mercoledì 15 luglio 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XXIV

Jan Cossiers, Prometeo che ruba il fuoco


La diversità necessaria all’individuazione. Prometeo. Apollineo e dionisiaco: Nietzsche, Jung, Ortega y Gasset, Monica Centanni. La negazione della rigida identità sessuale: Penteo, Tiresia e Achille di Stazio (Achilleide). Diversità di culture. Grillparzer e la sua Medea. Pasolini e il film Medea. Massimo Cacciari e il sogno di Atossa nei Persiani di Eschilo. Edgar Morin: diversità e democrazia. D’Annunzio: elogio della diversità. Franco Frabboni: la libertà si coniuga con la diversità

Il primo peccato di Prometeo è stato quello antiapollineo di avere tentato di annientare il principium individuationis che deve differenziare gli uomini dagli dèi.
"Il Prometeo di Eschilo è sotto questo aspetto una maschera dionisiaca"[1].
Vediamo allora che cosa si intende con dionisiaco e con apollineo.

"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…Col termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso l'"individuo" tipico, verso tutto ciò che semplifica, pone in rilievo, rende forte…La pienezza della potenza e la moderazione, la più alta affermazione di sé in una bellezza fredda, aristocratica, ritrosa…Nel fondo del Greco c'è la mancanza di misura, la caoticità, l'elemento asiatico: la prodezza del Greco consiste nella lotta con il suo asiatismo: la bellezza non gli è donata, non più della logica, della naturalezza dei costumi-esse sono conquistate, volute, strappate- sono la sua vittoria"[2].
Su Apollineo e Dionisiaco torna C. G. Jung: "Esaminiamo i concetti di apollineo e dionisiaco nelle loro caratteristiche psicologiche… Prendiamo in considerazione anzitutto il dionisiaco. Secondo la descrizione di Nietzsche è chiaro che esso indica un espandersi, uno zampillare e uno scaturire…E' una fiumana di sensazioni paniche di grande potenza che erompe irresistibile e inebria i sensi come un vino gagliardo. E' ebbrezza nel significato più elevato del termine…Si tratta quindi di una estroversione di sentimenti indissolubilmente legata all'elemento sensoriale…Per contro, l'apollineo è la percezione delle immagini interiori della bellezza, della misura e di sentimenti armonicamente disciplinati. Il paragone con il sogno chiarisce il carattere dello stato apollineo: è uno stato d'introspezione, di contemplazione rivolta verso l'interno, verso il mondo di sogno delle idee eterne, quindi uno stato d'introversione"[3].
Sentiamo anche Ortega y Gasset: “Apollo è la misura, la norma rigorosa della vita, il “restare in sé”, la severa condotta- la condotta conforme, “l’essere in forma”. Ma è anche, beninteso, la danza…Apollo è il dio danzatore per eccellenza, solo che la sua danza è un ritmo rigido e severo, e per questo il culto che gli si dedica consiste in danze moderate. Est modus in rebus, e Apollo è il modus, il logos della vita e delle cose”[4].

