lunedì 27 novembre 2017

Twitter, CCXCVII sunto

Io sono tra i conferenzieri e gli scrittori "sprotetti" dal potere, ossia non protetti. Perciò mi restano quel "robusto pensare e forte sentire" che i protetti e traviati non hanno. Modesta mente.

Chi si sposa cerca un'assicurazione e di fatto si assicura pena quasi sicura  e quasi certo dolore.

L'amore è, come il genio, una grazia di Dio, non c'entra niente con l'istituzione, l'astuzia, l'assicurazione. Più è gratuito, meno è calcolato, più è bello e felice.

Tanto interesse mediatico per il liceo classico Virgilio di via Giulia dipende dalla sua utenza costituita prevalentemente da ragazzi di "buona famiglia". Del resto è un buon liceo per la stessa ragione. Expertus loquor.
Sarebbe bene occuparsi anche, e ancora di più, delle scuole frequentate dai dimenticati figli dei poveri.

Pavese scrisse: “sono un popolo nemico le donne". Poi si uccise. Farebbero bene a tacere, piuttosto che togliersi la vita, i mentecatti e le cretine che presentano tutti gli uomini come nemici e probabili assassini delle femmine umane. Io ne sono amicissimo e amantissimo. Da sempre e per sempre.

I vari maggiordomi della televisione si preparano ad accogliere in trionfo i prossimi padroni dell'informazione, chiunque essi siano. Ci sono già delle anteprime televisive, diverse secondo le previsioni e i desideri.

Chiunque vincerà le elezioni riceverà dagli eterni servi prezzolati elogi  sperticati e nauseabondi, rivolti non solo ai vincitori, ma alle loro famiglie, alle loro abitudini e perfino alla carta igienica dei loro gabinetti.

Pochi sono anche tra i giornalisti cartacei quelli del tutto vergini di servo encomio. Vorrei che questi happy few si astenessero  pure dal codardo oltraggio che seguirà alla caduta di Renzi quando il poveretto verrà rovesciato come il re del carnevale e diventerà il tragico farmakós, la medicina umana, il capro espiatorio di tutti i mali.

giovanni ghiselli, più che mai seguace del Poverello dopo il convegno tenuto ieri l’altro nel liceo Properzio di Assisi dove ho presentato Quintiliano.



p.s.
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domenica 26 novembre 2017

La Commedia antica. Aristofane: “Le Rane”. XIV parte


Es poi fa una parodia di canti di Euripide. Ne ridicolizza i vocalizzi con un dittongo ei ripetuto 6 volte eiJeieieiei-eilissete daktuvloiς favlaggeς vovo vo vo volgete con le dita le falangi (trame al telaio?). Segue un centone privo di senso.
Poi apostrofa il rivale dicendo che compone i canti imitando le dodici posizioni di Cirene, una famosa cortigiana[1].
Quindi Eschilo fa la parodia di un canto “a solo ” una monodia. Euripide ne faceva uso molto più di Eschilo e Sofocle. Lo stile vuole essere solenne mentre la situazione è futile: una ragazza sogna orrori e si sveglia terrorizzata: allora si accorge che una vicina gli ha rubato un gallo e pure un gomitolo filato per venderlo al mercato. La ladra poi è volata via sull’agile vigore delle ali. Quindi la ragazza invoca truppe cretesi e Artemide ed Ecate con le cagne per una perquisizione.
E’ una ragazza povera cui non si addice tale preghiera (cfr. l’elogio della ramazza da parte di Ione nello Ione di Euripide (vv. 112 ss. “o splendido virgulto di alloro, mia ramazza con cui spazzo il suolo del dio”)
Dioniso non ne può più. Allora Es dice che vuole portare Eur alla bilancia ejpi; to; n staqmo; n ga; r aujto; n ajgagei'n bouvlomai (1365) per misurare to; bavroς tw'n rJhmavtwn[2]. Eschilo sa bene che le sue parole sono più pesanti.
Dioniso fa una battuta: dei' me ajndrw'n poihtw'n turopwlh'sai tevcnhn (1369) devo vendere come il formaggio l’arte dei poeti.
Al coro questa trovata pare un prodigio (tevraς)
I due rivali si avvicinano ai piatti della bilancia e ognuno recita un verso.
Euripide il primo della sua Medea con il verbo diaptavsqai (diapevtomai, passo a volo)
Eschilo dal suo Filottete cita “fiume Spercheio e pascolo di buoi” che pesa di più. Dioniso spiega a Eur perché. Tu hai messo un verso alato (tou[poς ejpterwmevnon[3]), mentre Es ha inzuppato con l’acqua del fiume la lana del suo verso.
Eur ne recita un altro dalla sua Antigone: “oujk e[sti Peiqou'ς iJero; n a[llo plh; n lovgoς” (1391)
Ed Es: “Solo Morte tra gli dèi non ama i doni”
Dioniso fa vincere Eschilo poiché Qavnatoς (oJ) è baruvtatoς kakw'n (1394)
Mentre Peiqwv (hJ) è cosa leggera (kou'fon) e non ha senso.
Eur deve trovare un peso grosso.
Eur “prese con la destra un legno appesantito dal ferro (sidhrobriqe; ς xuvlon).
Ed Es: carro su carro e morto sopra morto
Dioniso dà ancora la vittoria a Eschilo: oud j eJkato; n Aijguvptioi neppure cento Egizi potrebbero alzare due carri e due morti.

