sabato 30 settembre 2023

Aggiungo la presentazione scritta dall’editore del mio romanzo.


 

Da metà ottobre in libreria
TRE AMORI A DEBRECEN
di Giovanni Ghiselli
PP. 240

Il luogo è Debrecen, il centro culturale ungherese dove si raccolgono durante l’estate giovani studiosi delle università europee, in seminari e convegni nei quali si vanno definendo gli orizzonti della nuova Europa e le linee della sua cultura futura. 
Il protagonista è un giovane professore italiano, che proprio a Debrecen vive una profonda metamorfosi, che è conoscenza di sé, impegno per il futuro, riscatto umano…
Quel che nel libro sorprende e conquista è la scoperta che il veicolo della rinascita e la costruzione di nuove consapevolezze, in che consiste la vita, è dato dall’amore verso compagne giovani e colte, esse stesse alla ricerca del significato dell’essere. Di questi amori, il narratore trasceglie quelli vissuti con tre giovani donne – Helena, Kaisa e Päivi – che più di ogni altra hanno segnato i suoi affetti e il suo immaginario e lasciato nel cuore il sentimento struggente e inobliabile di esperienze senza paragoni.
Alimenta il libro la densità di una cultura che è per l’autore insopprimibile ragione di vita e una scrittura capace di toccare rare vette di espressività, densa e brillante nei suoi abbandoni alla bellezza della parola, alla evocazione dei paesaggi, alla descrizione del fascino muliebre di compagne innamorate, alla stessa dolorosa assenza di una bimba mai nata [Roberto Casalini].

Giovanni Ghiselli, nato a Milano nel novembre del 1944, ha frequentato le scuole pesaresi dalle elementari al Liceo classico “Mamiani” fino alla maurità (1963). Nel 1969 si è laureato a Bologna in Lettere Classiche summa cun laude, insegnando in seguito nella scuola media “Ugo Foscolo” di Carmignano di Brenta e nei licei classici di Imola (“Rambaldi”) e di Bologna (“Minghetti” e “Galvani”). 
Ha tenuto, a contratto, il laboratorio di didattica della letteratura greca nella SSIS dell’Università di Bologna dal 2000 al 2010 e un corso di cultura generale all’Università di Bolzano-Bressanone. Ha  tenuto altre lezioni a contratto nelle Università di Bologna, Urbino, Genova, Pavia e numerose conferenze in Licei, Università, convegni e festival di filosofia, filologia e letteratura.
Ha pubblicato traduzioni e commenti dei classici con Loffredo (Edipo re, Antigone , un’antologia di Omero, una degli storiografi greci), con Cappelli (Medea di Euripide) e con Canova (Satyricon di Petronio Arbitro, Baccanti di Euripide). Ha collaborato con diversi quotidiani, come «la Repubblica» e «Il fatto quotidiano», e riviste on-line. 
Nel febbraio del 2013 ha aperto un blog 
http://giovannighiselli.blogspot.it/  
i cui visitatori, fino ad ora, hanno superato il milione e quattrocentomila unità.

 

 

 

 

T. Mann. I Buddenbrook. 17

PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI


III, 10,  pp. 92-94

Tony riceve una lettera dal pretendente Grünlich che rinnova la richiesta di amore matrimoniale e acclude un anello.
La ragazza, disgustata, scrive al babbo rivelandogli la propria contrarietà e il suo amore per Morten , un ragazzo che “diventerà medico e appena avrà conseguito la laurea verrà a chiedere la mia mano”.
Quindi Tony aggiunge: “So benissimo che la consuetudine vuole che io sposi un commerciante, ma Morten appartiene a quell’altra categoria di persone cospicue, agli intellettuali. Non è ricco, e so che ciò ha importanza per te e per la mamma, ma devo dirti, caro babbo, per quanto io sia giovane, e più d’uno lo avrà imparato dalla vita, che la ricchezza da sola non sempre rende felici. Con mille baci sono la tua figlia devota.
Atonia
P. S. L’anello è di bassa lega e, come vedo, piuttosto sottile.
Commento queste belle parole di Tony con alcune righe del mio romanzo. La ragazza Buddenbrook non riuscirà a cogliere l’occasione di stabilire una relazione con il ragazzo che le piaceva e che stimava, contraccambiata.
Io non colsi l’opportunità di  vivere senza riserve l’amore per la donna che nei decenni successivi è rimasta sempre la migliore del mazzo che ho voluto infoltire negli anni badando più alla quantità che alla qualità.
Riferisco alcune parole dette da lei, la prima finnica Helena, durante la sera del corteggiamento iniziale nella csàrda di Hortobàgy nel luglio del 1971:
“Che cosa è l’amore per te?”. Le domandai. Molto direttamente, forse anche troppo, ma volevo saggiare il terreno della sua disponibilità erotica e dirle qualche cosa di incoraggiante all’eros, se, rispondendo, mi avesse dato la pur minima occasione di farlo.
Rispose: “E’ un sentimento positivo: che la mia umanità si espande e comunica qualche cosa di buono. Siamo qui al mondo gli uni per gli altri.
Io adesso  provo amore, individualmente, per un uomo che mi aspetta in Finlandia, ma generalmente lo sento per tante persone, per tutte spero, e per ogni creatura vivente”.
Riflettei un momento su questa risposta, degna del suo stile.
“Sì è in gamba come pensavo, è del mio stampo e della mia levatura. Purtroppo ha un compagno, ma non credo ne sia innamoratissima. In fondo il suo amore singolo non esclude l’umanistico, un sentimento  smisurato e indefinito un a[peiron dal quale potrebbe emergere l’individuazione per un’altra persona molto dotata del Nou`~ che mette ordine.  Potrei essere io da come attentamente mi guarda. Sarebbe la mia salvezza dal naufragio sempre temuto .”
Fu Helena in effetti a salvarmi ma per capirlo dovetti tornare a Debrecen in bicicletta 40 anni più tardi dopo una serie di relazioni prive di profondità e sincerità.
“Una notte dell’estate del 2011, andati a letto gli amici, sono tornato sotto la finestra dell’apparizione fatidica, una finestra oramai sconsacrata e  deserta, onde  mesto riluceva  il raggio riflesso della luna[1], dea dai tre nomi[2] e dalle tre forme. Ho ricordato i sentimenti forti, pieni di gioia di quella sera remota e ho sentito la necessità di raccontarla, di renderla eterna, se il giudizio finale, quello dell’arte, sarà positivo”.
Non la presi abbastanza sul serio nell’estate del 1971. Eppure non ho più trovato una donna altrettanto congeniale a me.
 
Ma torniamo al romanzo di T. Mann con il quale ho l’ardire di confrontarmi.
Anche Johann Buddenbrook, il padre di Tony non prende sul serio la figlia cui ripete e ufficializza  per iscritto, cioè con parola ben ponderata e scelta quanto le aveva già detto a voce. “Mia cara figlia, noi non siamo nati per quella che con occhio miope consideriamo la nostra piccola personale felicità, perché non siamo esseri staccati, indipendenti e autonomi, bensì anelli di una catena (…) La tua vita, così mi sembra, è da parecchie settimane tracciata davanti a te con la massima chiarezza e precisione, e tu non saresti mia figlia, né nipote del tuo nonno che riposa in Dio, né in genere un membro degno della nostra famiglia se pensassi seriamente, tu sola, di seguire, caparbia e volubile, le tue proprie vie irregolari…
Con sincero affetto
tuo padre.
 