“La luce solare, netta e definitoria del lucido Apollo, luce eccessiva che abbaglia con il suo fulgore, ci inganna e ci dice il nostro nome: dà forma e limiti, morfologici e di genere, alla nostra identità. Alla luce di Apollo siamo chiamati a dirci individuo, anziché tutto; e poi uomo anziché bestia; e poi maschio oppure femmina. Ma in Dioniso si abbassa, come accade nella bestia, nella pianta, nella pietra, l’impulso alla determinazione individuale; e ancor più, sfuma lo sforzo, fallisce l’esercizio della determinazione di specie, di razza, di genere. Barbaro è il corteo delle donne che accompagnano il dio; animali e umani i suoi satiri; femmina-maschio il dio stesso. In Dioniso è data la possibilità, per un attimo, di rinunciare all’esibizione dei marchi di identità, di connotati forti. In Dioniso, per un attimo, oscilla la nettezza perspicua della vista. Dioniso mescola e confonde: Dioniso trascende e trasfigura: Che testa è questa? Quale animale ho catturato, ho sbranato con le mie mani?
Sarà davvero la testa di Penteo quella che Agave, la madre, stacca dal corpo sbranato delle sorelle menadi? E’ la testa mozza di Penteo questa, infilzata su una picca, che la madre porta orgogliosa in scena, come trofeo? Non srà invece, come vede Agave nel suo delirio, la testa di un giovane leone montano?
Svanisce in Dioniso ogni rigidità della forma: suoi sono i giocattoli, lo specchio e la maschera…Dioniso nega l’identità, la forma fissa e immutabile: nega anche, nel suo stesso aspetto, il primo marchio di identità:
-E’ nato un bambino. E’ maschio o femmina?
Riccioli lunghi, fragranti di ambrosia; lineamenti delicati, labbra morbide di fanciulla; fianchi alti e sinuosi; piccoli seni appena pronunciati, ma teneri e dolci: forme molli e femminee. Dioniso nega la marcatura sessuale come determinazione rigida e placata della forma…Fra i mortali, un essere soltanto corrisponde alla nobile indeterminatezza di Dioniso: Tiresia. Indovino nella disgraziata reggia di Tebe, cieco, su cui incombe tenebra eterna, appoggiato a un servo o alla figlia Manto, anche lei dotata del dono pericoloso della vista interiore. Ma Tiresia era stato un bambino-o forse una bambina-e in un recinto sacro aveva visto due serpenti che si accoppiavano: li aveva battuti con una verga, che sarebbe diventata, molti anni dopo, il suo bastone e il suo sostegno; li aveva calpestati. Ma per questo venne punito il piccolo Tiresia. Mutato da maschio a femmina-o forse da femmina a maschio-per ordine di Era: quel bambino aveva visto troppo…. L’essere che troppo vede e sa, resta inafferrabile. Le multiple trasformazioni di Tiresia delirano la rigidità della forma ”[5].
Il Tiresia di Eliot, una figura rivelatrice, è cieco, pulsante tra due vite, un vecchio con avvizzite mammelle di donna, è stato seduto presso Tebe sotto le mura e ha camminato tra i morti: insomma egli ha presofferto tutto: "and I Tiresias have foresuffered all[6].
Pure Achille, quando viene portato dalla madre sull’isola di Sciro e partecipa ai riti bacchici riservati alle donne, quale maschio si innamora di Deidamia, eppure interpreta benissimo anche il ruolo femminile che gli ha assegnato Tetide per sottrarlo alla guerra: “et sexus pariter decet et mendacia matris ” (Achilleide, I, 605), gli si addice ugualmente il suo sesso e quello simulato dalla madre. Anzi, il Pelide recita così bene la parte della baccante, quando fa scendere sul collo la nebride, stringe le pieghe della veste con rami di edera, cinge le chiome bionde con bende purpurèe e agita il tirso, che appare il più bello del tiaso, superando la stessa splendidissima Deidamia: “ Nec iam pulcherrima turbae/Deidamia” (Achilleide, I, 606-607).
Ma torniamo alla Centanni e a Penteo: “ Penteo vestito da donna, identico a Dioniso ora, identico a Tiresia, identico ad Agave, esce dalla città, pronto per la danza. Svanita è la rigidità di ogni forma: non c’è più maschio né femmina, non c’è più madre o figlio, non c’è bestia né dio. Dioniso è Agave, la cacciatrice avida di sangue; Dioniso è Penteo, la preda: tutti con identica maschera, identica forma. Nell’attimo della rinuncia all’identità, nell’abisso dell’oblio, si festeggia il trionfo del dio…Agave si risveglierà femmina: madre e assassina. E’ la nascita del principio di individuazione: il necessario dirci uno e altro, maschio e femmina. La luce da cui per un attimo, aoristo felice e incosciente, Dioniso il Nero aveva per noi trovato riparo”[7].

