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lunedì 16 ottobre 2023

"Riflessioni su August von Platen, un Poeta in 'work-in-progress'". Di Giuseppe Moscatt

Riflessioni su August von Platen, un Poeta in "work-in-progress"

di Giuseppe Moscatt
 
Quando August von Platen si accingeva a scrivere una delle sue commedie satiriche - l'Edipo romantico aveva 32 anni e nel 1828 tentò senza successo di rappesentarla -  la politica, le scienze, la filosofia e le Arti non erano in minore fermento del momento attuale. L'Europa vedeva l'invasione della Spagna da parte dell'esercito legittimista francese, su mandato del Congresso di Vienna. Si interveniva per rimettere sul trono re Ferdinando VII di Borbone. E il 31ottobre, dinanzi alla fortezza del Trocadero venivano sconfitti i rivoluzionari liberali e iniziava così una feroce repressione che lascerà il segno fino al '900 nella storia di quel Paese. Lo stesso avverrà in Portogallo, dova la casa regnante di Michele I l'assolutista ritornerà al potere con una Costituzione antidemocratica nel 1834. Epperò in Irlanda, la domanda di autonomia diventa la bandiera della libertà religiosa della minoranza cattolica. Il leader O' Connell fonda un'azione cattolica che guiderà lo spirito indipendentista per più di un secolo. Negli Stati Uniti il presidente Monroe sul piano interno riesce ad attrarre al partito progressista l'opposizione conservatrice, fondando il partito della Concordia, antesignano dell'attuale Partito Democratico. Ma è soprattutto ora che si affaccia nella politica estera il principio l'America agli americani, cioè la diffida ai Paesi Europei di non ingerirsi negli affari degli Stati indipendenti del Nuovo Mondo. Messico, Cile, Guatemala e altri Paesi del Centro America ne approfittano per la loro indipendenza  e perfino il Dominion of Australia ottiene larghe forme di autonomia, ottenendo il Consiglio legislativo locale e il diritto di assegnare ai coloni ex forzati ampie aree di territorio del Continente. Le scienze naturali poi fanno balzi in avanti: l'esploratore italiano Beltrami scopre le sorgenti del Mississippi; lo scozzese Oudney, riesce a raggiungere l'Africa centrale e il Ciad. Il filosofo Saint-Simon, pubblica buona pare del suo saggio principale Il Catechismo degli industriali, dove distingue nella società industriale due classi in competizione al Potere: gli oziosi, vale a dire i proprietari e le classi terriere e intellettuali, e gli imprenditori, i tecnici e i produttori, nonché gli scienziati e gli artigiani. La domanda che si poneva era essenziale: se mancavano i secondi; per la Francia sarebbe stato un disastro. Mentre la mancanza dei primi - un'assoluta minoranza - non solo non avrebbe avuto alcun effetto sull'economia nazionale, ma avrebbe avuto anche un esito infausto per la democrazia liberale. Il conservatore Guizot dal canto suo mandava alle stampe un saggio nazionalista, La storia della Francia dal V al secolo X, un inno alle origini barbariche della Gallia e fonte fondamentale per la figura di Carlo Magno. Nel frattempo la scuola romantica produce due saggi fondamentali: il Manzoni scrive al D'Azeglio, il suo manifesto, La lettera sul Romanticismo, che definisce la sua poetica - già presente nel Fermo e Lucia, prima stesura dei futuri Promessi sposi - dove indica la sua principale idea estetica dedotta dal Goethe, cioè che ogni regola compositiva deve avere valenza generale, perpetua e ragionevole. Inoltre, il francese Claude Faurel, scrive un altra lettera agli amici romantici tedeschi sull'unità di tempo e di luogo nella tragedia, che nega decisamente le regole classiche di Aristotele, opponendo che la poetica del vero fosse oggetto dell'arte, significando un rapporto meno stretto fra poesia e storia. Schiller, Shakespeare e Grillparzer trionfano quindi nei teatri europei, peraltro in armonia al c.d. teatro del destino, dove il determinismo filosofico di Alfieri e di Shaftesbury cominciava a svilupparsi in area tragica. Di fronte all'offensiva pan romantica dal lato estetico e politico, von Platen, ormai trasferitosi ad Erlangen, è