venerdì 31 luglio 2015

Ifigenia taurica Tragedia di Euripide, del 414 o 413 a.C.

lezione del 3 gennaio 2014
La scena è collocata in terra barbara, nella regione dei monti Tauri, presso il tempio di Artemide decorato da teschi e ossa umane. Ifigenia ne è la sacerdotessa.
Erodoto IV 103 riferisce che i Tauri onoravano una dea cui offrivano sacrifici umani.
La prima parte racconta il riconoscimento tra i fratelli, la seconda la beffa ai danni di Toante, re del Ponto.

Prologo 1-122g
Ifigenia si presenta, poi racconta un suo sogno.
Figlia di Agamennone e Clitennestra, nipote di Atreo, bisnipote di Pelope figlio di Tantalo.  Figlia qugavthr, daughter, Tochter.
 Racconta che fu convocata in Aulide con gli inganni di Odisseo (24) che la strapparono alla madre mhtro;~ pareivlont j (25) per le nozze di Achille. paraijrevw-prendo, scelgo ai[resi~ scelta, eresia. ajfaivresi~, sottrazione di una lettera all’inizio della parola, aferesi.

 Nozze mentite. Invece, arrivata in Aulide, sollevata in alto (metarsiva lhfqei`s-lambavnw-sullabhv , sillaba ciò che è preso insieme, lh`mma, lemma, argomento, sommario)
sulla pira,  venni uccisa con la spada (ejkainovmhn xivfei, 27)`.-kaivnw, “uccido”
Ma Artemide mi sottrasse e[lafon ajntidou`sa , dando in cambio una cerva, e mi collocò in questa terra dei Tauri dove regna su barbari il barbaro Toante che pone il piede veloce come ala e giunse a questo nome podwkeiva~ cavrin (33) per la velocità dei piedi. pouv~ e wjkuv~
qevw=corro; qoov~  =veloce (cfr. bohvqeia, soccorso-boavw, grido).

La ragazza deve consacrare le vittime alla dea secondo le norme della festa (novmoisi eJorth`~, 36|) di cui soltanto il nome è bello ( tou[nom j h|~ kalo;n movnon, 36). Ifigenia si limita a dare inizio al rito consacrando le vittime, sfavgia d j a[lloisin mevlei (ajmevleia, trascuratezza neglegentia,   sprezzatura.  40), “lo sgozzamento compete ad altri”).

Il sogno di Ifigenia
Ora- continua la ragazza- voglio narrare al cielo le visioni strane (kaina; favsmata, 42) portate dalla notte. Sognai di essere ad Argo e mi parve in sogno e[dox j ejn u{pnw/ che la schiena della terra venisse scossa da un ondeggiamento (cqono;~ de; nw`ta seisqh`nai savlw/ , seivw-seismov~, sisma, sismografo 46).
Io fuggivo e da fuori vedevo cadere qrigko;n dovmwn (47-48) il fregio del palazzo e il tetto (stevgo~ e tevgo~ -tego, tectum, toga, tedesco Dach)  franare
Rimaneva in piedi movno~ stu`lo~-stilobate è il blocco che costituisce il basamento della colonna- soltanto una colonna e mi sembrava che dal capitello scendessero bionde chiome (ejk d j ejpikravnwn kovma~-xanqa;~ kaqei`nai (kaqivhmi, infinito aoristo) 52) poi prendesse voce umana.
Ifigenia allora lo aspergeva d’acqua per il sacrificio e piangeva.
La colonna secondo l’interpretazione di Ifigenia  (sumbavllw tovde, 55 cfr. suvmbolon): Oreste è morto: “stu`loi ga;r oi[kewn pai`dev~-pedagogia- eijsin a[rsene~ (59, poiché i figli maschi sono i pilastri della casa).
Quindi la sorella offrirà libagioni al fratello.
 
Rientra nel tempio Ifigenia.
 Oreste e Pilade entrano in scena.
I due si guardano intorno nel tempio e vedono segni di sacrifici.
I fregi sono biondi di sangue (75). Si vedono anche le primizie degli stranieri uccisi, le loro teste (ajkroqivniaa[kro~, il più elevato-qiv~, mucchio).  
Acrobata (che cammina sulle punte, acrocoro, altopiano tra catene montuose.

Oreste si rivolge a Febo che lo ha spinto in una nuova rete (ej~ a[rkun h[gage~, 79). Dopo che ebbe vendicato il padre, Oreste domandò come potesse giungere al termine trochlavtou maniva~ (84-85) della turbinosa follia.  Portata da ruota-trocov~ (oJ) –trevcw-dramou`mai, corro.
Apollo rispose che Oreste doveva portare ad Atene la statua di Artemide che dal cielo era caduta in quel tempio. Ora Oreste è giunto in quella terra ignota, inospitale.
Oreste poi domanda a Pilade che cosa pensi che si debba fare.
Pilade esclude la fuga. Tolmhtevon  (111), bisogna osare. Propone di entrare nel tempio di notte, passando per i vuoti compresi fra i triglifi. Così potranno trafugare l’idolo e fuggire. Oreste viene convinto tolmhtevon ( tolmavw, oso e tollero- lat. tollo, elatus elevato-poluvtla~ che molto sopporta 121),   

Parodo commatica 123-235.
Il coro è formato da schiave greche.
Ifigenia chiede il raccoglimento religioso -eujfamei`t j agli abitanti del luogo che abitano le due rupi cozzanti dell’inospite mare ( povntou dissa;~ sugcwrouvsa~-pevtra~ ajxeivnou naivonte~), le Simplegadi  126-128).-eujfhmiva è il religioso silenzio, la parola di buon augurio.
Il Coro ha lasciato le torri dell’Ellade dai bei cavalli e le mura, e l’Europa dai giardini bene alberati ( covrtwn t j eujdevndrwn, 134).
 L’Europa significa ordine
Ifigenia lamenta il fatto di giacere in lamenti dal lamento difficile, in elegie senza lira di un canto disarmonico (147), in domestici lutti.
Oreste è morto e lei, la sorella è perduta (ojlovman, 153)
La ragazza vuole versare in onore del fratello gaiva~ ejn nwvtoi~ (sul dorso della terra) e nel cratere dei morti fiotti di montane giovenche, libagioni vinose di Bacco, e la fatica delle bionde api (165) che sono di sollievo ai defunti.
Ifigenia non può portare la sua chioma bionda (xanqa;n caivtan, 174) sulla tomba del fratello che è troppo lontana.
Il Coro canta che la pena si lancia dalla pena  ( movcqo~ d j ejk movcqwn ai[ssei, 191). Dolore su dolore a causa dell’agnello d’oro, sangue su sangue, male su male. L’agnello simbolo del potere rubato da Tieste ad Atreo con la complicità della cognata Aerope
La ragazza ricorda che la condussero in Aulide nuvmfan oi[moi duvsnumfon (216)  sposa sposata male.
Latino nubo, mi marito, nubilis, sposabile,   it nubile.
 Ora abito case inamene  (duscovrtou~ oi[kou~ naivw, 219, covrto~, erba lat hortus,  case senza nozze senza figli senza città senza amici-a[gamo~ a[tekno~-a[poli~-a[filo~ (220) io che ero stata corteggiata dagli Elleni.
Cfr. Antigone di Sofocle
Adesso non canto per Era e non ricamo (oujd j poikivllous  j, 224) con la spola la figura di Atena sui garruli telai, ma irroro gli altari di sangue.
Le viene in mente ancora il fratello Oreste che crede morto.

 Primo episodio 236-391
Il Coro annuncia l’arrivo del bovaro che ha lasciato la spiaggia,
Il bouforbov~ (fevrbw, “allevo”) o boukovlo~  (pevlomai, mi trovo,  lat colo, curo) dice che sono approdati due giovani sfuggiti alle fosche Simplegadi. Potranno essere due vittime da sacrificare.
I mandriani li hanno catturati sul mare dove erano andati a lavare le vacche. Il boukovlo~  sa che uno si chiama Pilade.
Il bovaro poi racconta come i due stranieri sono stati catturati.
Uno di loro li scambiò per  dei demoni, forse uno dei due era Melicerte- Palemone, figlio di Ino-Leucotea. E’ il mito di Atamante

Ino, figlia di Cadmo e Armonia, era la seconda moglie di Atamante  dal quale ebbe due figli. La donna suscitò l’odio di Era poiché aveva allevato Dioniso, figlio di sua sorella Semele e di Zeus. La gelosissima consorte del re degli dèi spinse Atamante[1]
 a uccidere il figlio Learco, e  Ino a gettarsi nel mare, con l’altro figlio Melicerte in braccio. Quindi ella venne trasformata in una Nereide dal nome di Leucotea (cfr. Odissea, V, 333-335)  mentre il bambino divenne il piccolo dio Palemone. Dante ricorda questa versione del mito deducendola  (p. 358) dalle Metamorfosi di Ovidio ( IV, 512-542): “Nel tempo che Iunone era crucciata/per Semelè contra ‘l sangue tebano,/come mostrò una e altra[2] fiata,/Atamante divenne tanto insano,/che veggendo la moglie con due figli/andar carcata da ciascuna mano,/gridò: ‘Tendiam le reti, sì ch’io pigli/la leonessa e’ leoncini al varco’ ; /e poi distese i dispietati artigli,/prendendo l’un ch’avea nome Learco,/e rotollo e percosselo ad un sasso;/e quella s’annegò con l’altro carco”. (Inferno, 30, 1-12).
 
Un bovaro pio prega i due giovani che potrebbero essere anche i Dioscuri o dei nipoti di Nereo, il padre delle Nereidi.
Poi però  interviene un altro mavtaio~ (v. 275) insensato (mavth, follia, sciocchezza, cosa vana, mavthn, invano ), ajnomiva/ qrasuv~ , tracotante nella sua empietà.
Costui irrise alle preghiere ejgevlasen eujcai`~ (276) e disse che quei due erano marinai naufraghi seduti nel dirupo per paura della legge, sapendo che gli stranieri li offriamo in sacrificio. I più lo approvarono.
Quindi c’è una battaglia feroce tra i due Greci e i bovari indigeni.

Oreste a un certo punto impazzisce e vede le Erinni.
Ammazza dei vitelli credendo di colpire le sue persecutrici. (Cfr. l’Aiace di Sofocle).  Tanto che la distesa del mare metteva fiori di sangue (300). Allora ciascuno si armava kovclou~ fusw`n (v.303,  lat. cochlĕa, chiocciola, lumaca; fu`sa, soffio, lat pustula, bolla) soffiando nelle conchiglie per chiamare a raccolta (303). I due soccombono, ma prima Oreste torna in sé e dice: “Pulavdh, qanouvmeq j, ajll o{pw~ qanouvmeqa-kavllisq  j (321-322), moriremo Pilade, ma che si muoia  nella bellezza.
 Cfr. Aiace e Polissena dell’Ecuba
“Sfodera la spada e seguimi”. I due si battono come leoni, ma la folla dei bovari con le pietre strapparono loro le spade dalle mani.
Portati dal re Toante, vengono inviati a Ifigenia.
La ragazza parlando al Coro ricorda che in passato il suo cuore era mite sintonizzando il pianto sulla comune origine greca, ma ora, dice, sono stata inasprita da quei sogni (hjgriwvmeqa, 348- a[grio~ selvatico, ager, agricola, peregrinus, straniero).
E’ proprio vero che oiJ dustucei`~  i disgraziati che per conto loro se la passano male (aujtoi; kakw`~ pravxante~)  non sono benevoli (ouj fronou`sin eu\) verso i più disgraziati (toi`si dustucestevroi~, 351-352).
 Cfr. i polli di Renzo cercal.
Peccato aggiunge Ifigenia che non siano approdati in questa terra Elena e Menelao sui quali mi sarei vendicata dando l’Aulide di qui in cambio di quella di là (358).
I Greci mi scannarono w{ste movscon (v. 350) come una giovenca e il sacerdote del rito immondo era mio padre oJ gennhvsa~ pathvr (gennavw, gevno~,  gens, genus,  genitore, generoso 360).
l Kouros cosiddetto "Moscoforo" (= "portatore di vitello"), è una statua del 560 ca a.C., in marmo, alta 162 cm., conservata nel Museo dell’Acropoli, ad Atene.

Provai a implorare mio padre dicendogli numfeuvomai-numfeuvmat j aijscrav (364-365), mi sposo in nozze atroci, e Achille in verità è Ade, lo sposo che mi hai proposto con l’inganno in sanguinose nozze.

Io biasimo i trucchi della dea qeou` de; mevmfomai sofivsmata (380). Mw`mo~ è il dio del biasimo.

Cfr. Leopardi La scommessa di Prometeo
nell’Operetta morale La scommessa di Prometeo[3] gli uomini usano il fuoco per uccidersi e uccidere, e Momo, il vincitore della scommessa, domanda al Titano: “Avresti tu pensato, quando rubavi con tuo grandissimo pericolo il fuoco dal cielo per comunicarlo agli uomini, che questi se ne prevarrebbero, quali per cuocersi l’un l’altro nelle pignatte, quali per abbruciarsi spontaneamente?”.

Ifigenia continua a criticare l’uso dei sacrifici umani.
Se qualcuno dei mortali tocca con le mani del sangue o anche un parto (loceiva~) o un morto, la dea lo tiene lontano dagli altari, ritenendolo contaminato (musarovn, 383), aujth; de; qusivai~ h{detai brotoktovnoi~  ma lei gode dei sacrifici che uccidono gli uomini (384).
Non è possibile che Leto, la compagna di Zeus abbia partorito tanta stupidità (tosauvthn ajmaqivan, 387). Giudico non credibili (a[pista krivnw) anche i conviti di Tantalo[4] agli dèi, che questi abbiano goduto del pasto del figlio, e ritengo che la gente di qui, essendo loro assassini di uomini, attribuiscano alla dea la loro malvagità (to; fau`lon, 390).
Infatti credo che nessuno tra i numi sia cattivo ( oujdevna ga;r oi\mai daimovnwn ei\nai kakovn, 392). Cfr. Seneca
La deduzione della bontà del creato dalla bontà del creatore si trova, com’è noto, nel Timeo  di Platone : se il cosmo è bello (eij me;n dh;  kalovς ejstin o{de oJ kovsmoς) l’artefice è buono (o Jdhmiourgo;ς ajgaqovς). 
 Il demiurgo, il migliore degli autori  (a[ristoς tw'n aijtivwn), ha guardato al modello eterno (pro;ς to; ajivdion e[blepen). Sicché il cosmo è la più bella tra le cose nate (kavllistoς tw'n gegonovtwn 29a).
Amare Dio significa amare il prossimo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Libro del Levitico, 19, 18). Dio è amore. Platone consiglia l’assimilazione a Dio  (oJmoivwsiς qew'Teeteto (176b).
Dio dunque è amore ed è buono.
Lo afferma anche Seneca quando suggerisce di imitare gli dèi essendo buono : Vis deos propitiare? Bonus esto. satis illos (sc. deos) coluit quisquis imitatus est (ep. 95, 50).
Il Timeo viene riecheggiato ripetutamente da Agostino attraverso la traduzione ciceroniana. Per esempio: “hanc etiam Plato causam condendi mundi iustissimam dicit, ut a bono Deo bona opera fierent (civ. Dei, 11, 21), anche Platone afferma che la causa più giusta della creazione del mondo è che le opere buone sono fatte da un Dio buono.
Pure Seneca aveva tradotto il medesimo passo del Timeo: “ ita certe Plato ait : quae deo faciendi mundum fuit causa? Bonus est (ep. 65, 10)
 E ancora: “Quae causa est dis bene faciendi? Natura. Errat si quis illos putat nocere nolle: non possunt  (ep. 95. 49).
L’uomo che non si è allontanato da Dio dunque è buono e in questo gli assomiglia.

