domenica 28 settembre 2014

Twitter, LVI antologia

28 settembre

Chi non è nato retto, come Berlusconi o come Renzi, si lasci  correggere e divenga per lo meno  corretto.

A Gasparri e altri simili a lui: quando un parlamentare parla, non vorrei sentire nulla di rozzo, di insulso, di inurbano. Capite?

Os è la faccia che parla. Vultus è il viso che vede. Rostrum è il grugno che ingozza (rodit). Poi ci sono le facce sfacciate di Renzi e Berlusconi.

Renzi non teme i poteri forti: per forza, sono il suo forte!
Sono la sua forza più vera.

L’aspetto di Gasparri è significativo dei suoi costumi: facies  indicat mores. Così quelli  di Alfano e compagnia non proprio bella

I 90 euro placano, negli abbienti, la paura dell'assalto ai forni del popolo che, affamato, non teme più : nescit plebes ieiuna timere

Siano maledetti gli uomini che onorano Ares, il dio della guerra, il dio disonorato tra gli dei (Sofocle, Edipo re, 215)


 gianni ghiselli

p.s
i contatti  ora sono  181272
il 13 ottobre inizierò il mio corso all’Università Primo Levi di Bologna sugli archetipi della cultura europea.
il 24 ottobre terrò una conferenza sull’ Edipo re di Sofocle e l’Oedipus di Seneca comparati nella libreria Il catalogo di Pesaro

il 30 ottobre terrò una conferenza nella biblioteca Scandellara di Bologna presentando il libro Generazioni di Remo Bodei.

sabato 27 settembre 2014

"Generazioni" di Remo Bodei, parte XV della presentazione

Presentazione del libro di Remo Bodei

Generazioni
Età della vita, età delle cose.  Editori Laterza, Roma-Bari 2014.

III parte Ereditare e restituire capitolo 3 (pp. 90-96)


 “Tale cultura del dono, della circolarità virtuosa e generosa, che contrasta con il carattere lineare, biunivoco del do ut des, sembra ad alcuni essere oggi diventata-al di fuori della famiglia, nella società-l’antidoto a una economia, come la conosciamo, basata sulla crescita indefinita dei bisogni e dei desideri. Quest’ultima tendenza ha origine in ciò che Tocqueville chiama “il materialismo onesto” che spinge gli americani del suo tempo a imbottirsi di beni, come animali impagliati, per placare la tristezza e la paura della morte. Negli Stati Uniti, sostiene non senza malizia, le persone stanno peggio che in Europa, perché nel Vecchio Continente persino i poveri si contentano maggiormente della propria condizione. I cittadini americani, invece, non solo sono preoccupati di quello che non hanno, ma anche di quello che non possono fare in tempo ad avere. La loro esistenza è una continua corsa contro la morte, per cogliere al volo i godimenti, così da non dover giungere alla fine della vita rammaricandosi di non averne usufruito abbastanza” (p. 91).

Sembra  la filosofia o l’antifilosofia  di Trimalchione il quale dà disposizioni al lapidarius  Abinna per il proprio monumento funebre che deve essere l'immagine della sua vita, un'immagine capovolta rispetto a quella del filosofo. Il suo passaggio sulla terra viene riassunto  da una inscriptio satis idonea, iscrizione abbastanza adatta a personaggio:"C. Pompeius Trimalchio Maecenetianus hic requiescit. huic seviratus absenti decretus est. cum posset in omnibus decuriis Romae esse, tamen noluit. pius, fortis, fidelis, ex parvo crevit, sestertium reliquit trecenties, nec umquam philosophum audivit. vale: et tu"( Satyricon,
 71, 12), Paio Pompeo Trimalchione Mecenaziano, qui riposa. Gli fu decretato l'incarico di seviro in sua assenza. Pur potendo essere a Roma in tutte le decurie, non volle. Pio, forte, fedele, venne su dal nulla, lasciò trenta milioni di sesterzi, e non ascoltò mai un filosofo. Stai bene: anche tu.

“Le nostre  società occidentali hanno in seguito abbondantemente assorbito e sviluppato questo genere di “individualismo”, che è difficile da scalzare” (Generazioni, p. 91).
Subito dopo Bodei chiarisce, citando di nuovo Tocqueville, che tale individualismo non coincide con l’egoismo bensì con “un sentimento ponderato e tranquillo, che spinge ogni singolo cittadino ad appartarsi dalla massa dei suoi simili e a tenersi in disparte con la sua famiglia e i suoi amici; cosicché, dopo essersi creato una piccola società per proprio conto, abbandona volentieri la grande società a se stessa”[1].
Negli Stati Uniti, continua lo storico francese, l’individualismo si manifesta, in prima istanza, quale perdita del legame dei singoli con il proprio luogo d’origine e con i tempi lunghi della storia ( …) Di norma non sa neppure dove è sepolto il proprio nonno o da che paese provengano i suoi avi” (Generazioni, p. 92)

