lunedì 29 agosto 2016

La malasanità

29 agosto 2016, ore 12

Sono a Pesaro, tornato da un viaggio che doveva essere ciclistico in Grecia, nel Peloponneso.
Il 9 luglio, verso le 20, 45, qui a Pesaro, ero caduto traendo la bicicletta con me, dopo averne sbattuto la ruota anteriore su un cordolo giallo come la striscia di colore che lo precedeva e lo affiancava, mimetizzandolo nell’ombra del crepuscolo. Precipitai non sulla testa, per fortuna, ma sulle mani. La destra mi faceva male, assai; da un dito della sinistra sanguinavo.
Tornai a casa, dove ero tacito e solo, mi lavai, quindi andai a cercare una farmacia aperta per comprare i disinfettanti. Poi, siccome la mano destra si era gonfiata con il polso e l’avambraccio e l’anulare della sinistra continuava a sanguinare, andai al pronto soccorso dell’ospedale cittadino, il San Salvatore.
Mi rivolsi a un infermiere seduto a un banco. Mi fece notare che glielo sporcavo di sangue. Gli chiesi di fasciarmelo. Disinfettò in qualche maniera la ferita e la tamponò. Poi mi disse di aspettare supponendo che la mano poteva essere rotta.
Dopo una mezz’ora, mi chiamarono per i raggi x. Un altro infermiere mi fece posare la mano offesa, il polso e l’avambraccio su un aggeggio rotondo e scattò diverse fotografie in posizioni diverse dell’arto. Dopo un’altra mezz’ora circa, un terzo infermiere mi portò un foglio con queste parole:

“Il sig. Ghiselli Giovanni Achille Carlo è dimesso in data 10/8/2016 ore 0034
con diagnosi CONTUSIONE MANO
con livello di gravità verde, con prognosi di 0 giorni
Prescrizioni: si consiglia ghiaccio localmente, pomata antinfiammatoria (e. voltaren gel) localmente, brufen 600 a stomaco pieno max 2-3 al dì; rivalutazione al curante
Diario clinico del 09/08/2016
23: 14 Priorità: verde
23: 55: Esami rx mano dx
23:55 Prestazione: visita medica
23:55 Anamnesi: riferisce caduta da bicicletta con trauma mano dx, nega traumi in altri distretti
23: 55 Es. obiettivo: edema e dolore mano dx
Diario clinico del 10/8/2016
Regione Marche
Azienda ospedaliera Marche Nord
Pronto Soccorso e Medicina D’Urgenza
Marco Laterza.”

Un altro foglio portava scritto:

“RX mano dx eseguito il 09.08. 2016
RX MANO DX
Non fratture
Lo specialista radiologo
Dott.
Riccardo Rossi.”

Un medico, questo, che non mi ha mai visto né si è fatto mai vedere da me.

Vengo al commento.
Non è vero il “nega traumi in altri distretti” citato sopra, poiché mi feci curare e fasciare l’anulare sanguinante della mano sinistra, poi ricordai loro che nel maggio del 1972, in quello stesso ospedale, mi avevano operato per una frattura esposta del braccio destro e temevo che la nuova caduta avesse lasciato delle conseguenze sull’arto aggiustato.
Mentre uscivo, un infermiere mi disse che in una settimana la mano sarebbe tornata a posto. Nonostante nel frattempo il polso e l’avambraccio si fossero ulteriormente gonfiati, lo sperai. Dopo tutto il referto escludeva fratture.