Agostino ricorda Platone: habemus sententiam Platonis dicentis omnes deos bonos esse (civ. Dei, 8, 13).
Toante dunque le dice: sii sacerdotessa della dea, come ti ha eletta.
Devi tornare a sacrificare gli stranieri come richiede il popolo. Io ero rimasto dalla tua gentilezza, in te vedevo l’amore di una figlia e di una sposa
 Ifigenia risponde che fraintende gli dèi missversteht i celesti die Himmlischen  -Himmel, cielo-chi li immagina sanguinari , der sie blutgierig wähnt (523) e li incolpa delle sue orrende voglie

Primo Stasimo 392-455
Sono di un azzurro cupo le vie del mare kuavneai  suvnodoi qalavssh~ (392)-cianotico di colore bluastro
Dove il volante assillo (oi\stro~ estro, oJ petovmeno~, 394-. penna, elicottero, con e{lix, spirale- fenicottero con pterovn, ala e foi`nix, rosso) fece passare la giovenca dall’Europa all’Asia.

I due prigionieri possono essere Spartani che hanno lasciato l’Eurota dalle belle acque verdeggiante di canne (to;n eu[udron donakovcloon-lipovnte~ Eujrwvtan, 399-400- dovnax, canna, clova ( attico  clovh) erba, clwrov~, giallo-verde, clorofilla pigmento verde dei vegetali necessario per la fotosintesi; cloro, gas tossico di colore verde-giallo)
 oppure hanno lasciato rjeuvmata semna; Divrka~ (401) rJevw, scorro, diarrea, logorrea, amenorrea con aj- privativo con mhvn, mese, assenza del ciclo mestruale catarro, leucorrea) le sacre correnti di Dirce, la fonte di Tebe.
 Forse i due cercavano la ricchezza ma l’intenzione per alcuni è inopportuna (gnwvma  a[kairo~), per altri invece fa centro (toi`~ d j ej~ mevson h{kei, 420).  
Lat. medium, medium , meridies, mediocris it. Mesopotamia, mesozoico tra il paleozoico-palaiov~, antico. e il cenozoico (kainov~, nuovo)

Il Coro si chiede come quei due oltrepassarono ta;~ sundromavda~ pevtra~ (422)
-drovmo~, corsa, autodromo, ippodromo, prodromo segno, indizio che precede provdromo~ chi corre davanti-
 le rupi cozzanti, e le spiagge insonni dei Fineidi (Salmidesso in Tracia) correndo sul fragore dei flutti di Anfitrite dove i cori delle Nereidi cantano in cerchio (mevlpousin ejgkuvkloi, 429 cfr. i  versi 1-3 delle Troiane) mentre il vento del sud o  Zefiro soffia verso la terra dai molti uccelli, spiaggia bianca, con la bella pista delle corse di Achille. E’ l’isola di Leuca alle foci del Danubio con un tempio di Achille. Oggi si chiama Fidonisi.
Il Coro infine auspica che arrivi Elena figlia di Leda per essere sacrificata pagando pena adeguata  (poina;~ dou`~ j ajntipavlou~, ajntiv e pavlh lotta contro  446-palestra- palaivstra, pavlaisma, lotta). Sperano poi che  venga qualcuno dalla Grecia a liberarle.

Entrano Oreste e Pilade trascinati da armigeri.

Il Coro chiede alla dea di accettare i sacrifici che le leggi nostra dichiara empi non concedendoli ai Greci  (465)

Secondo episodio 467-642   
Ifigenia chiede di slegare gli stranieri sacri alla dea. Non sa chi siano e a chi la loro morte arrecherà dolore: “pavnta ga;r ta; tw`n qew`n-ej~ ajfane;~-fenomeno ciò che appare- ejpifavneia, apparizione-diafanhv~, trasparente, diafano parzialmente trasparente-favntasma, fantasma-   e{rpei, ( lat. serpo, striscio serpens, serpente, herpes affezione cutanea che striscia e si diffonde, 476-477), tutte le cose degli dèi infatti procedono verso l’oscurità e nessuno sa nulla di certo.
Oreste non vuole dire il suo nome, poiché quello giusto sarebbe Dustuchv~ (500) Sventurato.
Non dice il nome perché Ifigenia sacrifichi solo il corpo, non il nome
Dice però di essere di Argo gloriosa, poi precisa con Micene.
Oreste biasima le lamentele di Ifigenia né vuole lamentarsi lui. Comunque si deve morire: “th;n tuvchn d j eja`n crewvn (489), bisogna lasciar fare al destino. 
Ifigenia esecra Elena (mi`so~ eij~ {Ellhna~, 525-odio per gli Elleni misantropo misoneismo (con nevo~ nuovo) che è tornata a Sparta.
Ci ho guadagnato qualche cosa anche io dalle sue nozze, dice Oreste, ironicamente.
-ajpevlausa lucrum-kajgwv dh; ti tw`n keivnh~ gavmwn (526).
Poi aggiunge che Calcante è morto a Micene.  Ifigenia ne è contenta wJ~ eu\ (533).
Odisseo è vivo ma non è arrivato a Itaca. o[loito, possa morire dice Ifigenia e non torni più.
E Oreste: mhde;n kateuvcou, non c’è bisogno di imprecare: panvta tajkeivnou nosei` ( nosofobia 536), tutto gli va male.
Il figlio di Tetide, la Nereide, Achille, è morto
Ifigenia dice di essere greca. Agamennone è morto deinw`~ -dirus dinosauro, -deinov~ e sau`ro~, lucertola-sfageiv~ scannato atrocemente ejk gunaikov~ (552).
Ifigenia continua a fare domande e Oreste a rispondere.  Clitennestra fu uccisa dal figlio.
Ifigenia dice w\ suntaracqei;~ oi\ko~ (557), o casa sconvolta. Atarassia, imperturbabilità.
Oreste dice che il matricida volle fare giustizia, e Ifigenia commenta che ha fatto kako;n divkaion (559), una giustizia cattiva-ossimoro-.
Poi c’e Elettra, mentre di Ifigenia si dice che sia morta. E Oreste dice di se stesso che vive da disgraziato koujdamou` kai; pantacou` (568) in nessun luogo e dappertutto. Gli manca l’identita politica, della polis.
Ifigenia allora fa: “ yeudei`~  o[neiroi   caivret j   ( onirico 569), sogni menzogneri addio, e Oreste replica che neppure gli dèi chiamati saggi sono meno menzogneri dei sogni e che c’è polu;~ taragmov~  grande confusione tra le cose divine e quelle umane. Ma lui-Oreste parla di sé- si è rovinato dando retta alle parole degli indovini.
Ifigenia chiede a Oreste di portare un messaggio ai suoi cari. Tu non mi sembri dusgenhv~ (591) cfr. eugenio di bassa stirpe. Ti regalo la salvezza  kouvfwn e{kati grammavtwn (594), per leggère lettere che furono scritte da un prigioniero il quale provò compassione per la sacerdotessa avendo compreso che omicida non era la sua mano ma la legge dei Tauri.
Oreste accetta purché venga mandato Pilade ad Argo. La vita dell’amico gli sta a cuore non meno della propria.
Ifigenia dice w\ lh`m j a[riston (609), o anima mobilissima, sei nato da una radice nobile-ajp j eujgenou`~  rJivzh~ pevfuka~ (611) radix, root, Wurzel      
Vorrei che mio fratello fosse come te!
Dice che lo accontenterà. Il sacrificio dovrà eseguirlo lei poiché lo impone la necessità h{n fulaktevon ( 620) che si deve rispettare. Profilassi, profilattico

Lei non deve proprio sgozzare, ma aspergere di acqua lustrale la chioma della vittima
Ifigenia promette di trattare bene il cadavere arso: “spengerò il tuo cadavere con biondo olio (633) e getterò nella tua pira lo splendore della bionda ape montana che stilla dai fiori” (635).
Pilade non vuole salvarsi senza Oreste: sarebbe aijscrovn (674). Potrebbero dire addirittura che lui ha ordito la morte dell’amico per impadronirsi del regno sposando la sorella, Elettra. aijscrologiva, l’oscenità.
Oreste insiste: vuole dei discendenti dalla sorella e dall’amico cui chiede di non tradire mai Elettra : “kai; mh; prodw`/~ mou th;n kasignhvthn potev (706). proditor Poi lo saluta come fivltaton fivlwn (708), mentre oJ Foi`bo~ mavnti~ lo ha ingannato.-mantica-
Pilade promette di non tradire Elettra, poi dà una speranza a Oreste: è l’eccesso di  sventura (livan duspraxiva) che dà rivolgimenti eccezionali   (didou`sa livan metabolav~ (721-722). –prassi-do, dose-dote

Entra Ifigenia con i servi, li congeda e mostra ai due Greci  il plico della lettera (devltou) di molte tavolette.  Quindi chiede un giuramento (o[mnu, 743): di consegnarla. Lei giura per Artemide di salvare Pilade. Ma se la nave affonda, dice Pilade e io mi salvo? Ifigenia allora dice che la leggerà.
Così la ragazza dice che la lettera è per Oreste e che lei è Ifigenia, non morta come si crede ma viva. Chiede al fratello che crede lontano, al consanguineo,  (w\ suvnaime,-ematico-emorragia-anemia 774) di portarla via da quella terra barbara e dagli sgozzamenti per la dea. Altrimenti diventerà soi`~ ajraiva dwvmasin (778) la maledizione per la tua casa e ripete il nome di Oreste.
Artemide la salvò e[lafon ajntidou`sa mou (783) mettendo una cerva al posto mio.
Oreste si muove per abbracciare la sorella che arretra  e la Corifea dice che non deve toccare e profanare la sacerdotessa. Ifigenia è diffidente, come Penelope nell’Odissea.
Oreste dà alcune prove della sua identità: definitiva è l’antica lancia di Pelope usata per uccidere Enomao e sposare Ippodamia parqevnon Pisavtida, la vergine Pisatide (824), la lancia che stava nascosta nella stanza di Ifigenia.
 
827-899 Commo in metri docmiaci e trimetri giambici
I due fratelli si felicitano a vicenda non senza piangere le passate sventure.
Ifigenia ricorda Micene Kuklwpi;~ eJstiva, Vesta, vestalis, vestale, il focolare ciclopico (845)  e manifesta gratitudine al luogo cavrin e[cw per la vita zova~ -ilozoismo concezione per cui u{lh, la materia, è animata- e per averla fatta crescere trofa`~ (847) e perché ha fatto crescere questo consanguineo luce per la casa.
Oreste replica che quanto al gevno~ loro sono fortunati eujtucou`men, ma, negli eventi, la loro vita è stata sfortunata dustuch;~ e[fu bivo~ (851-852)-

Ifigenia rievoca il proprio sacrificio poi si chiede come faranno a fuggire. Si deve trovare un varco ignoto.

900-1088 IV Episodio
Pilade li esorta a non perdere tempo ma a prendere il kairovn (908).
Non bisogna fallirlo (cfr. Contro i sofisti di Isocrate) L’occasione è calva di dietro.
Oreste replica che il destino li aiuterà: se uno è volonteroso (provqumo~ ) è verosimile che il dio ci metta una forza maggiore ( h]n de; ti~ provqumo~ h\/, sqevnein to; qei`on ma`llon eijkovtw~ e[cei, 910-911).
Oreste poi presenta Pilade come fidanzato di Elettra e loro cugino di primo grado (ajnevyio~. 919 cfr. lat. nepos). Pilade era figlio di Strofio focese e di Anassibia, figlia di Atreo, sorella di Agamennone.
Sull’adulterio di Clitennestra e il proprio matricidio Oreste preferisce tacere sigw`men aujtav (925)... sigw` (928). Tedesco schweigen, tacere.
 Lo zio qei`o~, Menelao ha il potere in Argo poiché le Erinni hanno cacciato via Oreste.
Gli hanno messo un morso che lo fa sanguinare (aiJmathra; stovmi jj , 935)-stovma, stomatite, tedesco Stimme, voce.
Poi Oreste racconta la propria storia. Dopo il matricidio, le Erinni lo braccavano e Apollo lo spinse ad Atene per farlo processare. Lì c’è oJsiva yh`fo~ ( voto  da piccola pietra con cui si vota, yavmmo~ è sabbia, psammoterapia cura mediante applicazione di sabbia calda 945) un santo tribunale, istituito da Zeus per processare Ares che aveva ucciso Alirrozio figlio di Poseidone il quale aveva usato violenza ad Alcippe figlia di Ares. Di qui il nome  oJ    [Areio~ pavgo~-rupe- del  tribunale.  
Giunto ad Atene, Oreste non venne accolto volentieri in quanto qeoi`~ stugouvmenon (948) in odio agli dèi-
lo Stige Stuvx, odioso. Kwkuvw, gemo Coito.-flevgw, brucio Flegetonte. Flogosi infiammazione-flovx, fiamma.
 Gli Ateniesi provarono aijdw` (949) rispetto, tuttavia gli davano cibi ospitali in una mensa separata  (xevnia monotravpezav moi-parevscon (949-950-travpeza, tevtra+ pouv~- pes, impeditus, expeditus, piede foot e Fub ) e con il loro silenzio resero me silenzioso (951).
Oreste soffriva in silenzio. Gli è giunta voce che le sue sventure sono diventate un rito per gli Ateniesi (tajma; dustuch``-teleth;n genevsqai 959) e rimane ancora l’usanza che il popolo di Pallade celebra il vaso contenente un congio (3litri, 383) per la festa dei Boccali, nel secondo giorno della festività delle Antesterie (febbraio/marzo).
Dunque ci fu il processo: la più anziana delle Erinni lo accusò, Apollo lo difese e Atena contò voti pari con il suo braccio: i[sa~ dev moi-yhvfou~ dihrivqmhse Pallav~ wjlevnh/ (967)-
ajriqmevw, conto. isobara isoipsa (stessa altezza) isoscele, triangolo con due lati (skevlo~) uguali).
 Così fu assolto. Alcune Erinni accettarono la sentenza e decisero di abitare un santuario presso il tribunale (una grotta sacra ai piedi dell’Areopago). Altre rifiutarono il verdetto e ripresero a braccare Oreste che tornò a Delfi. Si distese digiuno- nh`sti~ bora`~, nh-e[dw, edo to eat, essen,    davanti al sacrario (974) giurando che si sarebbe ucciso se il dio non lo avesse aiutato. Apollo parlò e gli disse di andare in Tauride per trafugare il simulacro e portarlo ad Atene. Ma come faremo?
La corifea nota la deinh; ojrgh; daimovnwn l’ira divina traboccata sul seme di Tantalo  (987)-orgia, orgasmo-
Ora però Ifigenia vuole raddrizzare la casa paterna patrw`ion ojrqw`sai (993)-ortodosso-ortografia- Se riusciremo nel nostro intento allora to; kinduvneuma givgnetai kalovn (1001) il rischio diventa bello. Cfr. Platone che nel Fedone scrive kalo;~ ga;r oJ kuvndino~ (114d) bello è il rischio di credere nell’immortalità dell’anima e bisogna fare tali incantesimi a se stesso.
 