Gli abitanti degli Stati Uniti, si sente dire, hanno qualche cosa di infantile.
In effetti da loro non si respira la Storia. “Le strade, le piazze dove camminano li uomini, le donne e i bambini europei hanno preso il nome da statisti, generali, poeti, artisti, compositori, scienziati e filosofi…Le Streets e le Avenues in America sono semplicemente numerate; nei casi migliori, come a Washington, hanno anche un orientamento, visto che il numero è seguito da un North o da un West. Le automobili non hanno il tempo per meditare su una Rue Nerval o su un Largo Copernico. La sovranità del ricordo, questa auto-definizione dell’Europa come lieu de la mémoire, come luogo della memoria, ha però un suo lato oscuro. Le targhe affisse su tante case europee non parlano solo dell’eminenza artistica, letteraria, filosofica e politica. Commemorano anche secoli di massacri e di sofferenze, di odio e di sacrifici umani…L’Europa è il luogo in cui il giardino di Goethe confina con Buchenwald, in cui la casa di Corneille s’affaccia sulla piazza del mercato dove Giovanna d’Arco venne orribilmente messa a morte. Da questo censimento marmoreo, sembra che il numero dei morti superi quello dei vivi…L’America del Nord rifiuta proprio questa rete. La sua ideologia è quella dell’alba e del futuro. Quando Henry Ford ha dichiarato: “La storia è una sciocchezza”, lanciava la parola d’ordine dell’amnesia creativa, inneggiando a quel potere di dimenticare che è necessario all’inseguimento pragmatico dell’utopia”[2].

“La trepidazione incessante e l’inquietudine che induce gli Americani a cambiare continuamente residenza, piani di vita e lavoro, trova un provvisorio sollievo nel successo economico, che li rende segretamente invidiati per effetto dell’unica superiorità dagli altri pienamente riconosciuta” (Generazioni, p. 93).
Viene in mente, di nuovo, il Satyricon, quando Trimalchione  racconta le tappe della sua ascesa: il padrone lo fece coerede con Cesare, per evitare che questo annullasse il testamento e si prendesse tutto. Il liberto ereditò comunque un patrimonio favoloso:"Nemini tamen nihil satis est. Concupivi negotiari. ne multis vos morer, quinque naves aedificavi, oneravi vinum-et tunc erat contra aurum-misi Romam " (76, 3), tuttavia nulla mai basta a nessuno. Mi venne la smania di mercanteggiare. Per non trattenervi con molti particolari, feci costruire cinque navi, le caricai di vino, e allora valeva quanto l'oro, le mandai a Roma.

Poi, grazie al  fiuto di questo gigante dell'intrapresa privata, gli affari andarono bene e crebbero a dismisura,  Questa è la grandezza e la gloria dell'arricchito che vanta  i suoi possessi colossali e sempre in crescita :"deorum beneficio non emo, sed nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem" (48, 2), grazie a dio non compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli  voglio unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre.
  
Bodei trova delle analogie con il tempo recente nel quale non ci rapportiamo “a un passato di tradizioni relativamente salde e ben individuate o a un futuro remoto di aspettative già stabilite” (Generazioni. p. 93). Allora può valere anche per noi quanto ha scritto Tocqueville: “In mezzo a questo continuo fluttuare della sorte, il presente prende corpo, ingigantisce: copre il futuro che si annulla e gli uomini non vogliono pensare che al giorno dopo”[3].
Dopo avere fatto questa citazione, Bodei ricorda “lo slancio verso il futuro” di alcuni versi di Hölderlin: “Amo la stirpe dei secoli venturi. Questa è la mia più beata speranza, la fede che mi mantiene forte e attivo (…) Il più sacro scopo dei miei desideri e della mia attività è quello di suscitare nella nostra epoca i germogli che matureranno nel futuro”[4].

Cito, a proposito, alcuni versi di un poeta ungherese del Novecento , Attila József, il quale si suicidò nel 1937, a 32 anni, dopo una vita di stenti e dolori, eppure non perse mai del tutto la speranza nel futuro:
   Uomini dell’avvenire:
 “Essi saranno la mitezza e la forza,
strapperanno la maschera di ferro del sapere,
 perché sul volto si veda l’anima (hogy az arcán meglássák a lelkét)”.

