sabato 29 giugno 2013

Ottima è l’aria

Nel Peloponneso con gli amici
"Ottima è l’aria" è il titolo e l’incipit di questo mio pezzo.
 Un inizio che utilizza, variandola, l’apertura dell’Olimpica I di Pindaro, il lirico, diceva Leopardi, “infiammato del più pazzo fuoco”[1].
“Ottima è l’acqua”[2] sono le prime parole del grande epinicio che racconta l’impresa vittoriosa di Pelope[3], l’eroe eponimo del Peloponneso, un vero paradiso terrestre, come sa chi lo conosce, e in particolare chi, come me, ha gioito della sua aria paradisiaca respirandola a pieni polmoni mentre faceva il giro dell’isola in bicicletta.
Ottima è l’aria dunque, purché non sia inquinata, e perché non lo sia, bisogna spengere le fonti dell’inquinamento.
Quali sono queste sorgenti maligne?
Le automobili, le sigarette, il riscaldamento, il raffreddamento.
Ebbene il riscaldamento nelle case, almeno fino a 21 gradi quando fuori si bubbola per il freddo, è necessario; il raffreddamento dei condizionatori a mio parere no, tuttavia si può concedere in condizioni di caldo estremo a persone dalla salute precaria; le automobili possono pure essere indispensabili a persone molto malate o sovraccariche di bagagli, ma le sigarette proprio no, le sigarette sono un vizio morboso e chi le fuma non può permettersi di appestare e contagiare con le sue emissioni malsane chi ha, se non altre virtù, quella di non fumare. Quando la zia più anziana mi diceva, scherzando spero, che il fumo è l’unico vizio che non ho, rispondevo citando Tacito: allora sono come Trasea Peto: la virtù in persona[4]. Ironicamente ma nemmeno troppo...

Ebbene, da virtuoso quale presumo di essere anche perché non fumo, pedalo e corro, apprezzo molto il pacchetto di misure promosse da Marco Macciantelli,  per rafforzare lo spirito civico e la cultura della salute.
Procedo facendo delle citazioni da un prossimo articolo del  primo cittadino di San Lazzaro di Savena.
“Senza alcun atteggiamento etico, ideologico o vessatorio, il sindaco dice no al fumo nei parchi giochi dei bambini, no dove sono presenti coperture, come nei dehors. Chi fuma deve tenere una distanza di rispetto di due metri dagli accessi agli esercizi pubblici”.
Insomma  il fumatore deve rispettare il non fumatore girando al largo da lui.
Macciantelli riconosce che ci sono altri problemi, anche più grandi nell’Universo mondo e pure in San Lazzaro. Certo, ma c’è anche questo problema.
E intervenire su questo è significativo, è anzi emblematico del rispetto che più in generale è dovuto al prossimo, all’ambiente, alla vita. Un rispetto che l’amministrazione del comune limitrofo a Bologna nella direzione del sole che sorge,  ha già dimostrato e praticato rimuovendo l’amianto, creando piste ciclabili e istituendo servizi di “ bike sharing, per più mobilità ecologica, leggera e dolce”.
Iniziative sante.
Il sindaco ricorda e riconosce quali suoi predecessori “Renzo Imbeni e Maurizio Cevenini, che, nel loro caso in riferimento al fumo nei luoghi pubblici, hanno già avuto modo di esprimere una sensibilità in anticipo sui tempi, che merita di essere ripresa e ulteriormente proseguita”. Macciantelli non vuole apparire, né essere, il tiranno che, per affermare il proprio potere, pretende di imporre regole vessatorie e vuole proibire lieti, innocui passatempi; egli desidera “solo innalzare il rispetto delle regole, la convivenza civile, per stili di vita più orientati alla salute”. E  “l'ordinanza sul fumo ha questa ispirazione”.
Niente a che vedere, per esempio con il decreto di Creonte, il despota che nell’Antigone di Sofocle impone alla cittadinanza di lasciare insepolto un morto i cui miasmi infettano l’aria.
Qui si tratta invece di lasciar respirare aria buona ai vivi.
L’ordinanza del sindaco di San Lazzaro dunque potrebbe essere inserita tra le leggi favorevoli alla vita, benedette dai cori dell’Antigone e dell’Edipo re, tragedie scritte contro l’u{bri~ e il suo parto mostruoso: il tiranno.
Leggiamone alcune parole. Nel più antico dei due drammi, la coraggiosa ragazza, Antigone figliola di Edipo,  disobbedisce al decreto di Creonte dicendogli: "Sì, infatti secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto / né Giustizia che convive con gli dei di sotterra / determinò tali leggi tra gli uomini, / né pensavo che i tuoi bandi avessero tanta / forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare / i diritti degli dèi, non scritti e non vacillanti (a[grapta kajsfalh` qew`n novmima.) / Infatti non solo oggi né ieri, ma sempre / sono vivi questi, e nessuno sa da quando apparvero (vv. 450-457)".