Se dovesse andare storto, dice Ifigenia, sarà lei a sacrificarsi, poiché la morte di una donna è di poca importanza (ta; de; gunaiko;~ ajsqenh` 1006), mentre l’uomo morto tutti lo rimpiangono.-astenia-nevrastenia debolezza di nervi neu`ron)
Oreste dice che non può uccidere anche la sorella per la propria salvezza: a{li~ to; keivnh~ ai\ma (1008) basta il sangue della madre.
Ifigenia dice di avere un piano. E Oreste fa: “deinai; ga;r aiJ gunai`ke~ euJrivskein tevcna~ (1032)-euristica ricerca di fonti e documenti.  le donne sono tremende nell’escogitare astuzie.
Ifigenia dirà che il matricida è impuro e non può essere sacrificato, ma va lavato nel mare e che il simulacro toccato da Oreste va immerso nell’acqua marina. Anche Pilade è infetto di sangue e va purificato.
Oreste chiede alla sorella di convincere le coreute a non denunciarli: “e[cei toi duvnamin eij~ oi\kton gunhv,-dinamico- la donna è brava a impietosire (1054).
Ifigenia chiede la solidarietà naturale delle donne gunai`kev~ ejsmen, filovfron ajllhvlai~ gevno~ (1061), siamo donne, una razza di creature reciprocamente benevole. E’ bella cosa che uno abbia una glw`ssa pisthv (1064).-glottologia-  Non devono parlare.
La corifea dice qavrsei (1075) kai swvzou movnon pensa solo a salvarti. pavnta sighqhvsetai (1076).
Ifigenia chiede aiuto alla dea la povtnia ( potis, potente, 1082) che l’ha salvata ejk patroktovnou cerov~, dalla mano omicida del padre. Altrimenti, per causa tua la bocca di Febo (to; Lovxion stovma non sarà più veritiera  (ejthvtumon) per i mortali-etimologia-ejx-etavzw, esamino.
Esci propizia da questa regione di barbari ( ajll j eujmenh;~ e[kbhqi barbavrou cqonov~, 1086 ctonio sotterraneo)  e insediati ad Atene: non ti  si addice (ouj prevpei) abitare qui parovn soi povlin e[cein eujdaivmona (1089) quando ti è possibile avere una città felice

Secondo stasimo 1089-1152
Le ragazze del coro paragonano i loro singhiozzi a quelli di Alcione che fu trasformata in uccello quando spiccò un salto per raggiungere nel mare lo sposo Ceice annegato (cfr. Ovidio, Metamorfosi, XI, 734-735).
Superis miserantibus, ambo alite mutantur, l’amore rimase legato anche allora al medesimo destino, nec coniugale solutum foedus in alitibus: coeunt fiuntque parentes e per sette giorni tranquilli d’inverno incubat Alcione pendentibus aequore nidis. Tunc iacet unda maris: ventos custōdit  et arcet Aeolus (741 ss.)
Il coro è a[ptero~ o[rni~ (1095)-pterovn, tov, fenicottero, elicottero- un uccello senza ali.  Sono prigioniere nella barbara contrada dove “servo la ragazza ministra della dea cervicida ( e[nqa ta`~ ejlafoktovnou-qea`~ ajmfivpolon kovran-latreuvw, 1115 idolatria) e altari dove non si sacrificano pecore (bwmouv~ t j ouj mhloquvta~ -1116- mh`lon e quvw).
Invidio l’infelice cronico: Metabavllein dusdaimoniva (1120) cambiare stato è sventura desdemona. To; de; met j eujtucivan kakou`sqai qnatoi`~ baru;~ aijwvn (  gravis-baritono, baricentro, barometro, isobara 1121-1122-aevum, aetas, tedesco ewig, eterno), passarsela male dopo la buona fortuna è per i mortali vicenda grave (1122).

Te signora una pentecontere argiva (penthvkonta, ejrevssw, remo pentecoste 49 giorni dopo Pasqua quando lo spirito santo scese sugli Apostoli)   jargeiva penthkovntero~ riporterà a casa. I remi batteranno il mare al suono dello zufolo (su`rigx)  la cerata canna di Pan montano ( surivzwn  q j oJ khrovdeto~-Pano;~ oujreivou kavlamo~, 1127 tedesco halm, gambo, stelo) e Febo oJ mavnti~ cantando con il suono della lira eptacorde ti porterà sul  suolo opulento degli Ateniesi.
Anche loro vorrebbero andarsene: tornare dove  era una vergine attesa a nozze gloriose.
 
Quinto episodio 1153-1233
Toante, Coro, Ifigenia
Toante chiede della gunh; eJllhniv~ la donna ellenica hJ pulwro;~ tw`nde dwmavtwn, custode di queste porte (puvlh-Termopili, porte calde-propilèo, propuvlaio~,  portico d’accesso a un complesso monumentale).
Compare Ifigenia con la statua della dea tra le braccia (qea`~ a[galm j ejn wjlevnai~ (1158 cfr. lat. ulna-ae, ulna- osso del gomito e anche braccio-).
Ifigenia sputa ajpevptus j  ajpoptuvw, ho sputato ptuvw,  lat. spuo- spuis-sputum spuere. Lo dico per la santità. Le vittime catturate per il mio sacrificio non sono pure-ouj kaqara; moi ta; quvmat-catarsi, Caterina   (1163).
Toante domanda se sia solo una dovxa, un’opinione della sacerdotessa.
La statua della dea si è girata indietro dal suo piedistallo (pavlin e{dra~ ajpestravfh, 1165 cfr. katastrevfw, abbatto,  catastrofe.) sedes, cattedra, to sit, sitzen, sedersi.
Toante chiede se la statua si è mossa da sola aujtovmaton o è stato un seismov~ (1166).
Da sola e ha pure chiuso gli occhi.
I due hanno commesso un matricidio.
Toante dà della sofhv a Ifigenia che ha scoperto l’impurità dei due (1180)
Hanno gettato un devlear hJduv (1181), un’esca dolce nel mio cuore dicendo che il fratello è vivo. E anche che Agamennone vive felice.
Ifigenia dice di odiare la Grecia intera e aggiunge che il mare purga (kluvzei, cfr. clistere) tutte le schifezze degli uomini 1193.
Bisogna lavare anche l’idolo
Ifigenia simula paura che scappino e diffidenza: “pisto;n   JElla;~ oi\den oujdevn (1204), la Grecia non conosce la fedeltà. Cfr. Lisandro in Plutarco e Machiavelli
Lisandro  concluse la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il tradimento, e raccomandava sempre:" o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6). La perfidia plus quam punica[5] di Annibale e quella italica di Machiavelli[6] hanno avuto dei maestri negli Elleni.
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Inoltre nessuno dovrà uscire di casa poiché l’idolo infetterebbe tutti
Toante ammira lo scrupolo e la cura di Ifigenia.
Toante dovrà coprirsi gli occhi e non preoccuparsi se ritarderanno.
Ifigenia intima a tutti di allontanarsi dal miasma (1226) ejkpodw;n dj aujdw` polivtai~ tou`d j e[cein miavsmato~ (1226) dico ad alta voce ai cittadini di tenersi lontani da questa contaminazione

Terzo Stasimo 1234-1283
Il Coro canta i gemelli di Latona, Artemide che brilla di gioia per l’infallibile tiro del suo arco ejpi; tovxwn eujstociva/ gavnutai (1239 gavno~ splendore) e Apollo sapiente nella cetra. La madre portava il figlio dalla dorsale marina, lasciando il luogo famoso del parto l’isola di Delo, alla vetta del Parnaso Parnavsion korufavn (1244, kovru~, elmo, corifeo capocoro) di acque incessanti  dove si baccheggia in onore di Dioniso.
Dove il drago dal dorso maculato colore del vino, fosco, –poikilovnwto~ oijnwpo;~ dravkwn. 1245 coperto dei riflessi dell’alloro ombroso pieno di foglie, mostro smisurato, figlio della terra, custodiva l’oracolo terrestre.
E tu fanciullo che ancora balzavi tra le braccia della madre lo uccidesti e[kane~- da kaivnw cfr. kteivnw.  Cfr. hJJ Puqwv e puvqw, faccio imputridire, puvqomai, imputridisco..
Ma diverso è kainov~, nuovo. In italiano ceno-zoico era della vita recente con i primi mammiferi
Allora salisti sull’oracolo santissimo e siedi sul tripode d’oro, sul trono veridico, distribuendo i responsi ai mortali dal santuario, vicino alle correnti della Castalìa, avendo come sede il centro della terra.
Quando poi Apollo ebbe scacciato Temi figlia di Gea dal divino oracolo di Pito, la Terra generò notturni fantasmi di sogni (1262) i quali svelavano il passato e il futuro durante gli oscuri letti della terra; così Gea tolse a Febo l’onore delle profezie per vendicare la figlia.
Apollo allora andò a pregare Zeus perché stornasse dal tempio pitico l’ira tellurica della dea (cqonivan ajfelei`n mh`nin, 1273).
Zeus sorrise e scosse la chioma- e[seisen kovman (1276) in segno di assenso. Tolse ai mortali la verità notturna e restituì onore al Lossia e diede fiducia ai responsi oracolari.
 
Esodo 1284-1499.
Un messo viene ad annunciare la fuga dei giovani e il furto dell’idolo.
Le donne, dice, sono una razza infida- a[piston gunaikei`on gevno~ (1298).  Pivsti~, fides, foedus, Cfr. Agamennone nella Nevkuia.

Già Omero nell'XI dell'Odissea  aveva fatto dire  ad Agamennone, finito nell'Ade dopo essere stato trucidato dalla moglie:" oujk aijnovteron kai; kuvnteron a[llo gunaikov~” (v. 427). L’Atride racconta come venne massacrato con i compagni: come si uccide un bue alla greppia (v. 411). Quindi consiglia a Odisseo di approdare di nascosto: Penelope è saggia, ma non si sa mai: “  ejpei; oujkevti pista; gunaixivn" (v. 456),  poiché non c'è più credibilità per le donne
La maldicenza letteraria, nata dalla malevolenza,  nei confronti di questo "popolo nemico", diviene sistematica con Esiodo che  nelle Opere   afferma : chi si fida di una donna, si fida dei ladri (v. 375).   Quindi  procede fino ai giorni nostri.

Esce dal tempio Toante. E’ sdegnato per il chiasso. Il messo gli dice che le purificazioni erano ingannevoli dovlia d j h\n kaqavrmata (1316)-doloso, catarsi.
Racconta che Ifigenia si era appartata con i due per purificarli con la statua. Per avere l’aria di fare cosa importante gridò e cantava barbare cantilene da incantatrice (ajnwlovluxe kai; kath`/de barbara-mevlh magevous j , 1337-8) come se stesse lavando quelle macchie. Lui e gli altri pensavano che fosse proibito guardare e rimasero in disparte, ma poi videro cinquanta marinai pronti a remare e i due giovani ritti sulla poppa.
Segue una lotta a base di cazzotti (pugmaiv, 1368)  e calci (kw`l j (a) lanciati ej~ pleura; kai; pro;~ h\par (1370) ai fianchi e al fegato-pleura membrana che riveste i polmoni. I Tauri fuggirono su un’altura da dove tiravano pietre. Ma gli arcieri (toxovtai) li tenevano a distanza dalla nave. Oreste si prese la sorella sulle spalle, entrò in acqua e salì sulla nave. Poi diede l’ordine: “prendete il remo, e fate biancheggiare il i flutti (lavbesqe kwvph~, rJovqiav tj ejkleukaivnete, 1287) lux, luna, leucemia, troppi globuli bianchi. light, Licht, luire. Lambavnw con l’accusativo o il genitivo della parte.

Ma un vento furioso respingeva la nave verso il porto.
Allora ritta in piedi (staqei`sa, v. 139, statua, status, sto, statio, stabilis, stavsi~  stabilità ma anche guerra civile, estasi, essere fuori di sé, ejk-stavsi~, evasione mentale) Ifigenia pregò la figlia di Latona.
“Perdona il mio furto e credi che io amo mio fratello come tu ami il tuo”.
Forma di assimilazione a dio come raccomanderà Socrate nel Teeteto  (176b):  Socrate la chiama oJmoivwsi~ qew`/ , un farsi simile a dio. Questa oJmoivwsi~  è una fuga (fughv) dal mondo il cui effetto è  divenire giusto e pio con sapienza (176B).

