Argomenti
E’ la storia di un apprendistato avvenuto attraverso lo studio, l’amicizia e l’amore, in particolare l’amore dei classici e di tre donne dotate di spirito e di corpo. Hanno contribuito all’educazione dell’io narrante anche diversi amici. Ho scritto questa storia che non è solo quella di una persona ma può costituire un corso i filosofia morale la quale insegna come sia bene vivere secondo ragione e sentimento, logos e pathos e non senza mythos, associando apollineo e dionisiaco, introversione con estroversione, disciplina e sacrificio con stravaganza e fantasia.
Maltrattamenti
La mia storia parte dall’infelicità di un ventunenne in rovina perché, finito il liceo classico, il Terenzio Mamiani di Pesaro dove eccelleva, nel periodo successivo, un tempo privo di vita - ajbivwton crovnon - il ragazzo era andato via via perdendo, sulla strada della sciagura, il proprio ruolo di alumnus optimus nella scuola migliore e di ciclista egregio sulle diverse salite panoramiche della cittadina marchigiana. Nella fase della caduta il giovane si lasciava mortificare e si degradava nell’autocommiserazione, nell’ozio, nell’ingrassamento che lo deformava sia nel corpo sia nella mente.
Contribuivano a tale sfacelo i maltrattamenti sadici e vendicativi di quanti avevano sofferto il suo essere egregio e primeggiare sempre, a scuola e in bicicletta. Questi successi erano più apparenti che veri in quanto il suo essere bravo non comprendeva la conoscenza del bene e la capacità di farlo. Magari in questa fase chi non trattava bene il prossimo era stato lui.
Il libro condanna ogni forma di maltrattamento personale e politico.
Maltrattare in greco si dice ajeikivzein, cioè rendere una persona ajeikhv~, non somigliante. Dissimile da chi? Da se stesso. Significa fargli smarrire o addirittura perdere la sua identità non più accettandola né riconoscendola come degna di un uomo. Allora è necessario fare conoscenze nuove, e giungere a trovare ridicoli e disumani quanti ci hanno disprezzato. Arrivare a spernere se sperni [1].
Nel cambiare ambiente, andando a vivere a Bologna frequentandone l’Università, poi recandosi con delle borse di studio durante dei soggiorni mensili estivi in un collegio universitario di Debrecen, conoscendo studenti di ogni paese socialista d’Europa, quindi viaggiando in altri paesi, il ragazzo fa conoscenze nuove che lo motivano e aiutano a puntellare tante sue rovine, a risvegliare e chiamare a raccolta il meglio della propria identità sepolta sotto il cumulo delle sciagure passate, delle macerie, delle superstizioni personali e generazionali.
Quindi il giovane un poco alla volta recupera le sue forze che erano state inficiate e quasi annientate dal dolore, dall’autodisprezzo e dal disprezzo degli altri. Nel 1968 il protagonista compirà la prima fase del suo tirocinio che del resto nell’uomo buono dura tutta la vita: "semper homo bonus tiro est ", l'uomo onesto fa tirocinio per tutta la vita, ha scritto Marziale[2] (12, 51, 2).
Nel 1969 comincerà a insegnare. Diverse parti del romanzo sono ambientate nella scuola: dal liceo di Pesaro, all’università di Bologna frequentata da studenti di tutta l’Italia adriatica e padana fino a Parma , a quella estiva di Debrecen dove si incontravano giovani provenienti da tutta l’Europa socialdemocratica e comunista.
Tornato a vivere come si deve, questo giovane, rinsavito, non si lascerà più maltrattare da alcuno, malevoli vecchi colleghi o presidi ostili che fossero, e tratterà bene tutti quelli che lo rispetteranno. Vorrà bene i suoi allievi e cercherà di aiutarli a crescere.
Il tema di fondo del mio libro come quello delle Metamorfosi di Apuleio e di tanti altri a partire dall’Odissea è “come si diventa uomini”.
Il modello dell’uomo occidentale infatti è Odisseo, ajnhvr il quale pollw`n d’ ajnqrwvpwn i[den a[stea kai; novon e[gnw (Odissea, I, 3), di molti uomini vide le città e conobbe la mente.
La prima parola dell’Odissea è appunto “uomo”: “ [Andra moi e[nnepe, Mou'sa, poluvtropon, o}" mavla pollav ", L'uomo narrami, o Musa, versatile che molto davvero..
nella traduzione di Livio Andronico[3] l’uomo mantiene la prima posizione: "Virum mihi, Camena, insece versutum "[4].