Erodoto nel secondo libro (124) racconta l’immenso lavoro compiuto da centinaia di migliaia di Egiziani per costruire la piramide di Cheope.
Eschilo propone che sulla bilancia salgano Euripide, i figli, la moglie e Cefisofonte, l’amante della moglie
Dioniso è incerto: uno è bravo, l’altro mi piace,
Dice ai due che è sceso in cerca di un poeta perché la città salva celebri le sue feste J i{n hJ povliς swqei'sa tou; ς corou; ς a[gh/
Dice che Atene ama e odia Alcibiade e comunque lo vuole[4] e chiede l’opinione dei due poeti sul politico.
Alcibiade era stato attaccato da Eupoli nei Battezzatori e negli Adulatori (421) dove faceva la parte del damerino in casa del ricco Callia.

Euripide dice: odio il cittadino che si mostra lento nel giovare alla patria bradu; ς wjfelei'n pavtran, rapido nel danneggiarla molto megavla de; blavptein tacuvς (1428), ricco di risorse per se stesso, privo di mezzi per la patria.
Eschilo dice “non bisogna allevare in città un cucciolo di leone ouj crh; levontoς skuvmnon ejn povlei trevfein.[5]
Euripide corregge che non bisogna proprio allevare un leone (forse il padre di Alcibiade, Clinia)
Eschilo aggiunge parole che saranno ripetuto da Valerio Massimo: ma se sia stato allevato bisogna piegarsi alle sue abitudini toi'ς trovpoiς uJphretei'n.
Dioniso rimane incerto duskrivtwς e[cw (1433): uno ha parlato sofw'ς, l’altro safw'ς. Chiede ai due come si possa salvare la città.
Eur dice che se verranno muniti di ali Cleocrito con Cinesia[6] li venti li solleveranno sul mare.
E’ un nonsense che Dioniso non capisce. Euripide ne infila altri e Dioniso gli chiede di parlare ajmaqevsteron più da ignorante kai; safevsteron e più chiaramente
Euripide continua con i sofismi (diffidare di chi ci fidiamo e viceversa)
Allora Dioniso dice eu\ g j w\ Palavmhdeς, w] sofwtavth fuvsiς (1451), bravo Palamede, che natura ingegnosa! Ma l’hai trovata tu questa o Cefisofonte?
Eur risponde con un altro nonsense: io solo, le acetiere Cefisofonte.
Es e Dioniso concordano che la città odia gli uomini per bene
Es fa la sua proposta: gli Ateniesi devono considerare come propria la terra nemica e nemica la propria, povron de; ta; ς nau'ς e come risorsa le navi (1465) e difficoltà le risorse (forse per le tasse, ma lo stile è oracolare).
Ricorda il responso dell’oracolo che prima di Salamina consigliò agli Ateniesi di rifugiarsi nelle mura di legno (cfr. Erodoto, VII, 141). E anche quanto dice Pericle in Tucidide I, 143.


CONTINUA




[1] Nelle Tesmoforiazuse (del 410) il parente di Euripide quando vede comparire Agatone vestito da femmina dice: io non vedo nessun uomo, vedo solo Cirene (Kurhvnhn d’ oJrw', 98). 
[2] Nell’Iliade XXIII, 209 Zeus pesa i destini di Achille e di Ettore. 
[3] pterovw
[4] Echeggia un verso di Ione di Chio (I difensori, fr. 44)
[5] Nell’Agamennone di Eschilo è Elena assimilata a un cucciolo di leone (vv. 717ss,). Valerio Massimo scrive che Aristofane rappresentò in una sua commedia Pericle che vaticinava non oportere in urbe nutriri leonen, sin autem sit altus, obsequi ei convenire (VII, 2, stran. 7) 
[6] Cinesia era un ditirambografo magrissimo, Cleocrito era pesante (cfr. Uccelli 878 dove è invocata la potente Struzza-Cibele madre di Cleocrito

sabato 25 novembre 2017

I classici in Thomas Mann. "La montagna incantata". VI parte

Der Zauberberg di Hans W. Geißendörfer 

V Ricerche 392
Dove la spiegazione scientifica non arrivava, interveniva quella mistica. Cfr. la tuvch in Tucidide e to; paravlogon in Arriano

V Danza macabra Totentanz (p. 421)
Il latino come il formalismo della corte spagnola di Don Carlos di Schiller, come il timor di Dio, è umano.
E’ contro l’incuria e per la disciplina seria. Si usa il latino quando si parladei morti: sit tibi levis tellus, requiescat in pace, requiem aeternam dona ei Domine.
Allora il latino torna in auge, allora si vede che cosa speciale sia la morte (p. 432)
Il latino richiede disciplina e fatica

Frontone (100-166) suggerisce l’impiego di parole significantia piene di significato cioè gli insperata atque inopinata verba, le parole “insperate” e “impensate” che contraddicono l’opinione di chi ci ascolta o ci legge (4, 3, 3, praeter spem atque opinionem audientium aut legentium)
Anche il greco richiede disciplina e fatica.
Orazio nell’Ars poetica prescrive: “vos exemplaria Graeca/nocturna versate manu, versate diurna” (vv. 268-269), voi leggete e rileggete i modelli greci, di notte e di giorno.