Ma la corrente li sta spingendo a riva poiché l’augusto Poseidone che proteggeva Troia è avverso ai Pelopidi semno;~ Poseidw`n, Pelopivdai~ ejnantivo~ (1415 ejn-antivo~, contrapposto, answer, risposta, Antwort, risposta.).
Toante muove l’esercito contro i fuggiaschi e minaccia le complici (i[stora~, 1431) ragazze del coro che conosce oi\da, so ei\don vidi da oJravw. iJstoriva, indagine, ijdeva, forma, lat. video.

Ma appare in alto Atena ex machina.
Dice a Toante che deve fermarsi.
A Oreste ordina di procedere. Deve andare ad Atene la città costruita dagli dèi  jAqhvna~ ta;~ qeodmhvtou~ (qeov~ e devmw, costruisco, cfr. dovmo~, domus, duomo, domina, donna 1449).
Poi devi collocare un tempio in un luogo agli estremi confini dell’Attica, si chiama Ale ed è di fronte alla rupe di Caristo, in Eubea. Qui poserai il simulacro. E gli uomini invocheranno Artemide come la dea Tauropola-Tauropovlon qeavn -(1457) domatrice di tori oppure venerata in Tauride.

Ifigenia invece terrà le chiavi del tempio di Artemide nelle sacre praterie di Brauron (1463) a sud di Ale. Lì morirà e sarà sepolta la figlia di Agamennone. “Riceverai ornamento dei pepli e i tessuti che le donne morte di parto lasciano nelle loro case” ujfav~, a{~ a]n gunai`ke~ ejn tovkoi~ yucorragei`~-lipw`s j ejn oi[koi~ (1466)- uJfaivnw, tesso , yuchv e rJJhvgnumi , rJhvxi~, frattura
A Toante, Atena ordina anche di lasciare libere le donne del coro.
A Oreste ricorda che l’ha salvato con la parità dei voti e aggiunge che rimarrà la regola per cui verrà assolto chi riporterà parità di voti.
A Toante aggiunge su; mh; qumou`, Qova~ (1474) non arrabbiarti. Ciclotimico chi alterna euforia a depressione

Toante obbedisce poiché chi non dà retta agli dèi oujk ojrqw`~ fronei` (1476). Non si adira con i due fratelli, anzi augura loro buona fortuna.
Libererà anche le donne del coro.
Atena lo approva e sentenzia che to; crew;n sou` te kai; qew`n kratei` (1486), il fato domina non solo te ma gli stessi dei. La dea viaggerà con i Greci scortando il simulacro della sorella.
La Corifea dice che obbediranno ad Atena. Infatti la sua voce è stata piacevole e insperata (1497)
Giovanni Ghiselli
note:

[1] “Atamante era re di Orcomeno in Beozia. Le sue fosche vicende familiari furono un soggetto prediletto dai tragici. Eschilo compose un Atamante (frr. 1-4 a Radt) di cui non si sa in pratica nulla; Euripide un Frisso (frr. 819-838 Nauck-Snell) e una Ino…Sofocle scrisse due tragedie intitolate Atamante (frr. 1-10 Radt) e un Frisso (frr. 721-723 a Radt)”. G. Guidorizzi (a cura di), Igino, Miti, p. 184.
[2] Aveva provocato l’incenerimento di Semele.
[3] Del 1824.
[4] Cfr. Pindaro, Olimpica I, 35-53.
[5] Tito Livio, XXI, 4.
[6] Nel XVIII capitolo di Il Principe Machiavelli ricorda  "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".

Ifigenia in Tauride - Tragedia di Johann Wolfgang von Goethe, Dramma concluso nel 1786

conferenza del 31 luglio 2015 pomeriggio
Goethe  alcuni mesi prima della morte scriveva nel suo  Tagebuch Diario: "Non finisco di meravigliarmi come l'elite  dei filologi non comprenda i suoi meriti e secondo la bella usanza tradizionale lo subordini ai suoi predecessori seguendo l'esempio di quel pagliaccio di Aristofane...Ma c'è forse una nazione che abbia avuto dopo di lui un drammaturgo che sia appena degno di porgergli le pantofole?"[1].
G. recitò questo   dramma nella prima redazione del 1779 nel ruolo di Oreste.
In questo stesso anno appariva l’Iphigénie en Tauride del Gluck su libretto del Guillard
Quattro anni prima aveva portato sulle scene operistiche parigine l'Iphigénie en Aulide, su libretto dell'amico Le Bailly du Roullet,[3] il quale probabilmente ebbe una parte anche nell'ideazione della seconda Iphigénie; il nuovo libretto fu però opera di Nicolas-François Guillard, un giovane poeta che nell'occasione indossò per la prima volta quelle vesti di librettista tragico dalle quali avrebbe tratto fama e successo nei due decenni successivi.

Alla fine dell’Ifigenia in Tauride di Goethe, la forza e l’atuzia di cui tanto si gloriano gli uomini (Gewalt und List , der Männer höchster Ruhm, 2142-parla Oreste) , cedono alla nobiltà dell’anima della ragazza che ottiene la pace tra i contendenti, e, con la libertà anche la benedizione del re dei barbari Sciti.
Si tratta di giungere alla conciliazione benefica delle unilateralità come nelle  Eumenidi di Eschilo .
“Il lato profondo di questo principio è la concezione che, nonostante le differenze e i conflitti di interessi, passioni e caratteri, viene tuttavia portata ad effetto per mezzo dell’agire umano una realtà in sé armonica. Già gli antichi hanno tragedie con un simile esito, in quanto gli individui non vengono sacrificati, ma si salvano: p. e.,  l’ Areopago, nelle Eumenidi di Eschilo, concede il diritto alla venerazione ad entrambe le parti, ad Apollo e alle vergini vendicatrici. Anche nel Filottete si giunge ad appianare con l’apparizione divina ed il consiglio di Eracle ls lotta fra Neottolemo e Filottete che combattono poi uniti contro Troia. Ma qui la pacificazione avviene dall’esterno, per comando degli dèi, ecc., e non ha la sua fonte nelle parti stesse, mentre nel dramma moderno sono gli individui stessi che dal corso della loro azione si trovano condotti a questo abbandono del contrasto ed alla conciliazione reciproca del loro fine o del loro carattere. Per questo aspetto l’Ifigenia di Goethe è un autentico modello poetico del dramma ”[2].

Atto primo. Scena prima.
Ifigenia sola
Nella scena prima  Ifigenia appare sola e lamenta la sua condizione di straniera (fremd, v. 9) rimasta sempre come lo era appena arrivata in una terra lontana dalla sua. Il mare la separa dai suoi cari e lei passa lunghi giorni lange Tage (11) sulla riva cercando mit der Seele, con l’anima (12) la terra dei Greci das Land der Griechen.
 Ma l’onda die Welle risponde ai suoi sospiri mugghiando solo  suoni sordi nur dumpfe Töne (14).

Viene in mente Odisseo nel V canto dell’Odissea. Il poluvtropo~ è prigioniero di Calipso la quale
:"  lo trovò seduto sul lido: mai gli occhi/erano asciutti di lacrime, ma gli si struggeva la dolce vita/mentre sospirava il ritorno, poiché non gli piaceva più la ninfa./Certo di notte dormiva sempre anche per forza/nella spelonca profonda controvoglia accanto a lei che lo voleva" (151-155).-
Ulisse non sa che farsene di questa immortalità lontana da tutto.
 
A chi sta lontano da genitori e fratelli in una vita solitaria, la pena rode via dalle labbra la più vicina felicità das nächste Glück (17) e rimpiange la casa del padre dove il sole die Sonne per la prima volta gli rivelò il cielo dove giocando si consolidavano sempre più saldamente e reciprocamente i legami con i consanguinei.
Questo richiamo al legame di sangue è più sofocleo che euripideo cfr. rispettivamentel’Antigone e l’Alcesti.
Quindi Ifigenia lamenta la miserevole condizione delle donne
L’uomo der Mann domina in casa e in guerra zu Haus und in dem Kriege (25)
Invece la felicità della donna è ristretta eng-gebunden (29)
Va già bene se può obbedire a un rozzo marito. Se è straniera va molto peggio.
Cfr. l’appello alla solidarietà femminile nella Medea di Euripide.
“Fra tutti gli esseri, quanti sono vivi e hanno raziocinio, 230
 noi donne siamo la creatura più tribolata:
noi che innanzitutto dobbiamo comprare un marito
con gran dispendio di ricchezze, e prenderlo come padrone
 del corpo, e questo è un male ancora più doloroso del male. 234
E in questo sta la gara massima, prenderlo cattivo
 o buono. Infatti non danno buona fama le separazioni
alle donne, e non è possibile ripudiare lo sposo.
 Quella poi giunta tra nuovi costumi e leggi,
bisogna che sia un'indovina, se non ha appreso da casa
  con quale atteggiamento tratterà nel modo più appropriato il marito.  
E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,
il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,
 la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
 Un uomo poi , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,
 uscito fuori, depone la noia dal cuore 245
(volgendosi a un amico o a un coetaneo);
 per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
 in casa, mentre loro combattono con la lancia,
 pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
 preferirei stare che partorire una volta sola”.  
Però non vale proprio lo stesso discorso  per te e per me;
 tu hai questa  tua città e la casa paterna
e  comodità di vita e compagnia di amici,
io, poiché sono isolata e senza città, devo subire oltraggi
da un uomo, dopo essere stata rapita da una terra barbara, 256
senza avere la madre, né un fratello, né un congiunto
per trovare un ancoraggio fuori da questa sventura.
Tanto dunque io vorrò ottenere da te,
se trovo una qualche via e mezzo
per far pagare allo sposo il fio di questi mali
(e a chi gli ha dato la figlia e a quella che ha sposato),
ti prego di tacere. La donna infatti per il resto è piena di paura
e vile davanti a un atto di forza e a guardare un'arma;
ma quando sia offesa nel letto,
non c'è non c'è altro cuore più sanguinario. 266


Nella Lisistra[3], Aristofane fa dire all'ateniese Cleonice:"caleph; toi gunaikw'n e[xodo" "(v. 16), è difficile per noi donne uscire. Infatti, spiega questa sposa, una di noi deve attendere il marito, l'altra deve svegliare lo schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo, l'altra imboccarlo (vv. 17-20).
Ma, ribatte Lisistrata, ci sono cose più importanti per loro donne (v. 20). Si tratta di porre termine alla guerra. Noi donne di Atene, con quelle di Beozia e con quelle del Peloponneso,  sostiene la protagonista, insieme salveremo la Grecia (koinh'/ swvsomen th;n JEllavda"[4] (v. 41).
Nella Danae  di Nevio leggiamo:" Desubito famam tollunt, si quam solam videre in via " (fr. 6 Marmorale) se hanno visto una donna sola per strada, la coprono subito di infamia.
 
Thoas, ein edler Mann, un uomo nobile, mi trattiene qui in severi e sacri lacci di schiavitù (in ernsten, heil’gen Sklavenbanden, 34)
Ifigenia spera in Diana che l’ha già salvata dal padre dopo avergliela chiesta in sacrificio. Ora vuole essere salvata anche dalla vita che conduce là, unde rette mich, die du vom Tod errettet,- auch von dem Leben hier, zweiten Tode, la sua seconda morte (53).
 
Scena seconda
 Ifigenia e Arcade
Arcade preannuncia l’arrivo del re
Ifigenia dice di essere pronta a riceverlo, ma Arcade vede uno sguardo che lo fa rabbrividire
E’ quello di una ripudiata, un’orfana,  dice la ragazza che separata dai suoi cari ha perso la gioia ed è diventata un’ombra per se stessa ich nur ein Schatten mir,  e la fresca gioia della vita und frische Lust des Lebens non rifiorisce più in me blüht in mir nicht wieder auf  (89-90)
Arcade la chiama ingrata undankbar (92)
 Ifigenia invece esprime la sua gratitudine, ma senza sguardo ilare che mostra vita lieta e cuore propizio.
Toante la accolse con rispetto e benevolenza come un’inviata dagli dèi.
 Ifigenia ribatte al messo del re che ella vive nel lutto, come un’ombra accanto al proprio sepolcro: una vita inutile è una morte immatura: questo destino delle donne è soprattutto il suo ( Dies Frauenschicksal ist vor Allen meins, 116)
Ma Arcade le ricorda i suoi benefizi: ha rasserenato il torbido carattere del re, ha salvato molti prigionieri. Il re vince in guerra e gioisce anche nella clemenza.  Non puoi chiamare inutile il balsamo che da te scende su migliaia di uomini. Il popolo di Tauri riceve felicità da te e gli stranieri ottengono la salvezza.
A Ifigenia però questo pare poco in confronto a ciò che le manca
Sta per arrivare il re che da quando ha perso il figlio teme una vecchiaia derelitta in solitudine er fürchtet ein einsam hilflos Alter (162) e pure rivolte.
Gli Sciti non attribuiscono alcun pregio alle parole: Der Skyte setz ins Reden keinen Vorzug (164) setzen porre, Rede parola,Vorzug pregio.
E il re meno di tutti am wenigsten der König 165.
Dunque Ifigenia deve andargli incontro con la sua civiltà maggiore e superiore, quella greca.
 
Il culto del lovgo~ è greco, la trascuratezza della parola è barbarie
Isocrate  arriva alla celebrazione quasi religiosa della parola fondatrice di umanità e civiltà: " ejggenomevnou d j hJmi'n tou' peivqein ajllhvlou~ kai; dhlou'n pro;~ hJma'~ aujtou;~ peri; w|n a]n boulhqw'men, ouj movnon tou' qhriwdw'~ zh'n ajphllavghmen, ajlla; kai; sunelqovnte~ povlei~ w/jkivsamen kai; novmou~ ejqevmeqa kai; tevcna~ eu{romen, kai;  scedo;n a{panta ta; di j hJmw'n memhcanhmevna lovgo" hJmi'n ejstin oJ sugkataskeuavsa" "( Nicocle[5], 6), ma siccome è connaturata in noi la capacità di persuaderci a vicenda e di rendere chiaro a noi stessi quello che vogliamo, non solo ci siamo allontanati dalla vita selvaggia, ma ci siamo riuniti, abbiamo fondato città, dato leggi e inventato arti, e  quasi tutto quanto è stato costruito da noi è stata la parola a organizzarlo.

La parola dunque è creatrice e civilizzatrice.
Il prologo del Vangelo di Giovanni  del resto estende questa considerazione a  termini cosmici "  jEn ajrch'/  h\n oJ lovgo", kai; oJ lovgo~ h\n pro;" to;n qeovn, kai; qeo;" h\n oJ lovgo". ou|to" h\n ejn ajrch'/ pro;" to;n qeovn. pavnta di' aujtou' ejgevneto, kai; cwri;" aujtou' ejgevneto oujdevn. In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil (1, 1-3), in principio c'era la Parola e la Parola era con  Dio e la Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e senza lei nulla fu fatto.