divenuto non solo discepolo del filosofo Schelling, ma di Erlangen cura la biblioteca universitaria e assiste agli esami accanto all'amico filosofo. Anzi, questi lo stimola a pubblicare una seconda raccolta di brevi poesie sul modello della già famosa opera collettanea di Goethe, Il divano occidentale orientale. Sono i cc.dd. Ghaselen, una poesia innovativa aperta rispetto alle forme liriche chiuse tipiche della poesia tedesca classica. E qui, si arriva al quesito iniziale di Platen poeta: come poteva essere un poeta tedesco classico, cultore di Klopstock e di Euripide, di Saffo e di Racine, accettare le forme romantiche d'amore impossibile dell'epoca? Un esempio chiarirà la questione: nel Tulipano - 1820 - Platen come nei Ghaselen accorcia la versificazione, ma elabora il dialogo con l'altro da sè. Nella brevissima poesia del 1821 la presa di coscienza del nuovo che avanza, lo fulmina e lo trasfigura. Fin da quel momento di serenità, dopo la burrascosa fuga da Würzburg, ha il sospetto che sta per inquinarsi la sua stimata formazione classica. Egli si crede ora un uomo in evoluzione - diremmo un worker in progress - perché segnato da un conflitto creativo, stanco della quotidianità, spesso limitata dal suo essere particolare, malinconico, esiliato, incompreso. Genio e solitudine. Sradicato nel suo essere, combattuto dai costumi sociali, pensieroso di città in città, con l'idea dai scendere in Italia, forse pensa di trovare lì il suo mondo. Cresceva il suo interesse per l'altro, come emerge dal Diario e dalle prime poesie. Spesso studiava le nefandezze degli uomini illustri, non dimenticando le glorie del passato. Il suo tulipanesimo non si afflosciava, anzi aveva uno stile di vita che glorificava gli eroi del passato. Omero e Virgilio erano ancora le letture preferite, insieme alle commedie di Calderon e Shakespeare. Ma dov'erano gli ideali superiori che il Romanticismo ora degradava? Luteranesimo e Illuminismo non lo entusiasmavano. Atene e Roma rimanevano le sue città assolute. Ma le idee di religione naturale di Lessing, Herder e dello Spinoza lo colpivano nella misura in cui costoro avevano trovato nei panni cavallereschi ritualità magiche che lo interessavano. Non più la razionalità rinascimentale, quanto invece l'Umanesimo profetico di un Paracelso e le storie più antiche di un Luciano. Questa fu la sua prima contraddizione: nelle commedie di Aristofane leggeva l'ironia melanconica del suo io, la parodia gli sembrava il terreno da perseguire, la mediazione opportuna fra gli eroici furori dello Sturm und Drang e la concezione comune della poesia arcadica, magari bozzettistica dell'età dell'oro di un Metastasio. Ecco dunque l'inizio di un nuovo cammino rivolto a sottolineare gli eccessi degli uni e le aporie degli altri, proponendo una poetica che divide senza prevalere, dove l'ideale mitologico si fa doloroso come è la sua vita fra alti e bassi. Accetta la proposta di scrivere commedie greco-ellenistiche e poi della Cavalleria medievale, fino ad accostarsi alla caduta degli Dei classici, al senso dell'onore e all'amore fraterno, ai Cavalieri della Tavola Rotonda, perfino il ricordo del giovane Tristano, chiamato alla ricerca di una Gral perduto. E poi le prime operette per il teatro, La pantofola di vetro e Il Tesoro di Rampsinit, due rappresentazioni raccomandate dall'amico Schelling che hanno un Re-poeta per protagonista, ben diversi da quel Re di Baviera, il mediocre Ludwig I, re dal 1825. I Re-poeti ideali che non hanno una corte di compagni delle stesse idee. Come Lui, soli a lottare contro il Destino, nemico comune di coloro che sono di spirito magnanimo e onesto. Un trovatore, un povero menestrello, ma libero ed audace, come lo chiamerà nel '900 il poeta più lui vicino, Stefan George. Questi apprezzò di Platen lo spirito di amicizia di origine classica, quel simposio platonico fra Alcibiade e Socrate, quando la poesia doveva farsi parte di sé con rime raffinate e perfette, metodo stilistico che Goethe gli rinfacciò di freddezza, ma che Platen fece rifiorire rispetto alle bruttezze sintattiche di