martedì 21 settembre 2021

Le Rane di Aristofane. XVII parte. La critica del Coro, cioè di Aristofane, ai due poeti agonisti

 

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Entrano Eschilo ed  Euripide che si rivolge a Dioniso.

Dice di essere kreivttwn rispetto a Eschilo anche se colui si darà delle arie - ajposemnunei'tai.

Chiama il rivale oratore che affastella vanterie kompofakelorrhvmona (kovmpoς, 839. favkeloς, fastello, rJhvmwn = rJhvtwr), uno che ha la bocca senza freni, né controllo, priva di porte - ajquvrwton stovma - 838.

 

Sono caratteristiche del demagogo. Nell’ Oreste di Euripide  parla  un demagogo Argivo - non Argivo con la lingua priva di porta ajqurovglwsso" (v. 903) come abbiamo già ricordato.

Ora tale bocca sfrenata è tipica del conduttore televisivo che nel porre la domanda deve dire a lungo la propria opinione sull’argomento, poi lascia all’ospite poco tempo e poche parole di risposta.

Mi sembra un segno di maleducazione e volgarità.

Il contrario dello stile di Anna Karenina del conte Tolstoj: "Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale (…) Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore".

 

Eschilo risponde chiamando Euripide figlio della dea agreste, collezionatore di ciarle (stwmuliva) , ptwcopoiev 842 creatore di pezzenti, cucitore di cenci -rjakiosurraptavdh - rJavkion cencio e surravptw cucio.

 

Nei precedenti Acarnesi, come abbiamo già visto, Diceopoli si reca da Euripide e lo prega:

“Ti supplico per le tue ginocchia, Euripide, dammi qualche straccio dell'antica tragedia” dovς moi rJakiovn ti tou' palaiou' dravmatoς (415)

 

Eschilo continua a infamare Euripide con Dioniso dicendo che il rivale è un creatore di storpi cwlopoiovn ( Rane, 846).  

 

Negli Acarnesi, Diceopoli dice a Euripide: tu componi in aria: non senza ragione tu fai degli zoppi: oujk ejto;ς cwlou;ς poiei'ς (410)

Insomma Aristofane bersaglia Euripide in più di una tragedia accusandolo ripetutamente di mettere in scena personaggi dall’aspetto miserevole, una species inversa rispetto a quello dell’eroe.

 

Dioniso chiede un agnello nero da sacrificare a[rna mevlana (847), come si faceva per propiziarsi gli spiriti dell’oltretomba, perché sta per scatenarsi una tempesta tra i due tragediografi.  

 

Poi Eschilo biasima il rivale che ha introdotto canti cretesi ossia l’ uJpovrchma,  ritenuto di origine cretese, un inno con danze e pantomime in versi cretici ( lunga breve lunga).

Cfr. Joyce: “A perfect cretic! The professor said. Long, short and long (In the heart of the hibernian metropolis) Ulysses, p. 114. VII: Eolo, il giornale… he extended elocutionary arms from frayed stained shirt - cuffs (professor MacHugh), tese le braccia elocutorie fuori dai polsini macchiati e sfilacciati .

 

C’è  anche un riferimento con biasimo alle cretesi sporcaccione Fedra e sua madre Pasife. Inoltre i Cretesi avevano fama di bugiardi.

 

Eschilo subito dopo rinfaccia a Euripide di avere introdotto nella sua opera gavmou" ajnosivou" - 850 nozze empie.

 

Nella tragedia Eolo c’erano le nozze incestuose di Canace con il fratello Macareo. Un dramma dove Nerone recitava nel ruolo di Canace: una volta un soldato rispose - tivktei - partorisce, a uno che gli aveva domandato tiv poiei' oJ aujtokravtwr; cosa fa l’imperatore che stava interpretando la parte di Canace la quale  ebbe un figlio dal fratello Macareo (Cassio Dione, Storia romana, 63, 10); Svetonio 21.

 

Dioniso li modera dicendo che non sta bene che due poeti si insultino come fornaie loidorei'sqai w{sper ajrtopwvlidaς (858).

Con calma dunque confutatevi a vicenda: “praovnwς e[legc j ejlevgcou  dice a Eschilo, confutalo e lasciati confutare.

Euripide  si dichiara pronto a mordere e farsi mordere per primo: e{toimovς eijm j e[gwge davknein davknesqai provteroς (861)

Menziona il suo Telefo e altre tragedie.

Telefo, re di Misia, si era travestito da mendicante per recarsi al campo dei Greci e farsi guarire da una ferita che gli aveva inferto Achille.  Era necessaria la ruggine della lancia che lo aveva colpito.

Eschilo dice che non è un duello alla pari poiché la sua poesia non è morta con lui, mentre quella di Euripide lo ha seguito tra i defunti hJ poivhsiς oujci; suntevqnhkev moi - touvtw/ de; suntevqnhken (868) ed essa potrà parlare.

 

Il Coro invoca le Muse perché vengano a vedere la tenzone delle due bocche abili a fornire parole (rJhvmata) e paraprivsmat j ejpw'n e segature, raschiature di versi.

Ateneo scrive che Eschilo considerava le sue tragedie fette del grande  banchetto omerico

Aijscuvlo" o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n   JOmhvrou megavlwn deivpnwn"  

 

Dioniso  invita i due contendenti a pregare.

 

Eschilo invoca Demetra la nutrice del suo spirito hJ qrevyasa th;n ejmh;n frena (886). Chiede di essere degno dei suoi misteri.

Eschilo era nato a Eleusi dove Demetra aveva fondato i misteri.

 

Euripide invece invoca l’Etere suo nutrimento aijjqh;r ejmo;n bovskhma  (poesia come aria fritta?)  e mulinello di lingua glwvtthς strovfigx, 892) e l’intelligenza (xivnesi) e narici di fiuto sottile, ossia capaci di fiutare i gusti del pubblico.

 

xuvnesiς è una parola chiave del linguaggio euripideo (893) cfr. Oreste 396.

A Menelao che gli domanda: "tiv crh'ma pascei"; tiv" s j ajpovllusin novso";" (v. 395) che cosa soffri? quale malattia ti distrugge? Oreste risponde: "hJ suvnesi", o{ti suvnoida dein j eijrgasmevno"" (v. 396) l'intelligenza, poiché sono consapevole di avere commesso cose terribili

 

Il Coro si aspetta di sentire da uno, Euripide, qualche cosa di urbano ajstei'on ti (902)  e ben limato katerrinhmevnon (katarrinavw, rJivnh è lima), mentre Eschilo sarà tempestoso: disperderà al vento i molti rigiri dei versi, strappandoli  con le parole dalle intere radici, piombandoci sopra.

Il corifeo dirige l’agone che vuole sia civilmente regolato

Chiede un eloquio urbano ma non banale, non parole che potrebbe dire un altro uomo qualunque - oiJ j a]n allo" ei[poi (906).

 

Si ricorderà che Aristotele nella Poetica suggerisce questa regola d’oro: "Levxew~ de; ajreth; safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai” (1458a, 18 ). Pregio del linguaggio  è essere chiaro e non pedestre.

Il poeta può e deve variare rispetto all’usuale.

Il linguaggio si scosta dall’ordinario quando usa espressioni peregrine: “xeniko;n de; levgw glw'ttan kai; metafora;n kai; ejpevktasin kai; pa'n to; para; to; kuvrion” (1458a, 22 ), con peregrino intendo la glossa, la metafora, allungamento e ogni forma contraria all’usuale stabilito

 

Pesaro 22 settembre 2021, ore 11, 01

giovanni ghiselli

 

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