Sicché decisi di confermare il viaggio ciclistico in Grecia prenotato con due cari amici, Maddalena e Alessandro. Per compiere i sette giorni di convalescenza pronosticata dall’infermiere dell’uscita dal pronto soccorso, il 15 agosto andai ad Ancona, in treno, traendo la bicicletta con la pur offesa mano sinistra. Dalla stazione al traghetto tentai di pedalare, ma l’uso del cambio mi dava pena.
Sbarcato a Patrasso il 16, feci un tentativo estremo di usare la bicicletta ma il dolore della mano, del polso e dell’avambraccio, sempre gonfi nonostante il ghiaccio e le prescritte pillole Brufen che del resto davano fastidio allo stomaco, non si era attenuato, anzi, sicché mi recai prima in una farmacia dove mi consigliarono di non usare la bicicletta, perfino se (un even if che mi spaventò) non c’era niente di rotto. Cosa improbabile, capii. Allora cercai l’ospedale, aiutato dai miei angeli custodi, Maddalena e Alessandro, due ex allievi al liceo Galvani di Bologna negli anni Ottanta, e da tempo tra i miei amici più cari. Dal 1996 in poi abbiamo girato più volte la Grecia, e non solo, in bicicletta. Siamo arrivati a Troia e a Debrecen, in bicicletta.

All’ospedale di Patrasso, verso le tre del pomeriggio del 16 agosto, mi mandarono nel reparto ortopedico dove un medico giovane e gentile, dopo avermi visitato, esaminato la mano e il braccio, fatto domande sul dolore e sulla frattura antica, ascoltato con attenzione le risposte, sottoposto ai raggi x, mi diastognicò una frattura e mi ingessò dalla mano al gomito escluso, lasciando fuori le dita. Mi disse di tornare dopo 2 settimane, mi chiese l’età e, saputala, mi incoraggiò con un sorriso compiaciuto e una pacca su una spalla. Era vestito come tutti gli altri, portantini e vari inservienti compresi. Non pagai una lira. Dopo un giro fatto con autobus e taxi, assistito dai due giovani che, beati loro, compivano i percorsi in bicicletta, dopo avere fallito lo scopo del viaggio che era vedere gli Uccelli di Aristofane nel teatro antico di Epidauro dove non trovammo posto, tornai nel nosocomio di Patrasso il 21 agosto siccome l’anulare della sinistra sanguinava ancora e perdeva pus. Un altro medico, uno del reparto chirurgico, mi diagnosticò un’infezione avanzata che mi curò, poi mi prescrisse due pillole al giorno, per 5 giorni, di un antibiotico forte, Augmentin. Il chirurgo si stupì del fatto che non mi avessero dato subito dei punti. La sera stessa il sangue e il pus, dopo 12 giorni, si erano fermati. Anche questa visita fu gratuita.

Oggi, 28 agosto, sono tornato nell’ospedale di Pesaro, per un controllo. Non al pronto soccorso, ovviamente, ma nella sala gessi per una visita prenotata, da un ortopedico consigliatomi da un ex compagno di scuola che è stato suo collega nello stesso reparto.
L’ortopedico pesarese dunque, il dottor Roberto Bruscoli, ha preso visione della lastra di Patrasso, poi, attraverso il computer, di quella fatta a Pesaro il 9 agosto rilevando che sia nell’una sia nell’altra è chiaramente visibile la frattura. Era presente anche un infermiere.
Ho chiesto la lastra del pronto soccorso, ma non mi è stato possibile averla. Ne farò richiesta scritta.
Bruscoli e io ci si conosceva di vista per esserci casualmente incontrati nel campo scuola dove si andava a correre gli anni scorsi nelle sere di agosto.
Il dottore sportivo mi ha segnalato simpaticamente quale sportivo all’infermiere che mi ha rinnovato il gesso.
Quindi il medico mi ha congedato con questa diagnosi
“Frattura epifisi distale del radio Dx del 9 u. s., in trattamento con valva gessata eseguita altrove. Si rinnova la valva gessata, da mantenere fino al 9.9. 16
A controllo il 9. 9. 16 con nuove Rx dopo rimozione della valva.
Az, Osp. Marche
Dr. Roberto Bruscoli.”

Questa è la sintesi estrema. La rendo pubblica poiché tali errori e trascuratezze nei confronti di chi al pronto soccorso non paga le visite, non devono ripetersi negli ospedali italiani, a partire da quello di Pesaro, la mia residenza fiscale.
Naturalmente quanto affermo qui è tutto documentato e Maddalena ha detto che è pronta a testimoniare, anche in un tribunale, quanto ha visto. Non vogliamo che la sanità italiana funzioni solo per chi può pagare. E’ un’ingiustizia odiosissima.