Il mio libro mostra come uomini si possa diventare attraverso la sofferenza - pavqo~ - il dolore e l’intelligenza, la comprensione - mavqo~ - del dolore.
Ulisse è ricordato come affamato di conoscenza, curioso di conoscere. La curiosità consente di aprirsi all’alterità ed è una spinta all’individuazione. Anche chi scrive crede che diventare uomini sia possibile ma non è facile e richiede grandi fatiche.
Curiosità fino a rischiare l’incontro con il brutale ciclope Polifemo e altri mostri..
H. Hesse Demian: "La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l'accenno di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente se stesso, eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le possibilità (…) Certuni non diventano mai uomini, rimangono rane, lucertole, formiche. Taluno è uomo sopra e pesce sotto, ma ognuno è una rincorsa della natura verso l'uomo"[5].
Ricordate di certo la favola di Esopo, quando Prometeo plasma uomini e animali. Allorché Zeus si rende conto che gli animali sono molto più numerosi degli esseri umani, ordina a Prometeo di trasformare molte bestie in uomini. E’ questo il motivo per il quale gli esseri umani che non hanno ricevuto la loro forma umana sin dall’origine, si ritrovano con un corpo d’uomo e l’anima d’una bestia.
“Pro;~ a[ndra skaio;n kai; qhriwvdh oJ lovgo~ eu[kairo~”[6], la favola è appropriata all’uomo rozzo e brutale.
Pinocchio di Collodi va nel paese dei balocchi. “in quel paese non ci sono punte scuole” (…) anzi “c’è un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato da doversi mettere il cotone negli orecchi per non restare assordati. Passavano le giornate in questa bella cuccagna di baloccarsi e divertirsi, senza mai vedere in faccia un libro, né una scuola” (capitolo XXII).
Ma poi i ragazzi si trasformano in ciuchini.
In Apuleio vita da asino è vita senza Iside. La vita consacrata a Iside è sacra alla conoscenza.
Il sacerdote delfico Plutarco (48-125 circa) in De Iside et Osiride sostiene che la divinità - to; qei`on - non è beata per argento e oro ma ejpisthvmh/ kai; fronhvsei (351d), per conoscenza e intelligenza
Plutarco etimologizza il nome Iside con oi\da - so; più precisamente il tempio jIsei`on con il futuro ei[somai - saprò - poiché lì conosceremo to; o[n, l’essere 352).
Inoltre \Isin kalou`si para; to; i{esqai met j ejpisthvmh~ kai; fevresqai, kivnhsin ou\san e[myucon kai; frovnimon
(375c) la chiamano Iside per il lanciarsi con sapere ed esservi portato in quanto ella consiste in un movimento animato e sapiente.
Lucio arriva a sognare Iside dopo avere preso su di sé la tragicità dell’esistere e avere raggiunto il culmine della disperazione.
Così il giovane della mia storia sognò, poi conobbe Elena, più di una Elena, mandate a lui per la sua resurrezione da una sorte benigna meritata con un lungo, continuo e strenuo impegno. Di studio e di sport, un’ascesi volta a ritrovare il meglio della propria identità smarrita
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II parte della presentazione
Parole chiave
Si possono individuare parole chiave dentro il mio libro, epifaniche come certe giornate e alcuni fatti della nostra vita: queste parole rivelatrici sono sofferenza e comprensione-pathos e mathos-per esempio, interdipendenti tra loro come sentimento e intelligenza. Me lo hanno insegnato i tragici greci (Eschilo, Agamennone 177 in primis) e pure diversi altri autori europei da Menandro a Proust.
Questo lavoro sarà un anche un tempio della cultura europea, poiché le esperienze più significative sono state fiancheggiate dallo studio di ottimi autori. Gli atti avulsi dalla cultura sono insignificanti o criminali, più rozzi e cattivi del necessario; la cultura senza fatti e atti di bellezza e di forza è più fiacca del necessario. Anche la ginnastica forma l’anima.
Quelli che usano solo ginnastica però sono più rozzi del necessario “ajgriwvteroi tou' devontoς” ; quelli che praticano solo la musica sono malakovteroi ( Platone, Repubblica, 410d), più molli del dovuto. La musica di Platone comprende la cultura letteraria e filosofica.
