giovedì 30 settembre 2021

Il ridicolo della magniloquenza.

Leggo a pagina 17 del quotidiano “la Repubblica” di oggi questo titolo “Dubai pronta a svelare L’Expo delle meraviglie Sguardo sul futuro” Poi il sottotitolo “Alla vigilia Dell’inaugurazione “Sarà la festa più grande Del momdo”. Attesi 25 milioni di visitatori. Presente l’Italia. “la bellezza unisce”. Il titolo mi ha distolto dal leggere l’articolo firmato da Vincenzo Nigro. Se chi ha scritto le parole citate avesse dato anche solo una scorsa a una sola commedia di Aristofane, avrebbe potuto evitare il ridicolo di tanta magniloquenza Pesaro 30 settembre 2021 ore 21, 17 giovanni ghiselli

Le Rane di Aristofane. XXXIV parte. Il pregio della chiarezza e il disprezzo degli dotti affabulatori incomprensibili. Eschilo vince la gara

 

Statua di Eschilo davanti al museo di Gela
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Euripide dice che se uno mettesse Cleocrito come ali a Cinesia i venti li solleverebbero sulla distesa marina (1436-1437).

 

Cinesia era un ditirambografo magrissimo (cfr. v. 153), Cleocrito era pesante (cfr. Uccelli 878 dove è invocata la potente Struzza-Cibele madre di Cleocrito).

 

E’ un nonsense che Dioniso non capisce. Euripide ne infila altri e altri ancora ne aggiunge Eschilo, sicché Dioniso chiede di parlare in maniera meno dotta e più chiara ajmaqevsteron kai; safevsteron (1445).

Nietzsche contro i dotti

Nel capitolo Dei dotti , Zarathustra associa l’ombra alla “casa dei dotti” ai quali si contrappone: “Io sono troppo ardente e riarso dai miei stessi pensieri: spesso mi si mozza il fiato. E allora bisogna che fugga all’aperto, via dal chiuso delle stanze polverose. Loro invece siedono freddi nell’ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori e si guardano bene dal mettersi a sedere dove il sole arde i gradini. Simili a quelli che in mezzo alla strada guardano a bocca spalancata i passanti, essi pure aspettano e guardano a bocca spalancata i pensieri che altri hanno pensato” .

Quindi : “Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano: perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato” .

 

Alla richiesta di chiarezza accosto la polemica di Schopenhauer contro la filosofia (hegeliana) delle università, fatta di "ghirigori che non dicono nulla, e offuscano con la loro verbosità perfino le verità più comuni e più comprensibili" .

In latino Lucrezio condanna gli stolti che ammirano e amano quanto rimane nascosto sotto parole contorte:"omnia enim stolidi magis admirantur amantque/inversis quae sub verbis latitantia cernunt "( De rerum natura, I, 641-642), gli stolti ammirano e amano di più tutto ciò che scorgono nascosto sotto parole contorte.

Quindi Cicerone:"quae sunt recta et simplicia laudantur" , ricevono lode gli aspetti schietti e semplici.

 

Euripide consiglia di combattere le battaglie navali armati di ampolle con dell’aceto da spruzzare negli occhi ai nemici (1440-1441)

Allora Dioniso gli fa: eu\ g j w\ Palavmhdeς , w] sofwtavth fuvsiς (1451), bravo Palamede, che natura ingegnosa! Ma l’hai trovata tu questa o Cefisofonte?

Euripide risponde : io da solo, le acetiere Cefisofonte (1453)

.

Palamede è un personaggio della saga troiana: inventore, come Prometeo, di lettere e numeri, venne fatto morire dall’odio di Odisseo che lo calunniò come traditore. Euripide aveva scritto la tragedia Palamede su questo argomento.

 

Eschilo propone che gli Ateniesi considerino come propria la terra nemica, come nemica la propria; quale risorsa le navi povron de; ta;" nau`" e quale perdita le entrate- ajporivan de; to;n povron- 1465

Dioniso ricorda che bastano i giudici popolari a dissanguare l’erario (1466)

La risorsa delle navi ricorda il responso dell’oracolo che prima di Salamina consigliò agli Ateniesi di rifugiarsi nelle mura di legno (cfr. Erodoto, VII, 141). E anche quanto dice Pericle in Tucidide I, 143.

Plutone gli fa fretta perché decida.

 

Euripide gli rammenta che gli ha giurato di riportarlo a casa.

Allora Dioniso ricorda un mezzo verso dell’Ippolito di Euripide (612) : “hJ glw'tt j ojmwvmok j , la lingua ha giurato ( l’altra metà dice: hJ de; frh;n ajnwvmotoς, la mente no). E’ il protagonista che parla.

Cicerone traduce iuravi linguā, mentem iniuratam gero” ( De officiis, III, 29, 107).

 

Dioniso dunque conclude Aijscuvlon d j aiJrhvsomai, ma sceglierò Eschilo (1471)

 

Euripide si infuria e giudica ai[sciston l’ e[rgon di Dioniso il quale replica citando mezzo verso dell’Eolo di Euripide: che cosa è turpe se non sembra agli spettatori? (1476)

Euripide chiede con insistenza a Dioniso di non lasciarlo morto nell’Ade, allora il dio cita un verso del Poliido (fr. 638) di Euripide “tivς d oi\den eij to; zh'n me;n ejsti katqanei'n”, 1477 che continuava così: “to; katqanei'n de; zh'n kavtw nomivzetai;” chi sa se il vivere è essere morto e l’essere morto laggiù è considerato vivere?

Plutone invita Dioniso ed Eschilo a entrare nella reggia dove vuole ospitarli pima della partenza. Euripide deve rimanere nell’Ade.

 

Pesaro 30 settembre 2021 ore 18, 25

giovanni ghiselli

 

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1 Così parlò Zarathustra, Dei dotti.

2 Così parlò Zarathustra, p. 352.

3 Parerga e paralipomena p.210, vol.I

4 Cicerone, De officiis, I, 130.

Un quesito ai miei lettori.