In fede

giovanni ghiselli

sabato 13 agosto 2016

Twitter, CCXXXVIII antologia. Vigilia di Ferragosto: l’inizio della fine dell’estate

14 agosto 2016

I rapporti umani sono pubblicitari: fatti di potere, sfruttamento e menzogna. Persino quelli erotici. Dopo Helena (luglio-agosto 1971)  decadenza dell’amore, dell’amicizia, della politica, di tutto.  Oggi vivo di studio, sole, corsa, nuoto e bici. Domani tornerò a girare il Peloponneso in bicicletta con due ex allievi ora cari amici. Andremo a Epidauro a vedere gli Uccelli di Aristofane e gioiremo.

Sono i servi buffoni che scimmiottano Renzi, oppure è Renzi che scimmiotta i suoi servi buffoni? Mi piacerebbe saperlo

Bianca Berlinguer è, come Ariele, "a spirit too delicate" (The Tempest, I, 2) per eseguire gli ordini fangosi e odiosi che le venivano dati.

I colpi di Stato in Italia dove la sovranità del governo è limitatissima e quella del popolo quasi inesistente, sono pura follia.
Renzi, mai eletto dal popolo, ha cacciato Berlusconi, poi Letta, ma in Italia conta poco e nel mondo proprio niente.

Stefano l'ubriacone e Trinculo il buffone in La tempesta di Shakespeare, organizzano un attentato per regnare. Ora si attenta alla Costituzione.

Amo il greco il latino e l’italiano, senza disdegnare l'inglese, non questo:" make edicts for usury, to support usurers" (Coriolano, I, 1), sull’usura fanno editti che proteggono gli usurai. Anche Renzi legifera in favore degli usurai.

Bene fa la Boschi a mostrare le cosce: non ha niente di meglio.

I professori che danno troppi cento con lode, alcuni probabilmente pure all'ignoranza sono ignoranti come i lodati: insomma sia data lode all'ignoranza generalizzata.

quam metuo ne quid Libyae nobis bella noceant !

wars, still wars and money: nothing else holds fashion. Dice parole simili Tersite nel Troilo e Cressida (V, 2).

Renzi è un coraggioso atleta di agoni pacifici e guerreschi: va a Pechino come se gareggiasse, e manda i soldati in Libia con tanti auguri.

La guerra al terrorismo fatta con le bombe cura i sintomi, se va bene. Bisognerebbe risalire alle cause del male, poi eliminarlo con l'educazione.

giovanni ghiselli

domenica 7 agosto 2016

Twitter, CCXXXVII antologia. A Bianca Berlinguer, con stima e simpatia

io a Boscochiesanuova, 29 luglio 2016
Rendo onore a Bianca Berlinguer estromessa dai plebei che governano televisione e paese in quanto donna intelligente, colta, bella e fine.

Erdogan imprigiona i giornalisti liberi.
Renzi fa di peggio: caccia la migliore giornalista televisiva mentre premia gli scarabocchiatori e i buffoni suoi servi.

La polizia televisiva del governo elimina l'opposizione.
La Pinotti offre le basi quali fundamenta terroris.

Cacciare la Berlinguer è una mossa politicamente reazionaria ed è un altro colpo assestato alla cultura. Dopo la distruzione della scuola.

Con il trionfo della volgarità sempre più imperverseranno donne come la Boschi e la Pinotti e uomini come Renzi e Verdini: formano un comitato di affari che usa il potere per il proprio tornaconto.

La Berlinguer non usava le parole adatte alla bassezza d'animo  che il governo vuole diffondere con prepotenza. Perciò è stata allontanata. Per questo la scuola è stata così oscenamente sconciata.