Lo stesso pensa il coro dell'Edipo re  che nella prima strofe del secondo Stasimo, punto nodale della tragedia, canta:"Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare / la sacra purezza delle parole / e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi / sublimi, procreate / attraverso l'aria celeste di cui Olimpo è padre da solo né le / generava natura mortale di uomini / né mai dimenticanza/potrà addormentarle: / grande c'è un dio in loro e non invecchia" (vv. 863-872).
Il dio grande presente nell’ordinanza di San Lazzaro è il dio della salute che, non esiste verità più ovvia, è il primo, il più desiderabile e necessario dei nostri beni, ed è una pessima perversione sciuparlo con il fumo e metterlo a repentaglio con le automobili.
Bisogna educare al rispetto della salute la popolazione intera, a partire dai giovani. Infatti, e torno a citare il sindaco “abbiamo avviato una campagna informativa insieme alle Farmacie di San Lazzaro e all’Azienda sanitaria. Prima educare, poi, eventualmente, sanzionare. Nel frattempo qualche contravvenzione è partita, ma, anche qui, basta rispettare le regole per evitarlo”.

Riporto la parte conclusiva dell’articolo del primo cittadino
“Vorrei chiarire che in questo nostro progetto non c’è nulla contro il commercio. La prima istituzione interessata al commercio è il Comune. In questi anni la collaborazione non è mai mancata. Nonostante la crisi, il commercio sanlazzarese, in controtendenza con i dati generali, non ha avuto decrementi, piuttosto una costante crescita, anche nel 2012 e nel primo semestre del 2013. Ciò, in parte, perché, a San Lazzaro si configura una vero e proprio “centro commerciale naturale”, fatto, per lo più, di negozi di vicinato. I dehors chiusi sono oggettivamente un controsenso. Se al loro interno, sinora, è stato tollerato che si fumasse, questo non significa che sia giusto continuare a farlo. Perché il fumo, nei luoghi pubblici chiusi, è già vietato dalla legge. Per le aree con tavolini all'aperto abbiamo chiarito che, se c'è separazione di almeno due metri tra fumatori e non fumatori, nulla osta. Certo: comprendiamo il possibile disagio e lo abbiamo affrontato nell’ambito della proposta di bilancio, ricalibrando il canone per l’occupazione del suolo pubblico, in diminuzione, all’interno di un pacchetto più ampio di alleggerimento della pressione fiscale, nell’ambito dell’Imu, a favore di imprese e lavoro. Abbiamo anche previsto, come è giusto, una verifica in itinere e siamo d'accordo con le associazioni di categoria del commercio di promuovere un confronto sulla base dei dati nei prossimi mesi. Vorrei inoltre chiarire una cosa. La regolamentazione del fumo non necessariamente è un deficit, anzi noi ci auguriamo possa diventare un vantaggio competitivo anche per il mondo del commercio e per tutta la comunità. Se guardo all’eco che l’iniziativa ha avuto, sono portato a pensare che sia proprio così. Chi, oggi, con un pizzico di coraggio, perché ci vuole anche quello, se no non si fa nulla, assume orientamenti innovativi, può essere premiato. Qualcuno ha detto che abbiamo guardato a realtà straniere. A San Francisco, in California, vi sono misure molto restrittive. Sotto le pensiline dei bus a Berlino il fumo è escluso. Noi però ci siamo ispirati soprattutto a San Lazzaro "città della salute": dal parco regionale dei Gessi bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa ai tanti giardini pubblici, dallo sport all'aria aperta delle palestre e a quello destrutturato dal fine settimana, dal podismo alle biciclettate lungo la val di Zena[5]. La San Lazzaro che nasce da un ospedale, il lazzaretto, nel tredicesimo secolo, sviluppando una evoluzione civile come “città di salute pubblica”, ma anche la comunità che ha dato i natali a Cesare Maltoni, già consigliere comunale, pioniere dello studio sulle cause ambientali nelle patologie oncologiche e fondatore dell’Istituto Ramazzini e la cui casa di famiglia è tuttora in via Zucchi. Si dice che sia la prima volta che un Comune riesce ad impostare una novità come questa, facendone una strategia. Non so. La cosa che ci ha definitivamente convinto è stata la questione delle cicche e dei posaceneri. Dopo un paio di giorni alcuni di quelli fissi erano già pieni. Vale a dire che fino a qualche giorno prima tutte quelle cicche erano per terra. E’ così: le regole formano nuovi comportamenti. La norma svolge un effetto deterrente. C'è, non per provocare, ma per escludere la sanzione. E’ inutile ribadirlo: non abbiamo alcuna intenzione di fare cassa. Non è lì la questione. Le novità devono mettere radici. Ma il terreno è fertile. La gente chiede un po' più di rispetto, di ordine, di pulizia, di risparmio, di salute. Questo è lo spirito dell'ordinanza. Poi valuteremo i risultati. Infine, non si parla che di tagli. Giusto, necessario, inevitabile. Ma ci sono cose che si possono fare anche con poco o senza costi. Nonostante i tagli. Per spendere bene, per fare di più con meno. Le cicche nei posacenere sono già raccolta differenziata: significa che il Comune non dovrà spendere soldi per tirarli su da terra e questo è già un modo di fare riqualificazione della spesa. Con un po’ di spirito civico, di cooperazione tra cittadini ed ente locale, si può tutti contribuire a innalzare la qualità della comunità. A beneficio di tutti”.