V Notte di Valpurga 
E’ il martedì grasso del 1908

Settembrini cita Goethe: Vedrà ingegnere, qui si sta allegri come al Prater, del resto anche nei manicomi ogni tanto si organizzano balli per i pazzi e gli idioti. Molti dell’anno scorso non ci saranno perché hanno già detto vale alla carne (carnevale - carnem levare con riferimento alle privazioni per la Quaresima).
Settembrini continua a citare Faust: scrive in un biglietto:
il monte è pazzo di magia etc Faust e il diavolo vagano tra le montagne. “La montagna è pazza di magia”. La notte di Valpurga. Der Berg ist heute zaubertoll 3868

Come il Citerone nelle Baccanti di Euripide: “pa'n de; sunebavceue j o[ro~-kai; qh're~, oujde;n d j h\n ajkivnhto~ drovmw/, tutto baccheggiava il monte e le fiere, e non c'era nulla che non fosse mosso alla corsa (726-727).
Mefisto, Faust e un fuoco fatuo cantano. “Gli alberi si inseguono… tutto par che a , tondo giri”, alles, alles scheint zu drehen 3868
Hans insiste con il tu perché è carnevale. Il giovane manifesta riconoscenza a Settembrini per quanto ha imparato da lui. "Tu sei un patrocinatore. Ti sei preso cura di me sine pecunia. Da te ho appreso la connessione tra umanesimo e pedagogia."
Poi Claudia: "È un giovane molto rigoroso, molto per bene, molto tedesco" (di Joachim)
Hans: “Vuoi dire che è pedante. Ci consideri pedanti, noi altri tedeschi?" (eccessivamente scrupolosi nell’osservare le regole)

(Cfr. i Germani di Tacito e il loro dissennato mantenere la parola data: Tacito segnala la perversione della fides tra i Germani i quali, dopo avere perso tutto ai dadi (alea), con un ultimo lancio mettono in gioco la libertà personale, quindi, se perdono, mantengono la parola data e subiscono la schiavitù. Ebbene in questo caso ciò che loro chiamano fides è una forma di ostinazione in un vizio riprovevole: “ea est in re prava pervicacia” (Germania, 24).

C. “Parlo di suo cugino, ma è vero voi tedeschi siete un poco borghesi. Amate l’ordine più della libertà, lo sa tutta l’Europa”. Cfr. Tacito: scutum reliquisse praecipuum flagitium, multique superstites bellorum infamiam laqueo finierunt (Germania, I, 7)
Ci sembra che la morale non vada cercata nella virtù, nella ragione, nella disciplina, nei buoni costumi, nella rispettabilità ma al contrario nel peccato, nell’abbandonarsi al pericolo, a ciò che ci può nuocere, che ci distrugge. Ci sembra più morale perdersi, lasciarsi deperire che conservarsi. I grandi moralisti non erano affatto virtuosi, ma uomini che si sono avventurati nel male, viziosi, grandi peccatori che ci insegnano a chinarci cristianamente verso la miseria.
Cfr. la Messalina di Tacito: “iam facilitate adulteriorum in fastidium versa, ad incognitas libidines profluebat” (Annales, XI, 26)
"Tutto questo probabilmente ti ripugna. O no?"
Hans non rispose 502-1236
La sala si vuotò.
H. "L’amore non è niente se non è follia, se non è una cosa proibita, un’avventura nel male. Altrimenti è una gradevole banalità, buona per ricavarne pacifiche canzoncine nelle terre basse. Ti ho riconosciuta poiché ti ho conosciuta tanto tempo fa, te e i tuoi occhi meravigliosamente obliqui e la bocca e la voce"

