martedì 21 luglio 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XXIX

Michel de Montaigne

La “testa ben fatta” sa organizzare le conoscenze. Il didattichese avalla l’obbrobrio dell’ignoranza dei testi. Ancora il Dialogus de oratori bus

"La prima finalità dell'insegnamento è stata formulata da Montaigne: è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena…una testa ben fatta è una testa atta a organizzare le conoscenze così da evitare la loro sterile accumulazione"[1].
“Intelligenza” infatti in greco è suvnesi", capacità di mettere insieme (cfr. sunivhmi) e di individuare i nessi.
Viceversa quella chi non sa connettere nulla con nulla (I can connect/Nothing with nothing[2]) ha una testa intronata tra spazi ventosi: "A dull head among windy spaces"[3].
Le conoscenze organizzate corrispondono alle competenze di cui tanto, pur troppo si parlava al tempo dell'ultimo, o penultimo, didattichese il quale d'altra parte permetteva, quasi imponeva, di ignorare gli autori.
Ignoranza lamentata già da Messalla nel Dialogus de oratoribus: non si dedica più abbastanza lavoro alla lettura degli autori (nec in auctoribus cognoscendis) né allo studio dell'antichità (nec in evolvenda antiquitate), né alla conoscenza della storia (nec in notitiam vel rerum vel hominum vel temporum satis operae insumitur, 30). Si cercano solo le lezioni dei retori.


Odiamo il brutto senza semplicità del didattichese. Le parolacce e i solecismi: “griglia”, “pof”, “funzione obiettivo”. L’invadenza dei “metodi” e l’assenza dei contenuti

Le parole del didattichese sono inappropriate e brutte assai: per esempio “griglia” applicata alla valutazione. Secondo me la griglia è una graticola (craticula) sulla quale si arrostiscono pesci o salcicce. Per non dire dell'impagabile “Pof”. E’ una parolaccia. Un singulto da indigestione, se non peggio. "Io credo che dovremmo rifiutarci di usare certe parole così brutte…La scuola di oggi fa così. Insegna i Metodi. L'ultima cosa che vuole è insegnare i cosiddetti e vilipesi Contenuti…l'azzeramento (o riduzione) dei contenuti ha prodotto l'ignoranza "[4].
E l'ipocrisia della così detta "funzione obiettivo"? Sembra un solecismo peggio che pedestre. Chi la assume deve passare parecchie ore a scuola sottraendole alla vita e allo studio. "Ed ecco allora profilarsi all'orizzonte una possibile qualificazione degli insegnanti non in base al merito, ma in base alle ore di lavoro svolte, e soprattutto alla disponibilità a entrare nelle varie commissioni e a occuparsi dei vari progetti. Vince l'insegnante poli-funzione. E dell'insegnante che passa le sue giornate in biblioteca a studiare Dante, o il teorema di Fermat, o Kant, non importa niente a nessuno"[5].


La valutazione. Nietzsche, Don Milani. Proposta modesta e sintetica per una valutazione realistica

Per quanto riguarda la valutazione, essa deve essere rivolta in primis a noi stessi: i ragazzi costituiscono un ottimo test della nostra capacità di interessarli. Se non ci ascoltano, è molto probabile che sia colpa nostra: o non conosciamo[6] l’argomento di cui parliamo, o non ci piace, o non ci piacciono gli allievi cui dobbiamo comunicarlo. Sentiamo Nietzsche che parla della sua esperienza di docente di greco: “io addomestico gli orsi, insegno la buona educazione ai buffoni. Durante tutti i sette anni in cui ho insegnato greco nella classe superiore del liceo di Basilea, mai una volta ho avuto l’occasione di dover punire qualcuno; anche i pigroni diventavano diligenti con me”[7]. Comunque dobbiamo pensarci bene prima di bocciare un ragazzo: non mi è mai uscito di testa quanto, molti anni fa, imparai da Don Milani: “ Bocciare è come sparare in un cespuglio. Forse era un ragazzo, forse una lepre. Si vedrà a comodo”[8].
La valutazione realistica secondo me deve premiare la crescita del giovane nella capacità di usare in modo appropriato, magari elegante, la lingua madre in primis, poi deve tenere conto dell’apprendimento di altre lingue, della storia, delle letterature studiate, e, più in generale, deve apprezzare ogni progresso, in termini culturali, etici, estetici.