Sto concludendo l’analisi delle Rane di Aristofane. Sono soddisfatto del mio lavoro. Ora voglio passare a un’altra commedia. Fino a questo momento ho commentato con il mio metodo Acarnesi, Cavalieri, Nuvole e Rane. Di altre potrei anche improvvisare il commento. Però mi piace imparare e vorrei approfondire quello che già so. Scrivo questo soprattutto per chi seguirà il mio corso e domando loro se hanno preferenze per una quinta commedia. Quale preferiscano insomma tra le rimanenti sette. Saluti gianni

Le Rane di Aristofane. XXXIII parte. I giudizi su Alcibiade. Un poco di storia. Questa nasce dalla poesia

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Giambattista Vico afferma che "la storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", e inoltre, utilizzando un passo di Strabone (I, 2, 6) sulla continuità tra l'epica ed Ecateo: "prima d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia essere stata scritta da' lor poeti".

Un giudizio apprezzato anche da Pavese: "Ciò che si trova di grande in Vico - oltre il noto - è quel carnale senso che la poesia nasce da tutta la vita storica; inseparabile da religione, politica, economia; "popolarescamente" vissuta da tutto un popolo prima di diventare mito stilizzato, forma mentale di tutta una cultura".

 

Dioniso consiglia a Euripide di cercare ti tw`n barustavqmwn 1397 qualcosa di molto pesante

Allora Euripide cita dal suo Meleagro: prese con la destra il legno appesantito dal ferro sidhrobriqe;ς xuvlon 1402.

 

Una lancia dunque e forse Aristofane vuole significare che pure Euripide ha cantato la guerra.

Di fatti se essa è maledetta nelle Troiane, viene invece propugnata caldamente dalla protagonista nell’Ifigenia in Aulide.

 

 Eschilo risponde con “carro su carro e morto sopra morto” 1403

Dioniso dà ancora la vittoria a Eschilo dicendo: neppure cento Egizi oud j eJkato;n Aijguvptioi potrebbero alzare due carri e due cadaveri.

 

 Erodoto nel secondo libro delle sua Storie (124) racconta l’immenso lavoro compiuto da centinaia di migliaia di Egiziani per costruire la piramide di Cheope.

 

Eschilo propone che sulla bilancia salgano Euripide, i figli, la moglie con Cefisofonte, e tutti i suoi libri: non basterebbero a contrappesare un paio dei propri versi.

 

Dioniso è incerto: uno lo considero bravo, l’altro mi piace, non vuole essere lui a scegliere - kajgw; me;n autou;" ouj krinw` (1411).

 

Pensate a quanti si astengono dal voto nelle elezioni politiche: probabilmente per la ragione contraria a quella di Dioniso: alcuni partiti o candidati considerano incapaci, altri dispiacciono.

Per fortuna, con la residenza a Pesaro, non dovrò votare per il prossimo sindaco.

 

Entra in scena Plutone e spinge Dioniso a scegliere, anche per dare un senso al suo viaggio che non sarà stato fatto mavthn (1416) inutilmente.

Dioniso allora dice ai due contendenti di essere sceso agli inferi in cerca di un poeta perché la città si salvi e abbia il suo teatro - i[n j hj povli" swqei`sa corou;" a[gh/ (1419).

La salvezza della polis è collegata al teatro perché il teatro era la scuola del popolo e, come abbiamo detto più volte, quando non funziona la scuola nulla funziona. Rimane viva solo la ciarla vana degli incompetenti chiamati alla ribalta magari perché hanno vinto un titolo di mister o di miss.

 

Verrà riportato sulla terra quello dei due che saprà dare un consiglio valido alla città. Quindi Dioniso domanda ai due quale opinione ciascuno abbia su Alcibiade, una figura molto discussa.

Era già stato attaccato da Eupoli nei Battezzatori e negli Adulatori dove faceva la parte del damerino in casa del ricco Callia.

Dioniso aggiunge hj povli" ga;r dustokei` (1423). La città ha un parto difficile, doloroso con questo suo figlio.

 

Alcibiade aveva procurato alcuni beni e non pochi mali: il danno più grosso la spedizione in Sicilia, da lui voluta nel 415. Poi, in seguito all’accusa di avere mutilato le Erme e profanato i misteri, era stato costretto a lasciarla incompiuta e indirizzata al fallimento, quindi era passato agli Spartani; dopo del tempo, nel 408, era tornato ad Atene risollevandone temporaneamente le sorti, poi, in seguito alla sconfitta subita da un suo luogotenente, era andato in esilio e poco dopo i quarantanni era stato ucciso forse dai fratelli di una ragazza da lui sedotta. Si gettò dalla finestra nel fuoco appiccato dai fratelli offesi o dai sicari mandati dai suoi nemici politici.

Vita variopinta assai.

Stava comunque declinando quella sua giovinezza e follia che sembrava essere oltre i limiti naturali" (hJ ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei\nai" Tucidide, VI, 17) che era stata vantata da lui stesso di fronte al popolo prima della spedizione in Sicilia.

Viene da pensare che un personaggio come Alcibiade, il giovane leone allevato in casa dell'altro leone che aveva fatto di Atene la scuola dell'Ellade , non potesse sopravvivere né alla potenza di Atene né alla propria giovinezza.

 Probabilmente fu per non sopravvivere agli ultimi bagliori della sua giovinezza, per non arrivare all'età del Casanova di Arthur Schnitzer il quale "a cinquantatré anni, quando "il fulgore interiore ed esteriore andava lentamente spegnendosi" era "spinto a vagare per il mondo non più dal giovanile piacere dell'avventura, ma dall'inquietudine dell'avanzante vecchiaia" che Alcibiade volle morire in quell'ultimo fuoco, lanciato per l'ultima volta dall' Eros fulminatore che si era fatto incidere sullo scudo invece degli stemmi gentilizi.

 

Plutone chiede a Dioniso quale sia l’opinione sua e il dio risponde che Atene sente la mancanza di Alcibiade e lo odia, e comunque vuole averlo . Vero segno di contraddizione

Poi il dio domanda ai dei due poeti quale sia la loro opinione.

 

Euripide risponde: odio il cittadino che si mostra lento nel giovare alla patria bradu;ς wjfelei'n pavtran, rapido nel danneggiarla molto megavla de; blavptein tacuvς (1428), ricco di risorse per se stesso, privo di mezzi per la patria- kai; povrsimon aujtw`/, th`/ povlei d j ajmhvcanon 1429.