Concludo con un plauso a queste iniziative, e le propongo come esemplari ad altri sindaci che eventualmente frequentino il mio blog.
In particolare rivolgo un appello a quello di Pesaro dove ogni anno passo il mese di agosto, in una casa situata in pieno centro: a duecento metri dalla piazza centrale e a centocinquanta  dal mare. Ebbene tra la mia abitazione e la piazza c’è una strada, il viale della Vittoria, famigerato non perché ci abito io come potrebbe bisbigliare qualche detrattore  maligno, ma per il fatto che nessun limite viene imposto alla velocità e al fracasso giornaliero, diurno e notturno, di motociclisti e automobilisti che usano questa arteria come una pista per gare di formula uno.
Pochi giorni fa ho dovuto pagare una multa di 173 euro ai vigili di San Lazzaro per essere passato, soprappensiero, con il semaforo che diventava rosso. Non me ne ero accorto. Negli ultimi dieci anni ho fatto 25 mila chilometri in automobile, una media di 2500 all’anno, assai meno di quanti ne percorro in bicicletta, e non più di quanti ne corro e cammino  a piedi.
In effetti sto disimparando a guidare. E’ il mio analfabetismo di ritorno nella guida. Meno grave di quello di quanti, magari laureati, non leggono un libro per anni  e disimparano perfino a parlare come si deve.
San Lazzaro è encomiabile anche per la sua mediateca piena di libri e di altri pregevoli strumenti culturali, e pure frequentata da tante persone che vogliono imparare.
 Ma tornando alla multa e concludendo, quando sono andato a pagarla, il vigile incaricato di riscuoterla mi  ha detto che mi erano stati tolti sei punti dalla patente. Ebbene, non ho protestato nemmeno dentro di me. Anzi, mi sono detto: "Magari! Magari lo facessero anche a Pesaro, tutelando i pensieri, gli studi, i sonni, insomma la  salute mia e quella dei miei ospiti estivi!”.

Giovanni Ghiselli



[1] Zibaldone, 1856.
[2] Ariston me;n u{dwr
[3] E celebra la vittoria che Ierone di Siracusa ottenne con il corsiero Ferenico nell’Olimpiade del 476, la prima dopo la sconfitta dei Persiani a Salamina e Platea.
[4] "Nero virtutem ipsam excindere concupivit interfecto Thrasea Paeto", Annales ,  XVI, 21, Nerone volle uccidere la virtù in persona con l'ammazzare Trasea Peto.
[5] Un locus amoenus dove, miracolosamente, noi ciclisti siamo più numerosi degli automobilisti che, altro miracolo, ci rispettano (ndr.)

giovedì 27 giugno 2013

Sulla condanna di Silvio Berlusconi


Mi pregio e mi vanto di essere stato un donnaiolo, di esserlo ancora, e spero di continuare ad esserlo. Finché avrò vita e salute, finché  troverò donne compiacenti, purché maggiorenni, purché non prezzolate. Penso infatti che chi ama la donna, le ama tutte, ama il genere femminile, e che non amarle significhi essere insensibili non solo alle femmine umane, ma a tutto quanto c’è di bello nell’Universo.
Chi non ama le donne, non può amare la grande madre terra, l’artistica[1], amabile terra con le sue trecce verdi, con l’allegria variopinta dei suoi fiori,  le sue spighe biondissime, le sue acque azzurre o brune, le sue colline ubertose, i suoi solchi fecondi, né il padre cielo con le sue  stelle, con la casta diva notturna, con la fiamma del sole che nutre la vita, né il mare con l’innumerevole sorriso delle sue onde[2], né l’eterno fluire dei fiumi, e così via.

Ma tutte queste meravigliose creature di Dio sono gratuite appunto.
Chi paga le donne non è un donnaiolo, è uno s-figato.
Allora applico questa mia filosofia popolare a Silvio Berlusconi.
Se l’anziano signore ha delle colpe, questo non è il suo satirismo che, anzi, potrebbe fargli persino onore. Preferisco un vero satiro a un falso santo, a un Tartufo gonfio di ipocrisia.
Il priapismo che gli impotenti, i dipendenti dal viagra, spacciano per malattia, è  un segno sicuro di sensibilità acuta, di cui sono certamente carenti coloro i quali passano le serate a ingozzarsi, a giocare a carte, o a guardare le partite di calcio, passatempi tristissimi, da persone probabilmente poco sensibili alla bellezza.
La colpa di quest’uomo attempato secondo me è un’altra: avere messo sull’altare, e in troppe teste svigorite, l’idolatria del denaro, della disuguaglianza, e del consumo, culti empi  che tutte le religioni e tutti i figli della luce condannano.
Faccio un esempio: si sentono continue geremiadi sul calo di vendite delle automobili, strumenti di morte o quanto meno di inquinamento dell’aria, di turbamento della quiete e del silenzio con il quale vorremmo fare la comunione ogni giorno[3]. Pensate a quelli che arrotano ciclisti e pedoni guidando un Suv enorme con una mano, mentre con l’altra maneggiano l’ultimo sofisticato telefonino. Io non ho telefonino e faccio le vacanze, con tre amici, in bicicletta. Dormiamo negli ostelli della gioventù, nonostante l’età.
Solo per il fatto che mi accettano, quasi sessantanovenne, mi sento onorato.
Quando mi metto in fila per prendere il mio lenzuolo, mi volto verso i giovani dietro di me e, tutto contento anche per la bella, salutare pedalata appena compiuta di centocinquanta chilometri, domando: "che si dice, picciotti?" E mi sento bene.
Io e gli amici in vacanza
Sono dunque uno mezzo pazzo e del tutto pezzente. E me ne vanto. Mi sento in compagnia di Giovanni Battista, praenuntius Christi, mio venerato patrono e modello[4], di Gesù Cristo stesso, di Francesco d’Assisi, Imitator Christi. Predicavano la povertà. Esecravano i ricchi e benedicevano i poveri. Vagabondavano anche loro come pezzenti.