Bodei si chiede come potrà rinascere la fiducia fra le generazioni.
“Come potranno, genitori e figli, sentire l’orgoglio di restituire più di quanto hanno ricevuto?” (Generazioni, p. 94).
Quindi l’autore cita il De monarchia di Dante “che fa valere il principio secondo cui nella vita non bisogna soltanto prendere, ma anche (e soprattutto) rendere. Pensando forse al suo antico maestro Brunetto Latini, autore del Tesoretto (incompiuto) e del Tresor (in provenzale), egli mostra, nella fattispecie, come la cultura non rappresenti un tesoro privato, una proprietà individuale, che accumulo per me e che nessuno mi può togliere.
Chi tesaurizza unicamente per sé senza restituire è paragonato a una voragine, che assorbe quanto ingoia e non restituisce niente” (p. 95).
Sentiamo il latino di Dante in queste parole del Prologus: “Longe namque ab officio se esse non dubitet qui, publicis documentis imbutus, ad rem publicam aliquid adferre non curat: non enim est lignum quod secus decursus aquarum fructificat in tempore suo, sed potius perniciosa virago semper ingurgitans et numquam ingurgitata refundens”.
Bodei trova in queste parole “una probabile allusione al passo di Geremia (17, 8) in cui, parlando dell’”uomo che confida nel Signore”, si dice che è “come un albero piantato ai bordi dell’acqua,/che tende le sue radici verso la corrente:/egli non teme quando arriva la calura,/il suo fogliame resta verde,/nell’anno della siccità è senza preoccupazione/ e non cessa di portare frutto” (p. 96 nota 23)
Dunque “ci sarebbe bisogno di una giustizia redistributiva allargata, che renda a tutti, materialmente o simbolicamente, parte di quanto ciascuno ha di volta in volta ricevuto o preso da altri (persone reali, come genitori, maestri e amici, oppure personaggi storici o immaginari, interiorizzati o presi come modelli attraverso i libri, il teatro o il cinema o i più recenti media)”[5].         
  Ho dedicato un lungo studio a questo libro per la volontà di imparare molto e di comunicare il mio apprendimento a quanti hanno avuto desiderio di leggermi[6]. I semi di conoscenza che ho tratto da Generazioni diventeranno alberi nel giardino del mio sapere. Questi daranno frutti che distribuirò  a quanti mi leggeranno e ascolteranno.
Lascio chiudere il percorso a Remo Bodei, l’autore cui spetta l’ultima parola.

“Certo, pochissimi-Platone, Dante, Leonardo, Einstein o altre icone della storia umana-sono in qualche misura capaci di restituire più di quanto hanno ricevuto. Ognuno, infatti, apporta immensamente meno allo sviluppo della nostra specie rispetto a quanto gli è stato donato dalla lingua, dalla famiglia, dalla cultura, dalle istituzioni, vale a dire dal contributo di tutte le generazioni precedenti. Eppure, per quanto ambizioso possa apparire l’obiettivo della restituzione (poiché, come individui, non riusciremo mai a ripagare il debito che abbiamo contratto), ciascuno di noi lascia il mondo in condizioni diverse da come lo ha trovato e da come, secondo le sue capacità, avrebbe potuto cambiarlo in meglio” (p. 97).

Giovanni Ghiselli

p. s.
presenterò Generazioni di Remo Bodei il  30 ottobre  alle 18, 30 nella biblioteca Scandellara di Bologna.
Ne parlerò anche nel corso che terrò all’Università Primo Levi di Bologna (dal 13 ottobre)




[1] Tocqueville, La démocratie en Amérique, trad. it. cit., vol II, p. 569. Per la storia di questo concetto si vedano: S. Lukes, Individualism, Basil Blackwell, Oxford 1973; A Laurent, Histoire de l’individualoisme, Pressese Universitaires de France, Paris 1993, trad. it. Storia dell’individualismo, il Mulino, Bologna 1994.
[2] G. Steiner, Una certa idea di Europa,   trad. it. Garzanti, Milano, 2006. p. 37.
[3] Tocqueville, La démocratie en Amérique, trad. it. cit., vil Ii, p. 640
[4] Hölderlin an der Bruder, 4 giugno 1793, in F. Hölderlin, Grosse Stuttgarter Ausgabe,  a cura di F. Beissner, 8 voll., J. G. Cotta, Stuttgart 1943-77, vol. VI, Briefe, sa cura di A. Beck.
[5] Sulla funzione dei modelli reali e immaginari nella formazione della personalità si veda Bodei, Immaginare altre vite cit.
[6] Il mio blog è arrivato oggi (27 settembre 2014) a 181067 contatti

venerdì 26 settembre 2014

"Generazioni" di Remo Bodei, parte XIV della presentazione


Remo Bodei Generazioni Età della vita, età delle cose. Editori Laterza, Roma-Bari 2014.

Terza parte (Ereditare e restituire), secondo capitolo, pp. 85-90


“Le cose materiali, passate attraverso il lavoro umano, sono cariche di simboli immateriali (personali, familiari e sociali) che vengono trasmessi e rielaborati attraverso le generazioni)”. (p. 85)
Di questi oggetti carichi di significati non mancano esempi in letteratura: si può pensare al letto costruito da Ulisse. Per Penelope il segno certo di riconoscimento (shvmat' ajrifradeva) 1 non è, come per Euriclea, la cicatrice2 , ma il loro letto matrimoniale.

“Anche in questo senso, vale la massima espressa da Goethe nel Faust, secondo cui “ciò che hai ereditato dai padri, conquistalo per possederlo”3.
La menzione dei Ricordi di Marco Aurelio con l’indicazione dei primi 17 come “esemplari” mi ha spinto a ricordarne alcuni.