Eschilo dice “non bisogna allevare in città un cucciolo di leone ouj crh; levontoς skuvmnon ejn povlei trevfein (1432) ma una volta che l’hai fatto crescere bisogna asservirsi ai versi del suo carattere”.

 

Nell’Agamennone di Eschilo è Elena assimilata a un cucciolo di leone (vv. 717ss,). Valerio Massimo (età di Tiberio) scrive che Aristofane rappresentò in una sua commedia Pericle che vaticinava non oportere in urbe nutriri leonen, sin autem sit altus, obsequi ei convenire (Factorum et dictorum memorabilium lobri IX, VII, 2, stran. 7).

 

Dioniso rimane incerto duskrivtwς e[cw (1433): uno ha parlato sofw'ς abilmente, l’altro safw'ς chiaramente (1434)

Quindi domanda ai due contendenti quale via di salvezza- h{ntin j swvterivan- vedano per la città (Rane, 1436) .

 

Pesaro 30 settembre 2021 ore 10, 44.

giovanni ghiselli

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mercoledì 29 settembre 2021

Le Rane di Aristofane. XXXII parte. La pesatura dei versi. Eschilo è in vantaggio

 

Maria Callas nella Medea di Pasolini
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Dioniso fa una battuta: anche questo mi tocca, dei kai; tou`tov' me, ajndrw'n poihtw'n turopwlh'sai tevcnhn (1369) vendere come il formaggio l’arte dei poeti.

 

Pensate ai libri mostrati dai conduttori televisivi come prodotti commerciali messi sui banchi del supermercato.

 

Al coro la trovata di pesare i versi pare un prodigio nuovo (tevraς - neocmovn 1371-1372) cui non avrebbe mai pensato.

I due rivali si avvicinano ai piatti della bilancia e ognuno recita un verso.

Euripide il primo della sua Medea “ei[q j w[fel j jArgou`" mh; diaptavsqai skavfo"” Medea 1, Rane 1383).

 

Riporto la mia traduzione dei primi 15 versi della tragedia di Euripide

“Oh se lo scafo di Argo non fosse passato a volo attraverso

le cupe Simplegadi fino alla terra dei Colchi,

e nelle valli boscose del Pelio non fosse caduto mai

il pino reciso, e non avesse attrezzato di remi le mani

degli eroi eccellenti che andarono a cercare il vello

tutto d'oro per Pelia. Infatti la signora mia,

Medea, non avrebbe navigato verso le torri della terra di Iolco

sconvolta nel cuore dal desiderio di Giasone;

né, dopo avere convinto le figlie di Pelia ad ammazzare

il padre, sarebbe venuta ad abitare questa terra corinzia

con il marito e i figli, cercando di riuscire gradita

ai cittadini dei quali giunse alla terra in esilio

e, pur rimanendo se stessa, di convenire in tutto a Giasone;

e questa appunto è la più grande salvezza:

quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo”.

 

Segue un ponderoso verso dal Filottete di Eschilo “Fiume Spercheo e dimore di pascoli di buoi”, v. 1383) e il piatto della bilancia scende di più poiché, spiega Dioniso a Euripide: “su; d j eijsevqhka" tou[po" ejpterwmevnon” (Rane, 1388), tu ci hai messo un verso con le ali (cfr Medea, v. 1 diaptavsqai è infinito aoristo III da diapevtomai passo volando ), mentre Eschilo ci ha posato un fiume e ha inzuppato d’acqua il suo verso, come fanno i mercanti di lana (ejriopwlikw'~, 1386).

Il pubblico delle Rane poteva ricordare il primo verso della Medea poiché l’attenzione è più vigile nelle parti incipitarie delle rappresentazioni e la memoria relativa alle prime battute è più tenace .

 

Euripide quindi recita un altro dalla sua Antigone : “oujk e[sti Peiqou'ς iJero;n a[llo plh;n lovgoς” (1391), non c’è altro tempio della Persuasione che la Parola.

"La nostra civiltà si è decisamente allontanata dal posto che la persuasione occupava nella latinità. Suada infatti - come del resto Peitho ("persuasione" in greco ) - era una Dea, e suadeo, con la sua radice di suavis , ha a che fare con "il rendere dolce, piacevole", come un tenero amante che conosce l'arte delle dolci parole e sa come dare piacere per rendere la vita amabile, gradevole. Nel mondo greco, Peitho compariva per lo più come una figura a sé stante o come un attributo associato ad Atena e Afrodite. La persuasione è essenzialmente un potere di seduzione, attraverso la parola intelligente e convincente (Atena) oppure attraverso il fascino dei modi e la bellezza della figura (Afrodite). Il dono maggiore di Peitho è la retorica, il dono dell'eloquenza convincente" .

La forza della persuasione continua comunque a essere uno strumento decisivo per il successo. Sopra tutti quello politico, quello lavorativo e quello erotico.

"Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas ", bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria (II, 123-124) Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore.

Non si può persuadere senza piacere: persuadeo latino è etimologicamente imparentato con aJndavnw, "piaccio". Per piacere bisogna essere belli assai, oppure si deve essere bravi, emozionanti nel parlare.

Cicerone fa notare l'equivalenza tra la Peiqwv dei Greci e la Suada dei latini : “Peiqwv quam vocant Graeci, cuius effector est orator, hanc Suadam appellavit Ennius” , quella che i Greci chiamano Peiqwv, Ennio chiama Suada, e chi la produce è l’oratore.

 

Qundi sta ad Eschilo: “Solo Morte tra gli dèi non ama i doni”

Dioniso nota che il piatto di Eschilo scende: “qavnaton ga;r eijsevqghke, baruvtaton kakw'n (1394) poiché ci ha messo la morte, il male più grave di tutti.

Euripide protesta contro l’arbitro rivendicando l’eccellenza del proprio verso

Ma Dioniso replica che Peiqwv invece è cosa leggera (kou'fon) e non ha pensiero 1396.

 

Pesaro 29 settembre 2021 ore 21, 52

giovanni ghiselli

 

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Avviso ai miei lettori.

