sabato 18 luglio 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XXVI

Friedrich Nietzsche

La necessaria indipendenza di giudizio. Lo studente deve diventare kritikov~ : deve arrivare a dare un’interpretazione sua. Luperini: ogni interpretazione è relativa; c’è un nesso che unisce l’interpretazione alla democrazia. Pohlenz e Cratete che a Pergamo compenetra la filologia di spirito filosofico e rivendica “l’antico nome di kritikov~. Interpretazioni (filosofiche e letterarie) della Storia. La “Storia critica” di Nietzsche. Mazzarino: lo “storicismo” antico di Senofonte e di Isocrate. La Penna: lo storicismo romano identifica l’antica res publica con lo stato ideale ed è reazionario come ogni storicismo. La razionalità del reale e l’interpretazione opposta: la storia come distruzione totale, incubo e labirinto: l’Ulisse di Joyce e Gerontion di T. S. Eliot. L’eterno presente della storia (The waste land). La storia come palinsesto. Caligola e Cremuzio Cordo. Altri storiografi martiri: Tito Labieno e Trasea Peto. Orwell e uno scrittore cinese: Qiu Xiaolong. Galimberti e l’atteggiamento critico-eretico senza il quale il pensiero si impoverisce. Ibsen: l’unica moralità consiste nell’indipendenza di giudizio. P. P. Pasolini: Scuola senza feticci: “la critica dovrebbe essere la prima cosa da coltivare in un ragazzo”