Vediamoli poiché sono belli e molto educativi.
Dalla madre Domizia Lucilla, il figlio diventato imperatore ricorda di avere ricevuto la volontà di astenersi non solo dal commettere cattive azioni ma anche dal pensarle, inoltre la semplicità nel tenore di vita (to; lito;n kata; th;n divaitan) e a tenersi lontano dal modo di vivere dei ricchi (kai; povrrw th̃ς plousiakh̃ς diagwgh̃ς, 3)
Dal precettore, Marco Aurelio ha imparato a non tifare per gli aurighi verdi o per gli azzurri, né per i gladiatori armati di scudi piccoli o grandi, e la resistenza alle fatiche (kai; to; ferevponon) e l’avere bisogno di poco (kai; to; ojligodeevς). Poi la capacità di fare il proprio lavoro, il non immischiarsi nelle faccende altrui e non accogliere le calunnie (5).
Da Sesto di Cheronea, filosofo stoico nipote di Plutarco, il principe ha imparato, tra l’altro, la benevolenza (to; eumenevς), e la concezione del vivere secondo natura (kai; th;n e[nnoian toũ kata; fuvsin zh̃n) e la dignità senza pose (to; semno;n ajplavstwς), l’attenzione nei confronti degli amici non priva di premura (kai; to; stocastiko;n tw̃n fivlwn khdemonikw̃ς) e la tolleranza nei confronti degli incolti e di chi fa supposizioni senza esame. In fondo alla lunga lista c’è to; polumaqe;ς ajnepifavntwς, una vasta cultura senza ostentazione (9).
Il maestro Frontone4 gli ha fatto capire oi{a hJ turannikh; baskaniva kai; poikiliva kai; uJpovkrisiς, qual è l’invidia, la doppiezza e l’ipocrisia del tiranno e come in generale “questi chiamati da noi nobili sono in un certo senso i più anaffettivi” (oiJ kalouvmenoi ou|toi par j hJmĩn eujpatrivdai ajstorgovteroiv pwς eijsiv, 11).
Dal consuocero Severo, Marco Aurelio ha imparato ad amare la famiglia, la verità e la giustizia (to; filovkeion kai; filavlhqeς kai; filodivkaion)
Questo maestro gli ha fatto conoscere gli oppositori dei tiranni, quasi tutti martiri per la libertà: Trasea Peto, Elvidio Prisco, Catone l’Uticense, Dione di Siracusa e Bruto. Quindi l’imperatore ha concepito l’idea di un governo democratico, retto con il criterio della uguaglianza e della libertà di parola e ha pensato a un regno che rispettasse sopra tutto la libertà dei sudditi (kai; basileivaς timwvshς pavntwn malvista th;n ejleuqerivan tw̃n ajrcomevnwn, 14).
Dal filosofo stoico Claudio Massimo, l’imperatore ha imparato, tra l’altro, to; krateĩ̃n eJautoũ , il dominio di se stesso, la serenità (to; eu[qumon) in tutte le circostanze e specialmente nelle malattie, un buon equilibrio di dolcezza e maestà nel carattere, il non stupirsi né turbarsi (to; ajqauvmaston kai; ajnevkplhkton), e il dare l’idea di un uomo piuttosto retto che corretto (kai; to; ajdiastrovfou mãllon h} diorqoumevnou fantasivan parevcein, 15)
Dal padre adottivo Antonino Pio, il figlio ha imparato (16) la mitezza e la perseveranza piva di fluttuazioni (to; h{meron kai; menetiko;n ajsaleuvtwς), la mancanza di vanagloria nei confronti di quelli che sono considerati onori, l’amore per il lavoro e la perseveranza; la disponibilità ad ascoltare (to; ajkoustikovn) chi può contribuire al bene comune e il desiderio di distribuire a ciascuno imparzialmente secondo il merito (kat j ajxivan), quindi la proibizione della pederastia, il bastare a se stesso in ogni occasione e la serenità (kai; to; au[tarkeς ejn panti; kai; to; faidrovn), l’insofferenza delle acclamazioni e di ogni specie di adulazione rivolta alla sua persona, la tolleranza delle critiche sulla sua amministrazione, l’assenza di superstizione nei confronti degli dèi, del desiderio del favore popolare e il rifiuto di atteggiamenti ossequiosi o adulatori nei confronti della folla, e invece la presenza della sobrietà in tutto e della fermezza ( ajlla; nh̃fon ejn pãsi kai; bevbaion) e in nessun caso mancanza di gusto e smania di innovazioni (kai; mhdamoũ ajpeirovkalon mhde; kainovtomon).