Quindi il verbo si fece carne:"kai; oJ lovgo" savrx ejgevneto" (14). Io collego questa affermazione, del tutto arbitrariamente, alla facundia persuasiva che attira gli ascoltatori, massime le donne, poiché è in corpo  di donna che il verbo si fa carne.

 Rprendiamo in mano Isocrate per sottolineare il valore anche etico del lovgo"  inteso come parola e come pensiero: "to; ga;r levgein wJ" dei' tou' fronei'n  eu\ mevgiston shmei'on poiouvmeqa, kai; lovgo" ajlhqh;" kai; novmimo" kai; divkaio" yuch'" ajgaqh'" kai; pisth'" ei[dwlovn ejstin" ( Nicocle, 7) il parlare come si deve lo consideriamo segno massimo del saper pensare, e un discorso veritiero, legittimo e giusto è l'immagine di un'anima buona e leale. Queste parole celebrative del logos, tornano, come espressioni liturgiche, nell’Antidosis (255). Entrambe le orazioni giungono a una conclusione che indica nella potenza della parola l’unico mezzo per trasformare il pensiero in prassi: “eij de; dei' sullhvbdhn peri; th'~ dunavmew~ tauvth~ eijpei'n, oujde;n tw'n fronivmw~ prattomevnwn eurhvsomen ajlovgw~ gignovmenon, alla; kai; tw'n e[rgwn kai; tw'n dianohmavtwn aJpavntwn hJgemovna lovgon o[nta, kai; mavlista crwmevnou~ aujtw'/ tou;~ plei'ston nou'n e[conta~”, se si deve tirare le somme su questa potenza, troveremo che nulla di quanto è fatto con intelligenza viene fatto senza la parola, ma che anzi la parola è guida delle azioni e dei pensieri tutti, e che si avvalgono soprattutto di essa quelli che hanno la più grande capacità di  pensiero[6].

  "Sicché il Logos, nel suo doppio significato di parola e di pensiero, diventa per Isocrate il "symbolon", il contrassegno della paideusis"[7].
Non solo dell’educazione ma anche della duvnami~ dell’uomo.
Il ragazzo che ha studiato bene, con buoni insegnanti, possiede, prima di tutto, una facoltà di eloquio superiore a chi non ha fatto studi altrettanto buoni e ben guidati.

 
 Platone afferma che parlare male, fa male all'anima. Lo fa dire a Socrate  nel Fedone :" euj ga;r i[sqia[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev"[8], ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene…ottimo Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.

 
Il re vorrebbe sposare Ifigenia che non vuole e teme Toante. Tanto che non gli ha rivelato le sue origini. Arcade le consiglia di non abbandonarlo a se stesso. Ifigenia teme che il re voglia trarla dall’altare della dea a forza (mit Gewalt) nel suo letto (in sein Bette, 196)
Allora invocherà Diana che certo accorda la sua protezione alla sacerdotessa, da vergine a vergine (Jungfrau, 200)
Arcade annuncia l’arrivo del re e prega Ifigenia di accoglierlo con fiducia e riconoscenza. Un uomo nibile (ein edler Mann) viene condotto lontano (weit) da una buona parola di donna (durch ein gutes Wort der Frauen, 214).
Ifigenia sente il dovere di dare buone parole (217) al re per il suo benefizio.
 
Scena terza Ifigenia e Toante
 
Ifigenia augura ogni bene al re da parte della desa
Il re spera (ich hoffe, 248) di poter sposare Ifigenia che però non vuole nulla tranne la protezione e il riposo che già ha avuto.
Toante sperava maggiore confidenza da Ifigenia che non lo ha informato nemmeno sulle sue origini.
Ifigenia risponde che non gli ha detto chi è per imbarazzo e per paura di essere cacciata a causa dell’ orrore della sua famiglia.
Ma Toante sente che la ragazza è per lui una benedizione.
Ifigenia replica: è il benefizio che ti porta benedizione, non l’ospite Dir bringt die Wohltat Segen, nicht der Gast (286).
Il re la considera sacra (heilig, 291) alla dea e sacra a lui. Le chiede ancora quale sia la sua stirpe
E lei: sono della stirpe di Tantalo.
Quel Tantalo, chiede il re, che Giove volle al suo consiglio e alla sua tavola?
Sì, è lui ma gli dei non dovrebbero camminare con gli uomini come loro pari.
Er ist es; aber Götter sollten nicht-mit Menschen wie mit ihres Gleichen wandeln (315-316)
La schiatta mortale è troppo debole (317) per non avere le vertigini se giunge a vette inconsuete.
 
Per quanto riguarda la debolezza dei mortali, il Prometeo di Eschilo si vanta di avere dato pensiero e coscienza agli uomini
Prima blevponte~, e[blepon mavthn, volgendo lo sguardo, lo volgevano invano, ascoltando non udivano kluvonte~ oujk h[koun (v. 448), somigliavano a forme di sogno, non conoscevano le case di mattoni esposte al sole (plinqufei`~ dovmou~ proseivlou~ , Prometeo incatenato,  450. plivnqo~-mattone-ei[lh-h", calore del sole).
Vivevano sottoterra come labili formiche, in grotte fonde, senza sole. Prometeo ha insegnato loro tutto: i numeri, le lettere, l’aggiogamento degli animali, la navigazione. Non avevano farmaci, e io indicai loro miscele e[deixa kravsei~ di salutari rimedi che tengono lontani tutti i morbi. E ordinai le molte forme della mantica e l’interpretazione dei sogni (485-6) e rivelai i significati dei presagi, dei voli degli uccelli,  degli auspici. Aprii anche gli occhi dei mortali ai significati della fiamma. Ho scoperto i metalli. Tutte le tecniche  ai mortali derivano da Prometeo :"pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw" (v. 507).
Il Goethe stürmeriano  rappresenta Prometeo che dice: "Io non conosco al mondo/nulla di più meschino di voi, o dèi/…Io renderti onore? E perché?/Hai mai lenito i dolori/di me ch'ero afflitto?/
Hai mai calmato le lacrime/di me ch'ero in angoscia?/…Io sto qui e creo uomini/a mia immagine e somiglianza,/una stirpe simile a me,/fatta per soffrire e per piangere,/per godere e gioire/e non curarsi di te,/come me!"[9].

Tantalo dunque, continua Ifigenia, era nur ein Mensch (321) solo un uomo. Così il suo delitto fu umano. So war auch sein Vergeben menschlich.  Ma i poeti cantano che l’infedeltà Untreu lo precipitò dal seggio di Giove (von Jovis Tisch, 324) nell’ignominia dell’antico Tartaro (des alten Tartarus).
E tutta la stirpe risente di questo odio.
 
Pindaro modifica il mito di Tantalo : non è vero che fu condannato a pene eterne poiché aveva imbandito il figlio Pelope, cotto, ai numi suoi ospiti, infatti gli dei non sono cannibali, ma venne punito perché era un privilegiato che, non sapendo smaltire la sua fortuna, si insuperbì.  Sentiamo alcuni versi dell’Olimpica I :
Per me è inconcepibile chiamare                    51
ghiotto uno dei beati: me ne tengo lontano;
una perdita tocca spesso ai malèdici.
Ma se mai i protettori dell'Olimpo onorarono un uomo
mortale, era Tantalo questo; però                   55
di fatto non seppe
digerire la grande felicità, e con la sazietà attirò
un accecamento pieno di prepotenza, e su di lui
il padre sospese un macigno pesante,
che egli desidera sempre stornare dal capo
ed erra lontano dalla gioia.                               60
 
In diverse occasioni Pindaro afferma il credo che non bisogna dire male degli dèi. Nell'Olimpica IX  leggiamo:"diffamare gli dei è odiosa sapienza (; tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra; sofiva, vv. 37-38)
Del resto secondo il poeta tebano l’uomo è solo sogno di ombra  Pitica VIII, 95-96 "skia``~ o[nar-a[nqrwpo~ ", sogno di ombra è l’uomo. 

I sui figli e nipoti ereditarono il suo petto potente die gewaltige Brust (328) e la forza dei Titani, ma un dio non diede loro senno e moderazione  sapienza e pazienza (cfr.Giganti e Titani, gli eterni nemici della cultura) il desiderio in loro diveniva passione (cfr. lo qumov~ di Medea) e la furia loro- drang ihre, 335- era senza confini.

 "non esiste…una vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la continua battaglia contro di essi"[10], contro "giganti e titani, miticamente, gli eterni nemici della cultura"[11].

Pelope si prese con tradimento e assassinio durch Verrat  und Mord la donna più bella das schönste Weib 338, Ippodamia la figlia di Enomao.
Nascono Atreo e Tieste che odiano Crisippo il figlio di primo letto di Pelope (con la ninfa Astioche) e lo uccidono. Pelope crede che sia stata Ippodamia ed ella si uccise.
Euripide scrisse un dramma Crisippo dove il giovane è vittima di Laio che lo rapì.
Ifigenia racconta altri orrori che crescono: “Non subito nicht gleich una casata ein Haus genera il semidio den Halbgott né il mostro (noch das Ungeheuer, 356)
Tieste disonora il talamo del fratello. Atreo lo caccia, ma Tieste gli aveva sottratto un figlio e lo istiga a uccidere il padre cui ha fatto credere che è lo zio, Atreo lo uccide poi si accorge che è suo figlio e fa mangiare a Tieste i suoi figli. Il sole cambiò percorso e la notte con pesante ala copre molte azioni dell’intelletto disordinato (396).
Toante dice basta: abbastanza di orrori! Es sei genug der greuel

 Cfr. Ecuba di Euripide, 278: tw`n teqnhkovtwn a{li~.
Nell’Agamennone di Eschilo, Egisto e il Coro stanno per venire alle mani ma arriva Clitennestra e dice a Egisto, non facciamo altri mali. C’è ne sono già tanti da mietere, sciagurata messe duvsthnon qevro~ (1655). phmonh`~  dj a[li~ ci sono già abbastanza sciagure  (1657). u{parce mhdevn, non dare inizio a nulla, hJ/matwvmeqa, siamo già coperti di sangue aiJmatovw
Clitennestra vuole spezzare la catena dei delitti. Ma il suo non può essere l’ultimo anello (Pohlenz).
 
Ifigenia poi racconta di Agamennone, Clitennestra, Elettra e Oreste. Tutti in pace fino alla guerra. Il vento contrario in Aulide. Diana era irata auf ihren grossen Führer (421) contro il loro grande condottiero, e tratteneva i Greci che avevano fretta. E richiedeva per bocca di Calcante la figlia maggiore del re –und forderte durch Kalcha’s Mund des Königs ält’ste Tochter- (423)
La fecero andare al campo ins Lager mit der Mutter con la madre attraverso la frode, ma la dea la salvò avvolgendola in una nube. Dunque io sono Ifigenia, io che parlo con te, die mit dir spricht, proprietà della dea- della dea der Göttin Eigentum (432).

Il re non dà la preferenza alla figlia di un re rispetto a un’ignota e vuole sposarla. Ma Ifigenia dice forse è vicino a me un lieto ritorno: “Vielleicht ist mir die frohe Rückkeher nah-444 (cfr. near). Ein Zeichen (un segno) bat ich (chiesi io, bitten chiedere) wenn ich bleiben sollte, se dovevo restare. 447
Il re le chiede di non cercare pretesti: lui ha capito nur das Nein, solo no.
Ifigenia ribadisce che vuole tornare a Micene dove il lutto si trasformerebbe in gioia come per una neonata-wie um eine Neuegeborne. (460).
Toante le dice allora di tornare seguendo la voce del cuore (Herz, heart) . Sii del tutto donna Sei ganze ein Weib (465) e abbandonati all’istinto –und gib dich hin dem Triebe- che ti trascina senza freni.
Quando le donne desiderano qualcosa, nulla le trattiene, se perdono il desiderio, non c’è forza di persuasione che le trascini.

Nell’Ulisse di Joyce l’ istinto della donna è irefrenabile: “Tinnulo calessino (quello che porta l’adultero Boylan all’incontro erotico con Molly). Lei voleva andare. Ecco perché. Donna. Tanto vale fermare il mare” (p. 372).
Oppure Emilia nell’Otello: “Let husband know. Their wifes have sense like them: they see and smell, and have their palates both for sweet and sour, as husband have” (IV, 3), sappiano i mariti che le loro mogli hanno sensi come loro: esse vedono e odorano e hanno il palato per il dolce e per l’aspro, come i mariti.

Ifigenia  dice al re di pensare alla  sua nobile parola-Gedenk’  o Köing, deines edeln Wortes! (475). 
E Toante: da una donna ci si può aspettare di tutto!
E Ifigenia: non signorili come le vostre (nicht herrlich wie die euern), ma non ignobili (aber nicht unedel)  sono le armi di una donna sind die Waffen eines Weibes (483).
T.: Parla il tuo cuore , non un dio
E Ifigenia: Gli dei ci parlano solo per mezzo del nostro cuore- Sie reden nur durch unser Herz zu uns- 494
“Quando un Dio parla al nostro cuore-come dice Ifigenia di Goethe, opponendosi alla barbarica consuetudine dei sacrifici umani-bisogna essere pronti a seguirlo a ogni costo, ma solo dopo essersi interrogati con la massima lucidità possibile se a parlare è un Dio universale o un idolo dei nostri oscuri gorghi interiori”[12].
Toante dunque le dice: sii sacerdotessa della dea, come ti ha eletta.
Devi tornare a sacrificare gli stranieri come richiede il popolo. Io ero rimasto incantato dalla tua gentilezza, in te vedevo l’amore di una figlia e di una sposa
 Ifigenia risponde che fraintende gli dèi missversteht i celesti die Himmlischen  -Himmel, cielo- chi li immagina sanguinari , der sie blutgierig wähnt (523) e li incolpa delle sue orrende voglie.

Cfr. l’Ifigenia taurica di Euripide Giudico non credibili (a[pista krivnw) anche i conviti di Tantalo[13] agli dèi, che questi abbiano goduto del pasto del figlio, e ritengo che la gente di qui, essendo loro assassini di uomini, attribuiscano alla dea la loro malvagità (to; fau`lon, 390).
Infatti credo che nessuno tra i numi sia cattivo ( oujdevna ga;r oi\mai daimovnwn ei\nai kakovn, 392).