La mania amorosa come quella religiosa e quella dei poeti è più saggia della saggezza del mondo
Platone nel Fedro parla di manìe ispirate e produttive di beni. Sono quattro: la profezia della Pizia che predice in stato di esaltazione, poi l'esaltazione dei purificatori e fondatori di religioni; terza frenesia divina è quella dei poeti, e quarta la follia dell'innamorato che è molto più saggia della saggezza del mondo:" ejp& eujtuciva/ th'/ megivsth/ para; qew'n hJ toiauvth/ maniva divdotai" (245b), questo delirio è la più grande fortuna concessa dagli dèi.
Hans a Claudia: "Già una volta ai tempi del liceo ti ho chiesto la tua matita per potere fare ufficialmente la tua conoscenza, poiché io ti amavo al di là di ogni ragionevolezza e i segni che Behrens ha trovato nel mio corpo derivano dal mio amore per te e significano che anche anticamente sono stato malato."
Si era inginocchiato e tremava.
l’amore per il corpo umano è un’inclinazione estremamente umanitaria e una potenza capace di educare più di tutta la pedagogia di questa terra.
Incantevole bellezza organica fatta non di pietra, ma di materia vivente e corruttibile, colma del segreto febbrile della vita e della decomposizione! Guarda la simmetria meravigliosa dell’umano edificio, le spalle e i fianchi e le floride mammelle ai due lati del petto, e le costole graziosamente appaiate e l’ombelico nel bel mezzo del tenero ventre e il sesso oscuro tra le cosce! E le scapole e la spina dorsale che scende verso la duplice e fresca magnificenza delle natiche, e i grandi rami delle vene e dei nervi, e come la struttura delle braccia corrisponda a quella delle gambe.
Lascia che io posi devotamente la mia bocca sull’arteria femoralis che batte sulla parte anteriore della tua coscia - lascia che io senta il profumo che esala dai tuoi pori e sfiori la tua peluria, umana immagine di acqua e di albumina destinata all’anatomia della tomba e lascia che muoia, le mie labbra sulle tue!
Tremava e barcollava sulle ginocchia
Lei disse: "Sei un tipo galante che sa fare la corte in maniera approfondita, proprio alla tedesca." Gli mise sulla testa il cappellino di carta e aggiunse: "Addio mio principe Carnevale. Le predìco che stasera avrà qualche brutta linea di febbre."
Si avviò verso la porta e con la mano sullo stipite disse: "N’oubliez pas de me rendre mon crayon" (p. 506-1239)


giovanni ghiselli

venerdì 24 novembre 2017

La Commedia antica. Aristofane: “Le Rane”. XIII parte



Eschilo dice che ora i ricchi si coprono di stracci per non sottoporsi alle leitourgivai (servizio pubblico) in particolare l’onerosa trihrarciva, l’equipaggiamento di una nave da guerra.
Dioniso aggiunge che piangono e dicono di essere poveri poi mangiano pesci che sono cari e sotto i cenci hanno lana pesante.
Ancora Eschilo: poi hai insegnato a essere ciarlieri, cosa che ha vuotato le palestre e ha logorato le chiappe (ta; ς puga; ς ejnevtriyen) di questi giovani. Hai insegnato perfino l’insubordinazione ai marinai. Quando ero vivo io si limitavano a chiedere la pagnotta ma'zan kalevsai e dire rJuppapai'.

Nei Cavalieri il Coro dice: nessuno dei nostri padri contò i nemici e noi riteniamo che si debba combattere proi'ka (577) gratis”. Vengono lodati anche i cavalli i quali addirittura remavano gridando iJppapai' (602). E invece di erba medica mangiavano i granchi h[sqion de; tou; ς pagouvrouς ajnti; poivaς mhdikh'ς (606)

Anche Dioniso nota l’indisciplina dei marinai che rispondono e non remano più.
Eschilo allora rincara la dose: Eur ha messo in scena proagwgouvς, ruffiane (vedi la nutrice di Fedra) e donne che partoriscono nei templi (Auge madre di Telefo nell’Auge; Creusa nello Ione) o sorelle che si accoppiano con i fratelli come Canace e Macareo o dicono che vivere non è vivere (Frisso). Così la città si è riempita di sottosegretari (uJpogrammatevwn ajnemestwvqh-ajnamestovw, 1084), burocrati, e di buffoni scimmie del popolo (kai; bwmolovcwn dhmopiqhvkwn, 1085), che lo ingannano e nessuno corre più con la fiaccola uJp j ajgumnasivaς, per mancanza di esercizio.
Dioniso ha visto uno alle Panatenee che correva braduvς, kuvyaς, leukovς, pivwn, lento, curvo, bianco, grasso e rimaneva sempre indietro (uJpoleipovmenoς), pur dandosi da fare. Il pubblico del Ceramico sulle porte gli dava delle pacche su ventre, reni sedere, e lui scorreggiando di nascosto (uJpoperdovmenoς) soffiava sulla fiaccola e se la svignava. Sono finiti dunque la ginnastica l’agonismo e l’atletismo (1090)
Il coro dice che è difficile decidere. E invita i contendenti a continuare senza temere che gli spettatori per ignoranza (ajmaqiva, 1109) non capiscano le loro sottigliezze leptav. Le loro nature già eccellenti fuvseiς kravtistai si sono affinate parhkovnhntai[1]. Dunque procedete poiché gli spettatori sono sapienti. Una prospettiva sicura.
Euripide dunque dice che il rivale è ajsafhvς, oscuro nella esposizione dei fatti. Quindi chiede a Esch di recitare un prologo
Esch cita i primi 3 versi delle sue Coefore con l’invocazione a Ermes ctonio di Oreste tornato ad Argo.
Eur dice che contengono venti errori per verso ei[kosin aJmartivaς (1131)
Poi ne nota uno sottilizzando, e Dioniso gli dà ragione
Es allora gli dice che ha bevuto del vinaccio che non odora di fiori 1150.