E poi: il sapersi servire senza superbia ma anche senza scuse dei beni che rendono più comoda la vita e di cui la fortuna sia stata generosa, in modo da trattarli senza affettazione quando ci sono, e non sentirne la mancanza quando non ci sono (w[ste ajpovntwn de; mh; deĩsqai). Da Antonino Pio inoltre Marco Aurelio ha preso l’affabilità (e[ti de; to; eujovmilon) e la cortesia non stucchevole ( kai; eu[cari oij katakovrwς). Poi gli è stata esemplare la giusta cura che il padre adottivo si prendeva del corpo senza essere uno che ricorre alla cosmesi e nemmeno si trascura, ma si comporta con attenzione nei propri confronti in modo da avere bisogno il meno possibile bisogno della medicina, o di farmaci e impiastri. Poi Antonino Pio gli ha insegnato a cedere il passo senza invidia agli specializzati nell’oratoria o nella conoscenza delle leggi o in altri campi, e ad aiutarli perché ognuno avesse il riconoscimento adeguato ai suoi pregi. Inoltre la fermezza priva di agitazione, la resistenza al male: dopo dei culmini di mal di testa, Antonino Pio tornava subito e vigorosamente alle occupazioni abituali; poi gli ha insegnato a non avere molti segreti (polla; ta; ajporrhta5), anzi pochissimi e limitati agli affari di Stato, inoltre la prudenza e la moderazione nel concedere spettacoli e nell’intraprendere opere pubbliche e nelle elargizioni. Le sue decisioni venivano prese con ponderazione, con il beneficio del tempo, senza confusione né disordine, con forza e coerenza (16)
Infine i doni ricevuti dagli dèi (17).
“Dagli dèi avere avuto buoni nonni, buoni genitori, una buona sorella, buoni maestri, buoni compagni, parenti, amici, più o meno tutti, e non essere scaduto a comportarmi male con nessuno di loro, nonostante il mio carattere per cui avrei potuto farlo”.
Credo davvero che dovremmo essere riconoscenti al nostro gevnoς per le qualità mentali e fisiche che ci ha trasmesso. C’è stata una tendenza a sottovalutare l’ereditarietà, eppure una parte non piccola del nostro percorso, delle nostre scelte è predisposta fin dalla nascita. Se non ci viene dai genitori la parte innata, verrà dai nonni, o dai bisnonni, o dagli zii o dai prozii. Poi di sicuro conta molto l’educazione che riceviamo, gli ambienti che frequentiamo e le esperienze che facciamo, ma anche queste le cerchiamo in base al carattere, il daivmwn che abbiamo fin dalla nascita, o per averlo ereditato o per averlo scelto, come si legge nel mito di Er della Repubblica di Platone. Certo è che tra tutti gli impulsi ereditati dai “maggior nostri” dobbiamo fare una scelta.
Quindi Marco Aurelio ricorda un altro aspetto della buona educazione ricevuta dal padre adottivo che gli ha insegnato a vivere senza lussi e apparati, ma quasi come un privato cittadino, pur senza perdere la dignità e trascurare i doveri che spettano a un sovrano. Quindi la gratitudine verso il fratello adottivo Lucio Vero con il quale condivise il potere per alcuni anni6. Poi la nascita di figlioli non incapaci né storpi. Per questo buon risultato andrebbe ringraziata anche la madre dei figli ben riusciti. Comodo del resto non ha avuto questa reputazione. Marco Aurelio considera una grazia del cielo anche il non avere fatto progressi maggiori nella retorica, nella poesia e negli altri studi nei quali forse si sarebbe fermato se si fosse accorto di progredire con facilità. Comunque il principe è contento di avere manifestato riconoscenza ai suoi educatori prevenendo i loro desideri con l’elevarli alle cariche.
In effetti è molto grande anche l’influenza della scuola sul nostro sviluppo e gli educatori bravi ci hanno fatto da altri padri e da altre madri e ci hanno lasciato eredità cospicue.
Gli dèi hanno influito direttamente su Marco Aurelio perché vivesse kata; fuvsin, secondo natura, che poi per l’uomo equivale a vivere secondo ragione, e se lui non ci è sempre riuscito, la colpa (aijtiva) è soltanto sua.
Altro motivo di gratitudine è il fisico ricevuto, un sw̃ma capace di tenere duro (ajntisceĩn) in una vita così piena di carichi. Inoltre è contento di non essere soggiaciuto alla passione amorosa e insomma non avere fatto niente di serio di cui doversi pentire.
L’imperatore è grato agli dèi anche perché gli hanno dato la possibilità di vivere con la madre gli ultimi anni di lei, morta purtroppo giovane. Poi per avere potuto aiutare i bisognosi senza che nessuno lo biasimasse, e per non essere stato bisognoso lui stesso
Finalmente compare la moglie Faustina con il suo essere docile (to; ei\nai peiqhvnion7) affezionata (filovstorgon) semplice (ajfelh̃).
Poi i rimedi per la salute suggeriti dai sogni.
E’ stato un bene anche non avere avuto per maestro un sofista e non avere intrapreso studi inutili e non congeniali alla sua natura (analisi di opere letterarie, sillogismi, interpretazione di fenomeni celesti).
La conclusione di questo ringraziamento sul quale mi sono soffermato per gratitudine verso questo mio antico maestro è “pavnta ga;r taũta qew̃n bohqw̃n kai; tuvchς deĩtai” , tutti questi beni sono dovuti agli aiuti degli dèi e alla fortuna.

