lunedì 30 ottobre 2017

I classici in Thomas Mann. "Tonio Kröger" e "Tristan". I parte

Jean-Claude Brialy in Tonio Kröger
di Rolf Thiele


I classici in Thomas Mann

conferenza che tengo a Roma nell’ambito linguistico dei lunedì avviati da Tullio De Mauro.
Proseguono con la direzione della moglie Silvana Ferreri.
Gli incontri si svolgono il lunedì, tolti i periodi di vacanza e le eventuali coincidenze con feste nazionali, presso la sede della Fondazione Leusso, in viale Regina Margherita 1 (portone d’angolo con via Salaria), IV piano. L’orario è 17-19.


Tonio Kröger del 1903.
Qui il tema può essere riassunto da un verso del primo stasimo delle Baccanti di Euripide: il sapere non è sapienza: "to; sofo; n d j ouj sofiva" ( v. 395), il sapere non è sapienza .
Le letture (il Don Carlos di Schiller del 1787 come testo - chiave) lo studio, il culto della parola lo staccano dall’umanità: “si dedicò alla potenza che gli appariva come la più sublime sulla terra, la potenza dello spirito e della parola - der Macht des Geistes und Wortes - sorridente in trono sopra una vita muta e priva di pensiero” ( III, p. 229).

Si può pensare a Gorgia, il sofista siciliota che considera la parola un'arma potentissima, e dal: "lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o{" smikrotavtw/ swvmati kai; ajfanestavtw/ qeiovtata e[rga ajpotelei'"[1], la parola è un gran signore che, con un corpo piccolissimo e invisibile, compie opere assolutamente sovrumane.

Nel Filottete di Sofocle Odisseo chiarisce al giovane Neottolemo il percorso che l'ha portato a prediligere la glw'ssa rispetto agli e[rga: "ejsqlou' patro; " pai', kaujto; " w]n nevo" pote; - glw'ssan me; n ajrgo; n, cei'ra d j ei\con ejrgavtin - nu'n d j eij" e[legcon ejxiw; n oJrw' brotoi'" - th; n glw'ssan, oujci; ta[rga, panq j hJgoumevnhn" (vv. 96 - 99), figlio di nobile padre, anche io da giovane un tempo, avevo la lingua incapace di agire, la mano invece operosa; ora però, giunto alla prova, vedo che per gli uomini la lingua ha la supremazia su tutto, non le azioni.

 Ma con il martirio e l’orgoglio del conoscere sopravvenne la solitudine poiché la vicinanza dei bonari, delle anime gaiamente ottenebrate gli riusciva intollerabile. Di famiglia non era uno zingaro del carrozzone verde, anzi era un borghese, ma un borghese incrinato di esotico.
Si trovava isolato rispetto ai bravi scolari che non trovano ridicoli i professori, non scrivono versi e pensano solo le cose che si devono pensare.
Solitudine dolorosa pe un greco dell’Atene democratica (cfr. il Filottete di Sofocle), non per Cnemone del Dyskolos di Menandro né per Seneca (cfr. Ep. 10, 1 Fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum).
Anzi la solitudine diventa necessaria
Cfr. Seneca Istuc quoque ab Epicuro dictum est: si ad naturam vives, numquam eris pauper, si ad opiniones numquam eris dives. Exiguum natura desiderat, opinio immensum (Ep. 16, 7 - 8). L’impossibilità di essere normale.

Anche il suo nome Tonio era strano, tutto in lui era strano, ed era escluso dalla vita dei normali, benché non fosse uno Zingaro nel carrozzone verde ma un figlio del console Kröger. La difficoltà, quasi l’impossibilità di esssere normale. Come il maestro di comportamento e di danza Knaak che Inge ammirava. Ma il suo sguardo non arrivava al fondo delle cose, nel punto dove diventano complicate e tristi, i suoi occhi sapevano solo essere bruni e belli. Tonio amav die blonde lustige Inge, la bionda allegra Inge.

Superati da poco i 30 anni va a Monaco a trovare un’amica, Lisaveta. Le dice che è necessario essere fuori dall’umano per poterlo rappresentare con gusto ed efficacia. Il dono dello stile presuppone un atteggiamento schifiltoso verso l’umano.
La letteratura non è una professione (Beruf) o una vocazione, ma una maledizione (ein Fluch). Presto uno comincia a sentirsi segnato a sentirsi in contrasto con la gente ordinaria, separato da un abisso di ironia, incredulità, opposizione di conoscenza e sentimenti, e la solitudine lo inghiotte. Le confessa che spesso mi sento mortalmente stanco di rappresentare l’umano senza farne parte
Il primo stasimo delle Baccanti di Euripide si chiude con questa antistrofe

Ant. b Il demone figlio di Zeus 417
gioisce delle feste,
e ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli. (cfr. la bionda allegra Inge)                                                     
Uguale al ricco e a quello di rango inferiore
concede di avere la
 gioia del vino che toglie gli affanni;
e porta odio a chi queste cose non stanno a cuore:
durante la luce e le amabili notti 425
passare una vita felice,
e saggia tenere la mente e l’anima lontane
dagli uomini straordinari; perissw'n para; fwtw'n[2]
ciò che la massa 430 to; plh'qo"
più semplice faulovteron crede e pratica,
questo io vorrei accettare. 432                                                                                            

Quindi subentra la nausea del conoscere e la nostalgia della semplicità delle cose vere e vive, delle gioie mediocri, dell’amicizia tra gli uomini. “Io amo la vita ich liebe das Leben, anche se hanno scritto che la odio o la disprezzo. Per me Cesare Borgia non è niente. Io sarei felice di avere un amico tra gli uomini. Quando vado a fare conferenze, mi trovo davanti il gregge. Ma finora ho avuto amicizie soltanto fra demoni, coboldi, creature maligne e sotterranèe e fantasmi ammutoliti dal conoscere, ossia fra letterati”.
Lisaveta gli dice: “Voi siete un borghese sviato” (eine verirrter Bürger p. 247)