I Greci aromatizzavano il vino con vari fiori come oggi con la resina di pino.
Poi Euripide sottolinea una dilogiva, la ripetizione di un solo concetto con 2 sinonimi: h{kw ga; r ej" gh'n thvnde kai; katevrcomai (Rane, 1128, v. 3 delle Coefore di Eschilo), sono giunto a questa terra e ci torno. Euripide sostiene che è la stessa cosa giungere e ritornare. Eschilo lo nega.
Quindi Euripide reciterà un suo prologo e farà vedere che non ci sono zeppe, parole riempitive, non giustificate.
Parte dalla sua Antigone che inizia affermando Edipo prima era un uomo felice (eujdaivmwn)
Dioniso controbatte che invece era kakodaivmwn fuvsei, disgraziato per natura. Era condannato già prima di nascere.
Eur recita il verso 2 che qualifica Edipo ei\t j ajqliwvtatoς brotw'n, poi il più disgraziato, rilevando il capovolgimento a farmakovς.
Es replica che Edipo è sempre stato infelice: appena nato, d’inverno, lo esposero in un coccio (ejn ojstravkw/), poi oijdw'n tw; povde, gonfio nei piedi, andò da Polibo, poi da giovane sposò una vecchia e[peita grau'n e[ghmen aujto; ς w]n neovς (1193) che per giunta era sua madre e alla fine ejxetuvflwsen auJtovn, si acciecò.
Dioniso ironicamente dice sì felice come gli strateghi delle Arginuse (che dopo la vittoria vennero condannati a morte a furor di popolo).
Esch dice che basta un lhkuvqion, un’ampollina per distruggere i prologhi di Euripide. Prologhi composti in modo che dentro può starci tutto: una pelliccetta, una boccetta, una borsetta, 1200
Euripide recita tre versi di suoi prologhi, ed Eschilo mette la zeppa lhkuvqion ajpwvlesen perse la boccetta.
Il terzo verso dalla Stenebea dice oujk e[stin o{stiς pavnt janh; r eujdaimonei', 1217 (cfr. Medea 1228-1230), se nato bene non ha vita, se in umil sorte…
Es: perse la boccetta
Poi dal Frisso: Cadmo figlio di Agenore, lasciata Sidone un giorno
Es perse la boccetta. - Frisso è il ragazzo che arrivò nella Colchide sull’ariete dal vello d’oro
Quindi Euripide cita il primo verso dell’Ifigenia in Tauride
Pevloy oJ Tantavleioς ejς Pi'san molw; n (1)
qoai'sin i{ppoiς… (2)
Es: lhkuvqion ajpwvlesen
Dioniso dà a Euripide il consiglio di comprare la boccetta ma il drammaturgo insiste con il Meleagro e la Melanippe.
Dioniso insiste dicendo che le boccette crescono nei prologhi di Euripide come gli orzaioli negli occhi (w[sper ta; su'k [2]j ejpi; toi'sin ojfqalmoi'ς 1247)
Il Coro a questo punto celebra Es chiamandolo “il signore Bacchico”to; n bakcei'on a[nakta (1259).
Eur ribatte parodiando l’oscurità dello stile ampolloso di Eschilo con un’accozzaglia incomprensibile di versi.
Dioniso vuole andare in bagno poiché con tutti quei travagli dice tw; nefrw; boubwniw' (1280) sono gonfio nei reni.
Eur continua la parodia della lirica eschilea inzeppandola con toflattovqrat toflattovqrat tra un verso e l’altro, trallalallera, trallalallà. Denuncia l’uniformità ritmica di Eschilo.
Dioniso le chiama cantilene di chi attinge acqua dal pozzo iJmoniostrovfou[3] mevlh.
Eschilo risponde che non voleva cogliere i fiori dallo stesso prato di Frinico sacro alle Muse. (I poeti sono api, la loro opera miele)
Eur invece, continua il rivale, raccatta da tutto: dalle puttanelle (ajpo; pornidivwn, 1301) dagli scòli-canti conviviali- di Melèto (l’accusatore di Socrate che fu anche poeta tragico), dalle melodie carie per flauti ajpo; qrhvnwn, dai canti funebri e da quelli conviviali (skolivwn[4]).
Es chiede prima la lira per parodiare il rivale, poi dice che per quella roba basta una che batta le nacchere da sola (pou' jstin hJ toi'" ojstravkoi" au{th krotou'sa; (1305). Chiama la Musa di Euripide ed entra una fanciulla nuda di cui Dioniso dice che una volta non faceva la lesbica oujk ejlesbivazen, ou[ (1307), nel senso che la musa di Euripide è una puttanella eterosessuale.