Gli ossimori possono stimolare lo spirito critico. Bruto e Amleto sono ossimori viventi, e Cristo è segno di contraddizione.
 Il docente dovrebbe procurare al giovane il possesso degli strumenti che lo mettano nella condizione del kritikov", ossia del lettore capace di dare un giudizio (krivsi") autonomo, cioè di giudicare (krivnein) con un criterio suo, eppure non arbitrario, l'opera in questione.
“L’insegnare non è quasi altro che assuefare” sostiene Leopardi[1]. Ebbene l’insegnante deve assuefare il giovane a pensare con la sua testa, quella del giovane.
“L’interpretazione…è consapevole della propria relatività e problematicità. Mentre dunque interpretare abitua il giovane ad assumersi la responsabilità di cercare e indicare un significato, gli insegna anche che i significati sono infiniti e che ogni interpretazione è destinata a essere superata. Abitua ad assumere la parzialità e la relatività del proprio punto di vista e a inserirla all’interno di una civiltà che può progredire proprio grazie all’intreccio di diverse interpretazioni. Se ogni interpretazione è relativa, è tuttavia necessaria perché è grazie a essa che il patrimonio di valori sarà continuato e arricchito, selezionato e tramandato al futuro. L’abitudine all’interpretazione forma nello studente il cittadino critico e responsabile, rispettoso degli altri e del testo che ha davanti, ma pronto a battersi per la propria idea…Puntare sulla interpretazione e sulla attualizzazione del testo, motivare le ragioni per cui lo leggiamo e valorizziamo, significa interrogarsi sul mondo, scommettere su un suo senso possibile, confrontare valori con valori. In un mondo in cui ogni valore appare azzerato in un magma indifferenziato, la scuola ha oggi il dovere terribile di non arrendersi, di tentare e di prefigurare una civiltà come dialogo e come conflitto di interpretazioni libero da dogmatismi e da verità precostituite. Sta qui…il nesso che unisce il problema della interpretazione a quello della democrazia ”[2].
Sul significato di kritikov~ posso aggiungere alcune parole del Pohlenz che chiarisce l’indirizzo critico degli stoici pergameni contrapposti ai filologi analogisti alessandrini: "Cratete[3], invece, si pose lo scopo preciso di compenetrare di spirito filosofico la filologia, di cui era insegnante a Pergamo. In antitesi con i "grammatici" alessandrini egli rivendicò l'antico nome di kritikov", dandogli però un significato nuovo, intendendo cioè che solo un'esegesi della poesia fondata su una conoscenza filosofica e "giudicante" porta a una vera comprensione della poesia stessa e mette in grado di giudicarla correttamente. Infatti, per quanto ricercasse in un componimento poetico l'armonia e lo stile, da buono stoico rinveniva il suo vero valore nel contenuto di pensiero e nelle tracce del logos divino, che devono essere presenti in ogni poesia veramente grande"[4].
Anche la storia può e deve essere studiata con spirito critico. Abbiamo già visto in capitoli precedenti (4, 5, 6) la necessità dello studio della storia e le diverse possibilità di approccio.
Ora torniamo sull’argomento riprendendo la prospettiva filosofica e quella letteraria.
 Sentiamo Nietzsche: “Sono questi i servigi che la storia può rendere alla vita; ogni uomo e ogni popolo ha bisogno, secondo le sue mete, forze e necessità, di una certa conoscenza del passato, ora come storia monumentale[5], ora come storia antiquaria[6] e ora come storia critica”[7].
La storia “hegelianamente intesa la si è chiamata con scherno il cammino di Dio sulla terra…per Hegel il vertice e il punto terminale del processo del mondo si sono identificati con la sua stessa esistenza berlinese…egli ha istillato nelle generazioni da lui lievitate quell’ammirazione di fronte alla “potenza della storia", che praticamente si trasforma a ogni istante in nuda ammirazione del successo e conduce all'idolatria del fatto…Se ogni successo contiene in sé una necessità razionale, se ogni avvenimento è la vittoria di ciò che è logico o dell'"idea"-allora ci si metta subito giù in ginocchio e si percorra poi inginocchiati l'intera scala dei "successi! "[8].
Ma l’uomo “ovunque egli è virtuoso… si ribella alla cieca forza dei fatti, alla tirannia del reale…Egli nuota sempre contro le onde della storia[9]…mentre la menzogna intesse tutto intorno a lui le sue reti scintillanti…Fortunatamente essa serba però anche la memoria dei grandi che lottarono contro la storia, cioè contro la cieca forza del reale…La grandezza non può dipendere dal successo, e Demostene ebbe grandezza, benché non avesse successo"[10].
A Nietzsche lo storicismo “appare la consolatoria patina ottimista sovrapposta alla reale irrazionalità e alle reali contraddizioni della vita, una mistificazione della verità operata dall’ideologia al potere”[11].
Santo Mazzarino ricorda che “in un suo libro, ormai celebre, su The open society and its enemies (1950), Karl. R. Popper ha ricondotto lo “storicismo” a Platone, ed anche più indietro. Questa terminologia è del tutto moderna…assai difficilmente essa può adattarsi alla cultura antica. Tuttavia, se "storicismo" significa un'accettazione della storia con le sue implicazioni autoritarie (come vuole Popper), forse questa parola, meglio che a Platone, potrà adattarsi (sia pure con infinite riserve) a Isocrate e Senofonte. Di questi due uomini, infatti, si può dire ch'essi hanno intuito il corso della storia del loro tempo; Isocrate soprattutto, ma anche Senofonte... Il corso della storia: che si svolgeva, appunto, verso la prevalenza di forti personalità (come furono Iason[12], in qualche modo, ma soprattutto Filippo), capaci di intendere che l'avvenire del mondo ellenico era in terra d'Asia, e si affidava al disgregamento dell'impero persiano. Nelle Elleniche Senofonte fa dire a Iason: "io ritengo che assoggettare il re dei Persiani sia ancora più facile che assoggettare l'Ellade" (VI, 1, 12): sono parole scritte, come abbiamo visto, verso il 358/355. Ma già nel 380, scrivendo il Panegirico.... Isocrate... aveva dichiarato che il re dei Persiani poteva essere vinto, e doveva; proprio questo fu il tema del Panegirico ; e gli argomenti di esso erano tratti, come si direbbe in termini hegeliani, dalla razionalità della storia passata. "Nessuna di queste cose" diceva allora, nel 380, Isocrate "avvenne senza ragione"[13] (Isocr. IV 72). In questa razionalità del reale, è dunque, se si vuole, quel tanto di "storicismo che troviamo in Isocrate e Senofonte "[14].
Sentiamo alcune parole di La Penna sullo storicismo dei Romani: “la classe politica romana elaborò una concezione originale di grande portata: è ciò che viene chiamato, con analogia non infelice, lo “storicismo” romano. La sua espressione più profonda si trova in apertura del II libro del De re publica: lo stato romano non è una creazione di un solo uomo e di una sola età, ma creazione di molte generazioni attraverso molti secoli. La serenità della vecchiaia nel Cato maior deve molto al senso della vita umana come momento fattivo di una lunga tradizione…la res publica romana del passato, prima della malattia presente, incarna già lo stato ideale o, almeno, è il migliore degli stati possibili. Sarebbe interessante cercare quanto questa concezione dello stato come organismo che si sviluppa senza rivoluzioni abbia influito sulla nascita e la crescita dello storicismo moderno; lo studio delle istituzioni nella storiografia moderna è impregnato non poco di quella concezione; Montesquieu partì dallo studio delle istituzioni; Vico dedica una parte cospicua della sua opera al diritto romano. Probabilmente una ricerca del genere confermerebbe ciò che sappiamo già per altre vie, vale a dire che lo storicismo è sempre reazionario”[15].