In La montagna incantata, Claudia dice a Hans: “Poeta! Borghese, umanista e poeta! Ecco il tedesco completo, il tedesco come si deve!”
Hans le risponde: “Temo che non siamo come si deve, ma semplicemente riottosi figli della vita” (Notte di Valpurga, 497 - 1231)
Settembrini lo aveva definito un riottoso figlio della vita[3] (Danza macabra, p. 454)
Nella traduzione di Renata Colorni
Sorgenkind des Lebens, letteralmente “figlio che dà preoccupazioni”
Nella versione precedente (Bice Giachetti ed Ervino Pocar) era “beniamino della vita”


CONTINUA



[1] Gorgia, Encomio di Elena, fr. B11 Diels - Kranz.
[2] Per quanto riguarda gli uomini straordinari, cfr. Delitto e castigo di Dostoevskij,
[3] Nella traduzione di Renata Colorni (La montagna magica). In tedesco è Sorgenkind des Lebens, letteralmente “figlio che dà preoccupazioni”
Nella versione precedente ( La montagna incantata, Bice Giachetti ed Ervino Pocar) era “beniamino della vita”.

domenica 29 ottobre 2017

I classici in Thomas Mann. La morte a Venezia

Bjorn Andresen interpreta Tadzio
in Morte a Venezia di Luchino Visconti

I classici in Thomas Mann

conferenza che tengo a Roma nell’ambito linguistico dei lunedì avviati da Tullio De Mauro.
Proseguono con la direzione della moglie Silvana Ferreri.
Gli incontri si svolgono il lunedì, tolti i periodi di vacanza e le eventuali coincidenze con feste nazionali, presso la sede della Fondazione Leusso, in viale Regina Margherita 1 (portone d’angolo con via Salaria), IV piano. L’orario è 17-19.


La morte a Venezia 1912 - Der Tod in Venedig
Gustav von Aschenbach aveva un’immensa tenacia e volontà. Era convinto che tutto quanto esiste di grande, esiste come una sfida, e può diventare realtà nonostante ogni sorta di ostacoli (cfr. il De Providentia di Seneca: “ marcet sine adversario virtus (II, 4). La fermezza di fronte alle avversità per lui era non solo un patire ma anche un positivo trionfo
La figura di San Sebastiano è il simbolo di quest’arte.
Tutta la sua evoluzione era stata una metodica ascesa alla dignità oltre gli ostacoli del dubbio e dell’ironia. Cfr. il prevpon - decōrum degli Stoici.
A Venezia gli appaiono esistenze deformi e truffaldine come un finto giovinotto, un bellimbusto cadente che indossava indebitamente garrule vesti da ganimede. Prefigura la sua involuzione. Con la punta della lingua si leccava gli angoli della bocca.
La gondola gli evoca l’idea della morte, dell’ultimo viaggio con Caronte. Non paga l’obolo, rovesciando il paradigma mitico (cfr. Aristofane, Rane, 270 quando Dioniso dice a Caronte: “e[ce dh, twjbolwv, eccoti i due oboli)
La solitudine predispone alla bellezza ma anche all’assurdo e all’abnorme.
Nell’hotel des Bains dove approda nota un ragazzo sui 14 anni di una bellezza perfetta, dallo stile aureo, dalla grazia noncurante, come ritroveremo nella Chauchat di La montagna incantata.

E’ lo stile della sui neglegentia.
Cfr. il Petronio degli Annales di Tacito e la nova simplicitas del Satyricon o la sprezzatura dei convitati del conte zio di Don Rodrigo in I promessi sposi.

La sui neglegentia, la noncuranza di sé quale virtù suprema dello stile, viene attribuite dallo storico a questo elegantiae arbiter, maestro di buon gusto alla corte di Nerone, l'imperatore che: "nihil amoenum et molle adfluentiā putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset"[1].
Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam, praeferentia, tanto gratius in speciem[2] simplicitatis accipiebantur"[3] le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.

Nel Satyricon, l’io narrante Encolpio si rivolge in distici elegiaci ai Catoni chiedendo loro di non guardarlo accigliati e di non condannare quest'opera novae simplicitatis (132, 15).

Gli occhi del ragazzo erano di uno strano colore grigio di alba - ed erano espressivi di rigore, disciplina, dignità.
La Cauchat con i suoi stretti occhi tra l’azzurro e il grigio e il verde, sopra i larghi zigomi (p. 133).

La bellezza sovrumana di quella creatura rimanda Aschenbach a Senofonte quando nei Memorabili ricorda che Socrate consigliava di astenersi con tutta la forza dai belli tw'n kalw'n ijscurw'" ajpevcesqai (III, 8).

Infatti non è facile che chi li tocca mantenga il buon senso (swfronei'n). Il bacio dato al bello punge come un ragno e inietta veleno.
Socrate avverte Senofonte di fuggire se vede un bello,
e a Critobulo che ha baciato il figlio di Alcibiade suggerisce di stare via per un anno, il tempo appena necessario perché tu possa risanarti dal morso (III, 14, movli" ga;r a]n i[sw" ejn tosouvtw/ crovnw/ to; dh'gma uJgih;" gevnoio).

La bellezza rende inverecondi, pensò Aschenbach (p. 96).
La cornice era la sordidezza truffaldina della città regale e pitocca (p. 97)
Il destino, un risucchio del destino (102) lo tiene a Venezia.

Cfr. l’eiJmarmevnh degli Stoici (moi'ra) la parte assegnata (meivromai, ho la mia parte), la parte guadagnata, meritata (mereo e mereor)

In Tazdzio l’anziano ammirava il bello in sé, incarnava un’idea rigorosa di bellezza e disciplina. La bellezza terrena suscita il ricordo dell’idea del bello che abbiamo visto nella pianura della realtà.
Gli viene in mente il Fedro di Platone con la cornice nel luogo ameno. Se vedessimo direttamente la divinità stessa, bruceremmo come Semele di fronte a Zeus.

Cfr. le Baccanti di Euripide:
Dioniso
Sono giunto, figlio di Zeus, a questa terra dei Tebani,
Dioniso, che un giorno la figlia di Cadmo mette al mondo,
Semele, fatta partorire dal fuoco folgorante (vv. 1 - 3)

Nella bellezza vediamo un riflesso del divino.
Ricorda che Socrate l’astuto corteggiatore dice che l’amante ejrasthv" è più divino dell’amato ejrwvmeno" poiché è entusiasta ejnqousiavzwn, il pensiero più dolce e canzonatorio che sia mai stato pensato, traboccante di tutta l’arcana voluttà del desiderio.