La  dea stessa mi ha salvato, continua Ifigenia a lei era più gradita la mia servitù che la mia morte ihr war mein Dienst willkommer  als mein Tod (525-527).
Toante non vuole interpretazioni del santo costume  fatta con volubile ragione. Due stranieri sind in mainer Hand (534) sono in mano mia. Tu fai il tuo dovere e io il mio.

Scena quarta- Ifigenia sola
Prega Diana, la luna: Tieni lontane dal sangue le mie mani-O, enthalte vom Blut meine Hände! 549- enthalten trattenere.
Il sangue non reca benedizione né riposo e l’ucciso atterrisce le ore di chi lo ha ucciso anche involontariamente. Gli immortali amano i buoni.

Già Eschilo nell'Orestea   aveva proclamato che il sangue, soprattutto se di un genitore, versato al suolo non si raccatta né si riscatta ( Eumenidi vv.260 e sgg.); che vana è la fatica di spargere tutti i libami per espiare una goccia sola di sangue ( Coefore  vv.520-521); e che il nero sangue di un uomo, una volta caduto sulla terra, nessuno può chiamarlo indietro con incantesimi (Agamennone vv.1019-1021).  Sulla stessa linea si trova il Manzoni quando, nelle Osservazioni sulla morale cattolica  (cap. VII) scrive:" Il sangue di un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra".


Secondo atto
Scena prima Oreste e Pilade
Oreste dice: è la via della morte quella su cui camminiamo:” Es ist der Weg des Todes den wir treten-  (561). Questo gli dà tranquillità.
Egli può sanguinare in disperata morte come un animale da sacrificio, come i suoi antenati-wie meine Ahnen- e come suo padre wie mein Vater (576). Accada pure così.
Chiede alle potenze sotterranèe che come cani sguinzagliati –wie losgelassne Hunde seguono il sangue che stilla dai suoi passi di lasciarlo: sarà lui a seguirle negli inferi.

Sono le cagne della madre uccisa La visione orrenda delle Erinni spunta davanti agli occhi di Oreste già nelle Coefore di Eschilo, quando il matricida le vede quali donne "simili a Gorgoni/dalle nere tuniche e intrecciate/di fitti draghi"(vv.1048-1050). Tali mostri sono"le rabide cagne della madre" (v1054) che appaiono soltanto a lui:" uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd  j, ejgw; d ‘ oJrw'”, voi non le vedete queste, ma io le vedo"(1061).
 Le Furie lo incalzano: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.
T. S. Eliot pone questi versi delle Coefore  quale epigrafe di Sweeny agonista (1930), :" You don’t see them, you don’t-
But I see them: they are hunting me down, I must move on”.
Nel dramma La Riunione di famiglia (1939)   Eliot mostra come tali visioni siano un privilegio.
Secondo l'autore di The waste land  bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non cercare invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva infinita di forme urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana. Quelli che vedono le Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.
Alla fine dell’Orestea le Erinni diventano Eumenidi: “ Dopo l’intervento razionale di Atena, le Erinni-forze scatenate, arcaiche, istintive, della natura-sopravvivono: e sono dee, sono immortali. Non si possono eliminare, non si possono uccidere. Si devono trasformare, lasciando intatta la loro sostanziale irrazionalità: mutarle cioè da “Maledizioni” in “Benedizioni”. I marxisti italiani non si sono posti, ripeto, questo problema”[14].
Non sempre del resto c’è redenzione dopo un delitto del genere: Nerone aveva fatto ammazzato Agrippina (59 d. C.) e non si sentì rassicurato dalle congratulazioni dei soldati, del Senato e del popolo: “neque tamen conscientiam sceleris…aut statim aut umquam ferre potuit, saepe confessus exagitari se materna specie verberibusque Furiarum ac taedis ardentibus” (Svetonio, Neronis vita, 34), tuttavia non poté subito né poi sopportare il rimorso del delitto, e spesso confessò di essere tormentato dalla visione della madre e dalle fruste e dalle fiaccole ardenti delle Furie. 
Nerone amava interpretare sulla scena la parte di Oreste, ossia del matricida assolto.
 
L’Oreste di Goethe dice che il bel tappeto verde della terra non deve essere arena di spettri (für Larven, 588): sarà lui a scendere tra le larve.
 
Nell’Iliade i morti vengono bruciati. "Così il sereno mondo omerico è libero da fantasmi...il vivo è lasciato in pace dai morti"[15], o, se vogliamo ricordare Carducci, "Non paure di morti ed in congreghe/diavoli goffi con bizzarre streghe"[16].
 
Pilade invece vuole tentare di sollevarsi di nuovo verso la vita-zu dem Leben wieder aufzuwinden-600. Ich denke nicht den Tod, io non penso alla morte.
La morte avanza comunque inarrestabile. Apollo ci ha promesso il ritorno e le parole divine non sono ambigue Der Götter Worte sind nicht doppelsinning (613) come immagina nella sua tristezza chi è oppresso
Oreste ricorda la sue triste infanzia, ma Pilade lo ferma: ricordare i tempi belli dà nuove forze per una vita eroica: “ Die Götter brauchen manchen guten Mann- zum ihrem Dienst, (631-632) gli dèi hanno bisogno di diversi uomini valenti per il lloro servizio. Gli dèi ti hanno salvato la vita poiché contano su di te.
Ma Oreste avrebbe preferito morire con il padre.
E Pilade dice che lui può vivere solo con Oreste e per Oreste.
Oreste ricorda quando, nella casa di Strofio, Pilade simile a una farfalla leggera e variopinta giocava intorno al fiore cupo dunkle Blume  (649) a un giovane mezzo irrigidito che era lui, fino a comunicargli la sua gioia.
Ma Oreste si sente come un bandito infetto che contamina gli altri ich wie ein verpesteter Vertrieb’ner  (657)
 Pilade ribatte che lui non è infettato, bensì pieno di coraggio e letizia che con l’amore sono le ali per le grandi azioni. (666) und Lust –(gioia) und Liebe-(amore)- sind die Fittige-zu grossen Taten.
Oreste ricorda il tempo quando le vedevano davanti. Quando il mondo sembrava così grande, così aperto.
Pilade ribatte che corriamo dietro l’ombra degli avi che  come un dio corona di nubi d’oro le cime di monti lontani. In questo modo non badiamo alla via sulla quale passiamo.
Oreste è stato scelto per operare.
l
Ma il matricida ribatte che gli dèi l’hanno scelto come assassino della madre e hanno preso di mira la casa di Tantalo che deve esaurirsi in lui.
Pilade risponde che dei genitori si eredita la benedizione non la  maledizione (der Eltern Segen, nicht ihr Fluch, 717).
 
Un problema grande nell’uomo greco è quello della ereditarietà delle colpe dei padri. Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette a Tebe  non è personalmente colpevole ma deve pagare per :"la trasgressione antica/dalla rapida pena/che rimane fino alla terza generazione:/quando Laio faceva violenza/ad Apollo che diceva tre volte,/negli oracoli Pitici dell'ombelico/del mondo, di salvare la città/morendo senza prole;/ma quello vinto dalla sua dissennatezza/generò il destino per sé,/Edipo parricida,/quello che osò seminare/il sacro solco della madre, dal quale nacque/radice insanguinata,/e fu la pazzia a unire/gli sposi dementi"(vv.742-757).
Il Coro dellAntigone deplora la catastrofe della ragazza con queste parole: "Avanzando verso l'estremità dell'audacia,/hai urtato , contro l'eccelso trono della Giustizia,/creatura, con grave caduta,/ del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853-856).
Ora leggiamone un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di Pasolini:“Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. E’ il coro-un coro democratico- che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”
Per la nostra generazione Pasolini trova una ragione nella legge  della tragica predestinazione a ereditare le colpe: i giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico-fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”. I figli dunque sono puniti. “Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda senza risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione-che pareva così ciecamente irrazionale e crudele-del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.
E le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché c’è-ed eccoci al punto-un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese [17].
 
Oreste non trova che una benedizione lo abbia portato nella Tauride.
Si tratta, dice Pilade, di riportare Artemide da Apollo a Delfi. Per questo atto, la veneranda coppia sarà benigna. Diana brama allontanarsi da questa riva di barbari. Saggezza umana è sentire attentamente la volontà degli dèi. Un dio chiama den edeln Man, l’uomo nobile che ha molto peccato a una difficile impresa che sembra impossibile. Vince l’eroe Es siegt der Held (748)
Oreste chiede che se  deve vivere e operare, è necessario che un dio tolga dalla sua fronte oppressa la vertigine che dallo sdrucciolevole sentiero bagnato di sangue materno mit Mutterblut mi trascina verso i morti (753). Asciughi  la fonte die Quelle che spruzzandomi dalle ferite materne mir aus der Mutter Wunden (754) mi macchia in eterno (ewig mich befleckt).
Pilade lo invita a riflettere e Oreste fa: mi sembra che parli Ulisse: “ich hör ’ Ulyssen reden (762).
Pilade avverte dell’ironia e un riferimento al lato negativo di Ulisse: quello messo in evidenza da Pindaro, Sofocle, Euripide e Dante che lo presentano come un demagogo un truffatore, una consumata volpe: dice all’ amico che List-astuzia- und Klugheit e senno non fanno vergogna all’uomo che si dedica a opere ardite.
Oreste, come Neottolemo nel Filottete di Sofocle, dice che apprezza chi è prode e retto.
Pilade ha raccolto notizie sulla sacerdotessa: si crede (man glaubet) che discenda dalle Amazzoni.
Non sarà una donna a salvarci dalla ferocia del re, dice Oreste.
Ma Pilade replica che una donna buona rimane buona, mentre un uomo che si abitua al male diviene malvagio.
Dunque: “buon per noi che è una donna!” (786)
Cfr. Euripide (Medea) che è meno ottimista nei confronti delle donne.
Ottimismo pedagogico invece nelle Supplici del 422.
 
Scena seconda del secondo atto
Ifigenia e Pilade.
Ifigenia chiede a Pilade da dove venga. Gli sembra un Greco piuttosto che uno Scita. Gli toglie le catene.
Pilade conferma di essere greco e gradisce il dolce suono (süsse Stimme della lingua materna (Muttersprach)
Ifigenia si presenta come sacerdotessa.
Pilade dice di essere di essere Cretese, di chiamarsi Cefalo e di essere fuggito con il fratello Laodamante che ha ucciso un altro fratello rozzo e feroce. Apollo li ha mandati là perché vengano aiutati da Artemide. Viene in mente il detto di Epimenide: i Cretesi sono bugiardi. La tradizione attribuisce la prima formulazione del paradosso a Epimenide di Creta (VI secolo a.C.), il quale, cretese egli stesso, affermò che «i Cretesi sono bugiardi»

il paradosso del mentitore.

Se assumiamo che l'affermazione sia vera, allora  Epimenide, in quanto cretese, è un bugiardo. Ma allora la sua affermazione «i Cretesi sono bugiardi» non sarebbe vera ed otteniamo una contraddizione.
 Se invece assumiamo che l'affermazione sia falsa, allora sarebbe falso che «i Cretesi sono bugiardi», cioè sarebbe vero che alcuni cretesi dicono la verità e Epimenide mente. In questo caso  possiamo identificare Epimenide come uno dei cretesi che mentono. Per quanto argomentato nel caso precedente, non può infatti esser vero che Epimenide dica la verità.
Non si conosce il contesto in cui Epimenide fece questa affermazione; fu solo più tardi che questa fu di nuovo citata (per esempio nella Lettera a Tito 1,12-13 di Paolo di Tarso) e presentata come il paradosso del mentitore.

Ifigenia viene a sapere anche che Troia è caduta.
Pilade le chiede di salvare il fratello:  la sua bella anima libera -seine schöne freie Seele- viene data in preda alle Furie (854)
Pilade informa Ifigenia sulla guerra di Troia. Achille giace là con il suo amico bello Achill liegt dort mit seinem schönen Freunde. Anche Palamede e Aiace Telamone. Quindi le racconta la fine di Agamennone per mano di Clitennestra con l’aiuto di Egisto.
Clitennestra gli gettò sulle spalle e sul capo un tessuto piento di pieghe e mentre lui cercava di liberarsene wie von einem Netze, come da una rete Egisto lo colpì.

Cassandra nell'Agamennone di Eschilo dice, alludendo a Clitennestra :"ajll j a[rku" hJ xuvneuno"" (v. 1116), ma una rete è la compagna di letto
Nell'Elettra di Sofocle troviamo la rete della nemesi, quando Clitennestra sta per pagare il fio del delitto ordito cadendo a sua volta nella rete preparata dai figli:"kalw'" a[r ' a[rkun eij" mevshn poreuvetai" (v. 965), cammina giusto verso il mezzo della rete.

La moglie adultera e assassina era mossa da una cattiva passione (eine böse lust) e dal profondo sentimento di un’antica vendetta (904).
Il re l’aveva offesa con un grave atto che la scuserebbe se ci fosse scusa del delitto.
Euripide nell’Ifigenia in Aulide tende a trovare queste scuse per il grave atto di Clitennestra.
Il sacrificio di Ifigenia impresse un profondo odio nel cuore di lei che poi cedette alle richieste di Egisto e uccise il marito con reti di rovina.

Ifigenia si copre il volto commossa, e Pilade comprende che conobbe il re.
Quindi Pilade, come Odisseo, si rivolge al proprio cuore-Nur stille, liebes Herz-ora calma, caro cuore e lascia che ci venga incontro la stella della speranza und lass dem Stern der Hoffnung (925).

Nell’Odissea, Ulisse si rivolge al proprio cuore perché sopporti le beffe delle ancelle in casa propria, e per incoraggiarsi ricorda quando nell’antro del Ciclope  si credeva già morto, e la mh'ti~ lo trasse fuori (se mh'ti~-ejxavgag j, XX, 18-21). 
Nel Satyricon di Petronio c’è una ripresa parodia di questo luogo.
Encolpio inveisce contro la mentula che ha disertato:"erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem vexavi:"quid dicis-inquam-omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare quidem te inter res serias fas est." (132, 9-10), drizzatomi dunque sul gomito strapazzai il renitente con queste parole più o meno:" che cosa dici-faccio- vergogna degli uomini tutti e degli dèi? Infatti sarebbe un sacrilegio perfino nominarti tra le cose serie.
 Encolpio si rammarica di avere questionato con quella parte del corpo che non si dovrebbe nemmeno menzionare.
 Però poi ci ripensa: allora gli vengono in mente anche l'Odissea e l'Edipo re:" quid? non et Ulixes cum corde litigat suo, et quidam tragici oculos suos tamquam audientes castigant?" (132, 13) e che? non litiga anche Ulisse con il suo cuore e certi personaggi tragici non se la prendono con gli occhi come se ascoltassero?
Ulisse parla con il cuore che latra di sdegno di fronte al gozzovigliare dei proci, esortandolo a sopportare:"tevtlaqi dhv, kradivh: kai; kuvnteron a[llo pot j e[tlh"" (Odissea, XX, 18), sopporta, cuore, anche sofferenze più da cane hai già sopportato.
Edipo come è noto si accieca (Edipo re, v. 1270); secondo Freud anzi si evira simbolicamente.
 