Avviso ai miei lettori cui piacciono i commenti delle commedie di Aristofane che hanno trovato nel mio blog. Il mio corso sulla commedia greca che inizierà il 12 ottobre ha 11 iscritti di cui 8 in presenza e 3 online. Mi dicono che c’è ancora qualche posto libero, se qualcuno volesse iscriversi. Chi non vuole o non può farlo troverà molto materiale nel mio blog. Pima di iniziare comunque continuerò a pubblicare dei pezzi. Saluti a tutti i miei lettori gianni

Bla, bla, bla.

Il linguaggio dal significante ovino e dal significato assente mimato dalla Greta ambientalista corrisponde alla mancata denuncia delle cause dell’inquinamento i cui danni vanno molto al di là del cambiamento climatico. Non è stata denunciata nemmeno dalla notissima adolescente svedese la causa più vera ma meno chiarita a parole-"ajlhqestavthn provfasin, ajfanestavthn de; lovgw/", come dice Tucidide a proposito della guerra del Peloponneso (I, 23, 6). La causa più vera dell’inquinamento è lo sviluppo propugnato e attuato dal capitalismo oramai pressocché globalizzato. Il PIL deve crescere, i consumi devono crescere, il mercato deve crescere. Conseguentemente crescono i veleni che attoscano il nostro bel pianeta fino a deformarlo in un inferno per chi ci vive. Pesaro 29 novembre 2021 ore 17, 29 giovanni ghiselli p. s Statistiche del blog Sempre1168992 Oggi230 Ieri213 Questo mese6542 Il mese scorso5437

Le Rane di Aristofane. XXXI parte. I due tragediografi si canzonano a vicenda

Anna, L'otre dei venti
http://www.memoriadise.it/lotredeiventi.htm
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Dioniso vuole che Euripide ammaini le vele prima che la boccetta scateni una tempesta (1220-1221), come i venti usciti dall’otre donato da Eolo a Ulisse nel X canto dell’Odissea. Le metafore nautiche sono frequenti nelle tragedie.

Ma Euripide conta che sarà la boccetta ad andare in frantumi.

Quindi recita un verso e mezzo dal prologo del Frisso I: Cadmo figlio di Agenore, lasciata un giorno la città di Sidone- Frisso è il ragazzo che arrivò nella Colchide sull’ariete dal vello d’oro.

 

Eschilo non cambia il suo ritornello: perse la boccetta (1226).

 

Dioniso allora consiglia a Euripide ajpoprivw th;n lhvkuqon 1227, compra la boccetta, in modo che non rompa più i prologhi.

 

Abbiamo visto l’invito a comprare rifiutato da Diceopoli negli Acarnesi (32-36); qui nell’oltretomba è Euripide che rifiuta tale richiesta - ouj dh`t j- 1230 no di certo. Andrebbe insegnato ai consumisti nostrani. Il mondo della polis e quello degli inferi presentano parecchie corrispondenze.

 

Quindi Euripide recita l’incipit della sua Ifigenia tra i Tauri “Pevloy oJ Tantavleioς ejς Pi'san molw;n qoai'sin i{ppoiς” (1-2) , Pelope figlio di Tantalo, giunto a Pisa su veloci cavalle ed Eschilo immancabile e implacabile fa: lhkuvqion ajpwvlesen (Rane 1233), perse la boccetta.

Pensate alla implacabilità pubblicitaria con la ripetizione ossessiva degli inviti a comprare

Dioniso ripete il consiglio di pagare- ajpovdo"- per la boccetta in qualunque modo. Costa solo un obolo ed è bellissima 1234.

 

Ancora la tecnica pubblicitaria e pure quella propagandistica.

Pensate all’insistenza sulla sottomissione delle donne in quanto genere. Serve a coprire la sottomissione di gran parte di un popolo intero di donne e uomini ridotti in povertà e quasi in una condizione da schiavi.

Non sono le donne, in quanto femmine invece che maschi, a essere sfruttate e maltrattate ma quasi sempre le donne povere e prive di potere come i tanti uomini che muoiono al lavoro.

 

Euripide insiste con il prologo del Meleagro e poi quello della Melanippe la saggia.

Meleagro fu fatto morire dalla madre Altea perché il figlio aveva ucciso i fratelli di lei.

La Melanippe sofè di Euripide viene ingravidata da Poseidone durante l’assenza di suo padre Eolo e partorisce due gemelli; per sfuggire all’ira di Eolo, la madre espone i gemelli nella stalla del padre, ma essi vengono recuperati dai bovari, che, trovando i bambini allattati da una mucca, decidono di raccoglierli e portarli dal padrone. Eolo, dopo un consulto con suo padre Elleno, decide di bruciare i ragazzi come τέρατα

offerti agli dei, affidando la preparazione del sacrificio alla stessa Melanippe. L’eroina cerca di distogliere il padre dal sacrificio, spiegando in una rhesis che non si tratta di alcun prodigio, ma alla fine è costretta ad ammettere la propria colpa suscitando la violenta reazione paterna. La situazione era risolta dall’intervento ex machina

di Ippo, la madre di Melanippe, che salvava i bambini e prediceva il loro futuro glorioso.

 

Eschilo ripete il suo ritornello; allora Dioniso insiste dicendo che le boccette spuntano sui prologhi di Euripide come gli orzaioli negli occhi (w[sper ta; su'k j ejpi; toi'sin ojfqalmoi'ς 1247).

Quindi dà il consiglio di attaccare i canti delle tragedie di Eschilo.

Euripide assicura che ne metterà in rilievo la qualità scadente e la monotonia (1249-1250)

Ma il Coro parteggia per Eschilo dicendo che ha composto i canti più numerosi e belli - plei`sta dh ;- kai; kavllista mevlh (1254-1255) tra quelli sentiti fino ad allora.

Euripide assicura che farà presto a smontare questa reputazione del rivale

Quindi presenta una parodia, che mette in ridicolo l’oscurità dello stile ampolloso di Eschilo, accozzando un centone incomprensibile di versi tratti da varie tragedie (1264-1272).

Dioniso vuole andare in bagno poiché con tutte queste pene - dice - tw; nefrw; boubwniw' (1280) sono gonfio nei reni.

Euripide continua a canzonare la lirica eschilea- le arie per la cetra dopo quelle per il flauto- inzeppandola con toflattovqrattoflattovqrat trallalallera, trallalallà. tra un verso e l’altro.