Delinquenti economici. I primi due sono stati assassinati come delinquenti politici.

Ultimamente si piange la diminuzione dei consumi alimentari. Ma anche questo calo è, nella maggior parte dei casi, benefico, anzi beneficentissimo.
"Perché questo pezzente, un sacrilego quidam de populo, uno che è sempre stato un delinquente economico ostile agli astuti e benemeriti  speculatori, perché questo perfetto idiota[5] proferisce tale eresia blasfema?
Che cosa aspettano a decollarlo? Non hanno tutti i cristiani il diritto di nutrirsi?" Domanderanno tante teste intronate e svigorite dalla propaganda consumistica.
Provino a fare un giro sulle spiagge, tra le persone in costume, costoro, e tengano gli occhi aperti, ma soprattutto la mente lucida: almeno tre quarti dei bagnanti sono obesi.
I maschi adulti fino all’ottantacinque per cento.
Amano troppo il cibo, non amano abbastanza le donne. Giuliano Ferrara che tuona in piazza Farnese ne sa qualcosa.
Anche Berlusconi quando le paga, le ama poco, ma soprattutto non ama se stesso.
Ho visto anche tanti bambini e adolescenti obesi nella spiaggia di Pesaro. Sono ossimori viventi: la snellezza dovrebbe essere un predicato della gioventù. I genitori di queste creature flaccide, cariche di carne altrui[6] dovrebbero essere puniti esemplarmente.
In conclusione: amate le donne maggiorenni e gratuite, mangiate non oltre il necessario, usate le gambe e la bicicletta invece che l’automobile e la motocicletta. Non scimmiottate i ricchi, non disprezzate i poveri.
I discorsi che si fanno in continuazione sono fuorvianti rispetto a questi modesti consigli che vi suggeriscono di mettere nel mirino i bersagli da cogliere per primi: la salute, il buon umore e la giustizia.
Meno male che c’è Bergoglio, l’Imitator Christi che ricorda e predica l’uguaglianza di tutti i figli di Dio.
Lunga vita a Papa Francesco!

Devo aggiungere una nota di encomio al sindaco di San Lazzaro di Savena, Marco Macciantelli che nella sua città sta promuovendo l’uso della bicicletta contro l’abuso delle automobili omicide.
Leggo in un manifesto trovato nella mediateca bella e bene attrezzata: “Mi muovo in bici è una scelta economica, ecologica e salutare: usare la bicicletta permette di ridurre l’inquinamento, a vantaggio della vivibilità del centro storico e dell’ambiente. E, in più, fa bene alla salute” (qui la pagina del Comune dedicata all'iniziativa).
Aggiungo che scegliere la bicicletta è anche una scelta estetica e perfino morale. Bravo sindaco, continua così, noi amantissimi della bici siamo tutti con te!

Giovanni Ghiselli

Questo blog http://giovannighiselli.blogspot.it/

è arrivato a 70153.
Non siamo pochi. Stiamo crescendo di 462 lettori al giorno da 151 giorni. We happy many, a lot of people.


[1] Cfr. daedala tellus,  Lucrezio, De rerum natura I, 7 
[2] Cfr  Eschilo, Prometeo incatenato: "O etere divino e venti dalle ali veloci, / e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso/delle onde marine (pontivwn te kumavtwn-ajnhvriqmon gevlasma), e terra madre di tutte le cose (pammh'tovr te gh'), / e il disco del sole che vede tutto, invoco" (vv. 88-91). 
[3] "Io mi comunico del silenzio, cotidianamente come di Gesù" Sergio Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale 
[4] Di lui, Gesù disse: "Amen dico vobis, Non surrexit inter natos mulierum maior Ioanne Baptista" (N. T. Matteo, 11, 11). 
[5] Mi pregio di esserlo nel senso che gli dà Dostoevskij. 
[6] Nell’VIII libro della Repubblica di Platone la rivolta contro l'oligarchia parte dal povero snello e abbronzato ijscno;" ajnh;r pevnh"  hJliwvmeno" (556d) il quale, schierato in battaglia accanto al ricco cresciuto nell'ombra con molta carne altrui (paratacqei;" ejn mavch/ plousivw/ ejskiatrofhkovti, polla;" e[conti savrka" ajllotriva"), lo vede pieno di affanno e difficoltà, e capisce che non vale nulla, quindi che non deve obbedirgli poiché il  potere di quell’individuo pallido e grasso non è naturale

sabato 22 giugno 2013

Giovanni Ghiselli, il dilettante, risponde al professionista Alberto Ronchi, assessore alla Cultura del comune di Bologna



alla Casa dei Pensieri,
Festa dell'Unità
Caro Assessore,

io accetto l’epiteto di “dilettante”, anzi ne sono onorato, perché lo considero altamente elogiativo e, per quanto riguarda la mia persona,  del tutto realistico.
Il 9 luglio, alle sette della sera, in piazza Verdi ancora una volta mi diletterò nel parlare dei valori della classicità greca e latina. Ho cominciato a dilettarmi con il latino quando avevo 11 anni e facevo la prima media, al Lucio Accio di Pesaro, nell’anno 1955-1956.
Dal 1958-1959, quando sono entrato al ginnasio, mi diletto pure della lingua greca; dalla prima liceo (1960-61) anche delle due letterature antiche.
Queste discipline in un primo tempo mi dilettavano soprattutto in quanto mi davano l’occasione di primeggiare a scuola, più o meno come la bicicletta con la quale primeggiavo in salita, la panoramica di Pesaro, dove si è svolta la tappa a cronometro dell’ultimo giro d’Italia, poi il greco e il latino mi sono piaciuti perché mi hanno aiutato a trovare la mia identità e a crescere come persona che non pensa, non parla e non scrive a casaccio. Tanto mi sono piaciuti il greco e il latino che ho continuato a studiarli all’Università, sempre con diletto, quindi ho cominciato a insegnarli, con grande diletto. L’ho fatto al Rambaldi di Imola, al Minghetti e al Galvani di Bologna dal 1975 al 2010.