Atto terzo.
  Scena prima.
Ifigenia. Oreste
Ifigenia deve sacrificare Oreste secondo la barbara usanza scitica. Per giunta è un uomo della sua patria Landsmann (941) dove l’ospitalità è un dovere sacro anche nei confronti dell’ultimo uomo che passa accanto al focolare.
 
Sentiamo  quello che dicono Nausicaa a Odisseo e Eumeo sempre a Odisseo
La principessa dei Feaci Nausicaa, nel VI canto dell’Odissea (207-208) vuole  aiutare Ulisse giunto naufrago nell’isola di Scheria e   dice queste parole alle ancelle in fuga spaventate dall’aspetto di Odisseo  : “  to;n nu`n crh; komevein: pro;~ ga;r Dio;~ eijsin a[pante~-xei`noiv te ptwcoiv te, dovsi~ d j ojlivgh te fivlh te”, questo è un misero naufrago e dobbiamo curarcene: da Zeus infatti vengono tutti gli stranieri e i poveri, e un dono pur piccolo è caro
  Le stesse parole (Odissea, XIV, 57-59)  dice Eumeo il guardiano dei porci di Itaca quando Ulisse gli si presenta travestito da mendicante, irriconoscibile, e il porcaio lo accoglie ospitalmente spiegandogli che non è suo costume maltrattare lo straniero (xei`non ajtimh`sai), nemmeno quando ne arriva uno kakivwn più malconcio di lui.
  Eumeo dunque aiuta e onora Odisseo, che presentatosi come un pezzente e irriconoscibile, suscita la sua compassione:"aujtovn t j ejleaivrwn"(v.389), perché ho compassione di te, gli dice.
 Bisognerebbe che Salvini e la gente come lui leggessero i classici.

Non dissimile è la situazione di Edipo giunto a Colono cieco e vagabondo, per giunta malfamato. Teseo, il re di Atene, lo aiuta poiché, dice “so di essere uomo”(Edipo a Colono, v. 567).
I
 
Oreste chiede alla sacerdotessa chi sia. Ifigenia dice di essere stata condotta in Aulide da giovane. Allora, meravigliata e ansiosa, gettava un timido sguardo su quegli eroi.
Agamennone era splendido sopra tutti Und Agamemnon war vor allen herrlich (964). Poi chiede se cadde per la perfidia della moglie e di Egisto. Oreste: du sagst’s, tu lo dici.
Poi Ifigenia chiede di Oreste e di Elettra.
Sie leben, vivono dice Oreste.
Quindi racconta che, alla morte del padre, Elettra nascose il fratello che fu accolto da Strofio. Oreste crebbe con il cugino Pilade. Andarono insieme a Micene dove Elettra spinse Oreste attizzando il fuoco della vendetta der Rache Feuer che davanti alla sacra presenza della madre si era consumato.
 
Nell’Elettra di Sofocle, si sente Clitennestra che grida da dentro. Chiama Egisto. Poi dice al figlio oi[ktire th;n tekou`san (1411), abbi pietà per chi ti ha partorito.
Elettra ribatte da fuori che lei non ha avuto pietà.
E Clitennestra w[[moi pevplhgmai (1414). Quindi  Elettra: “pai`son, eij sqevnei~, diplh`n /1415).
 
Clitennestra era diventata da madre matrigna, e cadde per mano del figlio.
Ifigenia chiede di Oreste al fratello. Il sangue di Clitennestra gridò alle antichissime figlie della notte di non lasciarsi sfuggire il matricida.
Quindi il vuoto sguardo delle Erinni mira attorno con l’avidità dell’aquila. Esse passano sulla terra con il diritto di guidare alla rovina e il loro piede veloce ihr schneller Fuss insegue il fuggiasco (1069).
 
Le sciagure mandate dagli dèi per punire i tiranni hanno il piede veloce secondo il corifeo dell'Antigone che consiglia a Creonte di cedere:"quanto più presto è possibile: infatti tagliano fuori/ gli stolti le sciagure dal piede veloce  (podwvkei"blavbai)" mandate dagli dei, vv. 1103-1104.

Quindi Oreste si rivela-ich bin Orest- siccome non può tollerare che du grosse Seele, tu anima grande, venga ingannata mit einen falsen Wort, con una falsa parola. E dice che il suo capo colpevole cerca la morte sucht den Tod (1083) dandole della benvenuta-wilkommen-.
Oreste suggerisce alla sorella di partire con Pilade.
Ifigenia benedice la sopraggiunta  realizzazione-Erfüllung 1094- bellissima figlia del grandissimo padre- schönste Tochter des grössten Vaters-, e pure gli dèi che ascoltano tranquilli le preghiere, ma la vostra mano non rompe mai gli aurei frutti celesti quando sono immaturi aber eure Hand-bricht unreif nie die golden Himmelsfrüchte 1111 . E guai a chi und wehe dem li richiede con impazienza e gusta un cibo amaro.
 
In Guerra e pace Kutuzov "sapeva che non bisogna cogliere la mela finché è verde: cadrà da sé quando sarà matura, ma se la cogli verde, rovinerai la mela e l'albero e ti si allegheranno i denti"(p.1541).
 
Oreste non vuole salvarsi, ma Ifigenia replica che le loro sorti sono legate.
Oreste replica che lei può coprire il reo con un velo, ma non nasconderlo  allo sguardo delle sempre vigilanti du birgst ihn nicht vorm Blick der immer Wachen 1126.
Esse non possono entrare nel terreno sacro con i loro insolenti piedi di bronzo però Oreste sente il loro orrendo sghignazzare ihr grässliches Gelächter 1132. Lo aspettano scuotendo la testa piena di serpenti. Ifigenia chiede della sorella più grande, cioè di sé stessa, a Oreste e lui dice che la buona sorte l’ha sottratta alla miseria della loro casa. La sacerdotessa non deve accompagnarsi alle Erinni.
Ifigenia contrappone al sangue versato della madre che lo chiama giù nell’inferno, la benedizione della sorella e si rivela Sieh Iphigenien! Ich lebe!  (1173), guarda Ifigenia, io vivo!
 
Ma Oreste non vuole che lo tocchi. Il suo corpo sprigiona fiamme come l’abito nuziale-i doni nuziali invero- di Creusa nella Medea di Euripide o come la tunica di Nesso.
Ifigenia vuole salvarlo e salvarsi. La gioia gli scorre dal cuore più chiara dell’acqua che scende dal Parnaso.
Oreste le consiglia di amare Pilade, e insiste: vuole essere sacrificato da lei poiché il fratricidio der Brudermord (1229) è tradizionale costume dell’antica stirpe.
Consiglia a Ifigenia di non amare troppo il sole né le stelle: die Sonne nicht zu lieb un nicht die Sterne (1234). La nostra stirpe si distrugge. Ifigenia deve seguirlo nel tenebroso regno senza figli e senza colpa. Cfr. Il “chiuditi in convento” di Amleto a Ofelia.
Oreste continua a delirare poi cade svenuto.
 
Nell’Oreste di Euripide Menelao  chiede al nipote tiv~ s j ajpovllusin noso~ ; e Oreste risponde hJ suvnesi~, o{ti suvnoida deivn j eijrgasmevno~ (395-396).

Ifigenia si allontana cercando Pilade

Atto terzo. Scena seconda
 Oreste rinviene  e vede gli avi della sua casa. Tieste e Atreo che parlano amichevolmente. Crede di essere sceso nell’Ade dove i Tantalidi sono tutti spogli di inimicizia.

Scena terza Oreste. Pilade Ifigenia.
Oreste crede che anche la sorella e il cugino siano scesi nel regno dei morti. Ifigenia prega i fratelli divini, Apollo e Diana che si amano, di aiutare i fratelli terreni e di liberare Oreste dalla follia.
Pilade cerca di fare ritornare in sé Oreste.
Oreste è guarito e abbraccia la sorella. Si scioglie la maledizione, me lo dice il cuore. Le Eumenidi vanno al Tartaro, le odo, e chiudono dietro di sé le bronzee porte con rumore di tuono.
Oreste si sente invitato a rintracciare la gioia di vivere e le grandi azioni.
Pilade li esorta a non perdere il tempo che è misurato (1365)

Atto quarto. Scena prima
Ifigenia sola
Elogia l’equilibrio dell’anima di Pilade-seine Seel’ ist Stille (1386), quieta è la sua anima e aiuta gli amici privi di tranquillità. La ragazza è stata istruita su quello che deve fare ma si rifiuta di apprendere la menzogna che non libera il petto, non consola,  e torna indietro a colpire chi la scoccò.

Parla in maniera simile Neottolemo nel Filottete di Sofocle, quando il giovane non vuole seguire il suggerimento di Odisseo che lo spinge a mentire al protagonista
Il figlio di Achille lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni, ossia delle armi del padre dal peggiore di tutti, nato da malvagi[18], Odisseo  .
"Pindaro non amava il carattere di Ulisse. L'Aiace  e il Filottete  di Sofocle testimoniano che accanto all'ammirazione convenzionale per il grande eroe esisteva anche un'opinione meno favorevole. Anche l'Ippia minore  di Platone esprime per bocca del sofista gli stessi dubbi sul carattere di Ulisse, ma Platone ci fa intendere che Ippia non fa che seguire, su questo punto, una tendenza generale...In ultima analisi questa disposizione verso Ulisse risale all'Iliade  che lo mette a contrasto come poluvtropo" con lo schietto carattere di Achille. Anzi nell'Odissea (q 75[19]) si ritrova l'antica tradizione intorno a questo contrasto dei due grandi eroi nel canto di Demodoco sulla contesa di Ulisse e Achille"[20].

Ifigenia dunque dovrebbe mentire ad Arcade ma ne è turbata

Scena seconda. Ifigenia. Arcade
La ragazza dice al messo dice che il caso di cui non siamo padroni (der Zufall, dessen wir nich Meister sind) le ha impedito di eseguire l’ordine del re (di sacrificare i due). Uno dei due ha profanato il luogo sacro e il simulacro della dea va bagnato nel mare. C’è una sticomitia tra i due. Arcade dice che gli dèi salvano gli uomini umanamente (1463).
E anche Ifigenia può fare molto: con la sua dolcezza ingentilire un popolo giovane e torbido. Si appella all’anima bella di Ifigenia (eine schöne Seele)
Ma l figlia di Agamennone non vuole dare a Toante altro che la gratitudine.

IV atto Scena terza. Ifigenia sola
La ragazza riflette e prova ripugnanza per l’inganno. Ma cerca di incoraggiarsi a perpetrarlo.

Scena quarta. Ifigenia. Pilade.
Pilade dice: tuo fratello è guarito! C’è un’altra buona notizia poiché la felicità giunge come un principe ben accompagnata. (1550)
Hanno ritrovato i compagni e sono pronti a partire. Lui porterà via la statua. Si avvia verso il tempio ma Ifigenia non lo segue.
Dice che deve attendere il nunzio del re. Pilade le fa notare il pericolo, ma Ifigenia sente il dovere di fare quello che il cuore le suggerisce.
Eppure, dice Pilade, dobbiamo sottrarre il sacro tesoro al rozzo popolo indegno
Apollo ci invia i migliori segni. Oreste è guarito. Andremo all’isola pietrosa di Apollo, poi a Micene
Ifigenia dice che la sua anima colpita dal raggio delle parole di Pilade si volge al dolce conforto come il fiore si volge al sole (wie sich die Blume nach der Sonne wendet, 1621).
 Ifigenia è turbata: pena e angoscia passano davanti alla sua anima come nubi leggere davanti al sole.
La pena è associata al pericolo da un patto, dice Pilade.
Ma, ribatte Ifigenia, è nobile la pena che mi dice di non ingannare il re che è stato der mein  zweiter Vater (1641), il mio secondo padre.
Pilade: vuole uccidere tuo fratello
Ifigenia: egli è lo stesso che mi ha fatto del bene: Er ist derselbe, der mir Gures tat.
Pilade: Non è ingratitudine ciò che la necessità ordina: das ist nicht Undank, was die Not gebent (1645)
(If.) La necessita è una scusa che non toglie l’ingratitudine  
P. Essa ti scusa davanti agli dèi e davanti agli uomini
If. Solo che il mio cuore proprio cuore Allein mein eigen Herz  non è contento ist nicht befriedigt. Io non cerco, io sento solamente ich untersuche nicht, ich fühle nur (1650). Il cuore gode di se stesso solo quando è immacolato.
P. il primo dovere di un uomo è quello di marciare innanzi-zu wandeln – e di guardare la propria vita.
If. vorrebbe avere ein männlich Herz in mir  , che quando si propone un atto audace lo porta avanti senza scrupoli.
P. Quando la bronzea, inflessibile mano della necessità ordina-die ehrne Han der Not gebietet (1680) anche gli dèi devono sottomettersi. Essa è la sorella della sorte eterna.