C’è la volontà di denunciare la monotonia ritmica di Eschilo e la mancanza di senso delle sue parole: ghirigori che non significano nulla e non sono nemmeno divertenti come i ghiribizzi nonsensical di Edward Lear. Perciò ve li risparmio.

Dioniso le chiama cantilene di chi attinge acqua dal pozzo iJmoniostrovfou mevlh (1297)

 

Eschilo risponde che non voleva cogliere i fiori dallo stesso prato di Frinico sacro alle Muse. (I poeti sono api, la loro opera miele)

Euripide invece, continua il rivale, raccatta da tutto: dalle puttanelle (ajpo; pornidivwn, 1301) dagli scòli di Melèto (l’accusatore di Socrate che fu anche poeta tragico), dalle melodie carie per flauti ajpo; qrhvnwn, dai canti funebri e da quelli conviviali (skolivwn ).

Poi chiede la lira per parodiare il rivale, ma subito dopo si corregge dicendo che per ridicolizzare Euripide non c’è bisogno della lira e chiede una che batta le nacchere da sola (pou' jstin hJ toi'" ojstravkoi" au{th krotou'sa ; (1305). Quindi Eschilo invita la Musa di Euripide ed entra una fanciulla nuda di cui Dioniso dice che non faceva la lesbica oujk ejlesbivazen, ou[ (1307), nel senso che si tratta di una puttanella eterosessuale.

Eschilo poi fa una parodia di canti di Euripide. Ne ridicolizza i vocalizzi con un dittongo ei ripetuto 6 volte eiJeieieiei - eiJlivssete daktuvloiς favlaggeς 1314 vovo vo vo volgete con le dita le trame al telaio. Segue un centone privo di senso.

Quindi apostrofa il rivale dicendo che compone i canti imitando le dodici posizioni di Cirene, una famosa cortigiana.

 

Nelle Tesmoforiazuse (del 410) il parente di Euripide quando vede comparire Agatone vestito da femmina dice: io non vedo nessun uomo, vedo solo Cirene (Kurhvnhn d’ oJrw', 98).

 

Segue la parodia di un canto “a solo ” una monodia. Euripide ne faceva uso molto più di Eschilo e Sofocle. Lo stile vuole essere solenne mentre la situazione è futile: una ragazza sogna orrori e si sveglia terrorizzata: allora si accorge che una vicina gli ha rubato un gallo - to;n ajlektruovna xunarpavsasa- e pure un gomitolo filato per venderlo al mercato. La ladra poi è volata via sull’agile vigore delle ali. Quindi la ragazza invoca truppe cretesi e Artemide ed Ecate con le cagne per una perquisizione (1331-1355).

Eschilo vuole significare che a questa ragazza povera tale preghiera non si addice.

 Euripide dunque non ha composto canti sulla grande battaglia epocale di Salamina, uno scontro di mondi e di culture diverse, ma piccoli fatti esposti con micrologica lagna.

Cfr. l’elogio della ramazza da parte di Ione nello Ione di Euripide :vv. 112 ss. “o splendido virgulto di alloro, mia ramazza con cui spazzo il suolo del dio”

 

Dioniso non ne può più e dice. “pauvsasqon h[dh tw`n mevlwn”- 1364, smettetela ora voi due con i canti.

 

Allora Eschilo dice che vuole portare Euripide alla bilancia ejpi; to;n staqmo;n ga;r aujto;n ajgagei'n bouvlomai (1365) per misurare to; bavroς tw'n rJhmavtwn il peso delle parole che valuterà quello dei due poeti.

Eschilo sa bene che le sue parole sono più pesanti.

 

Pesaro 29 settembre 2021 ore 11, 32 giovanni ghiselli

 

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martedì 28 settembre 2021

Le Rane di Aristofane. XXX parte. Come deve essere fatta la critica letteraria e come quella politica

Nikiphoros Lytras, Antigone
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Ora è la volta di Euripide che reciterà dei versi e farà vedere che non ci sono zeppe - stoibhvn, imbottitura, parole riempitive, non giustificate ed estranee a quanto si dice e[xw tou` lovgou (1179).

Dioniso gli dà la parola.

Il poeta parte dalla sua Antigone (non pervenuta a noi) che inizia affermando Edipo prima era un uomo felice: “ h\n Oijdivpou" to; prw`ton eujdaivmwn ajnhvr” 1182

Eschilo controbatte che invece era kakodaivmwn fuvsei, disgraziato per natura. Già prima di nascere era condannato dal destino a uccidere il padre.

Quindi Euripide recita il verso 2 della sua Antigone dove aggiunge “ei\t j ajqliwvtatoς brotw'n”, poi Edipo diventò il più disgraziato dei mortali (Rane, 118) , rilevandone il capovolgimento a farmakovς.

Esschilo replica che Edipo è sempre stato infelice: appena nato, d’inverno, lo esposero in un vaso di coccio (ejn ojstravkw/ 1190), poi oijdw'n tw; povde, gonfio nei piedi, andò da Polibo, quindi ancora giovane sposò una vecchia e[peita grau'n e[ghmen aujto;ς w]n neovς (1193) che per giunta era sua madre e alla fine ejxetuvflwsen auJtovn, si acciecò (Rane, 1194) .

Dioniso ironicamente dice “sì, felice come Erasinode”.

 Era uno degli strateghi delle Arginuse che pure dopo la vittoria vennero condannati a morte a furor di popolo.

Fu un momento assai critico della democrazia ateniese.

 

Vediamone alcuni aspetti raccontati da Senofonte

Ci fu un processo contro gli strateghi che non avevano salvato i naufraghi durante la tempesta successiva alla battaglia (406),

 Gli accusati nella loro difesa, breve poiché non fu concesso loro il tempo di parlare stabilito dalla legge "kata; to; novmon" (Elleniche, I, 7, 5), ricordarono di avere appunto ordinato a Teramene e Trasibulo di soccorrere i naufraghi, ma non volevano incolparli solo perché venivano accusati da loro, anzi ribadivano che era stata la violenza della tempesta a impedire il recupero: "ajlla; to; mevgeqo" tou' ceimw'no" ei'jnai to; kwlu'san thvn ajnaivresin"(I, 7, 6).