Immermann e Heine, suoi contemporanei che disprezzava per l'effetto scenico materialista che offrivano ad un pubblico borghese ignorante e rumoroso. Come al Goethe giovane - quel Maestro che aveva amato dietro il titanismo ateo e affabulatorio del Prometeo - Platen ribadiva il sogno classico dell'arte  come segno di rottura del Destino. E dunque la riproposizione della metrica classica quale strumento di presentazione nella battaglia della vita. La chiarezza espositiva, la semplicità e l'autorevolezza del Genio, le forme sintattiche più ritmiche che lo avvicinavano ai francesi barocchi, a Racine e a Corneille, allo Shakespeare dei sonetti e non quello dei drammi. Lo Schiller gli sembrava spesso un po' violento e becero, benché l'ultima fase del grande commediografo non gli dispiaceva per un singolare senso di nostalgia e di irrequietezza che lo avvicinava a un Don Chisciotte amaro e sarcastico, come Platen sarà qualificato nel secondo dopoguerra in modo esaustivo da Thomas Mann. Temi romantici, in forme classiche, dunque. La ricerca della bellezza e della morte sulla scia di Schelling, oramai a sua volta sciolto dall'inesorabile cammino del mondo guidato dai passi dello Hegel. Platen invece credeva che la creazione artistica passava da Dio all'uomo e a Dio ritornava, dalla vita terrena alla morte, in un eterno ritorno circolare e ripetitivo che Nietzsche riscoprirà mezzo secolo dopo con lo Zarathustra. Platen, nel decennio d'oro della sua breve vita - 1819/1829 - così si infiammava nel suo animo  inconsciamente romantico, da risultare antinomico allo stesso ideale, aderendovi di fatto, apollineo e dionisiaco allo stesso tempo. Da poeta classico esaltava il mito, ma dall'altra parte ne trasfigurava il dato sostanziale. L'ambivalenza - o meglio l'omoerotismo - che lo affliggeva, ne era la copertura esistenziale, quasi una maschera per dissimulare un amore  platonico, ma non per questo sofferto e tenuto nascosto non così tanto proprio per resistere al sentire comune. Conflittualità che trasse  dallo Schelling, suo alter ego nel conflitto con lo Hegel, un epigono del classico Anassimandro, cioè il fatto che proprio in lui convivono intrecciati il dolore individuale e quello collettivo, specchiati nel suo esistere. Si diceva cioè un worker in progress, un cammino graduale rovesciato rivolto a ricostruire se stesso. Un'idea di mondo sognato che lo porta rievocare  le imprese mitiche, ma nel segno dell'amore e dell'amicizia, i due valori della cittadella umana, all'apice del viaggio. Propriamente delle fiabe per ragazzi, quando i Grimm gli promossero la Pantofola e il Tesoro, brevi poemi che costituiscono la spia di quanto detto. E di seguito, le poesie più famose, il Pellegrino dinnanzi a S. Giusto (1819), La tomba nel Busento (1820), dotate di un ritmo superiore, sempre più aulico, fino alle stelle conclusive. Come farà il Leopardi, suo magnifico emulo nella potente lirica della Ginestra. Di questa progressione Platen ne divenne consapevole, fino a precipitare proprio verso quella morte vista come la pace dell'irrequieto vivere. Ma prima di arrivare al suo agognato cimitero (l'Italia?!) un ulteriore tentativo al dolore interiore può trovarsi nella satira Aristofanea, in quel teatro dell'assurdo che sarà l'Edipo Romantico del 1828-1829, dove il pianto melanconico procede dalla battaglia artistica contro l'odiata, romantica, coppia Heine - Immermann; e che con la strana figura dell'Edipo Sofocleo egli volle immortalare nella Caduta del mito e nella Malinconia dell'Io. All'inizio del decennio di cui si disse, Franz Grillparzer (Vienna, 1791-1872) trionfava nei teatri europei con l'Avola, un dramma fatalista che perseguiva il gusto romantico dell'orrore (1817).  