I grandi romanzieri parlano di noi e Thomas Mann è uno dei più grandi.
Tony crede nel proprio gevno~ e per non traviarsi cambiando la via ha dato retta al padre. Ne sono seguiti due matrimoni sbagliati.
 
Credere nel proprio gevno~, almeno in uno dei due tra il paterno e il materno è dovuto alla fede che ciascuno di noi deve a se stesso. Ma ogni gevno~ è composito. Non ce n’è uno monolitico e monofonico. Personalmente ho dato retta alle zie Rina e Giulia, le maestre all’estero per quanto riguarda il mai domato l’amore per la scuola. Ho seguito la madre  mia santa  relativamente alla bizzarria e alla volontà di autonomia. Dal nonno Carlino Martelli di Borgo Sansepolcro ho ereditato consenziente l’amore che portava alle donne, al sole, alla bici; della nonna Margherita Scatolari di Pesaro sono stato perfetto nipote per l’amore che portava alla proprietà terriera. Infatti questa carissima donna voleva essere accompagnata dal notaio per segnare a me tutti i suoi poderi.
Purtroppo non era possibile ma l’ho ricompensata non vendendo per tanti soldi i 18 ettari che mi sono comunque arrivati, e, se potrò. ne comprerò  altri, sempre vivendo da poverello di Pesaro dove conservo anche la residenza.
All’antenato Canonico Carlo Martelli che nel gennaio del 1831 il Console nominò  Accademico corrispondente dell’Accademia degli Infecondi di Prato devo invece il lascito dell’amore per le lettere cui ho posposto l’interesse per dei figli carnali miei. Credo di avere una bella e numerosa discendenza di figli spirituali.  
Gli aspetti dei gevnh che mi hanno preceduto dunque li ho ereditati volentieri, poi li ho conservati e valorizzati con tutte le mie forze, altri invece li ho sdegnati e rifiutati in quanto non mi piacevano né punto né poco.

capitolo precedente: Giovanni Ghiselli: T. Mann. I Buddenbrook. 16
 
Pesaro 30 ottobre 2023 ore 16, 14, 
giovanni ghiselli
 
p. s
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La copertina del mio romanzo di formazione messa in facebook ieri sera ha raccolto 73 approvazioni fino a questo momento.
 
 
 
 
 
 


[1] Cfr. Leopardi,: “quella finestra,/ond’eri usata favellarmi, ed onde/mesto riluce delle stelle il raggio/è deserta” Le ricordanze (vv. 141-144).
[2] Luna, Diana, Ecate. Quest’ultima è la signora delle streghe (quelle del Macbeth di Shakespeare, per esempio) e la maestra delle maghe (Medea per esempio).

La moda sorella della morte?


 

Giacomo Leopardi in una  delle sue Operette morali più significative- Dialogo della Moda e della Morte- ha scritto che la moda è sorella della morte.

 

Nel dialogo la Moda dice alla Morte: “io sono la moda, tua sorella”. E la morte: “Mia sorella?” “Sì-risponde la moda- non ti ricordi che siamo nate dalla caducità?...e so che l’una e l’altra tiriamo parimenti a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù…la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero che io on sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi”.

Si pensi ai tatuaggi, alla chirurgia estetica e ad altre schifezze del genere  

 

 

Oggi piuttosto la moda è la morte: la morte è di moda.

Morte degli aspetti più vivi della vita.

Morte dell’amore, morte della cultura, della cortesia, del  rispetto, della virtù, sia nel senso cristiano, sia in quello machiavelliano della capacità.

Morte della politica i cui rappresentanti ripetono tutti gli stessi luoghi comuni. Non sono cristiani, né comunisti né machiavellici. Sono marioli ma non profondi come il segretario fiorentino secondo don Ferrante di Manzoni.

 

Ho scritto un libro che racconta un mondo dove la vita era ancora viva, bella, rigogliosa, descrive una società nella quale era di moda l’umanesimo, l’aiuto reciproco, perfino l’amore era di moda, non la droga seguita dalla digrignante chiavata poi pubblicizzata con il cellulare. Non era una moda ammazzare le donne in fuga da amanti o mariti mentecatti.

Era di moda, ossia era una buona consuetudine diffusa, osservare il cielo, la natura, il prossimo invece del telefonino. Osservare e ascoltare, leggere libri buoni e imparare.

Per alcuni anni c’è stata perfino la moda di corteggiare a lungo con intelligenza e rispetto, per amare ed essere amato.

Non era impossibile che un ventenne disgraziato, infelice al punto desiderare la morte, quale sono stato io per  tre anni, trovasse una solidarietà fra i coetanei, un aiuto che valesse non solo a salvargli la vita, ma addirittura  a rendergliela desiderabile e bella.

Poi la moda dell’amore è passata, però c’è un ciclo, un orbis delle mode, come delle stagioni, e sono certo che ritornerà la moda bella, calda e luminosa dell’amore.

Ho raccontato questo per invogliare i ventenni di adesso, e tutti quanti mi leggeranno, a riconquistare l’abitudine santa dell’amore per la vita, la propria, quella dell’umanità e quella del cosmo.

 

Pesaro 30 settembre 2023 giovanni ghiselli ore 9, 31 giovanni ghiselli

 

p. s

Domani tornerò a Bologna. Mi dispiace lasciare il mare ancora godibile grazie al caldo che ora è di moda esecrare proprio perché favorisce la vita. Io lo benedico. Quello naturale viene annullato da apparecchi infernali che diffondono aria gelida, mefitica, patogena, proprio per annullare l’orbis, e mortificare il ciclo delle stagioni. In questi giorni di notte la temperatura scende fino a 18 gradi e bisogna coprirsi. Eppure in certi cinema sussiste l’aria condizionata che abbassa ancora la temperatura: ci vuole il cappotto.

 

 

L’unica moda che seguo da quando sono bambino è l’amore per la vita, doloroso amore quando non era contraccambiato, gioioso da quando lo è stato: dal 1967 a oggi il mio. Contraccambiato prima da molti, recentemente dai fortunati pochi che si riconoscono tra loro. Sono contento di tornare a tenere le mie conferenze a Bologna e in altre città.  L’argomento prevalente sarà l’umanesimo che è amore per l’umanità e per la natura. Saluti e baci!

gianni  

 

p. s.