Palinodia di Socrate nel Fedro di Platone
La follia dell'innamorato è più saggia della saggezza del mondo, come quella della Pizia e dei poeti. C'è una pazzia che è alienazione volgare e porta alla possessività, ma una che è un dono degli dèi ed è una fortuna: “ ejpj eujtuciva/ th`/ megivsth/ para; qew`n hJ toiauvth maniva devdotai” (Fedro, 245c).
La pianura della realtà si trova fuori dall'Empireo: è un uJperouravnio" tovpo" (247c), un sito sopraceleste dove si trovano le idee: essenze che essenzialmente sono, senza colore, figura, toccabilità. A volte, per colpa dell'auriga che non riesce a controllare il cavallo nero, gli uomini cadono in terra e non tornano in cielo finché non siano ricresciute le ali che si possono riottenere mediante il ricordo delle idee.
Chi segue tali ricordi è un entusiasta. L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo

Aschenbach dunque abbraccia il delirio.
Gli viene in mente anche Giacinto che fu ucciso dal disco lanciato da Apollo e deviato da Zefiro rivale in amore di Apollo “che dimentico dell’oracolo, dell’arco e della cetra, non faceva che dilettarsi del bel fanciullo” (p. 115)
Nec citharae nec sunt in honore sagittae, Ovidio, Metamorfosi, X, 170)
Nel poema di Ovidio il disco rimbalza dalla terra sul volto del fanciullo che ripiega il capo come un fiore appassito
Apollo allora gli promette che lo canterà e che il ragazzo diventerà un fiore con su scolpiti i lamenti di Febo. Allora dal sangue nasce un fiore simile al giglio ma purpureo. Febo impresse sulle foglie i suoi lamenti, per cui il giacinto porta le lettere AI AI (X, 215). Sparta celebra ogni anno le feste giacinzie con grandi processioni.
“E sul fiore germogliato dal dolce sangue era scritto il suo compianto interminabile” (p. 115)

Il colera non lo fa scappare poiché “alla passione come al delitto non si addice l’ordine costituito” (p. 120).

Cfr. lo qumov" di Medea: " Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali"

Nello scompiglio, nelle calamità Aschembach vedeva la possibilità di nuovi vantaggi. Seguiva passo passo i cenni del demone che si diletta a calpestare sotto i piedi l’umana ragione e la dignità.
Comincia a delinearsi la storia di Penteo nelle Baccanti.
E’ attirato dal caos che poteva dargli dei vantaggi.
Poi fece un sogno che del futuro gli squarciò il velame.
Sente invocare il dio forestiero, e gli appaiono le Menadi forsennate, i Satiri, guidati dall’esotico avversario della calma e della dignità dello spirito, tra grida, baccano e il grave suono del flauto. Poi si scopre e si innalza enorme ligneo l’osceno simbolo. Segue un’orgia pazzesca, una copula scatenata con l’aggiunta dell’wjmofagiva.
Nelle Baccanti di Euripide del resto non c’è alcuna copula.
Da quel sogno Aschenbach si svegliò, definitivamente consegnato al demone. Si fa truccare da un linguacciuto parrucchiere come Penteo si lascia travestire da donna nella tragedia di Euripide

Dio. Indossa dunque sulla pelle vesti di lino finissimo.                               821
Pen. Che significa questo? Da uomo devo essere censito tra le donne?
Dio. Perché non ti uccidano se ti fai vedere là come uomo.
Pen. Ben detto anche questa volta: sei come uno sapiente da molto tempo!
Dio. Dioniso mi ha insegnato questo.                                                           825
Pen. Come dunque potrebbe avvenire quello che tu mi consigli bene?
Dio. Sarò io ad abbigliarti dopo essere entrato nel palazzo.
Pen. Quale abbigliamento? Forse da femmina? Ma la vergogna mi trattiene.
Dio. Non sei più bramoso di osservare le menadi?
Pen. Ma quale abbigliamento dici di mettere addosso al mio corpo?          830
Dio. Intanto distenderò lunga la chioma sul tuo capo.
Pen. E il secondo pezzo del mio ornamento?
Dio. Pepli lunghi fino ai piedi: e sul capo ci sarà la mitra.                                     
Pen. Oltre questo mi metterai addosso dell’altro?
Dio. Certo: un tirso in mano e una screziata pelle di cerbiatto.                   835
Pen. Non potrei indossare una veste femminile.
Dio. Ma tu verserai del sangue attaccando battaglia con le baccanti.
Pen. Giusto: bisogna prima andare in esplorazione.

"Adesso il signore può innamorarsi tranquillamente, gli fece, e il frastornato se ne andò in estasi confuso e tremante. Si era capovolto l’artista che aveva fustigato lo spirito zingaresco e la tenebra degli abissi.
L’artista cerca la bellezza e quando la trova ne resta sconvolto. Noi artisti siamo come le donne poiché è la passione che ci esalta. Noi poeti siamo attirati dall’abisso. A noi non è dato elevarci ma solo imbestiarci”.
Alla fine Asc vede Tadzio in acqua e gli parve di scorgere lo psicagogo (Ermes, Odissea XXIV), che staccava la mano dall’anca e accennava a un punto lontano e lo precedeva a volo verso benefiche immensità.
Quel giorno stesso un mondo reverente e attonito seppe della sua morte.




[1] Annales, XVI, 18.
[2] Insomma, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "le negligenze sue sono artifici" (II, 18).
[3] Annales, XVI, 18.

sabato 28 ottobre 2017

La Commedia antica. Aristofane: “Le Rane”. IX parte

I cavalieri nel teatro nella necropoli di Marzabotto

E’ una premessa del mh; mnhsikakei'n, non serbare rancore, astenersi dalle rappresaglie, l’ammnistia che verrà proclamato dalla democrazia restaurata di Trasibulo dopo l’uccisione dei capi più compromessi nel regime dei Trenta (cfr. Senofonte, Elleniche, II, 4, 43). Cfr. anche Togliatti sui fascisti vinti.

