A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
La ragazza e collega mi dava anche il coraggio di oppormi ai subdoli e pure ai violenti nemici della mia identità conquistata con tanto impegno, di non tradirla, né sporcarla, di non cedere alle pressioni intese a schiacciarmi, ad annullare il bene e il bello conquistati con tanta fatica.
La vidi nel corridoio che mena al portone dell’uscita: aveva la fronte appoggiata a una vetrata che inghiottiva la tenebra esterna. Le solide brume di fine novembre avevano vinto la facile gara sui cavalli del sole, bolsi in quei giorni, e incapaci di alzarsi nell’ atmosfera tanto da forarne l’oscurità e recare conforto ai mortali. Dopo la momentanea epifania della prima mattina, la carissima stella era sparita, ingozzata dalle fauci di una sordida massa buia, pesante, bagnata che faceva sparire la luce, come un sordido obeso sudato inghiotte qualsiasi pezzo di roba che gli gonfi la pancia.
Quando Ifigenia si voltò, vidi che piangeva.
Mi avvicinai. Piangeva lacrime grandi dagli occhi di cerbiatta che non trova la mamma.
“Perché piangi tesoro?” Le domandai commosso e spaventato da quel dolore che le colava dagli occhi cristallino e vago.
“Ieri sera mio marito è andato a prendermi alla scuola di Yoga e gli hanno detto che non ci ero andata. Mi ha inquisito a lungo. Voleva sapere perché. Temo che l’abbia capito”
Bologna 20 ottobre 2023 ore11, 57
giovanni ghiselli
p. s.
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