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venerdì 29 settembre 2023

Ifigenia XXIX. Una mattina mi sono svegliato…

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
La mattina seguente, il 30 novembre, mi alzai ancora assonnato. Aperta la finestra però, vidi confortevoli segni della terra e del cielo: la grande nevicata era finita e la neve si liquefaceva permettendo il transitare delle donne e degli uomini da casa al lavoro con qualsiasi mezzo. Anche il cielo si stava schiarendo: tra le nuvole che andavano diradandosi si vedevano alcuni pezzi di azzurro lucido. Questo, aiutato da un vento non freddo, apriva la strada ai cavalli del sole che, usciti dal mare Adriatico,
  procedevano risalendo dalla parte dove di mattina il cielo è più vivo. Una nube nera ma squarciata nel mezzo e sbrindellata sui fianchi non poteva nascondere l’immagine luminosa, divinamente compatta che saliva rotonda su per il cielo con i raggi ancora irrorati dalla spuma marina, portando conforto, con l’augurio di un dì più sereno, a me e agli altri mortali oppressi dal buio inquieto  del lungo pomeriggio nevoso. Nutrivo nell’anima ancora qualche apprensione per le difficoltà che avrei dovuto affrontare insieme con la giovane collega e amante malmaritata, tuttavia non avevo angosce quella mattina poiché dopo aver riposato e osservato la santa faccia luminosa del primo fra tutti gli dèi, pensavo che la bella ragazza  fosse disposta a lottare con me per seguitare a incontrarci nel talamo nostro dalle cinque alle sette del pomeriggio, e confidavo che per noi due ci sarebbe stato un futuro pieno di cose belle e utili da fare insieme. Non solo lussuriosi, libidinosi e dissoluti eravamo entrambi, ma anche capaci di creare nel bello secondo l’anima. Ifigenia queste speranze me le aveva dichiarate più volte e quella mattina io le condividevo mettendo via la sensazione  stanca, rinunciataria, senile che talora mi assaliva.
Quando per le strade oramai non più ingombre fui arrivato al liceo ed ebbi parcheggiato la nera Volkswagen nel cortile della scuola, entrai nel piano terreno e lo percorsi tutto senza incontrare  la bella collega mia amante, quindi salii le scale ed entrai nella sala dei professori.
In settembre avevo iniziato il terzo anno di insegnamento al Minghetti  che nei due precedenti era stato guidato dal preside gentiluomo Pietro Cazzani, democratico, colto, intelligente e ancora di bell’aspetto.
Quest’uomo mi aveva aiutato nella difficile circostanza dell’inserimento nel nuovo ambiente piuttosto prevenuto nei confronti dei colleghi giovani. Cazzani aveva incoraggiato con parole umane la mia laboriosa crescita culturale e professionale ancora in fieri dopo l’esordio imolese dove un altro preside galantuomo mi aveva aiutato. Altri incoraggiamenti decisivi li avevo ricevuti dalle ragazze e dai ragazzi miei studenti.
Il preside nuovo arrivato che non era né bello né buono, quando andai a salutarlo per vedere chi fosse e farmi conoscere, mi respinse pregiudizialmente dicendo: “Io non l’ho fatta chiamare”. Tornai indietro  parecchio avvilito da quel modo di fare. Mi tornò in mente l’esordio alla scuola media di Carmignano di Brenta che tu, lettore, conosci.
“E’ un prepotente maleducato”, pensai anche questa volta.
 
Pesaro 29 settembre 2023 ore 9, 33 
giovanni ghiselli
 
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giovedì 28 settembre 2023

Ifigenia XXVIII. Il salvataggio


A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Non sapevamo come fare. A un tratto sebbene non si vedessero automobili in giro, ci venne in mente l’esistenza dei taxi. Finalmente una voce rispose al telefono. Supplicai di mandarne uno al più prest : mia moglie doveva ricevere la benedizione estrema della madre che stava morendo, dissi.

La voce fredda o raffreddata rispose che avrebbero fatto il possibile. Quindi ci vestimmo e ci attaccammo alla finestra che risponde alla strada schiacciandoci il naso contro il vetro per antivedere l’arrivo sotto casa dell’autoambulanza necessaria al salvataggio del nostro amore in pericolo serio. Tuttavia ogni tanto staccavamo i nasi dalle lastre fredde per baciarci, scaldarci e incoraggiarci a vicenda. Ifigenia faceva domande allarmate: “Se la neve che cade da ore causando incidenti avesse ostruito e bloccato ogni strada?”. La guardavo allargando le braccia in segno di impotenza,
ma credevo che sperasse di essere costretta dalle circostanze a una rivelazione, quindi a una rottura con il marito.
Io invece temevo che se il nostro rapporto avesse preso la strada piatta della legalità avrebbe perso quel gusto piccante del proibito, del momentaneo rubato alla consuetudine che eccita il desiderio e innalza, potenzia la sensualità fino a prestazioni veramente olimpiche.
 
Finalmente scorgemmo un taxi in arrivo. Era bianco e giallo. “Ecco la Margherita della salvezza!”, esultò Ifigenia. “Bellina,  monella!” pensai tutto contento che potesse tornare a casa sua.

Scendemmo i cinque piani di scale saltando precipitosamente i gradini a due o tre per volta ma senza cadere. Poi finalmente la ragazza entrò nel taxi. “Ti abbraccio forte ” le gridai, quindi pregai il tassista di fare presto. L’uomo indicò la neve senza dire parola. Risalìi adagio le scale. Avevo paura che il nostro castello crollasse. In effetti non aveva fondamenta profonde ma intanto eravamo fuori pericolo. Erano le sette e un quarto di quel 29 novembre.
 
Ora so che la mia paura era interna: un sentimento di colpa che si aspettava un castigo. Oscuri terrori superstiziosi oppure scrupoli morali per l’inganno al marito?
Ora so  che Cristo salvò la vita all’adultera e perdonò la peccatrice, con il suo complice  sottinteso immagino: “dico tibi: remissa sunt peccata eius multa quondam dilexit multum; cui autem minus dimittitur minus diligit.  Dixit autem ad illam: “Remissa sunt peccata tua” - N. T. Luca, 7, 47- 48).
 Parole sante. Valgano anche per me e per Ifigenia che oltretutto non è più in questa dimensione.
 
Pesaro  28 settembre 2023 ore 16, 18
 giovanni ghiselli

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Ifigenia XXVII. L’amore non è solo “impeto di cupidità”

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
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Nei primi tempi si faceva molto l’amore e ci piaceva assai farlo ogni giorno più volte. Ci sentivamo due atleti o perfino due eroi del sesso. Tuttavia sentivamo che mancava qualcosa. Allora non sapevo che cosa fosse. Ora so che l’emozione fondata sul piacere sessuale, magari associata all’orgoglio e al vanto della forza, della bellezza e della gioventù, pur se dura più a lungo del tempo necessario a sfogare la prima libidine, anche se può prolungarsi per alcuni mesi quando la voglia è resa più piccante e tosta dal gusto di trasgredire le regole e di scandalizzare i bigotti, dopo due o tre stagioni esaurisce il suo vigore ascendente se l’ammirazione della bellezza non si associa alla conoscenza e alla prassi del Bene che è il sapere più alto, che è la sapienza vera, e chi la ama  si sente frustrato, infelice se non riesce a salire  su questa vetta che offre una larga visione mentale e morale.
 Ora comprendo come Admeto dopo avere smarrito la moglie: “a[rti manqavnw[1]. Ma è tardi: io ne ho proprio perdute diverse, troppe oramai.
 
L’amore non è solo impeto di cupidità quando gli amanti non si amano ma si appetiscono. Poi, saziato l’appetito, si nauseano uno dell’altro. Manifestai amore a una donna soltanto la sera dell’agosto del 1971 quando lasciai perdere l’occasione ghiotta di Josiane e chiesi scusa a Elena per avere corteggiato la ragazza più giovane.  Allora la donna matura mi disse: “io non sono materia”, e io la stimai e l’ammirai oltre desiderarla.
 