 Se invece ci gonfieremo di orgoglio ojgkwsovmesqa-ojgkovw - e monteremo in superbia, per giunta con la patria kumavtwn ejn ajgkavlaiς nelle braccia dei flutti, in avvenire non sembreremo saggi.
Se la prende poi con un seguace di Cleofonte Kleigevnhς oJ mikrovς (709) il ponhrovtatoς balaneuvς, il più scellerato dei tenutari di bagni, lavoro squalificato. I bagnini vendevano i detergenti sui quali lucravano, mentre i clienti portavano olio e asciugamani

Alla fine dei Cavalieri, il Popolo dice che Paflagone-Cleone una volta deposto farà a chi grida di più con puttane e bagnini (povrnaisi kai; balaneu'si, 1403).
Quindi Paflagone sconfitto insulterà da ubriaco le puttane mequvwn te tai'ς povrnaisi loidorhvsetai e berrà l’acqua sporca dei bagni.

Il corifeo dice che i buoni cittadini sono trattati come la moneta antica non falsificata che viene messa da parte mentre si usa quella scadente.

Sarà la legge di Greshman mercante e banchiere inglese del XVI secolo (1519-1579) secondo il qual la moneta cattiva scaccia dalla circolazione la buona.

Così, continua il corifeo, noi disprezziamo (prouselou'men-evw) i cittadini educati, i galantuomini allevati nelle palestre e nei cori trafevntaς ejn palaistraiς kai; coroi'ς, mentre ci serviamo per ogni uso di queste facce di rame, stranieri rossi di pelo-toi'" de; calkoi'" kai; xevnoi" kai; purrivai" crwvmeqa-730-, farabutti discendenti da farabutti, ultimi arrivati che prima la città non avrebbe usato nemmeno come farmakoiv.
Ora dunque ravvedetevi.

Farmakovς era il mostro cacciato da Atene per espellere il guazzabuglio umano. Avveniva in maggio, il giorno della festa dell’eijresiwvnh durante le Targelie feste per Apollo e Artemide.

I rossi
Nei Cavalieri Paflagone-Cleone è chiamato Puvrrandro", il Rosso (901).
L' aggettivo rubicundus, rosso, sembra qualificare la rozzezza. Plauto lo usa per dipingere la faccia del rufus schiavo Pseudolus tanto geniale quanto volgare: "ore rubicundo" (Pseudolo, v. 1219).

La Penna indica "qualche altro passo interessante del III libro dell'Ars dove la polemica contro il gusto arcaizzante ritorna in forma satirica. Ecco il quadro dell'incessus rozzo (303 sg.): illa, velut coniunx Umbri rubicunda mariti, /ambulat, ingentis varica fertque gradus"[1], quella cammina come la moglie rubizza di un marito umbro, e procede a grandi passi con le gambe divaricate.
Per il rubicunda cfr. la matrona sabina di Medicamina faciei 13.
Il contesto dice
Forsitan antiquae Tatio sun rege Sabinae
Maluerunt quam se rura paterna coli,
cum matrona, premens altum rubicunda sedile
adsiduo durum pollice nebat opus (11-14)

E’ finita la parabasi (737)


Escono dalla casa di Plutone Xantia e un servo di Plutone che dice come è nobile il tuo padrone! (738)
 Xantia risponde ironicamente che certo è nobile, infatti sa solo bere e fottere o{stiς ge pivnein oi\de kai; binei'n movnon (740)
I due schiavi si vantano della loro riottosità con i padroni, mandando accidenti, origliando parakouvwn (750), facendo pettegolezzi.

Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini[2] al posto del valore forte della fides troviamo quello della perfidia, la santa protettrice dei servi: " Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la mala Fede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida. Perciò Lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit” (Asinaria, 495).
Cfr. viceversa Cecilio, contemporaneo di Plauto, homo homini deus (fr. 265 R.)

Poi si sente un fracasso: sono Eschilo ed Euripide.
Il servo di Plutone informa Xantia: litigano per avere il vitto nel Pritaneo, l’ufficio del primo magistrato, e la proedria.
Eschilo occupava il trono tragico ma Euripide appena arrivato si è esibito davanti ai delinquenti che nell’Ade sono tanti e lo hanno eletto come il più bravo sentendo le sue contestazioni, i contorcimenti e i raggiri (ajkrowvmenoi tw'n ajntilogiw'n, kai; lugismw'n kai; strofw'n, 775).
I buoni avrebbero difeso Eschilo ma sono pochi come qui (ojlivgon to; crhstovn ejstin, w{sper ejnqavde (783) e indica il pubblico. Plutone dunque su richiesta del popolo vuole istituire un concorso e un giudizio (ajgw'na poiei'n aujtivka mavla kai; krivsin). Forse come parodia delle Eumenidi.
 Sofocle parteciperà contro Euripide, se dovesse vincere il drammaturgo più giovane, altrimenti lascerà Eschilo sul trono. Appena è sceso, Sofocle ha baciato Eschilo e gli ha dato la destra.
Dunque nell’agone la poesia sarà pesata sulla bilancia kai; ga; r talavntw/ mousikh; staqmhvsetai (staqmavw), 797.
Euripde vuole esaminare le tragedie verso per verso. Echilo l’ha presa male (bavrewς fevrein). Entrambi dicono che c’è ajporiva sofw'n ajndrw'n, scarsezza di intenditori. Poi Eschilo non andava d’accordo con gli Ateniesi. Molti considerava ladri e il resto nullità lh'ron, inetti a capire la natura dei poeti (809-810)
Dunque come giudice hanno scelto Dioniso.


CONTINUA



[1] Op. cit., p. 189.
[2] Plauto visse tra il 255 ca e il 184 a. C. 

giovedì 26 ottobre 2017

Twitter, CCXCII sunto.L’antisemitismo contro gli Ebrei e contro gli Arabi

L’antisemitismo contro gli Ebrei e contro gli Arabi. Sono odiosi entrambi.

L'antisemitismo nei confronti degli Arabi ora di moda nella piccola borghesia razzista e nel sottoproletariato becero è odioso quanto l'antisemitismo nazifascista nei confronti degli Ebrei.