Con molta soddisfazione ho anche tradotto e commentato Euripide e Sofocle, Erodoto, Tucidide, Virgilio e Petronio per  editori  come Loffredo (Edipo re, Antigone, Omero, Storiografi greci) e Cappelli (Medea). Ora mi sto dilettando con le Baccanti per La nuova Italia. 
Dal 1999, quando oramai cominciavo a invecchiare, sempre imparando molte cose[1], ho tenuto pure un laboratorio di didattica della letteratura greca nella SSIS dell’Università di Bologna, per 9 anni. Non senza diletto mio e degli studenti.
Quest’anno ho lavorato nel TFA dell’Università di Urbino, ancora una volta con soddisfazione mia e degli allievi miei.
Inoltre ho fatto conferenze in varie Università, convegni e festival anche prestigiosi come quello della Filosofia di Modena nel 2011 sul tema “La natura dei Greci”. Nella piazza piena aleggiava il diletto.
Tutto questo mi è sempre piaciuto molto e finché ne avrò le forze,  e il pubblico mi ascolterà con piacere, non smetterò di farlo.
Lei dunque Assessore, per quanto riguarda me, ha ragione: io sono ancora un dilettante che si diletta della cultura classica e con la cultura classica ha dilettato, e aiutato a crescere, molte persone.

Il diletto, caro assessore, è necessario all’imparare: paideiva, “educazione” è parola etimologicamente imparentata con paivzw, “gioco”.
Quintiliano, l’ autore proposto ai maturandi dell’ultima, recente maturità classica, associa l’apprendimento dei fanciulli al gioco "Lusus hic sit[2], lusus nel quale oltretutto si manifestano più schiettamente le inclinazioni di ciascuno:"mores quoque se inter ludendum simplicius detegunt"[3].
Credo che studiare con intelligenza e imparare sia un gioco che può divertire e dilettare non solo i bambini ma  anche gli adulti come Lei e i vecchi come me. Questo  non significa mollis educatio: "Mollis illa educatio, quam indulgentiam vocamus, nervos omnis mentis et corporis frangit"[4]. quella molle educazione che chiamiamo indulgenza, spezza tutte le forze della mente e del corpo.

Il diletto che viene dallo studio infatti, caro Assessore mio, è una cosa seria, seria e anche faticosa, eppure, nello stesso tempo, assai dilettevole.
Venga a sentirmi in piazza Verdi, Assessore carissimo: vedrà che potrà trovare pure Lei seri motivi di vero e grande diletto nella classicità che è stata ed è la stella polare della mia vita.
Spero di aiutarLa a diventare un  neofita di queste discipline  meravigliose, di convertirla da professionista della politica a dilettante della cultura.

La saluto

Suo

giovanni ghiselli 



[1] Cfr. Solone: “ghravskw d   jaijei; polla; didaskovmeno"” (fr. 28 Gentili-Prato) 
[2] Quintiliano, Institutio oratoria I, 1, 20. 
[3] Quintiliano, Inst. I, 3, 8. 
[4] Quintiliano,  Inst. I, 2, 6.

giovedì 20 giugno 2013

Quintiliano, Institutio Oratoria X, 1, 45-49 Brano di latino Maturità classica 2013

Brano di Latino - Versione Maturità Classica 2013


Testo tratto dal Thesaurus della Letteratura Latina da usare con Musaios

Sed  nunc genera ipsa lectionum, quae praecipue conuenire intendentibus ut oratores fiant existimem, persequor.
Igitur, ut Aratus ab Ioue incipiendum putat, ita nos rite coepturi ab Homero uidemur.
Hic enim, quem ad modum ex Oceano dicit ipse amnium fontiumque cursus initium capere, omnibus eloquentiae partibus exemplum et ortum dedit. Hunc nemo in magnis rebus sublimitate, in paruis proprietate superauerit. Idem laetus ac pressus, iucundus et grauis, tum copia tum breuitate mirabilis, nec poetica modo sed oratoria uirtute eminentissimus.
Nam ut de laudibus exhortationibus consolationibus taceam, nonne uel nonus liber, quo missa ad Achillem legatio continetur, uel in primo inter duces illa contentio uel dictae in secundo sententiae omnis litium atque consiliorum explicant artes?
Adfectus quidem uel illos mites uel hos concitatos nemo erit tam indoctus qui non in sua potestate hunc auctorem habuisse fateatur.
Age uero, non utriusque operis ingressu in paucissimis uersibus legem prohoemiorum non dico seruauit sed constituit?
Nam et beniuolum auditorem inuocatione dearum quas praesidere uatibus creditum est et intentum proposita rerum magnitudine et docilem summa celeriter comprensa facit. 
Narrare uero quis breuius quam qui mortem nuntiat Patrocli, quis significantius potest quam qui Curetum Aetolorumque proelium exponit? 