L’interpretazione opposta a quella storicistica.
“La storia è sottomessa al caso, a perturbazioni e a volte a terribili distruzioni di massa di popolazioni e di civiltà”[16].
Nell’Ulisse di Joyce la storia è vista “come distruzione totale, distruzione appunto delle dimensioni storiche, il tempo e lo spazio. Non a caso l’argomento di storia è Pirro, che, con la sua affermazione, “un’altra vittoria come questa e siamo spacciati”[17], diventa emblematico della Storia stessa, concepita unicamente come elemento distruttore”[18].
Si tratta del secondo capitolo del romanzo: “Nestore, la scuola”. Il giovane Stephen Dedalus, dal “nome assurdo, da greco antico”[19], tiene una lezione di storia a ragazzi disattenti. E riflette: “Se Pirro non fosse caduto ad Argo per mano di una vecchiaccia, o Giulio Cesare non fosse stato ucciso a coltellate. Cose che non si possono abolire col pensiero…O fu possibile soltanto ciò che avvenne? Tessi, tessitore del vento”[20].
“Ironizzando sul proprio atteggiamento, Stephen può concludere la sua prima meditazione sulla storia con il commento rivolto a se stesso: Weave, weaver of the wind, “Tessi, tessitore del vento”. Stephen descrive così il proprio processo mentale, e definisce al tempo stesso l’oggetto del suo pensiero, la storia, vuota di senso…I suoi movimenti epifanici sono battaglie sanguinose, la rovina dello spazio e la livida fiamma finale, quando il tempo sembra fermarsi o rimbalzare indietro”[21]. “Certàmi. Il tempo scosso rimbalza, scossa su scossa. Certàmi, limo e frastuono di battaglie, la bava della morte raggelata sugli uccisi, un urlo di lance adescate con sanguinolente interiora umane”[22].
 “E nella pagina seguente troviamo l’affermazione di Stephen (poco importa se echeggia Laforgue: L’histoire est un vieux cauchemar bariolé):
-History, -Stephen said, -is a nightmare from which i am trying to awake[23]. La storia, disse Stephen, è un incubo da cui cerco di destarmi”[24].