A un tratto mi alzai, guardai l’orologio e il tempo di fuori. Per Ifigenia era già tardi: mancavano pochi minuti alle sette e la neve che cadeva fittissima da quattro ore aveva formato in terra una difficoltà  per il ritorno della sposa a casa in tempo tale da non provocare burrasche da parte del marito.
Ifigenia mi venne vicino e le feci notare che lo spessore bianco era talmente alto, compatto e scivoloso che dove copriva l’erta rampa di uscita dal mio garage poteva impedire la salita della nera Volkswagen.
 Intanto vi  scivolavano dei ragazzini su delle slitte. Nessuno di noi due era capace di montare le catene da neve e io per giunta non sapevo neanche se  le avessi e dove potessi trovarle. Tale mancanza di abilità manuale e il disordine nel  tenere le cose, con il tempo ci avrebbe dato non pochi fastidi. Sembra un particolare irrilevante rispetto alla grandezza di una passione amorosa, invece anche deficienze più piccole possono generare seri imbarazzi e gravi disturbi in un rapporto. Se la sintonia non è totale, la minima difficoltà si associa subito al malumore e a un meschino spirito competitivo, accusatorio, denigratorio. Se la fiamma erotica iniziale non viene alimentata  dallo spirito della generosità e dell’altruismo reciproco, questa prima si affioca, nelle  noiose faccende della prassi giornaliera, poi con il tempo diventa un nero tizzone quasi del tutto spento,  alimentato solo dal rancore reciproco. Andrà a finire così ma questa fine non era ancora vicina. Però ogni cosa segretamente temuta  accade prima o poi.
Basta pensare alla morte.
 
Pesaro 28 settembre 2023 ore 10, 08 
giovanni ghiselli
 
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[1] Euripide, Al cesti, 940, “ora comprendo”, appunto

mercoledì 27 settembre 2023

Ifigenia XXV e XXVI

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Secondo natura e contro natura

 
Facemmo l’amore raddoppiando il numero della sufficienza tripartita.
Fuori nevicava nel buio. Dentro il talamo nostro eravamo contenti della fusione dei nostri corpi. La situazione era bella e favorevole alla felicità ma il mio passato di assidui terrori mi spinse di nuovo verso la demolizione della gioia di cui pure avevo fruito e goduto.
“Ifigenia sei un’amante speciale. Peccato che il nostro amore non possa durare a lungo”
Parole che non avevo mai detto a nessuna delle mie finlandesi pure amatissime, ma con loro non ce n’era bisogno perché sapevo che se ne sarebbero andate per  forza di cose e magari mi sentivo viceversa propenso a trattenerle. Ma questa? Che cosa avrei fatto di lei se avesse lasciato il marito? Avrei dovuto occuparmene io?
Un’amante non doveva responsabilizzarmi troppo se non voleva rattristarmi. Per una figlia mi sarei potuto prendere delle responsabilità o per la madre mia, perfino per le mie zie, ma con una senza legami di sangue il rischio era abnorme: eccedeva le mie capacità.
Ifigenia ribatté con il suo buon senso: “Perché fai così  il guastafeste dopo che te la sei spassata con me? Non ti sembra inopportuno rovinare questa serata splendida di neve e di gioia con una previsione funesta? Lasciati andare all’ottima sorte che ci ha accarezzato. Per me, ma anche per te è una fortuna! Sono pensieri malati quelli che vogliono mortificare la gioia.
I nostri nemici invidiosi dicono che il dislivello di nove anni tra noi è eccessivo, che tu per giunta sei un donnaiolo attempato, un rudere libertino corruttore di giovani donne e io una poco di buono che vuole adescarti e sfruttarti rompendo la fede matrimoniale, eppure sono sicura che tu non hai mai fatto l’amore con tanto ardore quanto ne avevi poco fa con me”.
Aveva ragione ma io non volli lasciar passare un’affermazione tanto compromettente senza ribattere
“Come fai a essere tanto sicura? Che cosa sai di preciso della mia vita amorosa passata?”
“Lo sento - rispose senza esitare un istante - E lo vedo nel tuo comportamento del tutto diverso da queste tue parole da scettico.
Da come mi guardi, mi baci, mi tocchi sento il tuo amore. Hai pure lasciato una donna che ti faceva comodo a quanto dicevi”.
“E l’altra?”
“La lascerai presto per dedicarti soltanto a noi due. Stai diventando ogni giorno migliore: meno egoista, opportunista, meno pretificato in senso gesuitico, anche se ora fai il cinico perché hai paura dell’amore che senti per me e che io ti contraccambio con la potenza aggiunta del mio entusiasmo e la forza della mia giovinezza. Noi due ci miglioriamo a vicenda. Io ti ho fatto sentire che cosa è l’amore privo di calcoli, elucubrazioni e remore, indugi,  e tu mi fai capire che cosa schifosa è l’ignoranza, perciò da quando ti conosco studio sul serio  e cerco una via di progresso, di ascesa con te”
Ifigenia aveva ragione, però io non avevo ancora deciso di lasciare l’altra amante bolognese Pinuccia che mi faceva comodo assai e non chiedeva niente: era del tutto gratuita. Dovevo prendere tempo con entrambe le amanti.
Sicché cambiai atteggiamento e tono: guardai Ifigenia con occhio lascivo, le accarezzai la parte interna delle cosce odorose e dissi: “carissima, questa sera dobbiamo aggiungere un’altra trilogia e arrivare a comporre le enneadi”.
 
 
Ora comprendo
 
Ifigenia rimase sconcertata da questa mia provocazione erotica che era anche evasiva rispetto alla sua volontà di un chiarimento sentimentale. Mi fece un sorriso malinconico che manifestava la sua delusione. Sicuramente le dispiaceva il mio eludere la sua offerta di amore lasciandola senza risposta per deresponsabilizzare me stesso e ridurre quel nostro incontro a un’abbuffata sessuale. Ora comprendo che le facevo del male e so che questo mi sarebbe tornato addosso per il contrappasso.
 Ifigenia aveva ragione dicendo che sarebbe stata cosa buona credere nella durata del nostro amore: lo avrebbe reso più forte, persino più gustoso, e accresciuto la nostra gioia.
Ora capisco che quella ragazza bella e vivace, la giovane donna che mi stava davanti, che mi piaceva  molto mentre ne ammiravo il fiorire rigoglioso dei seni, la potenza delle cosce lisce, sode e tornite, il luccicare dagli occhi neri, il lampeggiare dei denti voraci di vita, cercava giustamente il mio appoggio e io avrei dovuto  aiutarla a trovare un equilibrio, uno stile suo, una forza morale da coniugare con l’ordine mentale e sentimentale che dovevo imporre a me stesso dopo tante pose e scene erotiche, estetiche e culturali, tutte piuttosto superficiali e confusionarie.
E  forse il più immaturo tra i due, il più spaventato dalla vita ero io.
L’aiuto senza riserve avrei voluto darlo a una figlia mia, a questa però la madre non aveva permesso di venire alla luce, e la mia complicità nel misfatto mi avrebbe negato ogni forma di paternità carnale nei secoli dei secoli. Mi è rimasta quella delle parole che scrivo. E così sia.
 
Pesaro 27 settembre 2023 ore 19, 57 
giovanni ghiselli
 
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Ifigenia XXIV. L’amore d’inverno

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Mercoledì ventinove novembre, fin dalle prime ore del pomeriggio, su Bologna, dove lunghi sono gli inverni, cadde a fiocchi grandi la neve, che in poco tempo rese canuta la terra.