CONTINUA



[1] da parakonavw
[2] su'kon è fico ma anche fica (la Pace: th'ς dj hjdu; to; su'kon. 1351) 
[3] iJmoniav (corda del pozzo) e strevfw
[4] Da skovlion mentre scovlion significa “nota” da scolhv. 

giovedì 23 novembre 2017

Twitter, CCXCVI sunto. Non pubblicato

La nuova Repubblica
Non pubblicato

Carissimi amici, vi ringrazio per i tanti auguri e vi rispondo: non ho 100 anni ancora/ cadrà l'inverno anche sopra il mio viso/ potrete impiccarmi allora! (cfr. Geordie, Fabrizio de Andrè)
Trasmissioni sul tipo di “Che tempo che fa” compiono un'opera di corruzione sistematica nei confronti della plebe come gli antichi circenses con l'aggravante del sine pane.
L'argentarius, il banchiere e il fenerator, l'usuraio, programmano le trasmissioni menzognere per confondere e turlupinare gli sprovveduti di tutto. Poi le affidano ai ruffiani quali registi dell’inganno dei poveracci.
 Plauto nel Curculio (v. 506) scrive che gli usurai sono fatti della della stessa stoffa dei lenoni. E' per questo motivo che ora li pagano 200 volte più degli operai? Ancora Plauto sui banchieri: habent hunc morem plerique argentarii, ut alius alium poscant, reddant nemini (Curculio, 377-8), hanno questo costume la maggior parte dei banchieri: chiedono a questo e a quello ma non restituiscono a nessuno

Cari coetanei di tutto il mondo (miei coetanei più noti in Italia sono Massimo Cacciari, Gianni Morandi e Gigi Riva Italia-Germania 4 a 3 il 17 giugno del 1970, a proposito della recente esclusione dai mondiali,) non dobbiamo sentirci buttati via dal destino né considerarci uccelli privi di canto, di piume e di coda, anzi dobbiamo essere ancora esempi di vitalità laboriosa, canora e pure amorosa per i giovani.

Il politico italiano estraneo alla consorteria internazionale dei poteri forti, non può farcela. Chi ce la fa è dovuto passare almeno attraverso un compromesso con tale confraternita criminale.

La disfatta calcistica conferma quello che penso da anni: quando non funziona la scuola, non funziona più niente.

Gli arciruffiani imperversano nelle televisioni, la sinistra è atomizzata, la scuola non funziona, donne e uomini "devono" odiarsi: si bene calculum ponas, naufragium ubique est, se fai bene i conti il naufragio è dappertutto

Gli uomini (pare tutti o quasi, secondo certa propaganda) uccidono o stuprano, o quanto meno molestano le donne già se le guardano con desiderio.  Se cercano di baciarle poi sono veri e propri criminali.
La morale: non fate l'amore ma fate la guerra e comprate di tutto!

Il quotidiano “la Repubblica” è cambiato in peggio: ha accresciuto la pubblicità.


giovanni ghiselli

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martedì 21 novembre 2017

I classici in Thomas Mann. "La montagna incantata". V parte

Pieter Paul Rubens, Seneca (dubbio)
cfr. Seneca sul valore del tempo
Cotidie morimur

Seneca è il cantore del tempo.
Il tempo è la nostra unica, vera ricchezza: omnia…aliena sunt, tempus tatum nostrum est (Ep. 1, 3) p. 55
Nel De brevitate vitae afferma vita…longa est (2, 1), in dichiarata polemica con il vulgus sciocco e pure con il sapiens Aristotele. Alla taccia di malignitas attribuita alla natura, Seneca le conferisce benignitas. Conta diu vivere, non diu esse non stare al mondo a lungo (7, 10). Cogita sempre qualis vita, non quanta sit (Ep. 70, 5)
Discendum …quam bene vivas referre, non quam diu (101, 5) bisogna imparare che importa vivere bene, non a lungo
L’animo saldo sa bene che non c’è alcuna differenza tra un giorno e un secolo: stabilita mens scit nihil interesse inter diem et saeculum (101, 9)
L’occupatio, il correre dietro a mille occupazioni ci fa credere che la vita sia breve ed è brevissima la vita degli occupati (La brevità della vita 10, 1).

S: lei predilige i paragoni orientali L’Asia ci divora. Ovunque si guardi, si vedono facce di Tartari. “Gengis Khan” soggiunse, “occhi da lupo della steppa, neve acquavite e cristianesimo ortodosso.
 Seneca Troiane, 400: tempus nos avidum devŏrat et Chaos. Per I Greci il caos era l’Asia.
La barbarica prodigalità nello sperpero del tempo è di stile asiatico. Un russo che dice 4 ore corrisponde a un’ora per noi. La loro nonchalance nel rapporto con il tempo ha a che fare con la smodata vastità del loro paese.
Noi Europei abbiamo poco spazio e poco tempo. Il nostro nobile paese è graziosamente segmentato. Le nostre metropoli sono crogiuoli del pensiero Carpe diem cantava il cittadino di una metropoli ( Orazio, Odi, I, 11) quam minimum credula postero. (a Leuconoe), Cfr. Il determinismo geografico. La Medea di Seneca dice a se stessa pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue (vv. 42-43).
Il tempo è un dono degli dèi concesso agli uomini perché lo sfruttino al servizio del progresso (p. 357)

A scopo di difesa bisognerebbe erigere qui nell’atrio un altare a Pallade Atena.