Passiamo a Gerontion di T. S. Eliot: qui la visione della storia è diversa da quella presente in Che cos’è un classico? già menzionato (6).
Vediamola: “ Vacant shuttles/weave the windAfter such Knowledge, what forgiveness? Think now/History has many cunning passages, contrived corridors/And issues, deceives with whispering ambitions, /Giudes us by vanities[25], spole vuote tessono il vento… dopo una tale conoscenza, cos’è mai il perdono? Pensa ora, la Storia ha molti anditi ingannevoli, corridoi artificiosi e varchi, ci inganna con sussurranti ambizioni, ci guida con le vanità”.
Gerontion, il monologo di un vecchio la cui saviezza è giunta al punto in cui ha compreso di non saper nulla, è una meditazione sulla storia, e il protagonista può essere considerato la personificazione della storia stessa…L’immagine usata da Stephen in Ulysses, “ Tessi, tessitore del vento”[26], si fa qui più precisa: il Tempo e la Storia, tessitori di vento, esercitano la loro azione su individui umani ridotti a meri nomi…Gerontion stesso, la sua mente, la sua casa-tutte epifanie della Storia e dell’uomo nella storia, sono come le vuote conchiglie nello studio di Mr Deasy[27], aride e abitate dal vento. E’ un motivo annunciato fin dal primo verso,

Here I am, an old man in a dry month[28]
e ripetuto a intervalli regolari:
I an old man
A dull head among windy spaces[29]
e ancora:
An old man in a draughty house
Under a windy knob[30]
Per essere ripreso più ampiamente nei versi finali:
And an old man driven by the Trades
To a sleepy corner.
Tenants of the house,
Thoughts of a dry brain in a dry season[31]

La Storia, dunque, il movimento nel tempo e nello spazio, la consapevolezza del passato nel presente, è essenzialmente impostura, un labirinto in cui l’uomo si perde e da cui viene alla fine distrutto. In questo momento, nel 1919, sotto l’impressione ricevuta da un immane inutile massacro, Eliot condivide la concezione joyciana della storia come incubo[32]; ed entrambi cercano vie d’uscita, modi per svegliarsi. L’unica differenza sostanziale fra l’idea della storia espressa in Gerontion e quella nel secondo capitolo dell’Ulysses è che, mentre lo Stephen di Joyce si rifiuta categoricamente di ammettere l’esistenza stessa del soprannaturale come via d’uscita dall’incubo, il Gerontion di Eliot ne è consapevole ma ne ha paura”[33]. In Gerontion la storia non presenta alcun momento trascendente; essa è priva di logos, è un labirinto ingannevole. Labirinto della storia che corrisponde al labirinto della coscienza la quale perde la bellezza nel terrore e il terrore nella ricerca, una inquisition (v. 60) che è non solo indagine, iJstorivh, ma anche Inquisizione, degenerazione terroristica della Chiesa di Cristo. Quindi c’è la perdita della vitalità, della passione: “I have lost my passion: why should I need to keep it/Since what is kept must be adulterated?” (vv. 61-62), ho perduto la mia passione: perché dovrei conservarla, dal momento che quanto si conserva deve adulterarsi? Gli ultimi versi della poesia evocano di nuovo l’aridità del primo verso[34]: “Tenants of the house/Thoughts of a dry brain in a dry season” (vv. 79-80), padroni della casa, pensieri di un arido cervello in un’arida stagione.
Rimane il fatto che l’uomo deve porsi il problema della Storia per conoscersi e che tutta la Storia deve essere chiamata in causa per capire l’uomo. Gerontion mostra una storia caotica e ingannevole, ma con una presenza eterna e simultanea.
Nella successiva The Waste Land (1922) ritorna questo eterno presente della Storia: “Unreal City, /Under the brown fog of a winter dawn, /A crowd flowed over London Bridge, so many, /I had not thought death had undone so many. …There I saw one I knew, and stopped him, crying: ‘Stetson!/You who were with me in the ships at Milae!(vv. 59-62 e vv. 69-70), Città irreale/sotto la nebbia scura di un’alba d’inverno, una folla scorreva sul London Bridge, così tanta, che io non avrei creduto che morte tanta n’avesse disfatta…Là vidi uno che conoscevo, e lo fermai, gridando: “Stetson, tu che eri con me sulle navi, a Myle![35]”.
Più avanti Eliot si volge dalla terra desolata alla terra promessa e la Storia viene assunta nella prospettiva dell’eterno. Nell’ultimo dei Quattro quartetti, Little Gidding (del 1942), il poeta afferma: “A people without history/Is not redeemed from time, for history is a pattern/Of timeless moments” (vv. 236-238), un popolo senza storia non è redento dal tempo, poiché la storia è un paradigma di momenti senza tempo.