Traduzione di Giovanni Ghiselli:

Ma ora esporrò proprio i generi di letture che considero siano particolarmente utili  a quelli che aspirano a diventare oratori.

Dunque, come Arato ritiene che si debba cominciare da Giove, così ci sembra che inizieremo, secondo norma, da Omero.

Questo infatti, come lui stesso dice che i corsi di tutti i fiumi e delle fonti prendono il loro inizio dall’Oceano, conferì la nascita e l’esempio a tutte le parti dell’eloquenza. Questo nessuno potrebbe superare per sublimità negli argomenti grandi, per appropriatezza nei piccoli. Il medesimo è abbondante e conciso, piacevole e serio, degno di ammirazione sia per la ricchezza espressiva, sia per la brevità, ed è eccellente non solo per  capacità poetica ma anche oratoria.

Infatti, per non dire degli elogi, delle esortazioni, delle consolazioni, forse che il nono libro, nel quale è contenuta l’ambasceria mandata ad Achille, oppure nel primo la famosa contesa tra i duci, o i pensieri espressi nel secondo, non sviluppano tutte le abilità delle contese e delle deliberazioni?
Certamente nessuno sarà tanto incolto da non ammettere che questo autore abbia avuto in suo potere i sentimenti sia quieti sia agitati.
Ma avanti, non è vero che all’inizio di entrambi i suoi poemi, in pochissimi versi, non dico rispettò ma stabilì la legge dei proemi?
Infatti  rende benevolo chi  ascolta con l’invocazione delle dèe, delle quali si è creduto che proteggessero i poeti, e lo rende attento con il presentare la grandezza della materia, e lo rende disposto a imparare con l’esprimere subito l’essenziale.
In effetti chi potrebbe esprimersi più in breve di chi annunzia la morte di Patroclo, chi farlo con maggiore chiarezza di chi racconta la battaglia dei Cureti e degli Etoli? 

Breve commento

Il brano proposto presenta Omero come il primo maestro dell’arte oratoria.

In effetti ancora prima di arrivare al maturo Odisseo che è un vero e proprio artista della parola parlata, già il giovane Achille che è insigne e famoso soprattutto per il coraggio e per la forza, viene educato a eccellere  nell’arte del parlare. A  proposito dell’ambasceria del IX libro dell’Iliade opportunamente menzionata da Quintiliano, questa è formata da Fenice, Aiace e Odisseo che pregano Achille di tornare a combattere. Il primo è l’educatore del ragazzo cui parla affettuosamente e gli ricorda che suo padre Peleo lo ha mandato a Troia con il figliolo  perché gli insegnasse a essere dicitore di parole ed esecutore di opere [1]. Si vede bene  la priorità della parola.

Forse il brano è stato scelto come monito per i tanti ragazzi che trascurano la lettura dei testi senza la quale si atrofizza la capacità di parlare lasciando spazio a varie forme di afasia che nei casi peggiori possono preludere alla violenza. Parlare male fa male all’anima, ha scritto Platone [2] , e già Omero, poeta sovrano, ha voluto che i suoi eroi primeggiassero innanzitutto nell’arte della parola. Dopo Achille, faccio solo un cenno a Odisseo cui Alcinoo, il re dei Feaci,  dice con ammirazione che ha  bellezza di parole [3] e saggi pensieri [4] e che il suo racconto è fatto con arte, come quello di un aedo [5].

Sono certo che tante violenze barbaramente perpetrate su donne e su uomini verrebbero messe fuori luogo dalla capacità di esprimere idee e sentimenti, magari con eleganza.

Giovanni Ghiselli, 20 giugno 2013

[1] "muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn" Iliade , IX, 443. 
[2] Fedone, 115 
[3] morfh; ejpevwn 
[4] kai; frevne~ ejsqlaiv 
[5] Odissea XI, 367-368

martedì 18 giugno 2013

Un possibile tema di maturità: a che cosa serve lo studio del greco e del latino


Elogio della cultura classica e della semplicità

Perché studiare il greco e il latino, potrebbe domandare un giovane, a che cosa servono? Alcuni rispondono: "a niente; non sono servi di nessuno; per questo sono belli".
Non è questa la nostra risposta. Se è vero che la cultura classica non si asservisce alla volgarità delle mode, infatti non passa mai di moda, è pure certo che la sua forza è impiegabile in qualsiasi campo. La conoscenza del classico  potenzia la natura peculiare dell'uomo che è animale linguistico.  Il greco e il latino servono all'umanità: accrescono le capacità comunicative che sono la base di ogni studio e di ogni lavoro non esclusivamente meccanico.

Chi conosce il greco e il latino sa parlare la lingua italiana più e meglio di chi non li conosce[1]. Sa pure  pensare più e meglio di chi li ignora.
Parlare male non  solo è una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Lo ricorda Socrate a Critone nel Fedone platonico: "euj ga;r i[sqi
a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e)
Lo ha rammentato il rettore dell’università di Bologna, Ivano Dionigi che ha aggiunto: “tanto più è necessario ripristinare la potenza della parola oggi, in presenza di questa vera e propria entropia linguistica”.
Don Milani insegnava che "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola"[2].