La bellezza è un’altra parola chiave: bellezza di donne e della natura prima di tutte le altre. Amare il bello con semplicità e la cultura senza mollezza, come ci ha insegnato Tucidide; :"filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[7] kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) Semplicità quale complessità risolta. Il ragazzo del mio libro cerca la bellezza non artefatta.
Una parola chiave che può conternere la altre, verbum summum è Eros: omnia vincit amor [8].
Questo peraltro deve essere controllato dal Nou`~ che mette ordine nel caos come ci insegna Anassagora.
Un’altra parola chiave è problema, in greco provblhma che significa ostacolo, impedimento gettato nel nostro cammino: dobbiamo superarlo per non essere fuorviati dalla nostra strada- ojdov~- per non deviare dal metodo che ciascuno deve trovare e percorrere, metodicamente appunto.
Le parole greche e latine vengono sempre tradotte e non sono sfoggi né segni di erudizione, bensì supporti della riflessioni su fatti della vita che compresi, conducono a una forma non mediocre di sapienza, la sofiva che è femminile e diversamente dal sapere neutro (to; sofovn) ha il sapore della vita, produce e potenzia la vita. Questa viene umiliata, abbassata dai fallimenti e, viceversa, rallegrata, elevata dai successi.
Dai successi dobbiamo imparare il metodo per conseguire altri successi, dagli insuccessi individuare le vie da evitare perché non si ripetano. In tutti i campi, a partire dai due più importanti: l’amore e il lavoro. Il metodo buono contiene intelligenza, creatività e disciplina.
Contano molto anche la salute e la fortuna.
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III parte della presentazione
III parte della presentazione
Dicevo la salute. Questa va mantenuta il più possibile, più a lungo che si può. Quella somatica e quella mentale. Invecchiare imparando sempre molte cose, come faceva Solone, e praticando l’esercizio fisico.
Del resto senza lesinarsi il tempo libero la scolhv, l’otium cum dignitate per dedicarsi alla riflessione di quanto si è fatto e si è imparato.
La razionalità è anche imitazione della natura: Cicerone:"quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus " (De Officiis , I, 1OO).
Seneca scrive a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte.
Infatti:"Sequitur ratio naturam. Quid est ergo ratio? Naturae imitatio. Quod est summum hominis bonum? Ex naturae voluntate se gerere " .( Epistole a Lucilio , 66), la ragione allora segue la natura. Che cosa è la ragione? Imitazione della natura. Qual è il sommo bene dell'uomo? Comportarsi secondo la volontà della natura.
Socrate nel Timeo di Platone suggerisce di osservare il cielo per adeguare i movimenti spesso fuorviati del nostro cervello a quelli regolari degli astri, a partire dal sole che è nel visibile quello che è Dio nell’intellegibile.
Leggiamone alcune parole precise: dobbiamo rendere il pensante simile al pensabile, ossia assimilare la nostra persona che pensa al pensato correggendo i cicli guasti della nostra testa- dei` ejn th`/ kefalh`/ diefqarmevna~ hjmw`n periovdou~ ejxorqou`nta- attraverso l’apprendimento dell’armonia dell’universo e delle sue circolazioni (Timeo, 90 D). Corrisponde al suggerimento dell’assimilazione al divono che si legge nel Teeteto, 176B; nella Repubblica, X 613B, e nelle Leggi, IV 716 C.
Oggi invece i più osservano il cellulare dalla mattina alla notte.
E’ dunque necessario anche il tempo del riposo, degli intervalli dai negotia che occupano gran parte della nostre vita lavorativa.
Dobbiamo impegnarci molto in quello che facciamo, ma questo impegno ha bisogno di intervalli : “Danda est tamen omnibus aliqua remissio"[9].
La ratio non deve mai essere spietata: non può annullare il sentimento che è comunque un elemento della nostra natura umana e un aspetto della stessa ragione. Ogni forma di u{bri~, di prepotenza, di sconsiderata o demenziale dismisura, porta alla zoppia della nostra umanità.
La prepotenza fa crescere il tiranno - u{bri~ futeuvei tuvrannon - canta un coro tragico - la prepotenza/se è riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede (Sofocle, Edipo re, vv. 873-878).
Il tiranno che si azzoppa menzionato sopra ci fa venire in mente che il potere-kravto~- non è potenza - duvnami~.
Il mio romanzo critica il potere basato sulle chiacchiere, le menzogne e i crimini come è quello raccontato da Orwell in 1984.