Presto ne seguì un seguito, Saffo (1818), una tragedia classica in forma di giambi, che richiamava l'esilio civile dell'artista. Nondimeno, la rappresentazione classicheggiante tanto amata dal pubblico, trovò nello stesso autore significativi successi nella trilogia dal Vello d'oro (1821) sul mito di Giasone e Medea. Il filo conduttore mitico da cui scaturiva un tragico destino causato oggettivamente dai due protagonisti per come essi erano senza speranza di ravvedimento, un determinismo ineluttabile verso la morte e il male di un uomo perverso e menzognero e di una donna perfida amata di potere. Platen, amante del mito, ma percorso presto dal brivido della volontà dell'Uomo eticamente rivolto al bene, non poté accettare la certezza di un fatto maligno e di un'ingiustizia  immanente nel mondo. La fede nell'armonia e nella bellezza delle cose non lo faceva credere nella tragedia fatidica. La domanda di un salto di qualità verso la pace interiore lo animava verso la ricerca di una stasi del conflitto fra reale ed ideale. Soluzione mediatica che ritrova  nella Satira, specie quella classica di Aristofane, dove il reale può essere sanato da un moto di alta idealità, cioè la poesia di riflessione etica. Questa era stata la via del vecchio Schiller, come si disse nelle sue ultime opere. Dunque la saga del sangue di un Grillparzer gli appare quantomeno insufficiente e meccanicista, disumana e anche antiscientifica, visto che perfino Lucrezio ammetteva il libero volere degli atomi e quindi la libertà dal caso. La spontaneità dell'Uomo aveva nella parodia della tragedia una sostanziale armonia e una folgorante bellezza che l'artista sa esprimere nelle opere satiriche. Per esempio, Platen descrive nel suo diario del settembre 1822 la splendida rilettura di Aristofane e che Schelling gli propina contro il determinismo rigido di un Tieck, campione dell'allora romanticismo berlinese. E qui un secondo progresso nell'estetica di Platen: dopo l'abbandono del rigido credo apollineo di un Sofocle; ora gli emerge lo spirito critico che calerà a piè pari nell'Edipo romantico, pièce del 1828 e mai però rappresentata perché foriera di forti critiche romantiche, anche per aver dileggiato il poeta più popolare del tempo, Heinrich Heine. Eppure, fin dal 3°atto dell'Edipo, c'è la satira perfino politica: Laio e la moglie Giocata messi alla berlina Alessandro I Russia e la moglie. Come pure è messo in sorridente scacco Federico Guglielmo di Prussia. La celata estetica di Platen è chiara: il teatro come specchio delle miserie della vita e la indifferenza del pubblico anche dinanzi alle tragedie del destino diventa partecipazione quando c'è un Re sulla scena. Un Aristofane moderno? Sicuramente, se al pubblico venissero propinate finalmente le miserie dell'uomo quotidiano... Di qui, la scelta di Platen di riempire il suo Edipo di doppi sensi estranei alle tragedie del destino, un linguaggio proprio ambivalente, come parole guai, furore, va tutto bene, ecc. Soprattutto, la descrizione di personaggi in forma allegorica, veri e propri mostri, per esempio Giocasta e Lajo. Oppure il gregge di pecore, emblematiche del pubblico romantico. Una poetica raffinata e varata all'uopo. Un passaggio di quel percorso a tappe che Platen si era coscientemente raffigurato dopo al fase giovanile a Würzburg. Nondimeno, il ruolo narrante e partecipativo del coro, prima respinto e poi ripreso dallo Schiller del Guglielmo Tell è operazione che rinasce nel Manzoni dell'Adelchi; quasi coevo.  Un ulteriore  segnale di avvicinamento ai canoni romantici, ormai meno estranei alla sua poetica. Singolare fu anche l'opzione linguistica dell'uso di vocaboli nasali espressi con la popolare aspirazione tedesca che riflettevano parole greche. Una radicale rottura ancora con le tragedie del Destino, poi l'uso di recitare in falsetto, ripreso dalle commedie di Plauto, tecniche critiche e ironiche al linguaggio di Immermann. Un caleidoscopio di innovazioni e di espedienti estetici però incompresi da un pubblico distratto, come Platen stesso fa dire ai capo-cori delle due parti in contesa fin dalle battute originarie. Tuttavia la critica legata al classicismo conservatore, con Johann Heinrich Voss in testa, notò il suo equilibrato realismo, una straordinaria freddezza d'animo, nonché la fine ironia di chi ha sofferto fin dalla giovane età una rara solitudine e poi in gioventù un senso di separatezza dal mondo che lo disprezzava per le sue stranezze