Ma torniamo a Generazioni.
Le cose ereditate dagli antenati possono aggiungere significati alla nostra vita o per lo meno chiarirli.
Gli spostamenti delle famiglie o degli individui da una città a un’altra, o magari perfino da un continente a un altro, può offuscare “il senso di appartenenza alle proprie origini” (p. 86). Un fatto che indebolisce la coscienza di sé.
“Cambia allora anche la percezione qualitativa del tempo: ci si sottrae alle “memorie di pietra” della casa in cui gli antenati o i genitori hanno trascorso la loro esistenza (…) e si finisce per ammettere, mentalmente ed emotivamente, che qualche altro possa occupare quei luoghi che eravamo abituati a ritenere nostri” (p. 86).
Nell'Eracle di Euripide (vv.337-338), Megara minacciata di morte con i figli dal tiranno Lico ordina ai bambini di seguirla :"patrw'/on ej" mevlaqron, ou| th'" oujsiva"- a[lloi kratou'si, to; d j o[nom j e[sq& hJmw'n e[ti", nella casa paterna della quale altri hanno la proprietà, ma il nome è ancora nostro.
Può succedere che andando nel paese dove sono sepolti i nostri avi troviamo tracce del loro passaggio in quella terra dalla quale noi magari viviamo lontani. Quando si tratta di un edificio o di terre che, passati ad altri, conservano ancora il nostro nome, sentiamo che quelle mura e quelle zolle hanno qualche cosa di sacro per noi. Come le tombe dove giacciono i nostri antenati.
E anche se sono palazzi o case in rovina, ai nostri occhi quelle rovine rimangono vive poiché portano impresso il ricordo della gente cui apparteniamo.
Anche materialmente, le cose tramandate, rifulgono della gloria dei materiali forniti dalla natura e lavorati dagli uomini” (p. 87)
“Vi è una sorta di translatio imperii che fa sì che i beni trasmessi per via ereditaria circolino e che-a causa della loro natura inorganica-la loro esistenza continui anche dopo la morte di chi li possedeva. Attraverso i testamenti essi diventano un possesso di cui, nel corso delle generazioni, si può godere a turno8” (p. 88).
La natura inorganica di queste cose consente loro una vita più lunga della nostra individuale, eppure le impronte che esse conservano delle vite che hanno preceduto e consentito la nostra, rendono in qualche modo più lungo il tempo pur troppo breve della nostra vita organica.
Una sentenza di Seneca ci consola della brevità della vita confutandone la verità, o per lo meno relativizzandola: “vita, si uti scias, longa est9, la vita, se sai farne uso, è lunga. Ebbene, un modo di allungare la nostra vita è conoscerne i significati e questi si trovano anche nel tempo che l’ha preceduta: quello della nostra famiglia, della nostra nazione e dell’intera umanità. Le cose antiche, se pure non parlano, significano.
“Spesso, tuttavia, queste cose si disperdono e finiscono-per le necessità economiche o per il disinteresse di chi li ha ricevuti-nei negozi degli antiquari, nelle bancherelle dei rigattieri, nelle soffitte, nelle cantine o nella spazzatura. Diventano oggetti desueti, abbandonati o trascurati dai loro proprietari, venduti a ignari compratori o semplicemente dimenticati da quasi tutti. A qualcuno però piacciono così: “Bellezza riposata dei solai/dove il rifiuto secolare dorme! (…) Tra i materassi logori e le ceste/ v’erano stampe di persone egregie; (…) topaie, materassi, vasellame/lucerne, ceste, mobili, ciarpame//reietto (…)”10. Nelle cose che si tramandano vi è però una translatio imperii anche politica, come, ad esempio, nei piatti di porcellana della prima fase del dominio sovietico, i quali, accanto al marchio della fabbrica imperiale di Nicola II, portano in aggiunta la falce e martello11. O come nei francobolli di certi Stati o regimi soppressi, che vengono utilizzati fino all’esaurimento grazie a timbri sovrapposti dai vincitori (si vedano gli esemplari dello Stato Pontificio che circolano anche dopo la sua annessione al Regno di Sardegna nel 1859)” (p. 89).
Le cose dunque possono svolgere una funzione simile a quella dei palinsesti.
Con il testamento noi lasciamo in eredità ai parenti che ci sopravvivono quanto abbiamo ricevuto da quelli morti prima di noi, magari con l’aggiunta di altri beni o con la sottrazione di eventuali perdite.
La trasmissione dei beni conservati o accresciuti è “di fatto obbligatoria” e rappresenta “un risarcimento differito per quanto si è ricevuto dagli antenati” (p. 89)
“La solidarietà familiare instaura allora quel circolo virtuoso del dono, che-nella simbologia antica, ad esempio nel De beneficiis di Seneca- è raffigurato dalle Grazie o Cariti, espressione della charis, della “grazia”, non tanto nel senso della bellezza, quanto, soprattutto, in quello della gratuità. Le Grazie, tre giovani fanciulle che danzano in tondo tenendosi per mano, rappresentano il beneficio (il dare, il ricevere, il restituire) che, passando di mano in mano, ritorna accresciuto a chi lo ha inizialmente concesso12
Cavriς significa “grazia” e anche “gratitudine”. L’ingratitudine è una grave forma di u{briς per i Greci
L'ingratitudine è biasimata come vizio capitale da Penelope saggia ( "perivfrwn") quando rimprovera gli Itacesi dicendo all'araldo:"ajll j oJ me;n uJmevtero" qumo;" kai; ajeikeva e[rga--faivnetai, oudev tiv" ejsti cavri" metovpisq j eujergevwn"( Odissea , IV, 694-695), il vostro animo appare evidente e indegne le vostre azioni, e non c'è più gratitudine alcuna in seguito ai benefici.
Nei Memorabili Socrate fa notare al figlio Lamprocle che particolarmente grave è considerata ad Atene l'ingratitudine verso i genitori, e per questa mancanza di riconoscenza sono previste delle pene, mentre negli altri casi, la città si limita a disprezzare coloro i quali ricevendo del bene non mostrano gratitudine:"periora'/ tou;" eu\ peponqovta" cavrin oujk ajpodovnta""(II, 2, 13).
Nella Ciropedia di Senofonte leggiamo che un motivo serio di punizione e disonore è l'ingratitudine (ajcaristiva):"kai; o}n aj;n gnw'si dunavmenon me;n cavrin ajpodidovnai, mh; ajpodidovnta dev, kolavzousi kai; tou'ton ijscurw'". Oi[ontai ga;r tou;" ajcarivstou" kai; peri; qeou;" aj;n mavlista ajmelw'" e[cein kai; peri; goneva" kai; patrivda kai; fivlou""(I, 2, 7), e quello di cui sanno che potendo contraccambiare un favore, non lo contraccambia, lo puniscono severamente. Credono infatti che gli ingrati trascurino completamente gli dei, i genitori, la patria e gli amici. "Come cosa caratteristica dei Persiani-osserva Jaeger- Senofonte rileva che l'ingratitudine è severamente punita in questo tribunale, in quanto essa appare come origine dell'impudenza e pertanto di ogni malvagità"13.