Nelle Baccanti di Euripide, Tiresia profetizza a Penteo, re di Tebe, il fatto che Dioniso verrà cooptato e accolto nell’ombelico del mondo, l’oracolo delfico su cui svettano le due cime del Parnaso
“Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche
saltare con le fiaccole sull’altopiano a due cime
agitando e scagliando il bacchico ramo,
grande per l’Ellade. Via Penteo, da’ retta a me:
non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini”. (vv. 306- 310).
Il potere non è potenza dunque - mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein - come il sapere non è sapienza - to; sofo;n d j ouj sofiva (Baccanti, 395). Parte del romanzo è ambientata nella scuola, quindi non mancano suggerimenti relativi alla didattica.
Umanesimo è passare dal sapere, la congerie di date, dati e nomi, alla sapienza che potenzia la nostra natura umana e serve alla vita.
La potenza e la sapienza accrescono e rendono più viva la vita, mentre il potere del tiranno e il sapere dell’erudito, dell’umbraticus doctor, possono mortificarla.
Le tirannidi subite in famiglia, in parrocchia e a scuola vengono mostrate e criticate.
Le storie d’amore di questo libro insegnano l’amore per le donne che ci mettono al mondo. L’amore per le donne dunque è umanesimo, è amore per la vita.
Umanesimo è sapere di essere umano, è amore per l’umanità che significa vivere creando sinergia con altri umani e aiutare chi ha bisogno di aiuto. Umanesimo è diventare davvero ciò che siamo, cioè uomini umani.
L’ espressione di umanesimo più efficace e sintetica è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo che nell'Edipo a Colono dice al vecchio vagabondo cieco, incestuoso e parricida "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo, per questo sono umano con te. La coscienza della propria umanità spinge il re di Atene ad aiutare l’uomo decaduto a vagabondo mendicante, parricida, incestuoso, cieco.
Lo stesso Edipo prima della caduta, e ancora in auge, aveva detto che lui stesso, re di Tebe, sarebbe spietato e disumano se non provasse compassione per i propri concittadini afflitti dal morbo (Sofocle, Edipo re, 12. -13).
La principessa dei Feaci, la fanciulla Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea (207-208) vuole aiutare Odisseo giunto naufrago nell’isola di Scheria e dice queste parole alle sue ancelle in fuga spaventate dall’aspetto dell’uomo sconciato dalla tempesta: “ to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, dobbiamo prenderci cura di questo: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro.
Le stesse parole dice Eumeo, il guardiano dei porci di Itaca, quando Odisseo gli si presenta travestito da mendicante irriconoscibile e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui (Odissea, XIV, 57-59) .
Nell’Antigone di Sofocle la pietosa sorella dice a Creonte che ha proibito la sepoltura di Polinice " ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore.
Che cosa c’entra tutto questo con il mio romanzo?
Ne cito solo alcune parole per farlo comprendere
“Elena Si alzò dal letto e si diresse verso la porta. Allora capii. Capii di essere stato stupido, volgare e crudele; capii che quella creatura in attesa di un’altra creatura, non doveva subire ingiustizia, umiliazioni e dolori. Non da me. Avevo capito e sentivo che non vi è felicità grande senza morale profonda[10].
L’azione cattiva è pessima per chi l’ ha progettata e la compie[11].
Chi prepara il male a un altro, lo apparecchia a se stesso[12].
Ne avrei avuto rimorso per tutta la vita, forse anche oltre. E non solo per questo: io l’amavo, lei mi aveva reso migliore, e siccome in sua presenza mi vergognavo di essere ingiusto, mi avrebbe reso ancora migliore. La terra è in mezzo alle stelle, e sulla terra ci sei tu amore mio. Mi alzai, le afferrai la mano sinistra e dissi: “Scusa, Elena, aspetta. Ora devo parlare io a te. Ne ho bisogno. Ti prego”.
Ero andato vicino a infliggere ingiustizia a una donna che amavo ed era stata generosa con me. Mi fermai in tempo e le chiesi perdono.
Ho voluto significare che ho cercato di dare l’impronta dell’universale a diversi miei casi personali.
Credo che questo mio libro che racconta l’apprendistato di un giovane, apprendistato alla vita e all’amore, possa giovare anche all’educazione sentimentale di tanti ragazzi, soprattutto di quanti, carenti di parole, non sono in grado di corteggiare una ragazza elegantemente, persuasivamente, e talora nemmeno civilmente.