omoerotiche. Tanto che l'impresario Carl Urban Keller - direttore del teatro di corte di Stoccarda - succeduto purtroppo per Platen all'amico Friedrich von Matthisson, che qualche anno prima gli aveva fatto  rappresentare con buon esito una commedia ironica, La Forchetta  fatale - sollevò subito dubbi sulla rappresentazione richiesta, senza contare le perplessità del famoso editore Cotta di Monaco, che solo dopo la morte nel 1839, su sollecitazione dell'amico di famiglia Fugger, riuscì almeno a pubblicare tutte le opere  del Platen, ivi compreso l'Edipo Romantico. A guidare il fuoco di sbarramento contro la commedia fu uno dei principali i critici letterari favorevoli ad Heine e Immermann e dunque fortemente influenti nel raffreddare la benevolenza dello stesso Cotta. Scriveva dunque Joseph von Eichendorff, nella sua prima storia della letteratura poetica della Germania (1829), edita non a caso a Heidelberg, uno dei centri propulsori della scuola romantica: sicuramente l'Edipo di Platen è una ripresa intelligente di Aristofane. Essa spicca per la peculiare eleganza del verso, come ebbe ad dire Goethe. Tuttavia, la sua struttura creativa e la sostanza del messaggio appare poco interessante. Il richiamo alle commedie classiche è di grande forza morale di ispirazione greca. Ma nulla dicono di nuovo, simili perciò a mere allegorie... dei versi di fatto limitati nel senso, per non dire di vezzi, morbosamente densi di invidia. Si voleva così già spiegare in modo formale ma efficace, la presunta vera ragione, quella di infangare Heine, ribadendone la radice ebraica nei famosi versetti del quinto atto. Peccato che dopo questo severo giudizio critico, Platen trovò  chiuse anche le porte del teatro di Monaco - e che gli si che si riapriranno solo nel 1855, quando una compagnia di dilettanti, di studenti e di modesti artisti riuscirono a recitare l'opera in esame in occasione del ventennio dalla morte. Il ricordo di Heine era sbiadito e questi stava per  morire a Parigi. Anche Platen, vicino alla conclusione della sua vita, scriveva a Fugger: Non accetto che il mio Edipo, una mia speciale creazione, sia stata così maltrattata. Non volli scrivere un encomio per un amico, ma per me stesso. Un anapesto ironico che si rifà ad Aristofane, ma che è mio... Non è un operetta, ma una commedia... E' una preghiera moderna.... è una visone nostalgica e grandiosa di un mondo di dei falsi e bugiardi... è la parodia della case regnanti... è la storia di un uomo che comprende solo alla fine l'equivoco in cui è caduto... Ma è pure un inno alla bellezza... Naturalmente Platen tace sulla polemica con Heine, che com'è noto si trascinerà oltre la morte dei due poeti e che la critica moderna - per esempio Hans Mayer - ha voluto rileggere equiparando la reciproca solitudine dei due poeti, lontani dalla patria e comunque capostipiti di quella letteratura dell'esilio, in patria e all'estero,  rilevata da Thomas Mann e Karl Kraus fra il primo e il secondo dopoguerra. Dopo il rifiuto della messa in scena a Monaco, a Platen non restò che andare esule in Italia. E qui comincerà il suo ultimo atto di vita.

di Giuseppe Moscatt


                   Bibliografia
             Per un giudizio critico negativo su Platen, v. LADISLAO MITTNER, Storia della letteratura tedesca, vol. III, tomo primo, Einaudi, 1971, pagg. 115 e ss.
             Per un giudizio critico positivo, vd. Poesia e rivoluzione in Germania, 1830-1850, di GIUSEPPE FARESE, Laterza, 1947, pagg. 40 e ss.
             Una significativa raccolte delle poesie di A. von Platen si trova nella Antologia della poesia tedesca, a cura di R. FERTONANI e E. GIOBBIO CREA, Mondadori, Milano,1997, pagg. 301 e ss.
             Vd. infine il nostro Ironia e nostalgia nella Germania Moderna, dalla caduta del mito alla melanconia dell'Io, Morrone editore, Siracusa, 2022, dove è pubblicata con Nostra traduzione l'Edipo romantico del 1828-1829, dove lo scrivente esamina le citate critiche di Mann e Kraus, nonché le conclusioni del Mayer (pagg.53 e ss.).

 

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