I giovani per formarsi bene dovrebbero respirare un'aria di salute, cultura e bellezza. Invece vengono avvelenati dai miasmi della volgarità pubblicitaria presenti ovunque.

Lo stile dei conduttori televisivi penetra nell'anima di chi li guarda. Quello della Berlinguer suggeriva competenza, equilibrio signorilità. Un pericolo per i plebei che vogliono comandare

I servi  che vogliono assoggettarci non sopportano che lo stile alto, la parola libera, la preparazione seria abbiano visibilità.


giovanni ghiselli

il mio blog è arrivato a 370421. Lezioni salutari contro la velenosa pubblicità oramai totale della televisione.

Queste sono le letture della settimana.

Stati Uniti
773
Italia
365
Cina
44
Ucraina
27
Russia
25
Germania
11
Francia
7
Spagna
4
Irlanda
4
Finlandia
3


martedì 2 agosto 2016

Alcesti. XIV parte

Alcesti nell’ex carcere fiorentino delle Murate, ottobre 2014

Admeto si scusa per la reticenza di prima: gli è stata suggerita solo dalla paura di venire meno al santo dovere dell'ospitalità:
"questo dolore sarebbe stato aggiunto al dolore,
se tu fossi stato spinto alla casa di un altro ospite" (1039 - 1040). Del resto lo prega di permettergli di non accettare la custodia della donna
"giovane come appare dalla veste e dall'ornamento" (1050).
Non saprebbe dove metterla: non nella zona riservata agli uomini, né, tanto meno, "nella camera della morta" (1055): egli teme un "duplice biasimo" (diplh`n fobou`mai mevmyin, v. 1057): da parte della gente "che lo rimproveri di avere tradito la benefattrice" (1058 - 1059) e quello della morta che è "degna di venerazione" (1060).
Come si vede, ancora una volta Admeto dà grande importanza alla reputazione, non meno che alla coscienza: segno di interiorità e identità poco sviluppata.
Tutt'altra forza e nobiltà manifesta l'eroica Antigone di Sofocle quando afferma:
"Ma so di piacere a quelli cui prima tutti è necessario che io vada a genio" (v. 89).
 Admeto, lo sappiamo non è un eroe. Per giunta è indebolito dal dolore e dal rimorso. Tuttavia è abbastanza lucido da ravvisare una somiglianza tra la giovane donna velata e la moglie morta:
"Chiunque tu sia, sappi che hai la stessa
statura di Alcesti, e le somigli nel corpo" (1062 - 1063).
La somiglianza anzi arriva a essere quella di una sosia o di una gemella:
"Infatti mi sembra di vedere mia moglie
guardandola: mi turba il cuore, e dagli occhi
erompono fonti di lacrime, oh me infelice,
come ora assaggio questo amaro dolore!" (1066 - 1069).

 Kott suggerisce che questa figura potrebbe fungere bene da seconda moglie, la quale, di solito, pur essendo più giovane, assomiglia alla prima.
Il corifèo, per calmare il re, sputa una sentenza alla Giobbe:
"Io non potrei giudicare buona questa sorte,
ma è necessario, qualunque cosa sia, sopportare il dono di Dio" (1070 - 1071).
Segue una sticomitia tra Eracle e Admeto durante la quale, nota Kott, "il buon gigante si comporta nell’epilogo come un agente provocatore " (Op. cit. , p. 125) e mette l'ospite alla prova.
 Nella prima parte del v. 1085 Eracle ripete quello che aveva detto la stessa Alcesti al v. 381:
"Il tempo attenuerà (crovno~ malavxei): ora il male è ancora fresco"
 Admeto ribadisce: solo la morte potrà consolarlo (1086).
Eracle però non desiste dalle provocazioni:
"Una donna e nuove nozze porranno fine al tuo rimpianto" (1087).
Ma l'amico non cede e l'eroe dorico non può che approvare la sua fedeltà. Tuttavia insiste perché Admeto accolga in casa la misteriosa creatura:
"Accogli dunque in casa costei con nobiltà" (1097)!" (devcou gennaivw~ 1098).