Il  fuso della Necessità ( jAnavgkh" a[trakton) secondo Platone (Repubblica  616c) è l'asse dell'universo attraverso il quale avvengono tutti i movimenti circolari:"di j ou| pavsa" ejpistrevfesqai ta;" periforav"".
Eschilo nell’Agamennone fa dire a Clitennestra: “to; mevllon h{xei” (v. 1240), il futuro verrà.
Il potere assoluto dell'  jjjjAnavgkh  viene apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti.  Nel terzo Stasimo della tragedia più antica ( è del 438) tra le diciassette a noi pervenute,  il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n  jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti farmaci/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).
Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica. Se confrontiamo l’Alcesti con la Medea, possiamo affermare che la Necessità ha una potenza confrontabile solo con lo qumov".
For Euripides, Man is the slave, not the favourite child, of the gods;[21] and the name of the ‘ageless order’ is Necessity. krei'sson oujde;n  jAnavgka"-hu|ron, cry the Chorus in the Alcestis[22].[23], per Euripide l’Uomo è lo schiavo, non il figlio favorito degli dèi; e il nome di ‘ordine eterno’ è Necessità, niente ho trovato più forte della Necessità, grida il Coro dell’Alcesti.
Vittorio Alfieri tradusse l’Alcesti nel 1797; vediamo come ha reso questi versi: “Per quanto io pur delle Celesti Muse/volgendo andassi i Fasti,/nullo altro dir mi schiuse/forza, che al Fato eterno incontro basti./Non quei, che tu cantasti/carmi fra i Traci, o sacro vate Orfeo;/non quanti altri mai farmachi alla prole/di Esculapio poteo/Febo donar, con cui sanarci ei suole: nulla è, che scampi i miseri mortali/dagli artigli fatali” (Alceste prima[24]).
Il Prometeo eschilèo, il sedicente benefattore tecnologico, sa che la necessità è più forte delle sue tevcnai, del suo sapere pratico: “ tevcnh d  j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ” (Prometeo incatenato, v. 514), la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
Cfr. a questo proposito anche : “Ceterum, efficacior omni arte, necessitas non usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”( Historiae Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono gli abitanti di Tiro che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C. 

  Ifigenia dunque secondo Pilade dovrebbe fare ciò che la necessità ordina.

Scena quinta
Ifigenia da sola lamenta la maledizione che grava sulla sua stirpe e incolpa die taube Not, la necessità sorda che pone su di lei ein doppelt Laster  una doppia colpa, con mani di bronzo (1707), ossia rauben, rubare il santo simulacro e ingannare hintergeh’n l’uomo cui deve la vita
Teme che il profondo odio dei Titani der alten Götten (1714) degli antichi dèi  afferri il suo tenero petto con artigli rapaci. Sente risuonare das alte Lied der Parzen, 1720, l’antica canzone che le Parche cantavano con raccapriccio quando Tantalo cadde dal suo seggio.

Canzone delle Parche
La stirpe umana deve temere gli dèi che hanno il potere nelle loro mani.
Li tema il doppio colui che essi innalzano
Hanno seggi e tavole d’oro su rocce e nubi.
Se si leva un dissidio, precipitano gli ospiti svergognati e disonorati nelle tenebre. Ma quelli rimangono in feste eterne agli aurei tavoli
Sie aber, sie bleiben
In ewigen Festen
An goldenen Tischen.
Dai baratri profondi si leva fino a loro il respiro dei Titani, simile a odori di sacrificio, una nube leggera. I dominatori volgono via il loro occhio benedicente da intere stirpi e nel nipote non vedono i tratti belli dell’antenato un tempo amato
So sangen die Parzen (1761), così cantavano le Parche

Atto Quinto

Scena prima Toante. Arcade.
Arcade dice al re che sospetta qualche cosa.

Scena seconda Toante allein
Il re ordina che die Priesterin la sacerdotessa venga condotta da lui e che si cerchino gli uomini con eventuali complici. Il re prova collera der Grimm verso chi credeva una santa heilig. Se la prende anche con se stesso che l’ha  allevata con indulgenza e bontà  durch Nachsicht und durch Güte (1766). Bontà che  a lei sembra dovuta.

Scena terza Ifigenia Toante
Ifigenia si rivela nicht Priesterin,  ma nur Agamemnons Tochter
Dice di avere obbedito solo ai genitori e agli dèi, mai al rozzo ordine di un uomo.
Non io dice Toante ma ein alt Gesetz  ti comanda, un’antica legge.
I.: mi parla una legge più antica: das Gebot, il comando dem jeder Fremde heilig ist, per cui ogni straniero è sacro.

Cfr. il codice tripartito delle Supplici di Eschilo.

Toante le ricorda la prima parola della saggezza: che non si deve eccitare il potente.
If. dice che abbiamo il dovere di contraccambiare agli sventurati quanto gli dèi benigni ci hanno concesso. Del resto, aggiunge, ich bin so frei geboren als ein Mann (1858), io sono nata libera così come un uomo.
 Io non ho che parole ich habe nicht als Worte e un uomo nobile deve tenere conto delle parole di una donna
T. dice di farne più conto che della spada .
If. oppone a Toante la bella preghiera-die Schöne Bitte, e il ramo leggiadro (cfr, quello dei supplici nell’Edipo re di Sofocle) che in mano di donna dovrebbe valere più di una spada
T. chiede chi siano i due
If. sie sind, sie scheinen sono, sembrano, li ritengo Greci.
Quindi dice tutta la verità: sono Oreste mein bruder e Pilade sein Jugendfreund , il suo compagno di gioventù, mandati da Apollo per rapire l’immagine di Diana (das Bild Dianens) e ricondurre la sorella a lui.
Ho messo nelle tue mani noi due, superstiti della casa di Tantalo. E ora rovinaci, se puoi! Verdirb uns-wenn du darfst (1936)
T. il greco Atreo non udì la voce dell’umanità e della verità die Stimme der Wahrheit und der Menschlichkeit (1937) e credi che l’oda der rohe Skythe, der barbar?, il rozzo Scita, il barbaro?
If. l’ode  ognuno-es hört sie jeder, nato sotto ogni cielo, geboren unter jeden Himmel nel cui petto scorra pura e libera des Lebens Quelle, la fonte della vita.
If. ricorda al re che aveva promesso di lasciarla andare se le fosse stato offerto di tornare dai suoi. Un re non promette a vanvera poiché sente l’altezza della sua carica.
T. chiede tempo per riflettere e Ig. : per far del bene non occorre riflessione (1989) Il dubbio può deformare il bene in male: non pensare-bedenke nicht- concedi secondo il tuo sentimento.

Scena quarta. Oreste, Toante, Ifigenia
Ifigenia dice a Oreste che sta per affrontare il re che è stato il suo secondo padre der mein zweiter Vater ward (2004). E ha dovuto dirgli tutto salvando la propria anima dal tradimento.

Scena quinta Oreste, Toante, Ifigenia, Pilade e Arcade.
Pilade annuncia che i greci cedono e Arcade che la loro nave è stata catturata ihr Schiff  is unser (2020) la loro nave è nostra.
Oreste e il re si accordano sul fatto che nessuno dei loro deve combattere finché si parla solang ‘ wir reden finché parliamo.

Scena sesta
Ifigenia Toante Oreste
Ifigenia teme la triste contesa di Oreste e Toante che non odono ragione
Toante dice ich halte meinen Zorn, trattengo la mia collera, come conviene al più vecchio
Oreste chiede di battersi con il più valente dei nobili dell’esercito degli Sciti per mostrare che è figlio di Agamennone
T. non è un nostro costume.
O. allora cominci da te e da me il nuovo costume: So beginne-die neue Sitte denn von dir und mir!
Toante trova non ignobile la proposta e accetta.
Ma Ifigenia depreca la prova di sangue. L’uomo si eterna morendo da eroe , ma le lacrime delle donne rimaste sole nessuno le racconta e il poeta tace sui mille giorni e notti trascorsi nel pianto-und der Dichter schweigt-von tausend durchgeweinten  Tag und Nachten  (2071).

Cfr Edipo re di Sofocle, vv. 182-185:"e intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là, presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose".- le donne restano sole, a pregare, mentre i mariti e i figli partono per la guerra, come verso una festa, immaginando di trovare la gloria dell'eroismo, esaltanti avventure amorose, e grandi ricchezze; poi, invece degli uomini, tornano  a casa urne e ceneri. Per questo cfr. Eschilo, Agamennone, vv.434-436:"ajnti; de; fwtw'n teuvch kai; spodo;" eij" eJkavstou dovmou" ajfiknei'tai. Eschilo e Sofocle scrivono contro la guerra dove molti giovani muoiono, e pochi speculatori si arricchiscono; del resto non ha difesa di ricchezza  l'uomo che per sazietà ha preso a calci il grande altare della Giustizia cercando di farlo sparire: "ouj gavr e[stin e[palxi" plouvtou pro;" kovron ajndri; laktivsanti mevgan Divka" bwmo;n eij" ajfavneian",Agamennone, vv.381-384.
Cfr. anche bellaque matribus detestata di Orazio Carmi , I, 1, 24-25.

Ifigenia non ha dubbi sull’identità di Oreste: la convince questa cicatrice  diese Schramme,2087 che indica, la quale taglia il sopracciglio die Augenbraue spaltet. Gliela procurò Elettra facendolo cadere quando era bambino dalle sue braccia su un tripode per la fretta e la mancanza di precauzione secondo il suo solito
Il riconoscimento delle Coefore di Eschilo (ciocca di capelli e impronte dei piedi), viene  criticato  duramente da Euripide nell'Elettra[25] dove la stessa figlia di Agamennone polemizza con il sillogismo di Eschilo riproposto nel dramma di Euripide dal vecchio che l’ha allevata, in quanto, dice la ragazza, i capelli di Oreste non possono essere simili ai miei, siccome egli è un uomo cresciuto nelle palestre; io invece sono una donna che usa il pettine; del resto molti hanno riccioli simili senza essere parenti ( Elettra , vv.527-531). Altrettanto aspramente viene confutato l'indizio delle orme che il  prevsbu~, quasi echeggiando Eschilo, le fa notare (i[cno~ajrbuvlh~, v. 532, l’impronta dello stivale), dopo i "riccioli recisi dalla testa bionda" ( Elettra, v.515). Le impronte infatti sulla roccia, replica Elettra, non restano neppure, e anche se rimanessero, quelle del fratello non sarebbero uguali a quelle della sorella, ma più grandi (Elettra, vv. 534-537). Il riconoscimento avviene comunque poco più avanti attraverso il segno convincente di una cicatrice sul sopracciglio (oulh;[26] par j ojfruvn) che Oreste si procurò inseguendo con la sorella un cerbiatto  nel palazzo del padre ( Elettra, vv. 573-574).

 Toante sente la necessità di battersi, Sono venuti a rubare. I Greci spesso volgono il loro occhio bramoso ai beni dei barbari, il vello d’oro dem gold’nen Felle, Pferden, i cavalli, schönen Töchtern, belle figlie 2014.
 Ma la loro forza e astuzia non li ha sempre ricondotti in patria con il bottino.
Oreste chiede al re di lasciarli andare con la sorella che ha fatto fuggire il male del fratello, come un serpente, verso un antro  wie eine Schlange zu der Höle (2024) . Oreste chiede al re di lasciare che l’anima sua si volga alla pace. Forza e astuzia (Gewalt und List), altissima gloria degli uomini (der Männer höchster Ruhm) viene svergognata per la verità (durch die Wahreit) di quest’anima nobile e viene premiata la pura, infantile confidenza verso un uomo nobile zu einem edlen Manne (2145).
Ifigenia dice a Toante: tu non hai spesso occasione per un atto così nobile: “Du hast nicht oft-zu solcher edlen Tat Gelegenheit (2149).
  T.: allora andate! So geht!

If. Nicht so, mein König! , non così mio re!  2151 Senza la tua benedizione, non mi allontano da te! Non mi scacciare! Tu sei per me onorato e caro come era mio padre wert und teuer, wie mir mein Vater war, so bist du’s mir (2156)
Se in futuro vedrò il più misero degli Sciti, voglio accoglierlo come un dio; voglio io stessa preparargli il giaciglio e invitarlo a sedere presso il focolare.
Addio! E tendimi la destra in pegno dell’antica amicizia!

Toante: Lebt wohl! State bene! 1273

Giovanni Ghiselli Pesaro 31 luglio 2015
note:

[1] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo,  p. 189.
[2] Hegel, Estetica trad. it. Milano, 1978, Tomo II, p. 1595.
[3] Del 411 a. C.
[4] Ricevo oggi, 3 marzo 2003, questa posta elettronica dagli USA:"Oggi, in almeno 600 citta americane, leggeranno Lysistrata (non lo so come
si scrive in italiano) come una forma di lotta contro la guerra. Purtroppo non ho informazione piu precise, la cosa e organizzata da un
gruppo di femministe, l'ho sentita su CNN.
Tanti saluti .Agatha.
[5] Del 368 a. C. Le stesse parole tornano nell’Antidosis (254-255) del  354 a. C.
[6] Nicocle 9 e Antidosi 257.  
[7] W. Jaeger, Paideia 3, p.134.
[8] Aggettivo formato da plhvn e mevlo~, contro il tono, contro il metro.
[9] Vv. 13-14, 38-42, 52-58 dell'Inno  Prometeo  del 1774 (l'anno del Werther) trad. it. di G. Baioni
[10] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 293.
[11] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore , p. 144.
[12] Claudio Magris, La storia non è finita, Garzanti, Milano, 2006, p. 18.
[13] Cfr. Pindaro, Olimpica I, 35-53.
[14] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 54.
[15]Rhode, op. e p. citata sopra.
[16] Il comune rustico , vv. 10-11.
414 De Clementia ,  III, 1.
[17] P. P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5-12.
[18] pro;~ tou' kakivstou kajk kakw'n jOdusseuv~ (384)
[19] Nell'VIII dell'Odissea  Demodoco canta tra l'altro:"nei'ko" jOdussh'o" kai; Phleïvdew jAcilh'o"", la lite tra Odisseo e Achille Pelide.
[20] W. Jaeger, Paideia  1, p. 61 n. 16.
[21] Or. 418.
Oreste riconosce l’oggettiva sottomissione degli uomini a potenze che li sovrastano:"noi siamo asserviti agli dèi, qualsiasi cosa siano mai gli dèi" (v. 418). Una dichiarazione di malinconica impotenza che  ritroviamo accentuata ed esasperata nel Re Lear : “" As flies to wanton boys are we to the gods. They kill us for their sport "(IV, I),   come mosche per ragazzi capricciosi siamo noi per gli dèi: ci ammazzano per loro passatempo. Ndr
[22] 965; cf. Hel. 513 f., and the repeated insistence that Man is subject to the same cycle of physical necessity as Nature, frags. 330, 415, 757. Cfr. Elena 513 ss. e la ripetuta insistenza che l’Uomo è soggetto al medesimo ciclo della necessità fisica, come Natura, frammenti 330, 415, 757.
[23] Dodds, The ancient concept of progress, p. 85.
[24] Nel 1798 Alfieri rielaborò questa traduzione in un’Alceste seconda. Anche questa collocò “fra le traduzioni…al fianco inseparabile dell’Alcesti prima sua madre” ( Vita, parte seconda, 26)
[25] Composta in una anno tra il 416 e il 413.
[26]  Cfr. il riconoscimento di Odisseo da parte di Euriclea il XIX canto dell’Odissea.


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