Capisco che è male insultare gli Ebrei, mentre non capisco per quale ragione è bene esecrare gli Arabi, la loro cultura, la loro religione e massacrarli con guerre abominevoli e deleterie per tutti.

Gli Ebrei che hanno subito persecuzioni orrende, devono essere i primi ad aborrire e abominare ogni forma di persecuzione, contro chiunque, popoli o persone.

Siamo tutti Anna Frank. Anche io. Tanto più che da anni mi identifico con tutti gli umani indifesi bombardati per brama di lucro e di potere. Molti tra quelli che ora dicono di essere Anna Frank, commentavano plaudendo i bombardamenti sui civili iracheni, o serbi, o libici. Morivano bambini, donne e uomini, ma per costoro erano soltanto “effetti collaterali”.  

Nelle gabbie televisive vanno a beccare un po' di mangime gli scarabocchiatori quando vengono presentati con elogi sperticati i loro libri.
 Libri che il presentatore evidentemente non ha letto e pochissimi leggeranno. Ma, date le raccomandazioni e il consenso che procurano a chi li raccomanda, li acquisteranno le biblioteche con i soldi delle tasse pagate da tutti noi. Così questi polli d'allevamento, gli scarabocchiatori che incensano il regime, avranno un poco di becchime.

giovanni ghiselli

martedì 24 ottobre 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. XXI parte

Orazio

paideiva filanqrwpiva Peri; tou' kaqhvkonto".
Honestum, virtus, officium, gloria sono concetti romani.
Pavqo" per i Greci è una limitazione dell’attività del soggetto, ma Cicerone traduce con perturbatio che invece corrisponde a tarachv, ed evita pure una traduzione letterale di ajpavqeia usando tranquillitas animi.
Il romano rispetto al greco dà maggiore importanza alla volontà che al pensiero. Il greco nell’interpretazione di un atto si chiede che cosa abbia pensato chi agisce, il romano che cosa abbia voluto (così come noi italiani). Il romano parla di benevolentia (con il velle), che in greco è eu[noia con il nou'". La proaivrei", la scelta diviene voluntas. Cicerone però fu alquanto rispettoso dei termini greci. Per esempio usa atomus (f.) che in Lucrezio non si trova.
Varrone traduce pavqo" con passio, Seneca con adfectus.

Augusto voleva ripristinare gli antiqui mores e gli antiqui viri. Già Ennio aveva scritto: moribus antiquis res stat Romana virisque (fr. 367). Citato da Cicerone in De republica V, 1 con il commento che questo verso vel brevitate vel veritate tamquam ex oraculo quodam mihi esse effatus videtur. Cleomene III aveva capito ch il costume dei padri non poteva rinascere se non lo si coniugava con la modernità, e Augusto capì che lo stesso scopo si poteva raggiungere attraverso il connubio dell’antico con la filosofia stoica. In questa restaurazione fu aiutato oltre che da Livio che con la sua storia volle illustrare la forza morale della romanità antica, anche da Virgilio e da Orazio. Virgilio e Orazio avevano seguito le lezioni dell’epicureo moderato Sirone. L’epicureismo moderato offriva ai discepoli beni non tanto diversi da quelli dei maestri della Stoà.
Del resto i due poeti non si limitavano a cercare la pace interiore ma volevano anche essere educatori del popolo. A Orazio piaceva molto Aristippo di Cirene (435 - 366) di cui lo attirava il motto e[cw, oujk e[comai, habeo, non habeor. Del resto lo stesso carpe diem ha un che di cirenaico.
Nelle prima delle sei Odi romane in strofe alcaiche (27 a. C.) del III libro Orazio si proclama Musarum sacerdos (III, 1, 3) ma egli è anche rappresentante del logos
 Egli si rivolge alla gioventù che richiama al sentimento dell’onore e della responsabilità di essere cittadini romani, dell’urbs che gli dèi hanno scelto come signora del mondo. L’ode III, 1 insegna la sobrietà e la frugalità. Chi desiderat quod satis non ha paura di perdere i raccolti (25). Qui c’è un motivo epicureo, quello contro il lusso e lo spreco.

L’ode III, 2 parla della virtus: dulce et decorum est pro patria mori (13), Il sacrificio per la patria dischiude le vie del paradiso, come nel Somnium Scipionis. La virtù che schiude il cielo reclūdens caelum disprezza con ala fuggitiva le riunioni volgari e la terra intrisa d’acqua coetusque vulgaris et udam spernit humum fugiente penna.
In III, 3 Orazio parla della iustitia una virtù nella quale furono saldi Polluce ed Ercole che nutriranno Augusto di nettare. Bacco con la iustitia aggiogò al suo carro le tigri. Polluce Eracle e Dioniso dunque si sono conquistati l’accesso alle rocche ignee (arces igneas) del cielo
Già Perseo aveva spiegato alcune divinità sostenendo che gli uomini riconoscenti hanno tributato onori divini ai loro grandi benefattori e sono menzionati proprio Eracle i Dioscuri e Dioniso, Analogo il pensiero di Cicerone in Tusc. I 27. I Romani però giunsero all’oggettiva divinizzazione, Si può pensare a Romolo - Quirino. Poi il Divus Iulius e in Orazio il Divus Augustus (Carm. III 5, 2 - 3: praesens divus habebitur - Augustus)
Roma è più forte nel disprezzare l’oro non trovato, e collocato meglio quando la terra lo nasconde piuttosto che ammucchiarlo per gli usi umani con la destra che rapisce ogni oggetto sacro omne sacrum rapiente dextra (ode III, 3, 49 - 52). La cisi viene dalla brama smisurata di ricchezze, un male da scongiurare.