Cfr. l’altare della Vittoria che Simmaco voleva rimettere nel senato
Nel 384 Simmaco prefetto urbano di Roma cercò di ottenere la revoca dell’ordine dell’imperatore Graziano di rimuovere l’altare della dea Vittoria dalla curia. Simmaco fece parlare l’Urbe stessa (Relationes, III, 10)
Ma Ambrogio nella sua Epistola 18 a Valentiniano II fece parlare Roma nella lingua dei cristiani. Roma si era convertita.
Ambrogio minacciò Valentiniano II (375-392) di scomunica se avesse esaudito le richieste dei pagani.
Nel 390 c’è l’atto di penitenza di Teodosio che aveva concesso alle truppe gotiche il diritto di vendetta per l’uccisione di un loro generale a Tessalonica. Ambrogio lo avvisava di scomunica e Teodosio fece pubblicamente penitenza. Nel Natale del 390 fu di nuovo accolto nella comunità cristiana dopo che fu entrato più volte in chiesa nelle vesti del penitente, privo delle insegne imperiali. C’è un filum che lega questo episodio a quello di Matilde di Canossa la magna comitissa che umiliò Enrico IV, Si schierò con Gregorio VII, Ildebrando di Soana. 1077
Nel 392 Teodosio promulgò un editto che proibiva il culto pagano a tutti gli abitanti dell’impero.

S. consiglia a Hans, che deve svolgere una professione pratica e non intellettuale, di abbandonare il sanatorio: quest’insula di Circe (cfr. Odissea X e XII) dove lei non è a sufficienza Ulisse per dimorarvi impunemente (362): diventerà un maiale.

V Humaniora (p. 368)
Castorp interviene dicendo che la scienza medica si occupa dell’essere umano, è umanistica, come giurisprudenza, teologia e arti liberali, poi le discipline del trivio grammatica, dialettica, retorica
 e quelle del quadrivio, aritmetica, geometria, musica, astronomia, sono tutte professioni umanistiche.

Hans: sono tutte discipline umanistiche e quando vogliamo studiarle dobbiamo imparare prima di tutto le lingue antiche, fondamentali per un approfondimento formale (p. 381)

Nietzsche in Sull’avvenire delle nostre scuole scrive che l’apprendimento del latino e del greco è das Heilsamste la cosa più salutare (heilsam) del ginnasio umanistico: si impara a rispettare la lingua con le sue norme e ad aborrire gli errori.

Hans: Io sono un realista e un tecnico ma è una regola eccellente porre a fondamento di ogni professione umanistica l’elemento formale, l’idea della bella forma che conferisce un sovrappiù di nobiltà, di cortesia. Cfr. ancora il kaqh'kon di Panezio e il De officiis di Cicerone

 E' quello che Thomas Mann fa dire a Serenus Zeitblom nel Doctor Faustus: "non posso far a meno di contemplare il nesso intimo e quasi misterioso fra lo studio della filologia antica e un senso vivamente amoroso della bellezza e della dignità razionale dell'uomo (...) dalla cattedra ho spiegato molte volte agli scolari del mio liceo come la civiltà consista veramente nell'inserire con devozione, con spirito ordinatore e, vorrei dire, con intento propiziatore, i mostri della notte nel culto degli dei"[1]. E’ il caos che si fa cosmo. Cfr. le Erinni che diventano Eumenidi nella terza tragedia dell’Orestea.

Behrens sostiene che la Chauchat è un soggetto più adatto alla pittura che alla scultura: Fidia e “quell’altro con la desinenza ebraica (Prassitele, cfr. Ezechiele, Ismaele) avrebbero storto il naso davanti a tale fisionomia
Del resto la forma plastica femminile è fatta di grasso confermò il consigliere aulico


CONTINUA




[1]T. Mann, Doctor Faustus , pp. 12 e 14.

sabato 18 novembre 2017

La Commedia antica. Aristofane: “Le Rane”. XII parte

Ulisse travestito da mendicante di fronte a Penelope
rilievo in terracotta proveniente da Milo

Tornamo alla poesia civilizzatrice di Eschilo

Museo ha insegnato le cure delle malattie (ejxakevseiς novswn) e gli oracoli (crhsmouvς), Esiodo gh'ς ejrgasivaς, i lavori della terra, le stagioni dei frutti karpw'n w{raς (1034) e le arature, Omero gli schieramenti, il valore guerresco e gli armamenti degli eroi (tavxeiς ajretavς oJplivseiς ajndrw'n).
Insomma la poesia come educatrice e civilizzatrice.