I corteggiamenti reciproci che racconto sono tra le parti più significative e formative del romanzo. Anche l’ampia sezione dedicata alla scuola contiene parole e idèe che possono aiutare i giovani nel loro sviluppo. Non solo i ragazzi studenti ma anche i giovani insegnanti.
La scuola non deve reprimere la fantasia, lo stupore dei giovani, lo qaumavzein da cui nasce la filosofia secondo Aristotele: "dia; ga;r to; qaumavzein oiJ a[nqrwpoi kai; nu'n kai; to; prw'ton h[rxanto filosofei'n"[13].
Il professore deve essere un maestro di vita oltre che della sua disciplina, non un umbraticus doctor inteso a distruggere gli ingegni - ingenia delere.
La cultura insomma deve diventare sofiva, sapienza che potenzia la vita.
Le scienze talora occultano i caratteri esistenziali, individuali, affettivi dell’essere umano, mentre un bel romanzo o un bel film rivelano l’universalità della condizione umana-cfr. Cfr Morin, La testa ben fatta (p. 41).
Ciascun lettore può riconoscere degli aspetti della propria vita attraverso questo mio libro: indagando me stesso ho indagato l’umano
Quanto alla mia professionalità scolastica, insegnando ho cercato di dare le visioni d’insieme che raramente ho ricevuto da chi mi insegnava a Pesaro prima e a Bologna poi; sicché ho voluto trovarle con le mie ricerche perché mi mancavano e ne sentivo il bisogno per me e per i miei studenti.
La base di queste sinossi è la letteratura con la filosofia e la storia greca. Poi su questo fondamento, la cultura latina e parti di quella europea. Cultura prevalentemente letteraria e storiografica con gli antichi, poi quasi esclusivamente letteraria a mano a mano che ci si allontana dai Greci e dai Latini.
Come lingua moderna me la cavo con l’inglese. Discretamente con quello scritto, abbastanza da farmi capire con il parlato.
Per quanto riguarda la musica mi piace il melodramma per la presenza della parola e perché, come pesarese, ho sempre saputo di Rossini e tutti gli anni ne seguo il festival da tanto tempo oramai. All’Arena di Verona sono stato solo poche volte. Vedo invece ogni anno a vedere le tragedie greche rappresentate a Siracusa e diverse volte quelle nel teatro di Epidauro.
Quanto alle arti figurative ne possiedo solo un’infarinatura e non ne ho una forte sensibilità. Mi hanno commosso il maestro di Olimpia e quello di Pergamo per la rappresentazione dell’Ordine che prevale sul Caos. Ci vedo la storia della mia vita e di ogni vita davvero umana. Mi piace molto anche il maestro di Sansepolcro, per averne sentito parlare e viste le opere fin da bambino, data la provenienza dal Borgo aretino della famiglia materna, e per avere trovato da adulto delle analogie di forma e di spirito tra le madonne di Piero, particolarmente quella del parto, e l’Elena incinta della mia vita.
Anche Raffaello Urbinate è tra i miei preferiti. Questi due pittori hanno rappresentato l’ordine, l’apollineo mentre il Caos lo vediamo piuttosto in Hieronymus Bosch e in Picasso, per esempio.
Come motto conclusivo cito le parole che costituiscono la somma del pensiero educativo di Pindaro: gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica II v. 72), diventa quello che sei.
Aggiungo un altro motto latino: Se sei umano dunque diventa davvero umano e sappi che tutto quanto è umano ti riguarda, ti si addice e ti conviene.
Tale dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo è di Terenzio:" :"Homo sum: humani nil a me alienum puto "[14]
Ho scritto questo libro inattuale per elogiare la Vita.
La moda sorella della morte?
Giacomo Leopardi in una delle sue Operette morali più significative- Dialogo della Moda e della Morte- ha scritto che la moda è sorella della morte.
Nel dialogo la Moda dice alla Morte: “io sono la moda, tua sorella”. E la morte: “Mia sorella?” “Sì-risponde la moda- non ti ricordi che siamo nate dalla caducità?...e so che l’una e l’altra tiriamo parimenti a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù…la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero che io on sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi”.
Si pensi ai tatuaggi, alla chirurgia estetica e ad altre schifezze del genere
Oggi piuttosto la moda è la morte: la morte è di moda.
Morte degli aspetti più vivi della vita.