Il sicuro possesso  della parola è utile in tutti i campi, da quello liturgico, a quello giuridico, a quello medico, a  quello erotico: "Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes / et tamen aequoreas torsit amore deas "  bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria
[3]. Sono versi citati da Kierkegaard, non per caso nel Diario del seduttore.
Nei versi precedenti Ovidio consiglia di imparare bene il latino e il greco, per potenziare lo spirito e controbilanciare l'inevitabile decadimento fisico della vecchiaia: "Iam molire animum qui duret, et adstrue formae: / solus ad extremos permanet ille rogos. / Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes/cura sit et linguas edidicisse duas"
[4], oramai prepara il tuo spirito a durare, e aggiungilo all'aspetto: solo quello rimane sino al rogo finale. E non sia leggero l'impegno di coltivare la mente attraverso le arti liberali, e di imparare bene le due lingue. Il latino e il greco ovviamente.
Senza con questo disprezzare altre lingue, anzi.


“Egli è indubitato: la nuda cognizione di molte lingue accresce anche per sè sola il numero delle idee, e ne feconda poi la mente”
[5].
Ebbene, non si può essere veramente bravi a usare la parola, utilizzabile sempre e per molti fini, tutti sperabilmente buoni, se non si conoscono le lingue e le civiltà classiche, ossia quelle della prima classe
[6].
Noi vorremmo che le studiassero tutti attraverso una scuola che fosse nello stesso tempo popolare e di alta qualità.
Una scuola accessibile a tutti, interessante per tutti.
Le invenzioni senza costrutto, le rivoluzioni astrattamente verbali degli intellettuali elitari e schifiltosi, lasciano il tempo che trovano, e, queste davvero non servono a niente.
Si pensi al movimento letterario della Neoavanguardia dei primi anni Sessanta. Presentava e propugnava “lo sperimentalismo assoluto, letterario fino all’illeggibilità e all’inservibilità”
[7].
Tali sperimentalismi astrusi di solito hanno la pretesa risibile di “superare” la lezione “antiquata” dei classici.
Certi presunti intellettuali non hanno nulla da dire, ma cercano di farsi credere molto colti e profondi attraverso "ghirigori che non dicono nulla e offuscano con la loro verbosità perfino le verità più comuni e più comprensibili"
[8].


La conoscenza dei classici di fatto abitua alla chiarezza e ad amare “il bello con semplicità”. Un nesso che abbiamo imparato dal logos epitafios del  Pericle di Tucidide: "
filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva""
[9], in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
In latino, Lucrezio condanna gli stolti che ammirano e amano più di tutto quanto rimane nascosto sotto parole contorte: "omnia enim stolidi magis admirantur amantque /i nversis quae sub verbis latitantia cernunt"
[10].
La semplicità, nel parlare, nello scrivere, nello stile di vita non esclude l’eleganza, anzi la accompagna.
A questo proposito sentiamo Cicerone che pure parteggiava per i benestanti
[11]: "quae sunt recta et simplicia laudantur"[12], ricevono lode gli aspetti schietti e semplici.
Pirra è "simplex munditiis"
[13], semplice nell'eleganza.
La semplicità dei classici non è faciloneria, bensì complessità risolta. Marziale la chiama prudens simplicitas (X 47, v. 7) semplicità accorta e la considera uno dei mezzi che abbelliscono la vita (vitam quae faciant beatiorem , v. 1).
Capita che il classico subisca momenti di minor fortuna, ma, come Odisseo,  non affonda mai: la rinascita del classico è la forma ritmica della storia culturale europea.
Harry Mount, autore di un libro sul ritorno del latino che ha avuto un certo successo, nota che sul retro del biglietto da un dollaro si trova scritto annuit coeptis che traduce “he has favoured our undertakings”, ha favorito le nostre imprese, quindi commenta “As is often the case, Latin is used to give a touch of class”
[14], come spesso succede il latino è usato per assegnare un tocco di classe.
Una classe che andrebbe aperta a tutti.

 

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it
 

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[1] Vittorio Alfieri nella sua Vita (composta tra il 1790 e il 1803) racconta di avere impiegato non poco tempo dell’inverno 1776-1777 traducendo dopo Orazio, Sallustio, un lavoro “più volte rifatto mutato e limato…certamente con molto mio lucro sì nell’intelligenza della lingua latina, che nella padronanza di maneggiar l’italiana” (IV, 3). 
[2] Lettera a una professoressa, p. 95. 
[3] II, 123-124.  
[4] Ars amatoria  II,  119-122 
[5] Leopardi, Zibaldone, 2214
[6] Il termine classicus designava il cittadino che apparteneva alla classe più elevata dei contribuenti fiscali: "solo per traslato uno scrittore del II secolo d. C., Aulo Gellio, definisce "classicus scriptor, non proletarius" uno scrittore "di prim'ordine", non della massa" (Noctes Atticae 19. 8. 15; cfr. 6. 13. 1 e 16. 10. 2-15), o (forse meglio) "buono da essere letto dai classici (i contribuenti più ricchi), e non dal popolo"; classicus è ulteriormente definito come adsiduus (altra designazione di censo, "contribuente solido e frequente") e antiquior; l'anteriorità al presente è dunque requisito della "classicità" (S. Settis, Futuro del "classico", p. 66.)  
[7] Pasolini, in Saggi sulla Letteratura e sull’arte, p. 2614. 
[8] Cfr. A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena p.210, vol.I 
[9] Storie II, 49, 1. 
[10] De rerum natura I, 641-642 
[11] Cicerone voleva  realizzare la concordia ordinum tra senatori e cavalieri considerati tutti  optimates,  benestanti uniti dall’interesse a conservare i privilegi economici e politici. Nell’orazione Pro Sestio del 56 a. C. l’Arpinate ne dà questa definizione: “Omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt, nec natura improbi nec furiosi, nec malis domesticis impediti” (97), sono tutti ottimati quelli che non sono nocivi, né per natura malvagi né squilibrati, né inceppati da difficoltà familiari. Anzi essi costituiscono una casta (natio) all’interno della popolazione: “integri sunt et sani et bene de rebus domesticis constituti”, sono irreprensibili, saggi e benestanti.
[12] De officiis, I, 130. 
[13] Orazio, Odi I, 5, 5.[14] Amo, amas, amat, p. 216.