L'ospite tenta un'ultima resistenza ma è vicino a cedere:
"No, ti scongiuro per Zeus che ti ha generato
 Eracle non cede e gli promette che non se ne pentirà: egli, vincendo la donna ha vinto anche per Admeto (1103). Questo finalmente accetta, sia pure obtorto collo:
"Vinci pure, ma non mi fai cosa grata" (1108).
Manca pochissimo al lieto fine, sebbene Kott faccia l'ipotesi, non del tutto assurda, che quella donna possa rappresentare la morte.
In effetti quando Eracle invita Admeto a tenderle la mano (1117), l'inconsolabile vedovo risponde come se dovesse toccare un mostro portatore di morte:
" Va bene, la tendo, come se dovessi tagliare il capo alla Gorgone" (1118).
Il re dunque tende la mano volgendo indietro il capo, come fece Perseo con Medusa, per non essere pietrificato dal suo sguardo (cfr. le Coefore, v. 832).
 Però poi, ulteriormente incoraggiato da Eracle, Admeto la guarda e nota sempre più la somiglianza della velata con la scomparsa:
"Oh dèi, che devo dire? questo è un prodigio insperato
è la mia sposa davvero questa che vedo,
o mi stordisce una gioia ingannevole da parte di un dio? " (1123 - 1125).
Il gigante garantisce che si tratta della sposa ma non dissipa la paura del vedovo che lì ci sia uno spettro, se non addirittura la morte:
"Bada che questo non sia un fantasma degli inferi" (1127).
Ma Eracle nega di essere un evocatore di morti e invita Admeto a rivolgerle la parola (1132).
 Lo sposo la tocca e comincia a convincersi: è già felice al punto che Eracle ritiene necessaria una battuta deprecatoria per stornare "l'invidia degli dèi" (1135), ossia quella malevolenza divina che si volge contro ogni eccesso.
Quindi Admeto manifesta la sua gratitudine all'eroe e gli domanda come abbia fatto. Con una lotta (1140) è la risposta, seguita a un appostamento presso la tomba (1142).
Ma perché non parla? , domanda ancora Admeto (1143).
Prima, risponde Eracle, Alcesti deve essere tolta dalla consacrazione agli dèi infernali e bisogna che sia giunto il terzo giorno (1145 - 1146).
Come anche per Cristo. Evidentemente tre giorni era il numero, forse simbolico, necessario per purificarsi dalla contaminazione della morte e tornare in vita.

Un rito doveva separare il sacro dal profano: la consacrazione fa entrare il profano nel sacro; la dissacrazione fa uscire dal sacro. Oreste per rinascere deve recarsi presso l'ombelico del mondo, a Delfi, punto di congiunzione tra le varie zone cosmiche.
 I Romani ricorrevano alla lustratio purificazioni per mezzo di sacrifici: si offrivano hostiae piaculares (vittime contro la macchia). I casi più gravi potevano essere dichiarati inespiabili dal pontefice. Allora l'empio era lasciato alla vendetta divina (Tacito, Annales, I, 73: "deorum iniuriae dis curae ", alle offese degli dei pensino gli dei).
I casi di piaculum (peccato ed espiazione) sono vari: molto noto è quello dell'Orazio che ammazza la sorella la quale piangeva la morte di uno dei Curiazi Albani uccisi da lui. Egli dice: "Sic eat quaecumque romana lugebit hostem " (Livio, I, 26).
I duumviri perduellionis ( due giudici sul delitto di stato, l' alto tradimento e l' omicidio) lo condannano, ma Orazio disse: "provoco " e venne assolto in appello. Però fu necessaria una lustratio: dovette passare con il capo bendato sotto il sororium tigillum, la trave della sorella. Siamo al tempo di Tullo Ostilio, il terzo re.
Questo è un rito di dissacrazione che consente al criminale di tornare dal mondo della maledizione a quello profano. Roma è povera di riflessione su contaminazione e purificazione, ma è ricca di cerimonie. Il sacer infatti può essere sacro o maledetto.