Bodei quindi ricorda la presenza delle Grazie nelle arti figurative: “La loro figura è stata esaltata nella poesia di Foscolo, nella scultura di Canova e nella pittura di Raffaello, Cranach il Vecchio e Rubens, dove però prevale il solo elemento della bellezza” (p. 90)

Giovanni Ghiselli

p. s.
presenterò Generazioni di Remo Bodei il 30 ottobre alle 18, 30 nella biblioteca Scandellara di Bologna.
Ne parlerò anche nel corso che terrò all’Università Primo Levi di Bologna (dal 13 ottobre)

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1 nu'n d j, ejpei; h[dh shvmat' ajrifradeva katevlexa~-eujnh'~ hJmetevrh~peivqei~ dhv meu qumovn, Odissea , XXIII, 225-226, “ma ora poiché mi hai detto il segno chiaro del letto nostro…tu convinci il mio cuore”, dice Penelope a Odisseo dopo la diffidenza iniziale.
2 aujtivka d j e[gnw-oujlhnv (Odissea, XIV, 392-393), subito riconobbe la cicatrice (Euriclea mentre lavava Odisseo). Poi Omero ne racconta la genesi con decine e decine di versi (Odissea, XIV, 393-4679) e con un notevole “ritardare” che diverrà tipico della poesia epica (cfr. Auerbach, Mimesis, La cicatrice di Ulisse, trad it. Einaudi, Torino 1956, pp. 3-29
3 J. W. Von Goethe, Faust, Atto I, scena I, vv. 683-684: “Was du erebt von deinen Vätern hast,/Erwirb es, um es zu besitzen”. Si tratta di un distico ripreso, in particolare, da Droysen e da Freud. Esemplari, per l’elencazione dei debiti di riconoscenza verso chi ha trasmesso dei beni in forma di insegnamenti e modelli, sono le parole di Marco Aurelio in A se stesso (Ricordi), I, 1, 1-17.
4 Visse all’incirca tra il 100 e il 170 d. C. Rappresentante della tendenza arcaista gli venne affidata da Antonino Pio l’educazione di Lucio Vero e Marco Aurelio cui indirizzò Epistulae e il De feriis Alsiensibus, un invito al meritato riposo ad Alsio, una cittadina dell’Etruria vicina al lago di Bracciano. Fu un cultore della parola e si addolorò quando Marco Aurelio si volse alla filosofia.
5 Si pensi agli arcana imperii e domus indagati da Tacito.
6 Dal 161 al 169, anno della sua morte
7 Questo aggettivo invero fa pensare al cavallo che obbedisce (peivqetai) alle briglie (hJnivaiς)
8 Cfr. R. Bodei, La vita delle cose, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 27.
9 De brevitste vitae, 2
10 G. Gozzano, La signorina Felicita, in Id. Poesie e prose, a cura di L. Lendini, Feltrinelli, Milano 1995, vv. 134-135, 157-158, 154-156, pp. 125-126, e cfr. F. Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura. Rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Einaudi, Torino 1993, p. 347.
11 Cfr. N. MacGregor, A History of the World in 100 Objects, BBC Radio 4, London 2008, trad. It. La storia del mondo in 100 oggetti, Adelphi, Milano 2012, pp. 631-635.
12 Cfr. anche R. Milani, I volti della grazia, il Mulino, Bologna 2009, p. 104: Esse “hanno un’aria felice, osserva (Seneca), come succede a chi dà o riceve un beneficio; sono giovani, perché il ricordo dei benefici non deve invecchiare (quia non debet beneficiorum memoria senescere); sono vergini, perché i benefici sono puri, spontanei e sacri per tutti. Per questa ragione indossano vesti senza cintura e trasparenti, perché i benefici vogliono essere visti (quia beneficia conspici volunt)”.