Ifigenia fece suonare il campanello verso le cinque, quando era già buio; corsi ad aprire il portone,  perché ero impaziente di fare l’amore; ma, come la vidi, mi fermai stupito, senza toccarla, senza invitarla a entrare, senza dire parola: non avevo mai visto una tale unione di inverno, colore e calore di vita: i capelli bruni bruni, bagnati, a tratti innevati, le scorrevano giù per le spalle come un ruscello montano cupo di gelide ombre , e aspro di pietre biancastre, facendola rabbrividire, ma gli occhi violacei, lucenti mi versavano addosso una morbida luce che fluiva calda dal cuore. La osservavo in silenzio, mentre i fiocchi larghi continuavano a caderle addosso, evidenziandosi sulle ciocche scure, come sulle chiome perenni degli abeti montani, e trasformando la luminosa ragazza  in una creatura dei boschi: un dolce cerbiatto dalla pelle screziata, oppure una bella baccante che dopo la dolce fatica della corsa sui monti si riassetta la nebride multicolore onorando il dio suo, Bacco, signore della gioia di vivere, della festa lieta, delle grazie tutte, del desiderio. Mentre nella fredda oscurità della notte precoce contemplavo la vivida fiamma della mia giovane amante, mi riempivo e scaldavo di gioia. Dopo qualche momento di stupito silenzio, la ragazza disse: “mi fai entrare? Sento un poco di freddo”.
Mi scostai dalla porta: Ifigenia entrò senza indugiare e, poiché l’ascensore non funzionava, cominciò a salire i cinque piani di scale spedita, facendo ondeggiare la testa, e le anche, sulle gambe robuste molleggiate dalle caviglie sottili, mentre i piccoli piedi, nello sforzo di ascendere i molti gradini di corsa, si appoggiavano e sollevavano con leggerezza, potenza e agilità. Le correvo dietro ammirato e felice. Quando fummo davanti alla porta dell’appartamento, la aprìi con la destra un poco tremante, poi con la sinistra le feci segno di entrare. Ero pieno di desiderio amoroso. Lo sentiva concordemente anche lei, poiché procedette fino alla sponda del mio grande letto dove si svestì con rapide mosse. Mentre, con i vestiti sul pavimento, cadeva la neve, la splendidissima amante mi chiese di spogliarmi subito e di abbracciarla senza i preamboli solitamente graditi: il marito, quel tanghero assai sospettoso, non poteva crederla a spasso nel caos bianconero della notte nevosa, né, tanto meno, doveva immaginarsi che passasse il tempo nell’alcova di un uomo: perciò era necessario che rientrasse non oltre mezz’ora dopo la lezione di yoga, che finiva alle sei e distava un chilometro circa da casa sua. Ci eravamo spogliati. L’abbracciai senza dire parola: il seno si era già intiepidito, anzi conservava gli odori della terra benedetta dal cielo estivo: pensai che non era il tepore domestico a renderla così calda e vivace appena si era sottratta all’iniqua, mortificante stagione, ma il suo giovane sangue fervido sotto la pelle ancora abbronzata e profumata dal sole che durante la nuda estate l’ aveva baciata con lucida forza amorosa, lasciandole addosso indelebili segni di bellezza, di salute e di gioia. La baciai anche io per succhiare una parte di quel calore celeste; quindi la distesi sul letto inclinando il mio corpo avido, scuro e magro su quello armonioso di lei: ne trassi piacere e voglia di vivere, eppure pensai a quando le sue magnifiche membra, coperte dall’ultima veste, la nera terra, l’avrebbero fatta fiorire di sanguigni papaveri, o di rose rosse, odorose della sua carne.

Pesaro 27 settembre 2023 ore 10, 35 
giovanni ghiselli
 
p. s.
Questa pagina mi sta particolarmente a cuore. Racconta e mitizza una delle ore più belle di questa mia vita mortale.

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Ifigenia XXII e XXIII

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
L’ultima cena con
 Esculapia
 
Esculapia non raccolse le ultime parole, anzi le ignorò o finse di ignorarle perché non voleva sentire subito la verità.
Sicché riprese a parlare risalendo alle corse e alle pedalate che avevo dichiarato: “adesso dunque avrai una gran fame. Chiamo il babbo e cominciamo la cena”. Non disse l’ultima ma doveva avere capito che non ce ne sarebbero state altre per noi due insieme.
“Vuoi lavarti le mani?”, aggiunse e se ne andò senza aspettare risposta. Era una donna restìa ad ascoltare. Preferiva parlare cercando sempre di imporsi. Cosa antierotica al massimo.
La madre era già in cucina. Rimasi qualche minuto da solo, senza impazienza. Il babbo era la persona più interessante della famiglia: faceva il maestro elementare  e parlava del nostro lavoro di educatori con entusiasmo e vivo interesse per la formazione mentale dei bambini. Il lavoro dei maestri mi è sempre interessato per via delle mie zie e mi dispiace il fatto che in sette decenni abbondanti di insegnamento non abbia mai avuto occasione di insegnare ai bambini delle elementari. L’unico ordine di scuola che ho frequentato solo da scolaro. Il  bravo maestro dunque entrò per primo nella sala da pranzo e ci salutammo con simpatia. Sentivamo di essere persone dello stesso stampo. Subito dopo fecero il loro ingresso le due nutrici: la madre portava sulle mani, trionfalmente, il vassoio colmo di pastasciutta fumante. La figlia teneva sulle braccia il secondo di carne e contorni. Il pane e le bevande erano già sulla tavola.
Cominciammo a mangiare. Il sughino in effetti era buono: non grasso come usa a Bologna. Osservando e ascoltando il maestro che parlava di scuola e di educazione con volto raggiante pensai che Esculapia si era interessata a me per una certa somiglianza spirituale che avevo con il padre suo.
Quando interrompemmo il nostro discorso per lasciare spazio alle donne che non sembravano interessate a parteciparvi, il dialogo cambiò tono del tutto: che tempo faceva, quant’era buona la pasta, se il formaggio ci stava bene, quanto erano ladri i bottegai, quanto crescevano i prezzi: perfino le patate erano rincarate terribilmente. Mi sembrava di essere passato dal Simposio platonico alla cena di Trimalchione.
A un certo punto però Esculapia mi obbligò a prendere una posizione precisa nei propri confronti davanti al babbo e alla mamma.
“Bene, Giovanni Ghiselli - cominciò solennemente dopo un momento di generale silenzio - dimmi quali sono i tuoi piani per il nostro futuro”
“Temo che non abbiamo un futuro insieme - risposi - siccome non ci sono interessi comuni tra noi: per giunta io voglio darmi completamente allo studio dei classici e all’educazione degli adolescenti”
“E questo dedicarsi tutto alla scuola basterà a riempirle la vita?” intervenne la madre
“Sì, mi terrà occupato ogni pomeriggio feriale e le giornate festive dalla mattina alla sera esigendo tutto il mio tempo. Per diventare un educatore di ottimo formato come suo marito, adesso devo rivendicarmi a me stesso.
La citazione di Seneca, che il maestro conosceva, voleva sottolineare il  significato morale della mia scelta.
Il bravo maestro allora mi domandò: “come mai lei e la mia figliola in tre mesi di frequentazione non avete trovato uno scopo comune? Forse non vi piacete o non vi stimate abbastanza”.
“Suppongo che sia come dice lei - confermai guardandolo in faccia, sicuro che avrebbe capito - I nostri rispettivi interessi sono talmente lontani tra loro che non troviamo argomenti comuni, e questo a lungo andare ci ha allontanati l’uno dall’altro”
“Allora smettete di frequentarvi presto e del tutto - suggerì il padre suo - perché così perdete tempo e vi rendete peggiori a vicenda”
“E’ proprio così, ma di questo voglio parlare più tardi da solo con la vostra figliola se permettete”.
Quindi lasciammo cadere questo argomento e seguitammo a cenare parlando del più e del meno.
 