Morte dell’amore, morte della cultura, della cortesia, del rispetto, della virtù, sia nel senso cristiano, sia in quello machiavelliano della capacità.
Morte della politica i cui rappresentanti ripetono tutti gli stessi luoghi comuni. Non sono cristiani, né comunisti né machiavellici.
Sono marioli e superficiali, non profondi come il celebre segretario fiorentino a detta di don Ferrante: “mariolo sì, ma profondo” (I promessi sposi, capitolo XXVII)
Ho scritto un libro che racconta un mondo dove la vita per qualche anno è stata viva, bella, rigogliosa, un romanzo che descrive una società nella quale era di moda l’umanesimo, l’aiuto reciproco, perfino l’amore era di moda, non la droga seguita dallo stupro digrignante, poi pubblicizzato con il cellulare. Non era una consuetudine ammazzare le donne.
Era di moda, ossia erano mores optimi e diffusi, osservare il cielo, la natura, il prossimo invece del telefonino. Osservare e ascoltare, leggere libri buoni e imparare.
Per qualche tempo c’è stata perfino la moda di corteggiare a lungo con intelligenza e rispetto, per amare ed essere amato.
Non era impossibile che un ventenne disgraziato, infelice tanto da desiderare la morte, quale sono stato io per tre anni, trovasse una solidarietà fra i coetanei, un aiuto che valesse non solo a salvargli la vita, ma addirittura a rendergliela desiderabile e bella.
Poi la moda dell’amore è passata, però c’è un ciclo, un orbis delle mode, come delle stagioni, e sono certo che ritornerà il costume buono della solidarietà e dell’ amore.
Pesaro primo ottobre 2023 ore 10, 47 giovanni ghiselli
p. s
Domani tornerò a Bologna. Mi dispiace lasciare il mare ancora godibile grazie al caldo che ora è di moda esecrare proprio perché favorisce la vita. Io lo benedico. Quello naturale viene annullato da apparecchi infernali che diffondono aria gelida, mefitica, patogena, proprio per annullare l’orbis, e mortificare il ciclo delle stagioni. L’unico costume che ho sempre fatto mio da quando sono bambino è l’amore per la vita, doloroso amore quando non era contraccambiato, gioioso da quando lo è stato. Sono contento di tornare a tenere le mie conferenze a Bologna e in altre città. L’argomento prevalente sarà l’umanesimo che è amore per l’umanità e per la natura.
Lo stile del libro
Per quanto riguarda lo stile credo siano ancora validi i suggerimenti
di Aristotele "Levxew~ de; ajreth; safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai” (Poetica 1458a, 18 ), pregio del linguaggio è essere chiaro e non pedestre.
Lo stile si scosta dall’ordinario quando usa espressioni peregrine toi`~ xenikoi`~ kecrhmevnh :“xeniko;n de; levgw glw'ttan kai; metafora;n kai; ejpevktasin kai; pa'n to; para; to; kuvrion” (1458a, 22 ), con peregrino intendo la glossa, la metafora, allungamento e ogni forma contraria all’usuale. Si tratta insomma di trovare inopinata verba e callidae iuncturae che tuttavia siano chiare, come il viso esotico deve essere comunque luminoso.
Appendice sull’adulterio
Le adultere del mio libro hanno lasciato me, non i mariti.
Mi hanno dichiarato amore dicendo che i loro sposi non erano abbastanza intelligenti poi però sono tornate ciascuna dal rispettivo consorte.
“Vennero donne con proteso il cuore
Ognuna dileguò senza vestigio”[15].
Le tracce le ho lasciate io raccontando le nostre storie.
Ho giustificato l’adulterio dopo diversi altri autori a partire da Saffo.
Sentiamo come si giustifica l’adultera Molly Bloom: “Oh quanto chiasso se fosse tutto qui il male che facciamo in questa valle di lacrime O much about it if thats all the harm ever we did in this vale of tears
lo sa Iddio che non è poi un gran che tutti lo fanno solo che non si fanno vedere God knows its not much doesnt everybody only they hide it (Joyce, Ulisse, XVIII episodio, Penelope. Il letto)
Mi preme indicare un'altra adultera che nega ogni significato al suo tradimento: si tratta della Clitennestra della Yourcenar che fa l' autodifesa:"Signori della Corte, esiste un solo uomo al mondo: il resto, per ogni donna, non è che un errore o un malinconico surrogato. E l'adulterio non è sovente che una forma disperata della fedeltà. Se qualcuno io ho tradito, si tratta certamente di quel povero Egisto. Avevo bisogno di lui per sapere fino a che punto fosse sostituibile colui che amavo"[16].
