuccia dopo un paio di anni si sposò invitando al suo matrimonio anche me con Ifigenia. Ora credo che tutto sia andato per il verso giusto, come sempre succede. E’ il verso del fato infatti. Questa brava ragazza già matura viro aveva  bisogno di un bravo marito, non di un desultor amoris un saltimbanco dell’amore quale ero io. Per giunta in quel tempo avevo bisogno di un’esperienza emotiva e intellettuale che dal fondo dell’anima e dei sensi scatenasse un terremoto capace di sconvolgermi l’equilibrio raggiunto con fatica ma già datato e obsoleto: un sisma così catastrofico da portare alla luce le vene profonde dove scorrevano i  miei bisogni più veri e i sentimenti più autentici di quel momento. Avevo perduto tre donne amate, smarrito il lavoro che mi piaceva, superato il culmine della mia gioventù: per non avviarmi verso un  tramonto triste, forse anche lugubre, avevo bisogno di una rivalsa su tutti i fronti delle battaglie perdute: dovevo affascinare la bella giovane collega e amante precaria, recuperare il lavoro mio e scrivere un capolavoro pieno di pensiero, bellezza, mito e poesia. Pinuccia non era adatta a me, né io a lei. Le invio comunque un pensiero riconoscente per il calore umano e l’affetto che ha potuto darmi senza pretese e con sufficiente onestà. Ho cambiato il suo nome ma credo che non stenterà a riconoscersi in queste mie righe. La ricordo come un pane caldo e profumato, una pagnotta tonda, soffice, bianca di cui mi sono nutrito prima di riporla nello zaino dal quale ho dovuto estrarre alimenti più energetici e necessari all’ardua salita che sto ancora scalando con l’impiego di tutte le forze.

Bologna 27 ottobre 2023 ore 11, 30 
giovanni ghiselli

p. s.
“Per sé il pover manuale
Fa uno strale
D’oro, e il lancia contro ’l sole:
Guarda come in alto ascenda
E risplenda,
Guarda e gode, e piú non vuole”.  (Carducci Congedo,  Rime nuove 1906)

 
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La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...