 
L’Addio a Esculapia

Uscimmo da casa insieme per l’ultima volta. Quando finalmente riebbi sopra la testa la grande apertura del cielo, le dissi che non me la sentivo più di fare l’amore con lei perché mi ero innamorato di una collega con la quale avevo più interessi in comune, più parole da dire e cose da fare.
Dissimulai tacendole il fatto che Ifigenia era più bella, più fresca in tutti i sensi e mi piaceva molto di più.
Esculapia ribatté che sarebbe stata felice se avessi contraccambiato il suo amore. L’aveva sperato perché una volta quando ero prossimo a lei e all’orgasmo, avevo sussurrato “tesoro”.
Quindi si intenerì e versò alcune lacrime.
Probabilmente pensavo a Ifigenia ma non glielo dissi.
“Non te la prendere - cercai di consolarla - non eravamo fatti l’uno per l’altra. Siamo orientati in direzioni diverse”.
“Sarà così Ghisus, ma io volevo il tuo amore perché non sei una canaglia”.
“Credo che il mio bello stia nel fatto che non dò importanza al denaro. Mi basta lo stipendio statale per modesto che sia: non ho mai fatto ripetizioni pagate togliendo tempo alla preparazione delle lezioni belle che devo ai miei studenti della scuola pubblica. Io sono comunista, sono contro il privato”.
“In effetti su questo non mi trovo d’accordo con te”
“Ma questo per me è importante: è un criterio di scelta irrinunciabile. Sono addirittura incapace di una vita privata”.
“Ho capito - concluse - addio comunista caro sebbene gratuito”
La accarezzai e salutai. Me ne andai senza rimorsi né rimpianti.
 
Pensavo ai miei studenti quattordicenni, a Ifigenia venticinquenne, giovani ancora educabili, recuperabili a una vita bella e morale. Dovevo educare anche me stesso a questo: eliminare i residui di meschinità lazzarona che mi rimanevano addosso dagli anni scorsi, passati non tutti santamente come sai bene lettore  che mi segui da tempo. I giovani che si affidavano a me sarebbero diventati creature, opere mie e dovevo farne dei capolavori. Ne avrei potenziato le qualità naturali, li avrei condotti ad amare la vita. Questa è l’etica vera senza la quale non può esserci felicità né pace.
Era un momento di lucidità che verrà offuscata diverse volte nel tempo a venire, come vedrai, caro, affezionato lettore.
 
Pesaro 27 settembre 2023, ore 11, 11 
giovanni ghiselli  

p. s.
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Il Battesimo.


 

Versione aggiornata della prossima presentazione del mio libro vicino a venire alla luce

 

Exegi monumentum  

Sono tornato a Pesaro questa sera dopo 550 kilometri in bcicletta nel Peloponneso con discese e  salite pedalate persino nei 52, 2 gradi nella tappa Epidauro- Nauplion senza un lamento.

Ne racconterò le luci e le ombre.

 

 

Argomenti del libro

Ora però devo occuparmi del mio romanzo prossimo a uscire. Racconta un apprendistato avvenuto attraverso lo studio, l’amicizia e l’amore, in particolare l’amore dei classici e di tre donne dotate di spirito e di corpo. Invero hanno contribuito all’educazione dell’io narrante anche diversi amici. Ho scritto questa storia che non è solo quella di una persona ma può costituire un corso i filosofia morale la quale insegna come sia bene vivere secondo ragione e sentimento, logos e pathos e non senza mythos, associando apollineo e dionisiaco, introversione con estroversione, disciplina e sacrificio con stravaganza e fantasia.

 

La storia parte dall’infelicità di un ragazzo ventunenne in rovina perché, finito il liceo classico, il Terenzio Mamiani di Pesaro, andava perdendo il suo ruolo di alumnus optimus e di ciclista egregio e imputridiva nell’autocommiserazione, nell’ozio, nella disperazione, nell’ingrassamento che lo deformava.

 

Ma nel cambiare ambiente da Pesaro, a Bologna, poi durante dei soggiorni mensili con borse di studio in un collegio universitario di Debrecen, frequentato da studenti di ogni paese socialista d’Europa, il ragazzo fa conoscenze nuove che lo motivano e aiutano a puntellare tante sue rovine, risvegliando e chiamando a  raccolta il meglio della propria identità sepolta sotto il cumulo delle sciagure passate, delle macerie, delle superstizioni personali e generazionali. Quindi il giovane un poco alla volta recupera le sue forze che erano state narcotizzate dal dolore, dall’autodisprezzo e dal disprezzo degli altri. Nel 1968 il protagonista compirà la prima fase del suo tirocinio  che del resto nell’uomo buono dura tutta la vita: :"semper homo bonus tiro est ", l'uomo onesto fa  tirocinio per tutta la vita, ha scritto Marziale[1] (12, 51, 2).

 

 

Il tema di fondo del mio libro come quello delle Metamorfosi di Apuleio e di tanti altri a partire dall’Odissea è come si diventa uomini. Il modello dell’uomo occidentale infatti è Odisseo, ajnhvr il quale pollw`n d’ ajnqrwvpwn i[den a[stea kai; novon e[gnw (Odissea, I, 3). Ulisse è ricordato come affamato di conoscenza, curioso di conoscere. La curiosità consente di aprirsi all’alterità ed è una spinta all’individuazione. Anche chi scrive crede che diventare uomini sia possibile ma non è facile e richiede grandi fatiche.

 

H. Hesse Demian

:"La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l'accenno di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente lui stesso, eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le possibilità…Certuni non diventano mai uomini, rimangono rane, lucertole, formiche. Taluno è uomo sopra e pesce sotto, ma ognuno è una rincorsa della natura verso l'uomo"[2].

 

Ricordate di certo la favola di Esopo, quando Prometeo plasma uomini e animali. Allorché Zeus si rende conto che gli animali sono molto più numerosi degli esseri umani, ordina a Prometeo di  trasformare molte bestie in uomini. E’ questo il motivo per il quale gli esseri umani che non hanno ricevuto la loro forma umana sin dall’origine, si ritrovano con un corpo d’uomo e l’anima d’una bestia.

Pro;~ a[ndra skaio;n kai; qhriwvdh oJ lovgo~ eu[kairo~[3], la favola è appropriata all’uomo rozzo e brutale

.

 

Pinocchio di Collodi va nel paese dei balocchi “dove c’è un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato da doversi mettere il cotone negli orecchi per non restare assordati. Passavano le giornate in questa bella cuccagna di baloccarsi e divertirsi, senza mai vedere in faccia un libro, né una scuola”. Ma poi i ragazzi si trasformano in somarelli.

 

In Apuleio vita da asino è vita senza Iside. La vita consacrata a Iside è sacra alla conoscenza.