13Jaeger, Paideia, , p. 285.

martedì 23 settembre 2014

Twitter, LV antologia

L’articolo 18 e altro


Molti  parlamentari avvelenati dal potere hanno le tracce di cento maschere sul viso, il fetore  della corruzione nel fiato e il sapore della menzogna nella bocca. Dicono che per proteggere tutti bisogna togliere la protezione a chi intanto  ce l’ha.

La flessibilità può essere non opporsi alla corrente della vita inalberandosi tra convulsioni paurose. Questa va bene.
Ma quella raccomandata dal potere, cara ai padroni, è facoltà di licenziare quando ne hanno voglia loro.
Questa mi spinge a scrivere contro.

Gli accigliati fustigatori della vita operaia guidati da Renzi, Sacconi e Brunetta sono nemici anche della vita nostra e perfino della propria.

Saper parlare e scrivere distingue i civili e gli inciviliti dai selvaggi e dagli ignoranti  dei covi politici

I cafoni credono che il successo sia rappresentato da spese faraoniche e dall’uso di donne, di alberghi, di pesci e ristoranti di lusso.

Il contenzioso sull’articolo 18 rende equivoco il PD e il governo: li fa stare in piedi ma non li tiene su. Una equivocazione che farà cadere Renzi.

Lo strazio del contenzioso sull’articolo 18 è allegoria della guerra tra i servi del capitalismo sregolato e quelli di sinistra che vorrebbero salvare almeno la dignità lavorativa dei lavoratori e la propria faccia.

E’ qui sulla terra che diventa infernale la vita con il capitalismo, soprattutto con questo privo di opposizione

I bombardamenti umanitari ammazzano uomini, donne e bambini. Se sbagliano il bersaglio, ammazzano solo donne e bambini. Questi lanci di bombe non sono umanitari, sono sbagliati. Del resto errare è umano. Ma loro perseverano e c’è chi li approva. Io li maledico da sempre, e non mi sento solo, e non lo sono.

giovanni ghiselli

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venerdì 19 settembre 2014

Tutto su Renzi

Renzi è come Sisifo: mirare al potere significa spingere su per l'erta di un monte un macigno che poi rotola giù dalla vetta e spesso  schiaccia l’uomo stremato dall’angosciosa fatica .

Condivido con Renzi il duro desiderio di durare. Ma siamo in campi del tutto diversi. Io in quello della bellezza, dell'arte, dell'amore.

Oggi, 19 settembre 2014, però mi schiero con Renzi (Matteo): le colpe dei padri, se ci sono,  non ricadono sui figli. Con buona pace dei grandi tragici antichi e dei piccoli buffoni di oggi.

giovanni ghiselli

P. S

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lunedì prossimo, 22 settembre alle 18, 30, terrò una conferenza nella libreria Il catalogo di Pesaro sui Remedia amoris (Lucrezio, Ovidio e altri autori latini)
Dal 13 ottobre terrò un corso nell’Università Primo Levi di Bologna sulla persistenza dei classici

giovedì 18 settembre 2014

Twitter, LIV antologia



Pensieri a me stesso e ai miei 179115 lettori

la guerra auspicata da criminali e imbecilli dovrebbe essere reputata da noi umani un tabù non meno grave dell’incesto. Le guerre sono matribus detestata (Orazio) eppure amate, o per lo meno giustificate dalla Pinotti. Lavati la coscienza e rifatti un’etica con i classici, ministra!

Gli uomini buoni dovrebbero godere di due giovinezze se gli dèi fossero giusti (Euripide, Eracle). Lo sono. Di fatto avviene. Guardate me, quasi 70enne in bicicletta.
Ritwittato dal mio ex studente del liceo Galvani di Bologna Andrea Carini.

E' ridicola la ripetizione del rito dello scrutinio finale nell’esame di maturità. Gli Italiani riterranno sempre più risibile la scuola con i suoi docenti.

Quelli che vorranno eccellere, dovranno trovare buone scuole, con bravi insegnanti, con l'insegnamento "aristocratico" del greco e del latino. Una scuola seria, "aristocratica", deve del resto essere aperta a tutti, e ogni giovane dovrebbe esserne invogliato. Io faccio propaganda ai classici.

 Marco Aurelio ha scritto di essere grato alla madre che gli ha insegnato frugalità di vita e lontananza dal modo di vivere dei ricchi (Ricordi, A se stesso)
Lo stesso imperatore da Frontone ha appreso che i cosiddetti patrizi (eupatrìdai) sono i personaggi meno capaci di affetti
Questo princeps  ha imparato dal precettore a non tifare per gli aurighi verdi o azzurri, né per i gladiatori con vari scudi. I gusti dell’eterna plebe .
Da Antonino Pio, Marco Aurelio ha preso la cortesia non stucchevole. Fa parte del buon gusto del popolo e dell'aristocrazia, aborrito dalla plebe e dalla sesquiplebe (cfr. Vittorio Alfieri)

L'ingratitudine dell'eterno plebeo stupra le Grazie-Cariti: tre ragazze eternamente giovani quia non debet beneficiorum memoria senescere

L' ingrato è una perniciosa vorago, una voragine mortale, semper ingurgitans et numquam ingurgitata refundens (Dante, De monarchia).

giovanni ghiselli
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La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...