“Gli strateghi volevano in definitiva salvare tutti, diluendo le responsabilità fra se stessi e i trierarchi a loro subordinati; ma è proprio Teramene che, ad evitare anche ogni possibile sviluppo negativo, parte all’attacco, calcando la mano sulla responsabilità degli strateghi, i quali finiscono necessariamente schiacciati tra il furore del popolo e le accuse del subordinato” .

Già gli accusati stavano convincendo l'assemblea, quando il dibattito venne aggiornato dopo tre dì di festa, e per la volta seguente i seguaci di Teramene prepararono uomini vestiti di nero e rasati ("pareskeuvsan ajnqrwvpou" mevlana iJmavtia e[conta" kai ejn crw' kekarmevnou" ", I, 7, 8) perché si presentassero in assemblea come se fossero parenti dei morti. Quindi convinsero il consigliere Callisseno a formulare una proposta di condanna a morte. Si presentò perfino un tale a dire che si era salvato sopra un barile di farina (favskwn ejpi; teuvcou" ajlfivtwn swqh'nai, I, 7, 11) e che i naufraghi morendo lo avevano incaricato di accusare gli strateghi di mancato soccorso. Ci fu un tentativo di difesa, ma nella massa oramai era stato inoculato l'odio e il desiderio del capro espiatori ed essa gridava che era grave se qualcuno non permetterva al popolo di fare quanto voleva ("to; de; plh'qo" ejbova deino;n ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to;n dh'mon pravttein o} a]n bouvlhtai", I, 7, 12)."E' la rivendicazione che riecheggia minacciosamente in assemblea ad Atene durante il processo popolare contro i generali delle Arginuse", è, come vedremo, "la formula che caratterizza, secondo Polibio, la degenerazione della democrazia (VI, 4, 4:" quando il popolo è padrone di fare quello che vuole")”.

Da notare che la parola plh`qo~ , dalla radice pla-/plh (q), è imparentata con i vocaboli latini plebs, plenus, impleo (riempio).

 

Euripide ribadisce che i suoi prologhi sono belli (1197)

 

Eschilo afferma che basta un lhkuvqion, una boccetta, un’ampollina, un vaso di piccole dimensioni a collo stretto per demolire i prologhi di Euripide. Infatti i versi del rivale sono composti in modo che dentro può starci tutto: una pelliccetta, una boccetta, una borsetta, 1200

Piccoli oggetti che si confanno alla poesia micrologica di Euripide il quale dovrà recitare tre versi di suoi prologhi, ed Eschilo metterà la zeppa lhkuvqion ajpwvlesen perse la boccetta 1203.

 L’autore della grandiosa Orestea si appresta a dimostrare la pochezza del rivale sfidandolo ad autocitarsi.

Euripide parte dal mito delle Danaidi: cita due versi e mezzo del prologo dell’Archelao dove si racconta che Egitto sbarcò in Argo con i suoi cinquanta figli che inseguivano le cinquanta figlie di Danao

Eschilo aggiunge lhkuvqion ajpwvlesen perse la boccetta (1208).

Dioniso invita Euripide a fare un altro tentativo

Il poeta allora cita tre versi dal prologo dell’Ipsipile con Dioniso che si lancia danzando sul Parnaso tra le fiaccole (1211-1213)

Eschilo ripete il suo ritornello lhkuvqion ajpwvlesen perse la boccetta.

Euripide fa un terzo tentativo tentando di dare voce a una legge universale, ma dopo tutto si tratta di un tovpo" molto diffuso.

Sono i primi versi della perduta Stenebea la regina di Tirinto (o di Argo) la moglie di Preto la quale si innamorò di Bellerofonte come abbiamo già detto

Vediamoli: “ oujk e[stin o{stiς pavnt janh;r eujdaimonei ', non c’è uomo che sia felice in tutto se “nato bene non ha di che vivere, se in umil sorte…

Eschilo completa con il solito: perse la boccetta

 

L’impossibilità di essere felice Euripde la denuncia compiutamente nella Medea

“Tra i mortali infatti non c'è nessun uomo che sia felice,

quando passa un'ondata di prosperità, uno può diventare

 più fortunato di un altro, ma felice nessuno” (vv. 1228- 1230)

 

Voglio aggiungere una considerazione di didattica e di politica a questa parte del mio commento.

Quando si fa presenta un testo a un uditorio, oppure a dei lettori, si devono fare delle citazioni testuali per confermare i giudizi sul testo, insomma la critica. Credo che anche la critica politica debba fare dei nomi, citare delle parole dei personaggi criticati e ricordare i loro atti.

Altrimenti la critica è inefficace, è aria fritta.

Nel numero odierno del quotidiano “la Repubblica” a pagina 24 c’è un articolo di Michele Serra intitolato “L’epoca della fragilità”.

L’argomento è quello trattato anche da me nei pezzi di ieri

L’incipit di Serra è questo: “Effettivamente la spigolatrice di Sapri mostra il culo, su questo non c’è dubbio”. L’insieme del pezzo è ragionevole: l’autore insomma non dice cose storte. Però non dice abbastanza. Non fa nomi perché non gli conviene e non riferisce le bestialità dette da personaggi che hanno avuto ruoli di responsabilità nella nostra Repubblica. Ho già riferito che Laura Boldrini ha detto che quella statua è un’offesa contro le donne e rinnovo la citazione.

Giuste sono queste parole di Serra: “pare che quel bronzo costituisca volontaria offesa alla libertà delle donne di non apparire come un oggetto sessuale: argomento così indiscutibile, e così forte, che ci si meraviglia possa essere messo a repentaglio da un paio di natiche di bronzo”

Seguono parole che invece voglio criticare ma prima devo citarle: “Ecco, forse l’epoca della suscettibilità è soprattutto l’epoca della fragilità. Ci si sente messi a repentaglio da molto poco, da un’opinione avversa, da un luogo comune consumato, da una statua sgradita”.

Questa, correggo e aggiungo, è prima di tutto l’epoca dell’assenza dello spirito critico, dell’appiattimento e del servilismo. Quelli che vengono messi a repentaglio sono i beni supremi della cultura e libertà di parola, del giudizio ossia della krivsi" , della facoltà del dissenso.