 

Il sacerdote delfico Plutarco (48-125 circa)   in De Iside et Osiride sostiene che la divinità-to; qei`on- non è beata per argento e oro ma ejpisthvmh/ kai; fronhvsei (351d) , per conoscenza e intelligenza  

Plutarco etimologizza il nome Iside con oi\da-so-; più precisamente il tempio  jIsei`on con il futuro ei[somai-saprò- poiché lì conosceremo to; o[n, l’essere 352).

Inoltre  \Isin kalou`si para; to; i{esqai met j ejpisthvmh~ kai; fevresqai, kivnhsin ou\san e[myucon kai; frovnimon

 (375c) la chiamano Iside  per il lanciarsi con sapere ed esservi portato in quanto ella consiste in un movimento animato e sapiente.

Lucio arriva a sognare Iside dopo avere preso su di sé la tragicità dell’esistere e avere raggiunto il culmine della disperazione.

Così il giovane della mia storia sognò, poi conobbe Elena, più di una Elena mandate a lui per la sua resurrezione da una sorte benigna meritata con un lungo, continuo e strenuo impegno

 

 

 

I II  parte della presentazione

Si possono individuare parole chiave dentro il mio libro, epifaniche come certe giornate e alcuni fatti della nostra vita: sofferenza e comprensione-pathos e mathos-per esempio, interdipendenti tra loro come sentimento e intelligenza. Me lo hanno insegnato i tragici greci (Eschilo, Agamennone 177 in primis)  e pure diversi altri autori da Menandro a Proust.

 

Questo lavoro sarà un anche un tempio della cultura europea, poiché le esperienze più significative sono state fiancheggiate dallo studio di ottimi autori. Gli atti avulsi dalla cultura sono insignificanti o criminali, più rozzi e cattivi del necessario; la cultura senza i fatti e atti di bellezza e di forza è più fiacca del necessario. Anche la ginnastica forma l’anima. 

Quelli che usano solo ginnastica però sono più rozzi del necessario ajgriwvteroi tou' devontoς; quelli che praticano solo la musica sono malakovteroi ( Platone, Repubblica,  410d). La musica di Platone comprende la cultura letteraria e filosofica.

 

La bellezza è un’altra parola chiave: bellezza di donne e della natura prima di tutte le altre. Amare  il bello con semplicità e la cultura senza mollezza, come ci ha insegnato Tucidide; :"filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[4] kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1)  Semplicità quale complessità risolta.

 

Una parola chiave che può conternere la altre, verbum summum   è Eros, infatti omnia vincit amor [5].

Questo peraltro deve essere controllato dal Nou`~  che mette ordine nel caos come ci insegna Anassagora.

 

Quindi la parola chiave problema, in greco provblhma che significa ostacolo, impedimento gettato nel nostro cammino: dobbiamo superarlo per non essere fuorviati dalla nostra strada- ojdov~- deviando dal metodo che ciascuno deve trovare e percorrere metodicamente appunto.

 

 Le parole greche e latine vengono sempre tradotte e non sono sfoggi né segni di erudizione, bensì supporti della riflessioni su fatti della vita che compresi, conducono a una forma non mediocre di sapienza, la sofiva  che diversamente dal sapere neutro (to; sofovn) sa di vita appunto e produce e potenzia la vita. Questa viene umiliata, abbassata dai fallimenti e, viceversa, rallegrata, elevata dai successi.

 

Dai successi dobbiamo imparare il metodo per conseguire altri successi, dagli insuccessi individuare le vie da evitare perché non si ripetano. In tutti i campi, a partire dai due più importanti: l’amore e il lavoro. Il metodo buono contiene intelligenza, creatività e disciplina.

Contano molto anche la salute e la fortuna.

 

 

 

 III parte della presentazione

 Dicevo la salute. Questa va mantenuta il più possibile,  più a lungo che si può. Quella somatica e quella mentale. Invecchiare imparando sempre molte cose, come faceva Solone, e praticando l’esercizio fisico.

 Del resto senza lesinarsi il tempo libero la scolhv, l’otium cum dignitate per dedicarsi alla riflessione di quanto si è fatto e si è imparato.

La razionalità è anche imitazione della natura: Cicerone:"quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus " (De Officiis , I, 1OO).

Seneca scrive a Lucilio "cum rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep. 3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il giorno e la notte.

Infatti:"Sequitur ratio naturam. Quid est ergo ratio? Naturae imitatio. Quod est summum hominis bonum? Ex naturae voluntate se gerere " .( Epistole a Lucilio , 66), la ragione allora segue la natura. Che cosa è la ragione? Imitazione della natura. Qual è il sommo bene dell'uomo? Comportarsi secondo la volontà della natura.

Socrate nel Timeo di Platone suggerisce di osservare il cielo per adeguare i movimenti spesso fuorviati del nostro cervello a quelli regolari degli astri, a partire dal sole che è nel visibile quello che è Dio nell’intellegibile.

Leggiamone alcune parole precise: dobbiamo  correggere i cicli  guasti della nostra testa- dei`  ejn th`/ kefalh`/ diefqarmevna~  hjmw`n periovdou~ ejxorqou`nta- attraverso l’apprendimento dell’armonia dell’universo e delle sue circolazioni  (Timeo, 90 D).

Oggi invece i più osservano il cellulare.

E’ dunque necessario anche il tempo del riposo, degli intervalli dai negotia  che occupano gran parte della nostre vita lavorativa.

Dobbiamo impegnarci molto in quello che facciamo, ma questo impegno  ha bisogno di intervalli : “Danda est tamen omnibus aliqua remissio"[6].

La ratio non deve mai essere  spietata: non può annullare il sentimento che è comunque un elemento della nostra natura umana e un aspetto della stessa ragione. Ogni forma di u{bri~, di  prepotenza, di sconsiderata o demenziale dismisura, porta alla zoppia della nostra umanità.

La prepotenza fa crescere il tiranno- (u{bri~ futeuvei tuvrannon), la prepotenza/se è riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede (Sofocle, Edipo re, vv.  873-878)

Il tiranno che si azzoppa menzionato sopra ci fa  venire in mente che il potere-kravto~- non è potenza- duvnami~ .

Nelle Baccanti di Euripide, Tiresia profetizza a Penteo, re di Tebe, il fatto che Dioniso verrà cooptato e accolto nell’ombelico del mondo, l’oracolo delfico su cui svettano le due cime del Parnaso

“Un giorno lo vedrai anche sulle rupi Delfiche                                            

saltare con le fiaccole sull’altopiano a due cime

agitando e scagliando il bacchico ramo,

grande per l’Ellade. Via Penteo, da’ retta a me:

non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini”. (vv. 306-  310).

Il potere non è potenza dunque -mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein- come il sapere non è sapienza - to; sofo;n d j ouj sofiva (Baccanti, 395).

Umanesimo è passare dal sapere, la congerie di date, dati e nomi, alla sapienza che potenzia la nostra natura umana e serve alla vita.

La potenza e la sapienza accrescono e rendono più viva la vita, mentre il potere del tiranno e il sapere dell’erudito, dell’umbraticus doctor, possono mortificarla.

Le storie d’amore di questo libro insegnano l’amore per le donne che ci mettono al mondo. L’amore per le donne  dunque è umanesimo, è amore per la vita.

Umanesimo è sapere di essere umano, è amore per l’umanità che significa vivere creando sinergia con altri umani e aiutare chi ha bisogno di aiuto. Umanesimo è diventare davvero ciò che siamo, cioè uomini umani.