In III 4 Orazio si dichiara uomo delle Muse vester Camenae. Le Muse lo hanno protetto fin da bambino quando si smarrì sul monte Vulture in Apulia e si addormentò: le colombe lo coprirono con delle foglie e lo salvarono dal morso dei serpenti. Le Muse ispirano lene consilium a Ottaviano. La forza bruta priva del lene consilium va in rovina: quella dei Titani fu domata dai fulmini di Giove.
L’orrenda turba dei Titani non prevalse: Giove la sterminò fulmine caduco (44). Ebbe anche timore Giove quando il Pelia fu posto sull’Olimpo oscuro da Oto ed Efialte. Ma nulla poterono costoro o Tifeo o Encelado scalatore audace di tronchi divelti. Nulla poterono contra sonantem Palladis aegida (57) Questi ribelli vennero sepolti sotto l’Etna.
Vis consili expers mole ruit suā (III, 4, 65) la forza priva di senno implode sotto la propria mole, mentre gli dèi stessi portano avanti la forza regolata
 Geme la terra gettata sui suoi mostri: Tifeo, Encelado, sotto l’Etna, Tizio incontinente cui rode il fegato un avvoltoio messo a guardia della libidine (aveva tentto di violentare Diana) amatorem trecentae - Pirithŏum cohibent catenae (79 - 89) trecento catene trattengono Piritoo in cerca di amore (tentò di rapire Persefone)
La V ode del terzo libro celebra la virtù di Attilio Regolo e il suo patriottismo, il suo onore. Tornando dal barbaro carnefice diede un esempio.
La VI e ultima ode romana biasima la corruzione presente: gli dèi non venerati hanno colmato l’Italia di sciagure: di multa neglecti dederunt - Hesperiae mala luctuosae (III, 6, 7 - 8). La famiglia e la stessa stirpe sono in pericolo. La sposa inter mariti vina, iuniores quaerit adulteros (24 - 25) e nemmeno sceglie a chi donare i suoi amplessi in fretta nelle tenebre
 Il marito poi è d’accordo (non sine conscio marito) se la invita un comandante di nave spagnola dedecorum pretiosus emptor che compra a caro prezzo il disonore. Eppure la gioventù romana sconfisse Pirro e Annibale rusticorum mascula militum proles (37 - 38) maschia stirpe di soldati agresti esperta a a rovesciare la zolla con le zappe sabine, sabellis docta ligonibus versare glaebas, et severae matris ad arbitrium, a un comando della madre severa, pronta a trasportare tronchi quando il sole allunga le ombre sui momti.
 Il tempo corrompe: l’età dei padri fu peggiore di quella degli avi e forse noi daremo progeniem vitiosiorem.

Queste odi dunque presentano le aspirazioni del nuovo regime: il rifiuto delle ricchezze superflue, il valore in guerra formatosi attraverso una vita semplice e rude, la condanna del lusso e della corruzione sessuale, il bisogno di ordine politico. La mens solida è l’aretè stoica che garantisce il dominio del logos. “si fractus illabatur orbis,/impavidum ferient ruinae”, (III, 3, 7 - 8) se il mondo infranto crolla, le rovine lo colpiranno senza spaventarlo. E’ l’uomo giusto, e forse ai Romani si mostrava l’immagine di Catone suicida.
Virgilio, l’epicureo, si converte all’immortalità dell’anima perché Anchise nell’Averno possa mostrare al figlio i futuri eroi di Roma. C’è la concezione di Posidinio e la metempsicosi. E c’è la fede nella volontà divina che guida il popolo romamo alla grandezza. Questa volontà è il fatum stoico come nell’ode di Orazio III, 3. La eijmarmevnh che si identifica con la provnoia e può essere chiamarta Iuppiter.

Enea non è certo un filosofo stoico, si chiama pius, poché come lo stoico Cleante accoglie nella propria volontà quella divina e intende realizzare i decreti della provvidenza. Infatti l’eJmarmevnh degli Stoici non vuole portare a un’inerzia fatalistica; essa chiede all’uomo la sua collaborazione. La missione imperiale di Roma dunque venne giustificata da Panezio e Posidonio, quindi consacrata da Orazio e Virgilio.
La Stoà fu la filosofia più e meglio congeniale ai Romani. Servì a fare rivivere gli ideali etici antichi e fu utile come medicina dell’anima.

Fine del I volume di La Stoa di Max Pohlenz presentata e commentata da giovanni ghiselli

domenica 22 ottobre 2017

Ifigenia. “Che ne so, sarai lesbica!”

Justitia et pax osculatae sunt
Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia
fotografia di Giovanni Dall'Orto
22 ottobre 2017 a Pesaro

“Che ne so, sarai lesbica!”

Eravamo arrivati al 30 luglio del 1979. Rinnovo l’abolizione del tempo, dello spazio, e passo al 31 luglio di quell’anno lontano. Un forte risucchio, forse del destino stesso, mi riporta a Debrecen, a quell’estate quando peparavo il futuro con il meditare, impiegando la riflessione come ventre di donna, perché nascesse qualche cosa di nuovo, creando attraverso il pensiero.
Di mettere al mondo un figlio di carne con quella compagna malsicura non era il caso. Il compito era un altro: assecondare il demone mio, il destino stesso, altrimenti sarei stato un guscio vuoto, uno spettro sia pure abbronzato, un’esteriorità logora, priva di significato.
Ora che sono vecchio mi ritrovo con l’io aperto all’indietro, verso il passato intendo, cercando prefigurazioni, analogie in modo da formare una visione coerente e bella che giustifichi la mia esistenza dandole un senso o per lo meno un verso. Quando affondiamo le radici nel tempo carichiamo la nostra vita di significati.
Quel giorno dunque facevo raffronti con le tre finlandesi del mio passato amoroso e pensavo che dopo di loro non avevo più incontrato donne tanto fini, espressive, ricche di senso negli sguardi e nelle parole piene di coscienza, cultura, serietà e pure ironia. Helena dal seno profondo, dalle bianche braccia, era bruna, bella e sicura di sé, in un certo senso maestosa; Kaisa dagli occhi azzurri, era graziosa, colta e appassionata, Päivi era splendidamente chiomata di rosso, istruita, intelligente e decisa. Significavano anche senza parlare. Quando parlavano, ogni parola conteneva un’idea e faceva pensare. Perdute loro, prima di Ifigenia, avevo trovato misere cose, gusci vuoti appunto e avevo rischiato di svuotarmi anche io di ogni sostanza buona. Il mallo di Ifigenia era ancora da aprire. Dopo tanti surrogati di donne volevo una femmina umana autentica.