 

Pesaro 28 settembre 2021 ore 19

 giovanni ghiselli

Le Rane di Aristofane. XXIX parte

Fidia, Dioniso, dal frontone orientale del Partenone
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Difetti di alcuni versi di Eschilo secondo Euripide. Ai morti bisogna ripetere le parole almeno tre volte. E pure a tanti ancora vivi.

 

 Euripide biasima la ripetizione di un solo concetto con 2 sinonimi: h{kw ga;r ej" gh'n thvnde kai; katevrcomai (Rane, 1153 e v. 3 delle Coefore di Eschilo), sono giunto a questa terra e ci torno.

Il poeta critico sostiene che ha detto due volte la stessa cosa Eschilo, il sapiente - di;" taujto;n hjmi`n ei\pen oj sofo;" Aijscuvlo" (1154).

Il sapere di Eschilo rientra in quel sofovn che non è sofiva.

Cfr. "to; sofo;n d j ouj sofiva" (Euripide, Baccanti , v. 395), il sapere non è sapienza.

O anche: “Polumaqivh novon ouj didavskei (Eraclito fr. 82), il sapere molto non insegna ad avere intelletto.

Dioniso dà ragione a Euripide.

Quindi Eschilo dà del chiacchierone a Dioniso alleatosi con Euripide contro la sua poesia.

 

Il dio gli chiede una spiegazione ed Eschilo chiarisce che tornare da un viaggio è un conto, rimpatriare da esiliato come Oreste è un altro.

 

Euripide aggiunge un altro cavillo dicendo che Oreste è rimpatriato di nascosto - lavqra/ - non con il permesso dell’autorità 1168.

 

In effetti katevrcomai usato da Eschilo al v. 1153 può significare il ritorno degli esiliati, per esempio nell’Antigone di Sofocle dove Creonte ricorda che Polinice tornato come esule fuga katelqwvn (200) tentò di distruggere con il fuoco la terra dei padri e gli dèi della stirpe.

 

Eschilo cita altri due versi infilzando con la sua critica la ridondanza di kluvein seguito da ajkou`sai-(1172) udire e ascoltare. E’ una richiesta di Oreste al padre morto.

Eschilo risponde che quando parliamo ai morti non li raggiungiamo nemmeno ripetendo tre volte- oi|" ouhde, tri;" levgonte" ejxiknouvmeqa (1176)

 

Alcune persone vive, non morte, e vivano pure a lungo, continuano a scrivere sul mio facebook che la statua della spigolatrice di Sapri è brutta e non c’è altro da dire. Eppure continuano a ribadirlo. Ho cercato di chiarire, e lo spiego per l’ultima volta, che non ho scritto né pensato che la statua sia bella, ma ho criticato il fatto che da una scultura brutta alcune persone traggano occasione per scagliarsi contro la libertà di espressione quando questa non è offensiva, e ribadisco che in quella brutta statua non c’è alcuna offesa per le donne. Siccome alcuni trovano offensivo quel calkov" in quanto kallivpugo", temo che tra un po’ di tempo verrà vietato alle ragazze belle di venire al mare in costume, una consolazione per gli occhi che hanno visto tante brutture, dalle guerre allo sfruttamento, e una prova della bontà del creatore, chiunque egli sia.

 

 

Pesaro 28 settembre 2021 ore 10, 41.

giovanni ghiselli

 

p. s

Statistiche del blog

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Oggi48

Ieri247

Questo mese6147

Il mese scorso5437

Un chiarimento di cui sento il bisogno.

Immaginavo che alcuni avrebbero obiettato ai miei due ultimi blog che la statua della spigolatrice è brutta e che il vaccino salva le vite. Avverto queste persone che non ho scritto che la statua è bella, né lo penso, bensì che è stupido e ridicolo trovare in tale cosa non significativa e non bella un’offesa alle donne. Di questo passo i bigotti potrebbero gridare che le ragazze in costume succinto nelle nostre spiagge offendono le donne. Questa strada fa parte del metodo dogmatico che vuole censurare tutto quanto è fuori luogo rispetto al pensiero comune imposto alle masse dai media. Le persone ignoranti obbediscono per mancanza di spirito critico, quelle maliziose lo fanno per il loro utile: farsi votare o farsi pagare. Ben altri fatti mai denunciati da tali moralismi ipocriti offendono le donne. Quanto alla apologia della poliziotta, ho difeso la sua libertà di parola che vale quanto la mia e la vostra. Io sono bivaccinato e assumerò anche la terza dose. Prego almeno quelli che mi conoscono e mi stimano, e magari mi vogliono bene contraccambiati, di non fraintendermi. Quando scrivo non faccio nulla per dissimulare quello che penso, dato che non vengo pagato da padroni e non cerco di farmi votare. Mi piace essere letto però mi dispiace se vengo frainteso da persone che stimo. Saluti gianni p. s "le natiche belle" traduceva "callipigia" per chi non conosce il greco.

lunedì 27 settembre 2021

La spigolatrice callipigia.

La polemica di alcuni idioti sulla statua della Spigolatrice di Sapri raffigurata come calipigia da Emanuele Stifano non merita nemmeno di essere commentata. Ricordo solo che nella poesia di Luigi Mercantini che ci facevano leggere alle scuole medie in lode degli eroi del Risorgimento, questa ragazza scorge fra i trecento giovani e forti uno che è anche bello e racconta: “mi feci ardita, e presolo per mano,/gli chiesi-dove vai bel capitano?-” Sull’onda di questa caccia all’infernale “sessismo” uno dei tanti idioti potrebbe dire che questa povera ragazza, che raccoglieva le spighe rimaste nei campi dopo la mietitura, molto tempo prima di venire messa in posizione provocatoria nel bronzo dove appare quale callipigia sfacciata, venne infamata dal poeta risorgimentale, sessista e antifemminista che le attribuì le parole di un maschio molestatore sessuale. Ora dunque secondo tali imbecilli lo scultore maschilista ha rincarato la dose mettendo in piena luce e in primo piano le natiche belle. Laura Boldrini ha detto che questa statua è “un’offesa alle donne”. Io credo che siano più offensivi delle donne quante cretine e quanti cretini dicono tali idiozie. Se non lo dicono altri, lo dico io qui e ora, e me ne prendo la responsabilità. Pesaro 28 settembre 2021 ore 0, 59 giovanni ghiselli

Prendo posizione in favore di Nunzia Alessandra Schillirò e della sua libertà di parola.