Orazio nell’Ars poetica scrive:
“silvestris homines sacer interpresque deorum
Caedibus et victu foedo deterruit Orpheus
Dictus ob hoc lenire tigris rabidosque leones
Dictus et Amphion, Thebanae conditor urbis,
Saxa movere sono testudinis et prece blanda
ducere quo vellet. Fuit haec sapientia quondam,
publica privatis secernere, sacra profanis,
concubitu prohibere vago, dare iura maritis,
Oppida moliri, leges incidere ligno.
Sic honor et nomen divinis vatibus atque
Carminibus venit. post hos insignis Homerus
Tyrtaeusque mares animos in Martia bella
Versibus exacuit: dictae per carmina sortes,
et vitae mostrata via est, et gratia regum
Pieriis temptata modis, ludusque repertus
Et longorum operum finis, ne forte pudori
Sit tibi Musa lyrae sollers et cantor Apollo (391-407)
Gli uomini delle selve distolse dalle stragi e dal cibo orrendo il santo e interprete degli dèi Orfeo, detto per questo che ammansiva le tigri e i rabbiosi leoni.
Si disse anche di Anfione, fondatore della città di Tebe, che muoveva le pietre con il suono della cetra e con dolce preghiera le conduceva dove volesse. Fu questa un tempo la sapienza: separare il pubblico dal privato, il sacro dal profano, distogliere dagli accoppiamenti sregolati, imporre i doveri ai coniugi, e fondare città, incidere le leggi nel legno. Così l’onore e la fama giunse ai divini poeti e alla poesia. Dopo questi si distingue Omero e Tirteo con i versi stimolò il coraggio virile alle guerre di Marte: gli oracoli vennero dati in versi, e fu mostrata la via della vita, e il favore dei re fu cercato con le melodie delle Pieridi e si inventò la festa culturale e la pausa delle lunghe fatiche. Allora non accada che ti sia di vergogna la Musa abile nella lira e Apollo cantore.
Foscolo I Sepolcri 9-. 96
“Dal dì che nozze e tribunali ed are
Diero alle umane belve esser pietose
Di sé stesse e d’altrui, toglieno i vivi
All’etere maligno ed alle fere
I miserandi avanzi che Natura
Con veci alterne a sensi altri destina”
228-229
Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
Del mortale pensiero animatrici

In Le Grazie sono le Chariti a incivilire i
figli della terra duellanti a predarsi.
E i vincitori d’umane carni s’imbandian convito.
Videro il cocchio e misero un ruggito,
palleggiando la clava”.

Eschilo menziona Lavmacoς h{rwς tra i guerrieri educati da lui. Forse è una palinodia rispetto al sbeffeggiamento di Lamaco negli Acarnesi e nella Pace. Lamaco era morto in Sicilia nel 413.
Eschilo poi si vanta di non avere creato Fedre e Stenebèe povrnaς, né mai un’ ejrw'san gunai'ka (1043)

Manzoni nel Fermo e Lucia (1823) scrive “di amore ce n’è seicento volte di più di quanto sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque opera impudente l’andarlo fomentando con gli scritti. Non si deve scrivere di amore in modo da far consentire l’animo di chi legge a questa passione”.

Euripide ribatte: “certo, in te non c’era nulla di Afrodite”.
Eschilo: mhde; g j ejpeivh (1045), non sia mai. Su te e sui tuoi invece si è buttata di peso, tanto da distruggerti[1].

Alla dea Afrodite che, fin dal primo verso[2] dell'Ippolito di Euripide, si presenta come divinità possente e non senza fama, la nutrice di Fedra attribuisce una forza d'urto ineluttabile: " Kuvpri" ga; r ouj forhto; n h]n pollh; rJuh'/-revw" (v. 443), Cipride infatti non è sostenibile quando si avventa con tutta la forza.

Dioniso gli fa: tu stesso sei stato colpito (aujto; ς ejplhvghς) da quello che hai creato per delle altre.
Eur: che male fanno le mie Stenebee?
Esch: hai spinto donne oneste mogli di onesti ad avventure con i tuoi Bellerofonti che le ha portate a kwvneia pivnein (1051), bere cicute
La storia di Fedra è reale dice Euripide
Ed Esch: sì ma il poeta il male deve nasconderlo ajll jajpokruvptein crh; to; ponhro; n to; n ge poihthvn 1053, non metterlo in scena.
Ai bambini insegna il maestro, agli adulti il poeta.
E noi dobbiamo assolutamente dire cose oneste (crhsta; levgein).
Euripide: e tu che vieni con i Licabetti[3] (m. 277) e le altezze del Parnaso[4], mentre bisognerebbe parlare da uomini fravzein ajnqrwpeivwς (1057) non con parole pesanti come montagne!
Eschilo: concetti e pensieri grandi devono partorire parole grandi 1059
Tu invece hai vestito di cenci (rJavkia) i re perché diventassero oggetto di compassione (ejleinoiv).

Invero il travestimento cencioso si trova già in Omero (Odissea IV, 244 ss.) dove Odisseo si trasforma in pezzente e si ferisce anche, per introdursi a Troia, secondo il racconto fatto da Elena.
Euripide scrisse il Telefo con il re di Misia che si traveste da mendicante.


CONTINUA



[1] I malevoli dicono che Euripide ebbe disavventure con un paio di mogli.
[2] Pollh; me; n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" (Ippolito, 1)
[3]m. 277 a N. E di Atene
[4] Sui 2500 m

IPPOLITO di Euripide del 428 Prima scena del prologo.

  La potenza di Cipride Ecco come si presenta Cipride entrando in scena all’inizio dell’ Ippolito : “ Pollh; me;n ejn brotoi'&...