Lo sguardo critico può portare a vedere la storia come palinsesto: Quando un regime cambia, ci possono essere rivalutazioni o nuove condanne secondo l'interesse o la simpatia del despota, o anche del governo democratico: Tito Labieno (soprannominato Rabienus per la sua rabbia contro i vincitori) si uccise per non sopravvivere alla sua opera, che Augusto fece bruciare, siccome esaltava la libertas.
Cremuzio Cordo chiamava Cassio, il cesaricida "ultimo dei Romani"[36].
"Anche del senatore Cremuzio Cordo furono bruciati i libri, per ordine di Seiano, il celebre prefetto del pretorio di Tiberio; ed egli, accusato, s'era lasciato morire di fame. (La sua autodifesa fu un'esaltazione della libertà di pensiero storico)... Caligola fece tornare alla luce gli scritti di Labieno e di Cremuzio: "è nel mio interesse" diceva "che la storia sia conosciuta" (ut facta quaeque posteris tradantur: Suet. Cal. 16, 1): un punto di vista che entra nella tendenza antitiberiana, e nella ricerca della popularitas, con cui Caligola, ai suoi inizi, si presentò come un monarca, a suo modo, costituzionale… Sotto Nerone, il padovano Trasea Peto "la virtù in persona[37]", come lo definì Tacito, si uccise[38] accusato di lesa maestà[39]: aveva scritto una monografia su Catone Uticense. Questi storici capaci di eroismo sapevano benissimo che le loro opere, seppur con varie gradazioni, non solo difendevano l'antico regime, ma in realtà ponevano in questione lo stesso principato"[40]. Torneremo sull’argomento al cap. 58.
La riabilitazione di Tito Labieno e Cremuzio Cordo fa pensare ai vari “revisionismi” recenti.
Tutto questo corrisponde alla concezione orwelliana della storia come palinsesto: "La Storia era un palinsesto grattato fino a non recare nessuna traccia della scrittura antica e quindi riscritto di nuovo tante volte quante si sarebbe reso necessario"[41].
“A quei tempi, lo splendore e la gloria erano rappresentati come qualcosa di decadente, di malvagio, realizzato sfruttando la classe lavoratrice. Allora si dava importanza a ciò che stava dietro alle ricchezze, e questo tipo di enfasi aveva giustificato la rivoluzione comunista. E anche a ragione, fino a un certo punto. A essere cambiato era il tipo di enfasi, che adesso veniva destinato alla facciata, allo splendore e alla gloria, un’enfasi che adesso giustificava il rovesciamento della rivoluzione comunista, anche se l’autorità di partito non lo avrebbero mai ammesso.
Chen era confuso. Nei libri di testo la storia era come una serie di palle colorate nelle mani di un giocoliere”[42].

Concludiamo il capitolo tornando a raccomandare lo spirito critico. 
"L’atteggiamento critico è diventato l'atteggiamento eretico, quando la Chiesa poteva bruciare i dissenzienti. Ed è diventato atteggiamento da guardare con sospetto quando si assume un atteggiamento critico nei confronti di quello che è l'assestamento del sapere e della verità"[43]. Senza la capacità critica il pensiero si impoverisce: "perché pensare non significa trasmettere velocemente dei dati ma significa elaborare dei dati"[44].