Credo che tutti sappiate chi è e che cosa ha detto. Non sono d’accordo sulle sue posizioni No Vax, però difendo il suo diritto di manifestarle. Il metodo della repressione della parresia è una strada (hJ oJdov") la strada retrograda che porta al precipizio della tirannide. Riporto alcune parole sue, parole sante: “Ho scelto il mio mestiere perché credevo che non ci fosse niente di più nobile che garantire la sicurezza di ogni cittadino, in modo che chiunque fosse libero di esprimersi. Se questo mi viene negato, il mio mestiere non ha più senso” Non cedere Nunzia. Leggo su “la Repubblica” di oggi, 27 settembre 2021 a pagina 16, le parole citate sopra. Ne aggiungo alcune altre tratte dallo stesso articolo firmato da Romina Marceca: “La poliziotta No Pass non si arrende: “Andrò avanti sempre, con o senza divisa, per amore del mio paese” Nunzia Alessandra Schillirò, vicequestore della Criminalpol (…) Ha risolto diversi femminicidi, ha collezionato premi e ha scritto due libri. Ha coordinato il progetto “Questo non è amore” per la Provincia di Roma, sulla violenza di genere, e Blue Box” per combattere il bullismo”. Non cedere Nunzia: molta gente, povera gente tra cui tante donne, ha ancora bisogno di te. Anche io insegnando ho corso dei rischi per la mia libertà di pensiero, di parola e di metodo, ma il rischio è bello, come dice Socrate nel Fedone platonico -kalo;~ ga;r oJ kivnduno~ (114 d) e i personaggi fuori luogo (a[topoi) che lo corrono, per fedeltà a se stessi e per dare un esempio di indipendenza mentale, salvano la propria identità. Spesso anche la vita e il lavoro. Credo che ti andrà bene perché la tua richiesta “che chiunque sia libero di esprimersi” è giusta anzi è sacrosanta. Alla ministra Lamorgese, che considero una delle migliori donne politiche italiane, dico che farebbe un enorme errore morale e pure politico punendo una poliziotta che fa onore alla polizia, solo perché ha espresso un’opinione che noi abbiamo il diritto di non condividere nelle parole e nei fatti, ossia vaccinandoci, però questa giovane donna ha parimenti il diritto di esprimere quello che pensa. Pesaro 21 settembre 2021 ore 21, 22 giovanni ghiselli p. s Chiedo a chi mi legge di approvare questa presa di posizione.

Le Rane di Aristofane. XXVIII parte. Euripide, da ipercritico, cerca di smontare la grandezza di Eschilo

 

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Vediamo i prologhi propone Euripide e chiede a Eschilo di prenderne uno dalla trilogia Orestea.

 Euripide si appresta a smontare la grandezza del rivale accusandolo di essere stato poco chiaro e perspicuo nella esposizione dei fatti - ajsafh;" ga;r h\n ejn th`/ fravsei tw`n pragmavtwn (1122).

In effetti il primo pregio della parola è la sua chiara visibilità.

Dioniso impone il silenzio e dà la parola a Eschilo.

Il drammaturgo cita i primi 3 versi delle sue Coefore: Oreste entrando in scena prega Ermes ctonio, che veglia sul potere del padre morto, di essergli alleato - suvmmaco" - 1127.

 Euripide dice di poter contestare più di dodici biasimi a questi tre versi. Afferma che ognuno di essi presenta almeno venti errori- e[cei d’ e{kaston ei[kosin g j aJmartivaς - 1131

Eschilo chiede al collega rivale di chiarire.

Euripide lo fa in questo modo non implausibile: come può Oreste dire che Ermes veglia sul potere del padre, un uomo che è stato assassinato da una donna (dovloi" laqraivoi", 1143) con occulti inganni?

 

Anche me vengono in mente sempre tanti errori di logica quando sfoglio “l’autorevole” quotidiano sul quale comunque mi informo.

Quando leggo che la pena di morte inflitta dai Talebani ai criminali è una barbarie inaudita, mentre per alcune firme del medesimo giornale gli Stati Uniti costituirebbero il modello supremo della democrazia. Anche in questo colosso democratico le condanne a morte sono state e vengono tuttora eseguite.

 La pena capitale è una barbarie, un assassinio legalizzato dovunque venga essa sia.

 

Eschilo risponde che il suo Oreste invoca Ermes quale jEriouvnion (1144) epiteto che si trova già nell’Iliade (20, 72) e viene interpretato come soccorritore. In questo contesto è avvicinabile a yucopompov", guida dei morti. Questo compito gli viene dal padre conclude l’autore delle Coefore.

 

Nell’ultimo canto dell’Odissea vediamo la processione dei Proci morti ammazzati che seguono Ermes psicopompo per putridi sentieri squittendo come pipistrelli (Odissea, XXIV, 6-10)

 

Euripide ribatte che lo sbaglio di Eschilo è più grande se il padre ha dato a Ermes cqovnion gevra" una funzione infera (1148).

Dioniso spalleggia Euripide dicendo che Ermes sarebbe stato ordinato dal padre quale tumbwruvco" (1149), ladro di tombe.

Allora Eschili se la prende con Dioniso e il vino di lui: “ Diovnuse, pivnei" oi\non oujk anoqsmivan 1150 -, Dioniso, bevi un vino che non odora di fiori.

 I Greci aromatizzavano il vino con vari fiori. Un vino greco bianco oggi famoso è la Rezina che ha il profumo della resina di pino. Mi piace perché sa di Grecia.

 

Pesaro 27 settembre 2021 ore 17, 25

giovanni ghiselli

 

p. s.

Mi scuso della brevità di questi pezzi ma sono tornato a Pesaro per rinnovare la patente e altre incombenze sgradevoli che mi sottraggono tempo alle attività che, sole, sono davvero mie. Non dico quali perché si tratta di un triathlon noto a chi mi legge. Comprende agoni di generi diversi.

 

errata corrige

Me lo facciano sapere.