 

L’ espressione di umanesimo più efficace e sintetica è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo che  nell'Edipo a Colono dice al vecchio vagabondo cieco, incestuoso e parricida "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo, per questo sono umano con te. La coscienza della propria umanità lo spinge ad aiutare l’uomo decaduto.

 Lo stesso Edipo prima della caduta, e ancora in auge, aveva detto che sarebbe spietato e disumano se non provasse compassione per i propri concittadini afflitti dal morbo (Sofocle, Edipo re, 12. -13). 

 

La principessa dei Feaci, la fanciulla Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea (207-208) vuole  aiutare Odisseo giunto naufrago nell’isola di Scheria e  dice queste parole alle sue ancelle in fuga spaventate dall’aspetto dell’uomo sconciato dalla tempesta  : “  to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, dobbiamo prenderci cura di questo: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro.

Le stesse parole dice Eumeo, il guardiano dei porci di Itaca, quando Odisseo gli si presenta travestito da mendicante irriconoscibile e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui (Odissea, XIV, 57-59)  .

Nell’Antigone di Sofocle la pietosa sorella dice a Creonte che ha proibito la sepoltura di Polinice " ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore.

 

Che cosa c’entra tutto questo con il  mio romanzo?

Ne cito solo alcune parole  per farlo comprendere

Elena Si alzò dal letto e si diresse verso la porta. Allora capii. Capii di essere stato stupido, volgare e crudele; capii che quella creatura in attesa di un’altra creatura, non doveva subire ingiustizia, umiliazioni e dolori. Non da me. Avevo capito e sentivo che non vi è felicità grande senza morale profonda[7].

L’azione cattiva è pessima per chi l’ ha progettata e la compie[8].

Chi prepara il male a un altro, lo apparecchia a se stesso[9].

Ne avrei avuto rimorso per tutta la vita, forse anche oltre. E non solo per questo: io l’amavo, lei mi aveva reso migliore, e siccome in sua presenza mi vergognavo di essere ingiusto, mi avrebbe reso ancora migliore. La terra è in mezzo alle stelle, e sulla terra ci sei tu amore mio. Mi alzai, le afferrai la mano sinistra e dissi: “Scusa, Elena, aspetta.  Ora devo parlare io a te. Ne ho bisogno. Ti prego”.

Ero andato vicino a infliggere ingiustizia a una donna che amavo ed era stata generosa con me. Mi fermai in tempo e le chiesi perdono.

 

Ho voluto significare che ho cercato di dare l’impronta dell’universale a diversi miei casi personali. Credo di esserci riuscito.

 

Credo che questo mio libro che racconta l’apprendistato di un giovane, apprendistato alla vita e all’amore, possa giovare anche all’educazione sentimentale di tanti ragazzi, soprattutto di quanti, carenti di parole, non sono in grado di corteggiare una ragazza elegantemente, persuasivamente, e talora nemmeno civilmente.

I corteggiamenti reciproci che racconto sono tra le parti più significative e formative del romanzo. Anche l’ampia sezione dedicata alla scuola contiene parole e idèe che possono aiutare i giovani nel loro sviluppo.

 

 

Quanto alla mia professionalità scolastica, insegnando ho cercato di dare le visioni d’insieme che raramente ho ricevuto  chi mi insegnava a Pesaro prima e a Bologna poi; sicché ho voluto trovarle con le mie ricerche perché mi mancavano e ne sentivo il bisogno per me e per i miei studenti.

La base di queste sinossi è la letteratura con la filosofia e la storia greca. Poi su questo fondamento, la cultura latina e parti di quella europea. Cultura  prevalentemente letteraria e storiografica con gli antichi, poi quasi esclusivamente letteraria  a mano a mano che ci si allontana dai Geci e dai Latini.

 Come lingua moderna me la cavo con l’inglese. Bene con quello scritto, discretamente con il parlato.

Per quanto riguarda la musica mi piace il melodramma per la presenza della parola e perché, come pesarese, ho sempre saputo di Rossini e tutti gli anni ne seguo il festival da decenni. All’Arena di Verona sono stato solo poche volte. Vedo invece ogni anno le tragedie greche rappresentate a Siracusa e diverse volte quelle nel teatro di Epidauro.

 Quanto alle arti figurative ne possiedo solo un’infarinatura e non ne ho una forte sensibilità. Mi hanno commosso il maestro di Olimpia e quello di Pergamo per la rappresentazione dell’Ordine che prevale sul Caos. Ci vedo la storia della mia vita e di ogni vita davvero umana. Mi piace molto anche il maestro di Sansepolcro,  per averne sentito parlare e viste le opere fin da bambino, data la provenienza dal Borgo della famiglia materna, e per avere trovato da adulto delle analogie di forma e di spirito tra le madonne di Piero, particolarmente quella del parto, e l’Elena incinta della mia vita cui dedico questi versi non miei.

·  Qual dagli antri marini

·  l’astro più caro a Venere

·  co’ rugiadosi crini

·  fra le fuggenti tenebre

·  appare, e il suo viaggio

·  orna col lume dell’eterno raggio;

·  sorgon così tue dive

·  membra dall’egro talamo,

·  e in te beltà rivive,

·  l’aurea beltate ond’ebbero

·  ristoro unico a’ mali

·  le nate a vaneggiar menti mortali.

Di mio ho scritto molto di più sul suo conto. Anche Raffaello Urbinate è tra i miei preferiti. Questi due pittori hanno rappresentato l’ordine, l’apollineo mentre il Caos lo vediamo piuttosto in Hieronymus Bosch e in Ricasso, per esempio.

 

 

Come motto conclusivo cito  le parole che costituiscono la somma del pensiero educativo di Pindaro: gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica II  v. 72), diventa quello che sei.

Aggiungo un altro motto latino: Se sei umano dunque diventa davvero umano e sappi che tutto quanto è umano ti riguarda, ti si addice e ti conviene.

Tale dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e di Terenzio:"  :"Homo sum: humani nil a me alienum puto "[10]

 

 

 

Pesaro 13 settembre 2023 ore 11, 21 giovanni ghiselli

Ora vado a osservare le stelle

 

 

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Pesaro 27  settembre 2023 ore 10, 21 giovanni ghiselli.

 

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[1] 40ca- 104 d. C.

[2] H. Hesse, Demian (del 1919), p. 54.

[3] Esopo, Promhqeu;~ kai; a[nqrwpoi , Prometeo e gli uomini (322).

 

[4] eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi.

Augusto  dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides (  Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.

 

 Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo”  G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11

 

Senza risalire a Ottaviano Augusto, penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire,  ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando  a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo molto da loro. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".

 

[5]Virgilio, Bucolica X ,  69.

[6] Quintiliano, Inst., I, 3, 8.

[7] Cfr. R. Musil, L’uomo senza qualità. Verso il regno millenario.  “E sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda”.

[8] Cfr. Esiodo, Opere e giorni, v.266.

[9] Cfr. Esiodo, Opere e giorni, v. 265.  Seneca ribadisce questa legge nell’ Hercules furens:" quod quisque fecit, patitur: auctorem scelus repetit " (vv. 735-736), ciò che ciascuno ha fatto lo patisce: il delitto ricade sull'autore.

 

[10]Heautontimorumenos  ,77.

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...