Verso sera, sazio di ricordi e pensieri, andai a correre i 5000 metri allo stadio, pregando il dio Sole al tramonto di farmi capire qualcosa.
Mi chiedevo se l’ultima amante che non scriveva lettere, non telegrafava, non si faceva trovare al telefono, pensasse purtuttavia che il nostro rapporto era favorevole allo sviluppo di entrambi, che la disciplina, la tenacia, il metodo mio potevano dare un ritmo, segnare una via ai suoi impulsi forti, però intermittenti, sporadicamente anche geniali, ma poco chiari e quasi sempre privi di uno scopo adeguato alle capacità, le sue e le mie.
Tentavo la prova dei cinque chilometri in meno di venti minuti.
Correvo impiegando gran parte della mia lena. Il respiro si affrettava e aggiungeva lucidità alla mente. Già dopo il primo chilometro percorso in 3 minuti e 55, pensavo che quanto stavo facendo in quella vacanza estiva a quasi trentacinque anni era parte del culto dovuto a me stesso se volevo piacere alla vita che mi piaceva molto, più di ogni cosa. Correvo metodicamente, leggevo, non perdevo tempo con persone sciocche, insignificanti. Volevo potenziarmi nel corpo e nella mente. Dovevo coltivare dentro di me il seme vitale, farlo crescere, e per questo ci volevano un amore non malsicuro e una grande energia. In favore della vita dico che mi avrebbe contraccambiato attraverso una donna della mia levatura.
Intanto l’amabile luce dell’infaticabile dio dal volto gioioso illuminava la sera. A metà percorso mi domandai dove volevo arrivare. Una volta Ifigenia, che mi aveva osservato compiaciuta mentre correvo, disse che avevo l’aria di inseguire l’immortalità. No, non volevo diventare un dio, non potevo, ma un educatore di grande formato sì, un suscitatore di energie mentali e morali nei ragazzi, spesso bellicosi, maneschi, disordinati, e nelle ragazze più sensibili, intricate e riflessive. Più simili a me tutto sommato. Una volta Claudio disse “Gianni non è un uomo, è una donna, ha la sensibilità di una femmina”. Gli chiesi come mai allora mi piacessero tanto le femmine umane. “Che ne so - fece - sarai lesbica!”.
Replicai che, senza pretese, volevo solo conferire al divenire il carattere dell’essere. “Battuta da femmina intellettuale - replicò lui - la più insopportabile di tutte”.
La strenua danza in onore del dio al tramonto era intanto arrivata a metà in meno di dieci minuti.


giovanni ghiselli 

venerdì 20 ottobre 2017

Twitter, CCXCI sunto

Asia Argento
Argomenti
L’uomo umano. Infimum ius summa iniuria. Asia Argento e l’ottima Claudia Cardinale. Geni e cialtroni. L’anestetico della pubblicità rende insensibili alla bellezza e all’amore. Il sorriso vivificante del sole e quello mortificante dei ruffiani televisivi.


L'uomo umano non violenta né molesta alcuna creatura vivente, tanto meno le donne. Per noi umani, donne e uomini, il coito ha un significato metafisico: è ierogamia.

L'infimum ius di sparare sulle spalle del ladro che scappa è di fatto una summa iniuria che va punita. I mascalzoni plaudenti all’omicidio vanno  esecrati.

Asia Argento ha detto: "gli uomini devono avere paura delle donne".
Così la specie umana rappresentata da costei si estinguerà, e giustamente.
Un uomo che non sia una bestia non si unisce a una donna che lo spaventa. Le belve telluriche invece attaccano quelli e quelle di cui hanno paura.

Rendo onore all’ottima Claudia Cardinale che ieri, da Vespa,  ha detto di non avere mai ceduto a proposte sessuali senza per questo avere mai perduto occasioni di lavoro. Chi ha intelletto, capisca.


Gli individui "appena possibili" sono dei geni o dei cialtroni. Oscillando tra i due poli ho conosciuto molti di questi, pochissimi di quelli.

Bisogna uscire dall'anestesia indotta dalla pubblicità. Tornare alla sensibilità della bellezza del cielo, del mare, della terra, della vita. Ma, prima ancora, alla gioia per la bella esistenza delle donne buone che secondo noi uomini buoni, non infarciti di luoghi comuni, non anestetizzati, sono la prova certa dell’esistenza di Dio.

Apollo con il plettro tocca le corde della lira come il sole tocca, riscalda e rallegra la terra con il sorriso dei suoi raggi autunnali.
L'ambiguo sorriso dei prosseneti televisivi invece raffredda e disgusta sempre più il loro pubblico che infatti sta calando precipitosamente. Grazie al cielo.

giovanni ghiselli

p. s.
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mercoledì 18 ottobre 2017

La Commedia antica. Aristofane: “Le Rane”. VIII parte

Maschera della commedia greca

Xantia si oppone ma cede.
Il coro a questo proposito menziona Teramene, l’uomo di senno e molto navigato che si gira sempre pro; ς to; n eu\ pravttonta toi'con (537) verso il lato più sicuro, piuttosto che stare fermo come un’immagine dipinta e si butta nel morbido pro; ς to; malqakwvteron.
E’ il famoso coturno che fece molte parti nellapolitica ateniese; democratica, oligarchica, di nuovo democratica e infine entrò nella giuntadel Trenta tiranni ma prevedendone la caduta fece la fronda e Crizia lo uccise.
Sarebbe gevloion dice Dioniso che Xantia stesse steso kunw'n ojrchstrivd j sbaciucchiando una ballerina e io gli porgessi il pitale manovrandomi il cece.
Poi esce un’ostessa (pandokeuvtria) che ce l’ha con Eracle perché le divorò eJkkaivdek j a[rtouς, 16 pagnotte e venti porzioni di lesso, poi tanti agli, skovroda ta; pollav.
Un’altra ostessa le dà man forte e rinfaccia a Dioniso la carne il molto pesce sotto sale to; polu; tavricoς. Poi la caciotta fresca, verde- gialla to; n turo; n clwrovn che ingoiò con il cestino e tutto. E invece di pagare si è messo a muggire e ha tirato fuori la spada.

la Commedia di mezzo negli anni compresi fra il 385 e il 330.
Di Alessi ricordiamo la commedia intitolata Lino che narra un caso avvenuto al mitico citarista il quale dava lezioni a Eracle e voleva fargli leggere i poeti, mentre lo scolaro affamato era attratto solo da un libro di cucina. Per Eracle mangione ricorda anche il Busiride di epicarmo e l’Alcesti di Euripide.
Le due ostesse cercano Cleone e Iperbolo il patrono (to; n prostavthn) di tale genìa.