L' indulgenza verso l'adulterio del resto non se l'è inventata la Penelope di Joyce né la Clitennestra della Yourcenar: si trova già in Saffo (VII-VI sec. a. C.), in Menandro e addirittura nelle parole di Cristo. Viceversa Catullo lo condanna.
Sentiamo almeno Saffo
La cosa più bella. Contro la guerra
Vediamo l'ode più ideologica di Saffo, quella chiamata "La cosa più bella"(fr. 16 LP):"alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,/altri di navi dicono che sulla terra nera/sia la cosa più bella-emmenai kavlliston-, io quello/che uno ama./Ed è facile assai rendere questo/comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava/nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato/il marito che pure era il più valoroso di tutti,/andò a Troia navigando/e non si ricordò per niente della figlia/né dei suoi genitori, ma Cipride la/trascinò, in preda all'amore. (vv. 1-12)...Anche a me ora ha fatto ricordare[17]/di Anattoria assente./Di lei ora vorrei vedere l'amabile passo/ e il fulgido scintillio del volto/piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti/che combattono nell'armatura". (vv. 15-20).
Saffo afferma il proprio gusto di persona e di donna: al mondo maschile della guerra ella contrappone quello femminile dell'amore, e non dell'amore matrimoniale, bensì dell'Eros come rapimento dei sensi e dell'anima travolti da Afrodite.
Come succede a Cherubino "ogni donna mi fa palpitar. Solo ai nomi d'amor, di diletto, mi si turba, mi s'altera il petto". Il nome che prediligo è Elena l’adultera meravigliosa.
Da Saffo dunque ha inizio la palinodia su Elena[18], una rivalutazione che però non ha bisogno, come quelle operate da Stesicoro (VII-VI sec. a. C.) e da Euripide, (nell' Elena del 412 ) di sostenere che la bella donna in realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma; né adduce il motivo patriottico, come farà Isocrate[19] nell' Encomio di Elena[20] sostenendo che la splendidissima fu la causa dell'unità del mondo greco contro la barbarie asiatica (67) in una guerra che prefigurò l'unità antipersiana auspicata dall'oratore; né deve accumulare una caterva di giustificazioni come Gorgia, il maestro di Isocrate, nel suo Encomio di Elena :" ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità divina"(20)
Invece la riabilitazione di Saffo è semplice e diretta: la poetessa approva la scelta amorosa della donna che ha seguito il richiamo della cosa più bella, un uomo che le piaceva più del marito, e quindi ha lasciato Menelao, senza tenere conto di convenzioni sociali, convenienze economiche o pastoie di qualsiasi genere[21].
Vediamo altri casi di comprensione per l'adulterio, anzi proprio per l'adultera. Nella commedia L'arbitrato (Epivtreponte") di Menandro (attivo tra il 320 e il 292 a. C.) troviamo un vero momento di mavqo" (comprensione) tragico quando Carisio, il marito che si crede tradito, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie, presunto, ma da lui ritenuto reale, è stato un "infortunio involontario"( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).
Il protagonista di questa commedia ripropone la formula antica della dovxa , la reputazione, ma poi la supera con quel "io l'uomo senza peccato", ejgwv ti" ajnamavrthto", che anticipa il Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp& aujth;n balevtw livqon (8, 7).
Qui, nel Nuovo Testamento secondo Giovanni, non si tratta di un adulterio presunto. Infatti gli scribi e i farisei portano al tempio una donna còlta in adulterio (mulierem in adulterio deprehensam ) e chiedono al Cristo, che insegnava in quel luogo, se dovesse essere lapidata secondo la legge mosaica. Lo dicevano per metterlo alla prova e magari poterlo accusare. Gesù allora si diede a scrivere con il dito sulla terra. E siccome lo incalzavano, il Redentore rizzatosi disse loro:" qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat ". E riprese a scrivere per terra. Tutti gli altri uscirono, e il Cristo, rimasto solo con la donna, la assolse, come tutti gli altri, aggiungendo:"vade et amplius iam noli peccare " (7, 11), vai e non peccare più. Che significa: scegli tra i due uomini quello che ami.