"L'unica moralità, piaccia o no, consiste nell'indipendenza di giudizio, nel libero pensiero"[45].
Roberto Pretagostini ha affermato che "la scuola deve esaltare l'originalità che c'è in ognuno di noi".
“ E’ dimostrabile che il ragazzo fin dai primi momenti debba acquistare coscienza non solo della propria eccezionalità ma anche di quella degli altri, venendo così a porsi nei confronti dell’esistenza in uno stato d’animo critico e polemico. Anzi la critica dovrebbe essere la prima cosa da coltivare in un ragazzo, anche se questo dovesse costare la caduta di un’infinità di idoli: primo idolo da far cadere è l’insegnante stesso…L’obiettivo della nostra polemica non è il professore severo ma il professore convenzionale…Ma come suscitare nel ragazzo il gusto della critica e provocare la caduta degli idoli? Evidentemente immettendolo in un clima di scandalo e di incertezza, in cui le cose “eterne” non siano quelle imparate a memoria, ma quelle che più somigliano alle vocazioni che sono in lui (per esempio, quelle che si presentano mentre gioca): la passione a creare, la curiosità, l’impulso a impadronirsi”[46].
La critica può essere davvero “a creation within a creation[47], una creazione dentro la creazione.

Gli ossimori, che sono costituiti da contraddizioni, mettono in crisi i luoghi comuni dell'ortodossia e possono stimolare le facoltà critiche del ragazzo: Antigone ha compiuto un'illegalità santa (o{sia panourghvsa" j, v. 74) ; Bruto e Amleto sono addirittura ossimori viventi[48]: "ossimorico è il falso sciocco, con la sua sapiens insipientia. Diciamo meglio. Il falso sciocco è l'ossimoro per eccellenza, visto che il significato proprio di questa espressione greca, ojxuvmwron, è proprio quella di "sciocco acuto"…Forse non avevamo pensato che Bruto, come Amelethus, e tutti gli altri falsi sciocchi, erano in realtà delle figure retoriche, degli ossimori: anche in senso assolutamente letterale"[49]. Del resto il Cristo è segno di contraddizione, signum cui contradicetur, ut revelentur ex multis cordibus cogitationes (Luca, 2, 34-35), perché siano svelati i pensieri da molti cuori. Anche a te, dice a Maria Simone, uomo giusto e timorato di Dio, anche a te una spada trafiggerà l’anima.
“L’economia del dono: un ossimoro che rende felici, e che funziona. Come l’opulenza frugale, l’abbondante sobrietà: la via delle contraddizioni apparenti, l’unica strada possibile per cambiare. Uno shock ossimorico: solo le parole, e i loro anagrammi talvolta, fanno capire cosa veramente ci serve”[50].