sabato 8 giugno 2013

A Ilaria Cucchi, con simpatia

Riporto alcune parole di Ilaria Cucchi : “quelli che in aula hanno esultato alla lettura del dispositivo e hanno fatto gesti indecenti nei nostri confronti, sono gli stessi che, a neanche un mese dalla morte di Stefano, dicevano al telefono: “Pesava 40 chili, era un tossico di merda e ora i genitori vanno a cercare il pelo nell’uovo”.
Parole che meritano una cupa risonanza  e un commento pieno di biasimo.
Esse descrivono l’abisso di barbarie in cui sta precipitando l’Italia. Piuttosto che tenere troppo a lungo lo sguardo in tale burrone correndo il rischio di caderci dentro, o prima che il baratro entri in noi, dobbiamo cercare di colmare questo vuoto di umanità con altre parole che siano quelle della pietà.
Non so se Stefano Cucchi fosse davvero un  drogato e pesasse solo quaranta chili, ma sono sicuro che una persona, qualunque persona, in siffatte condizioni va aiutata in tutti i modi.
Pestarla fino a ucciderla è una scelleratezza anche peggiore che barbarica: è un crimine di lesa umanità.
Vengono in mente le parole di Andromaca, la vedova di Ettore, quando nelle Troiane di Euripide, le  viene detto che i Greci distruttori di Troia hanno deciso di ucciderle il figlio, il piccolo Astianatte, per timore che diventi un giovane grande e forte, un uomo  in grado di vendicare il padre. Allora la madre dolorosa grida parole piene di lugubre stupore e di sdegno “ w\ bavrbar ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion "(vv.764-765), o Greci inventori di atrocità barbariche, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente?
Vorrei rivolgere la stessa domanda ai carnefici di Stefano.
Quali sentimenti negativi fino alla volontà di massacrare possono scatenarsi di fronte a un ragazzo che pesa quaranta chili? 
Il fatto è che le persone prive di sensibilità e di coscienza non sono capaci di mettersi nei panni degli altri. Anzi, fanno proprio il contrario: proiettano la propria matta bestialità sui malcapitati che finiscono nelle loro grinfie. Del resto ci comportiamo tutti su per giù in questa maniera: chi è buono, si aspetta che anche gli altri siano persone per bene, e chi è cattivo vede le proprie cattiverie da lui stesso fatte riverberare su tutti quelli che incontra.

Capire il dolore degli altri, condividerlo per alleviarlo, è segno di umanità. Pirandello nel saggio L’umorismo [1] chiama questa simpatia nel dolore “il sentimento del contrario”. Fa tre esempi.
Il  primo è quello celeberrimo della  “vecchia signora coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili”.
La prima reazione è quella di deriderla e canzonarla. “Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa prima impressione cronica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario”.
Ma poi interviene la riflessione che suscita  il sentimento del contrario ossia l'umorismo: "Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico" [2]. 

Si tratta insomma di riflettere sul dolore del prossimo, di considerare le difficoltà che ha trovato e non ha superato colui che soffre, quindi provare compassione, sentire con lui la sua sofferenza, per  aiutarlo.
Parole intelligenti e sante scrive anche T. Mann sull’argomento: “Indifferenza e ignoranza della vita intima degli altri esseri umani finiscono per creare un rapporto affatto falso con la realtà, una specie di abbigliamento. Dai tempi di Adamo ed Eva, da quando uno divenne due, chiunque per vivere ha dovuto mettersi nei panni altrui, per conoscere veramente se stesso ha dovuto guardarsi con gli occhi di un estraneo. L’immaginazione e l’arte di indovinare i sentimenti degli altri, cioè l’empatia, il con-sentire con gli altri, è non solo lodevole ma, in quanto infrange le barriere dell’io, è anche un mezzo indispensabile di autopreservazione”[3].
Chi picchia un debole, violenta la vita che poi, immancabilmente, lo punisce.
La vita infatti ci contraccambia sempre.
Invito Ilaria a ricordare le parole indirizzate da Winston, il protagonista del romanzo 1984 di Orwell, ai carnefici che lo torturano: "Something will defeat you", qualche cosa vi sconfiggerà, "Life will defeat you", la vita vi sconfiggerà.
Sicuramente tuo fratello, novella Antigone, non è morto per nulla. Il suo martirio e la tua nobile testimonianza, hanno dato e daranno coscienza a tanta gente.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it 
Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/ 
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[1] Del 1908.
[2] Luigi Pirandello, Op. cit., p. 173.
[3] T. Mann, Il giovane Giuseppe, p. 117.

IPPOLITO di Euripide del 428 Prima scena del prologo.

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