Invece presso i Greci prevalgono i problemi di coscienza e di responsabilità: qui nell'Alcesti, Eracle salutando Admeto gli fa capire che ha recuperato la sposa grazie alla sua giustizia e all'ospitalità piamente offerta:
"Via portala dentro e, siccome sei giusto,
in avvenire continua ad essere pio verso gli ospiti (eujsevbei peri; xevnouς).
E addio: io vado a compiere la fatica
imposta dal tiranno figlio di Stenelo" (1147 - 1150).
Admeto invita l'ospite a rimanere ancora, ma Eracle deve proprio andare verso il suo faticoso destino; allora il re di Fere gli augura il successo e lo invita a tornare. Intanto la Tessaglia celebrerà l'evento felice con danze, preghiere e sacrifici di buoi (1155). Le ultime parole dello sposo, che ha compreso e ha salvato la sposa, dichiarano che c'è stata una resurrezione anche personale:
"Ora infatti ci siamo convertiti a una vita migliore
di quella precedente: infatti non negherò di essere felice!" (1157 - 1158) ouj ga; r eujtucw`n ajrnhvsomai
Gli ultimi versi del coro contengono un'altra morale della favola: che il destino o gli dèi compiono i loro progetti indipendentemente dalla volontà umana. Gli uomini pii dunque, e questo fatalismo in qualche modo è comune ai tre drammaturghi, devono accettare tutto quello che viene dai numi:
"Molte sono le forme della divinità,
e molti eventi fuori dalle nostre speranze portano a compimento gli dèi;
e i fatti attesi non si avverarono,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione" (vv. 1159 - 1163).
 Analoga conclusione si trova nella Medea, nell'Andromaca, nell'Elena e nelle Baccanti, dunque durante l'intero arco della produzione euripidea e siccome non tutti questi drammi finiscono bene, non si può dire che essa sia ottimistica, e nemmeno pessimistica: è una constatazione della mutevolezza e imprevedibilità della sorte, una forza soprannaturale che durante l'età ellenistica sostituirà gli dèi dell'Olimpo e degli Inferi.


“Circa la posizione della musica nel dramma antico vale pienamente ciò che Gluck nella celebre prefazione al suo Alcesti esprime in termini di esigenza. La musica dovrebbe sostenere la poesia, rafforzare l’espressione dei sentimenti e l’interesse delle situazioni, senza spezzare l’azione o disturbarla con inutili sfiorettature”.
La prefazione dell’Alceste (1767) prescrive l’unitarietà del dramma. La musica deve essere condizionata dalla parola e non deve interrompere l’azione. Il coro deve assumere la funzione di personaggio. Il melodramma come la tragedia greca deve offrire allo spettatore una consolazione purificatrice.

Alcesti nel Simposio di Platone (179b - e) parla Fedro
E allora vogliono morire per gli altro solo gli amanti, non solo gli uomini ma anche le donne. Di questo anche la figlia di Pelia Al cesti offre sufficiente testimonianza favorevole a questa affermazione agli Elleni, volendo lei sola morire per il suo sposo, memtre lui aveva il padre e la madre, che quella di tanto superò nell’affetto per amore, da far vedere che quelli erano estranei al figlio e solo di nome congiunti, e fatto questo gesto parve averlo fatto così bello, non solo agli uomini ma anche agli dèi, che, pur essendo molti gli uomini che avevano fatto molte e belle azioni, a ben pochi diedere questo dono gli dèi, di far risalire l’anima dall’Ade, ma quella di lei la fecero risalire, avendono ammirato l’azione; così anche gli dèi onorano soprattutto l’impegno e la virtù in favore di eros.


fine


giovanni ghiselli 

Euripide Ippolito IX. Il dolore straziante provoca mutismo e immobilità

  La nutrice chiude la seconda scena del primo episodio con 16 trimetri giambici   La nutrice – mamma-   spinge Fedra a confidarsi...