[1] Zibaldone, 1727.
[2] R. Luperini, Op. cit., p. 113.
[3] II sec. a. C. (ndr).
[4]M. Pohlenz, La Stoa, 1, p. 365.
[5] Cfr. cap. 4, 1.
[6] Cfr. cap. 6.
[7] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, p. 103.
[8] F. Nietzsche, op. cit., pp. 137-138.
[9] Cfr. S. Benni: “Solo i pesci morti vanno con la corrente”, Margherita dolcevita, p. 143 (ndr).
[10] F. Nietzsche, op. cit., p 139 sgg.
[11] C. Magris, Dietro le parole, p. 90.
[12] Giasone, tiranno di Fere in Tessaglia, dal 390 ca. a. C. Divenne anche tago (comandante supremo) della Tessaglia. Raggiunse il massimo prestigio nell’anno della battaglia di Leuttra (371), con la vittoria di Epaminonda, del quale era alleato. Venne però assassinato nel 370 durante una rassegna militare da un gruppo di cavalieri congiurati (Senofonte, Elleniche, VI, 4, 16-32) (ndr).
[13] Non ho trovato queste parole nel luogo indicato del Panegirico. Il senso complessivo tuttavia non è discordante (ndr).
[14] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I, pp. 368-369.
[15] A. La Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 14.
[16] Morin, La testa ben fatta, p. 60.
[17] J. Joyce, Ulisse, p. 33 (ndr).
[18] G. Melchiorri, I funamboli, p. 115.
[19] Ulisse, p. 6.
[20] Ulisse, p. 35.
[21] G. Melchiorri, I funamboli, p. 115. Cfr. “Et ducibus tantum de funere pugna” di Lucano (Pharsalia, VI, 811), i duci combattono solo per il luogo della loro morte.
[22] Ulisse, p. 45.
[23] G. Melchiorri, I funamboli, p. 116.
[24] Ulisse, p. 47.
[25] T. S. Eliot, Gerontion (del 1920), vv. 29-30 e 35-37).
[26] Questa espressione si trova nel II capitolo dell’Ulisse di Joyce, Nestore, la scuola, p. 33 (ndr).
[27] Il preside della scuola, filoinglese con venature antisemite. L’Ulisse (del 1922) è ambientato a Dublino.
[28] Eccomi, un vecchio in un mese arido.
[29] Io un vecchio, una testa intronata fra spazi ventosi.
[30] Un vecchio in una casa piena di spifferi, sotto un monticello ventoso.
[31] Un vecchio sospinto dagli alisei in un angolo sonnolento. Inquilini della casa i pensieri di un arido cervello in un’arida stagione.
[32]“ La storia, disse Stephen, è un incubo da cui cerco di destarmi” (Ulisse, p. 47) ndr
[33] G. Melchiori, I funamboli, pp. 120 ss.
[34] Here I am, an old man jn a dry month, eccomi, un vecchio in un mese arido.
[35]La battaglia di Milazzo, del 260 a. C., durante la prima guerra guerra punica. I Romani sbaragliarono i Cartaginesi.
[36] "Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibus Cremutius Cordus postulatur novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus laudatoque M. Bruto C. Cassium Romanorum ultimum dixisset", Tacito, Annales, IV, 34, sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa (25 d. C.) viene citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e sentito allora per la prima volta: pubblicati degli annali con la celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo dei Romani.
[37] "Nero virtutem ipsam excindere concupivit interfecto Thrasea Paeto", Annales, XVI, 21, Nerone volle uccidere la virtù in persona con l'ammazzare Trasea Peto.
[38] Nel 66 d. C.
[39] Cassio Dione racconta la morte di Trasea Peto e di Sorano che non ebbero l’accusa di cospirazione (ejpiboulh'~ me;n aijtivan oujk e[scon, 62, 26), ma morirono o{ti toiou'toi h\san, poiché erano fatti così. Peto era odiato poiché non ascoltava Nerone.
[40]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 3, p. 64.
[41]G. Orwell, 1984.
[42] Qiu Xiaolong, Quando il rosso è nero, p. 200.
[43] U. Galimberti, La lampada di Psiche, p. 25.
[44] U. Galimberti, op. cit., p. 70.
[45] H. Ibsen, Un nemico del popolo (del 1882), atto IV..
[46] P. P. Pasolini, Scuola senza feticci, (“Il Mattino del popolo”, 25 dicembre 1947) in Pasolini) sulla politica e sulla società, p. 57.
[47] O. Wilde, The critica s artist, p. 67.
[48] Vedi il mio La donna abbandonata, p. 133.
[49] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 86.
[50] A. Segré. Economia a colori, p. 96. 

3 commenti:

  1. Ciao Gianni,queste metodologie sono dense di significati e di spunti: fanno pensare.Temo che i tempi della scuola ,in questa fase ,non siano adeguati ad uno studio che vede protagonista il pensiero divergente.
    La mia impressione di maestra è che si corra molto e si pensi poco, si affastellano gli obiettivi didattici in una corsa a dimostrare di aver somministrato più che insegnato.
    Si nega, di fatto , il tempo di pensare ai discenti. Inoltre questi insegnamenti sono semplicistici....quasi si dovesse riempire il tempo degli studenti invece dei cervelli. Insomma mi pare un mangiare americano,veloce e omologato. Che ingrassa senza nutrire. Grazie per le cose che scrivi.Giovanna Tocco

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  2. Grazie Gianni , leggo e concordo i tuoi meravigliosi scritti, sempre con molto piacere. Un abbraccio affettuoso Francesca

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  3. Complimenti , molto interessante. Francesca

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