Bologna 10 ottobre 2023 ore 9, 39
giovanni ghiselli
[1] Disprezzare il fatto di essere disprezzato, massima di San Filippo Neri (1515-1595) ripresa da Nietzsche.
[2] 40ca- 104 d. C.
[3] Portato a Roma da Taranto nel 272 a. C. dal nobile Livio Salinatore.
[4] Odusia fr. 1 Morel
[5] H. Hesse, Demian (del 1919), p. 54.
[6] Esopo, Promhqeu;~ kai; a[nqrwpoi , Prometeo e gli uomini (322).
[7] eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi.
Augusto dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.
Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo” G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11
Senza risalire a Ottaviano Augusto, penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo molto da loro. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".
[8]Virgilio, Bucolica X , 69.
[9] Quintiliano, Inst., I, 3, 8.
[10] Cfr. R. Musil, L’uomo senza qualità. Verso il regno millenario. “E sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda”.
[11] Cfr. Esiodo, Opere e giorni, v.266.
[12] Cfr. Esiodo, Opere e giorni, v. 265. Seneca ribadisce questa legge nell’ Hercules furens:" quod quisque fecit, patitur: auctorem scelus repetit " (vv. 735-736), ciò che ciascuno ha fatto lo patisce: il delitto ricade sull'autore.
[13] Metafisica , 982b.
[14]Heautontimorumenos , 77.
[15] G. Gozzano, La signorina Felicita, vv. 259-260.
[16] M. Yourcenar, Fuochi, p. 88.
[17]Il soggetto probabilmente è Cipride.
[18]la quale nell'Odissea , IV, 145, tornata a Sparta, buona moglie , brava regina e avveduta padrona di casa, pentita dei propri trascorsi, chiama se stessa "faccia di cagna"
[19] 436-338 a. C.
[20] Del 390 a. C.
[21]Questa prima affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole di alcuni drammi greci dei quali ci occuperemo più avanti e procederà a mano a mano fino ad arrivare alla Nora di Ibsen (del 1879):"io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi..per questo ti lascio." E quando il marito le obietta:"prima di ogni altra cosa, tu sei sposa e madre", ella risponde:"Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu..So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di vederci chiaro"(Una casa di bambola , trad. it. Newton Compton, Roma, 1973, atto terzo).
[1] Disprezzare il fatto di essere disprezzato, massima di San Filippo Neri (1515-1595) ripresa da Nietzsche.
[2] 40ca- 104 d. C.
[3] Portato a Roma da Taranto nel 272 a. C. dal nobile Livio Salinatore.
[4] Odusia fr. 1 Morel
[5] H. Hesse, Demian (del 1919), p. 54.
[6] Esopo, Promhqeu;~ kai; a[nqrwpoi , Prometeo e gli uomini (322).
[7] eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi.
Augusto dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.
Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo” G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11
Senza risalire a Ottaviano Augusto, penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo molto da loro. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".
[8]Virgilio, Bucolica X , 69.
[9] Quintiliano, Inst., I, 3, 8.
[10] Cfr. R. Musil, L’uomo senza qualità. Verso il regno millenario. “E sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda”.
[11] Cfr. Esiodo, Opere e giorni, v.266.
[12] Cfr. Esiodo, Opere e giorni, v. 265. Seneca ribadisce questa legge nell’ Hercules furens:" quod quisque fecit, patitur: auctorem scelus repetit " (vv. 735-736), ciò che ciascuno ha fatto lo patisce: il delitto ricade sull'autore.
[13] Metafisica , 982b.
[14]Heautontimorumenos , 77.
[15] G. Gozzano, La signorina Felicita, vv. 259-260.
[16] M. Yourcenar, Fuochi, p. 88.
[17]Il soggetto probabilmente è Cipride.
[18]la quale nell'Odissea , IV, 145, tornata a Sparta, buona moglie , brava regina e avveduta padrona di casa, pentita dei propri trascorsi, chiama se stessa "faccia di cagna"
[19] 436-338 a. C.
[20] Del 390 a. C.
[21]Questa prima affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole di alcuni drammi greci dei quali ci occuperemo più avanti e procederà a mano a mano fino ad arrivare alla Nora di Ibsen (del 1879):"io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi..per questo ti lascio." E quando il marito le obietta:"prima di ogni altra cosa, tu sei sposa e madre", ella risponde:"Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu..So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di vederci chiaro"(Una casa di bambola , trad. it. Newton Compton, Roma, 1973, atto terzo).
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