Cleone è il Paflagone dei Cavalieri (424) che satireggiano l’osceno connubio tra Cleone e il popolo. Il demagogo ne era diventato il beniamino dopo Sfacteria (425). Aveva portato da 2 a 3 oboli la paga elastica. Tucidide presenta Cleone dicendo che era il più violento dei cittadini ("biaiovtato" tw'n politw'n", III, 36, 6) e quello più capace di persuadere ("piqanwvtato"") la massa.
Gli succedette Iperbolo, poi Cleofonte.

Dioniso vuole rendere a Xantia il ruolo di Eracle e giura che questa volta il cambio è definitivo.
 Xantia accetta ma poi arriva Eaco che vuole punire Xantia-Eracle come ladro di cani (to; n kunoklovpon, 605). Xantia nega di esserci stato prima e di avere rubato alcunché, poi propone di torturare lo schiavo per sapere la verità. Dioniso si rivela di nuovo figlio di Zeus. I due si sottopongono alla prova delle botte: chi è divino non sentirà male.
Entrambi fingono di non sentire le botte oujde; n moi mevlei dice Dioniso (655) e quando Eaco gli chiede perché pianga dice sento odore di cipolle krommuvwn ojsfraivnomai (654)
Eaco disorientato dice che dovranno decidere Plutone e Persèfassa (670).

Segue la Parabasi (674-737), l’ultima di Aristofane (le Ecclesiazuse 391 e il Pluto 388 non ce l’hanno).
Il coro toltosi il travestimento si rivolge in maniera politica alla comunità.

Il coro invoca la Musa che renda piacevole il suo canto per deliziare sapienze innumerevoli che amano l’onore più di Cleofonte sulle cui labbra dalla doppia chiacchiera deino; n ejpibrevmetai qrhkiva celidwvn (680-681) orrendamente freme la rondinella tracia posata su barbara foglia (cfr. Procne e Tereo) e leva lamentoso canto di morte (Cleofonte fu il principale demagogo di Atene dal 411 al 404 quando venne condannato a morte).

 Cleofonte era figlio di una schiava tracia.
Nell’ Oreste (del 408) c’è un demagogo Argivo-non Argivo con la lingua priva di porta ajqurovglwsso" (v. 903), un linguacciuto. Anche Euripide allude al demagogo ateniese.
: “ajnhvr ti~ ajqurovglwsso~, ijscuvwn qravsei, - jArgei'o~ oujk jArgei'o~, hjnagkasmevno~, -qoruvbw/ te pivsuno~ kajmaqei' parrhsiva/ ” (vv. 903-905), un uomo dalla bocca sempre aperta (lett. “senza porta”), forte della sua arroganza, Argivo non Argivo, impostosi con la forza, fidente nel tumulto e in una brutale licenza di parola.
Cleofonte era accusato di usurpazione della cittadinanza. La rondinella talora preannunzia la morte. Il mito della rondine dell’usignolo (Filomela) e dell’upupa (Tereo) ricorda la morte.
Cfr. T. S. Eliot: “The change (latino cambio-as) of Philomel, by the barbarous (lat barbarus gr. bavrbaro") king-so rudely forced (lat. rudis, fortis); yet there the nightingale filled all the desert (lat desero, p. p. desertus, abbandonato) with inviolable voice (viŏlo, vox)-and still she cried (lat. quiritare invocare l’aiuto dei quiriti), and still the world pursues (sequor), -‘Jug Jug’ to dirty ears (auris-aures)” (The waste-lat vastus, vastare- land, II A game of chess, 99-103)

Questa rondinella è posata su barbaro petalo ejpi; barbaron eJzomevnh pevtalon. La rondine canta che Cleofonte è spacciato, anche se i voti sono pari, mentre nelle Eumenidi, Atena aveva stabilito il principio in dubio pro reo.

Lisia nell’orazione Contro Agorato, un delatore al servizio dei Trenta, scrive che Cleofonte venne condannato in seguito a un’accusa pretestuosa e una legge retroattiva. Lo accusarono di codardia perché non era andato a dormire al campo. Il motivo vero fu che si era opposto all’abbattimento delle mura: to, d’ajlhqe; " o{ti ajntei'pen uJpe; r uJmw'n mh; kaqairei'n ta; teivch (12)
Nell’orazione Contro Nicomaco, questo trascrittore di leggi ajnagrafeu; " tw'n novmwn, dopo la battaglia di Egospotami, fu convinto dai nemici della democrazia a produrre una legge secondo la quale Cleofonnte doveva essere giudicato anche da membri del Consiglio che facevano parte del complotto oligarchico. Nicomaco tirò fuori la legge-retroattiva dunque-proprio nel giorno del processo. Il fatto è che i cospiratori antidemocratici oiJ kataluvonte" to; n dh'mon, volevano togliersi dai piedi Cleofonte più di qualsiasi altro cittadino: ejkei'non ejbouvlonto mavlista tw'n politw'n ejkpodw, genevsqai (12). Mi stava a cuore riabiitare Cleofonte.

Il corifeo-Aristofane dice che il coro deve dare consigli utili (xumparainei'n crhsta; th'/ povlei) alla città e deve educare.
La città non deve infliggere l’ajtimiva, togliere i diritti civili a chi ha sbagliato, ingannato dai maneggi di Frinico, uno dei responsabili del governo dei Quattrocento. E’ una vergogna che gli schiavi combattenti alle Arginuse abbiano avuto la cittadinanza come i Plateesi dal 427.
Poi però si contraddice per non irritare il pubblico: questo lo approvo, ma almeno non si deve togliere la cittadinanza a chi ha sbagliato una volta e tante volte ha combattuto per la patria.
 Dunque messa via la collera th'ς ojrgh'ς ajnevnteς facciam che siano tutti parenti quelli che hanno combattuto con noi. 


CONTINUA

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...