Diversità di culture.
Le culture diverse non vanno eliminate o criminalizzate: devono essere comprese. A proposito della diversità delle culture si può ricordare che Franz Grillparzer nella sua Medea[8] mette in rilievo "la storia di una terribile difficoltà o impossibilità di intendersi fra civiltà diverse, un monito tragicamente attuale su come sia difficile, per uno straniero, cessare veramente di esserlo per gli altri"[9].
In una intervista a J. Duflot Pasolini dichiara che nel suo film Medea ha voluto mettere in evidenza il contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della barbara: " Ho riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione (...) Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture", sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[10]".
Il classico aiuta a comprendere l'altro tanto per via delle analogie quanto delle diversità rispetto al nostro mondo di oggi. "Evocare l'altro-da-sé che è dentro di noi (il "classico") può allora essere un passo essenziale per intendere le alterità che sono fuori di noi (le altre culture), se sapremo ripetere con piena consapevolezza le parole di Rimbaud. " 'Je est un autre"…Quanto più sapremo guardare al "classico" non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno come un potente stimolo a intendere il "diverso", tanto più da dirci esso avrà nel futuro"[11].
La conoscenza rispettosa dell’altro, della sua diversità, è necessaria per comprendere se stesso, secondo il principium individuationis: "Nel voler superare la distanza degli opposti consiste la u{bri" di Serse, quando pretende di aggiogare le due cavalle o le due rive dell'Ellesponto, e cioè terra e mare. Ma perché la differenza sia 'salva', dovrà essere compreso che il differire è to; Xunovn- che proprio l'assolutamente distinto abbisogna sempre, per esser 'salvo' in quanto tale, dell'altro e della distanza dall'altro"[12]. Con l'aggiogamento delle due cavalle Cacciari allude al sogno di Atossa dei Persiani di Eschilo: la regina madre descrive la sua visione notturna: le apparvero due donne (vv. 180 ss.), una munita pepli dorici, l'altra adorna di vesti abiti persiani, entrambe grandi, belle e sorelle di stirpe. Simboleggino la Grecia e la Persia. Tra le due scoppiò una lite: quindi il re Serse cercava di ammansirle e le aggiogava al carro con le cinghie sotto il collo. Una delle due si esaltò per questa bardatura e porgeva la bocca docile alle briglie, mentre l’altra recalcitrava (ejsfavda/ze, v. 194), con le mani spezza le redini del carro, e lo trascina a forza senza freni e rompe il giogo a metà. Allora, continua la regina, cade il figlio mio, e gli si accosta Dario e lo compiange; e Serse, come lo vede, si lacera le vesti addosso al corpo (pevplou~ rJhvgnusin ajmfi; swvmati, v. 199).
Per quanto riguarda l'Ellesponto il riferimento è ancora ai Persiani di Eschilo, quando lo spettro di Dario denuncia la temerarietà (qravso") del figlio il quale sperò di trattenere con delle catene il sacro Ellesponto, come fosse uno schiavo, e il Bosforo, fluida corrente sacra al dio; e mutava forma al passaggio: avvintolo con ceppi martellati, preparò una grande via a un grande esercito (vv. 744-748).
Nella Parodo il Coro rammenta che “l’esercito distruttore di città è passato nella terra vicina, situata sulla riva opposta, dopo avere varcato per mezzo di zattere legate con funi lo stretto di Elle Atamantide, e avere gettato intorno al collo del mare il giogo di un sentiero dai molti chiodi (zugo;n ajmfibalw;n aujcevni povntou, Persiani, vv. 65-72).
 Ora abbiamo la pretesa di esportare la nostra democrazia che non è nemmeno sempre effettiva e che comunque non appartiene alla storia di altri popoli. Inoltre vogliamo violentare la natura incatenando i mari e forando le montagne. Si tratta di un ponte di barche descritto da Erodoto (VII, 36).
“L’esperienza dei totalitarismi ha messo in rilievo un carattere fondamentale della democrazia: il suo legame con la diversità. La democrazia presuppone e nutre la diversità degli interessi così come la diversità delle idee. Il rispetto della diversità significa che la democrazia non può essere identificata con la dittatura della maggioranza sulle minoranze; la democrazia deve comportare il diritto all’esistenza e all’espressione per le minoranze e per i contestatori, e deve permettere l’espressione delle idee eretiche e devianti. Come si deve proteggere la diversità delle specie per salvaguardare la biosfera, così si deve proteggere la diversità delle idee e delle opinioni, nonché quella delle fonti dell’informazione (stampa, media) per salvaguardare la vita democratica”[13]. “Laudata sii, Diversità/delle creature, sirena/del mondo! Talor non elessi/perché parvemi che eleggendo/io t’escludessi, /o Diversità, meraviglia/sempiterna”[14].
Nella Festa nazionale dell’Unità, tenuta a Bologna alla fine dell’estate del 2007, Franco Frabboni ha detto che la libertà non può non coniugarsi con la diversità.





[1] Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 70. Il dionisiaco è il rovescio dell’apollineo, è la negazione dell’introversione del principium individuationis, è il tuffarsi nella totalità estrovertendosi.
[2] F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888, 14.
[3] C. G. Jiung, Tipi psicologici, p. 156.
[4] J. Ortega y Gasset, Idea del teatro (del 1946) p. 93.
[5] Monica Centanni, Nemica a Ulisse, pp. 59 ss.
[6] T. S. Eliot, The Waste Land, v. 243.
[7] Monica Centanni, Nemica a Ulisse, pp. 76-77.
[8] Che compone e conclude la trilogia Il vello d'oro con L'ospite e Gli argonauti del 1821.
[9]C. Magris in Euripide, Grillparzer, Alvaro, Medea Variazioni sul mito a cura di M. G. Ciani, p. 17.
[10]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita, p. 81.
[11] S. Settis,, Futuro del "classico", p. 11o e p. 114.
[12] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 27.
[13] E. Morin, I sette saperi, p. 114.
[14] G. D’Annunzio, Laus Vitae, vv. 46-52. La Sirena del Mondo. 

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