Tutta la Cultura (Pascal), come tutta la natura (Platone, Menone), è imparentata con se stessa. Dostoevskij: “tutto scorre e interferisce insieme”. Bisogna cogliere i nessi

Morin[9] cita Pascal[10] a proposito del connettere: "Pascal aveva già formulato l'imperativo dell'interconnessione che si tratta oggi d'introdurre in tutto il nostro insegnamento, a cominciare dalle scuole elementari: "Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere le parti"[11]. Molto prima di Pascal[12] Platone [13] aveva detto che tutta la natura è imparentata con se stessa (th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", Menone, 81d). Dostoevskij fa dire allo stariez Zossima che "il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore"[14]. Bisogna dunque cogliere i nessi.


La connessione organica del Capo con la sua gente. Sofocle (Edipo re, Antigone, Filottete). Omero (Odissea). Esiodo (Opere e giorni). Isocrate (Encomio di Elena). Cicerone (I Catilinaria). Polibio. Seneca ("fecimus coelum nocens, Oedipus, 36) e Shakespeare (Macbeth): la contaminazione arriva al cielo. Dante (“la mala condotta”). Erasmo (Elogio della follia). Nietzsche (Zarathustra). Il cattivo esempio delle donne importanti alle donne comuni biasimato da Fedra nell’Ippolito di Euripide. At pueri ludentes 'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" [15]

Secondo questo principio dell'unità del tutto, e, in particolare, per quello della connessione organica tra il Capo e la sua gente, nel prologo dell'Edipo re di Sofocle viene descritta la sterilità della terra tebana sconciata e resa malata dai delitti di Edipo, vero mivasma della sua povli" (v. 353), e nell' Antigone Tiresia accusa Creonte di essere la sorgente inquinata del male della città: " kai; tau'ta th'" sh'" ejk freno;" nosei' poli"" (v. 1015) e la città è ammalata di questo per la tua disposizione mentale. Creonte infatti ha ereditato da Edipo non solo il ruolo regale ma anche la funzione di mivasma, homo piacularis che contamina la città.
Sappiamo anche da Omero[16] e da Esiodo[17], che i costumi, virtù, vizi e perfino malattie del capo si riverberano sulla sua terra per una sorta di responsabilità collettiva.
Sofocle nel Filottete rappresenta Neottolemo adirato con Odisseo che si è impadronito delle armi di Achille, spettanti a lui, figlio di Deidamia e del Pelide. Il ragazzo lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni “pro;~ tou' kakivstou kajk kakw'n jOdusseuv~” (384), dal peggiore di tutti, nato da malvagi, Odisseo. Eppure il giovane biasima ancora più tou;~ ejn tevlei (v. 385), quelli che sono al potere, civile e militare: “povli~ ga;r e[sti pa'sa tw'n hJgoumevnwn-stratov~ te suvmpa~, oiJ d j ajkosmou'nte~ brotw'n-didaskavlwn lovgoisi givgnontai kakoiv” (386-388), la città infatti è tutta di coloro che la governano e l’esercito pure, e quelli tra i mortali che si comportano male, diventano malvagi per le parole di chi li ammaestra. Una concezione pedagogica del potere.

Isocrate nell' Encomio di Elena[18] chiama i despoti che cercano di dominare i concittadini con la forza, non capi ma pesti delle città (oujk a[rconta" ajlla; noshvmata tw'n povlewn, 34).
Analogamente Cicerone nella prima Catilinaria intima al suo nemico mortale di uscire da Roma portando via la contaminazione da lui stesso costituita (purga urbem, 1, 10) ; quindi ringrazia gli dèi e in particolare Giove Statore: “quod hanc tam taetram, tam horribilem tamque infestam rei publicae pestem totiens effugimus” (1, 11), poiché siamo sfuggiti tante volte a questa peste tanto ripugnante, tanto spaventosa e tanto minacciosa per lo Stato.
Anche Polibio[19] fa dipendere il carattere della città da quello dei suoi capi: ai tempi di Aristide e Pericle, Atene era generosa e meritava lode; sotto il governo di Cleone[20] e Carete[21] era crudele e degna di biasimo: ne deriva che i costumi della povli" cambiano con il variare di quelli dei governanti ("w{ste kai; tw'n povlewn e[qh tai'" tw'n proestwvtwn diaforai'" summetapivptein", Storie, IX, 23, 8).
Ricordo pure l'Oedipus senecano dove il protagonista si accusa dicendo "fecimus coelum nocens (v. 36), abbiamo reso colpevole il cielo. Nel Macbeth[22], un nobile scozzese, Lennox riferisce quanto si dice sia avvenuto nella notte dell’assassinio del re: "some say the earth was feverous, and did shake" (II, 3), la terra era febbricitante e ha tremato.
 Quindi un altro nobile, Ross, fuori dal castello del delitto fa notare a un vecchio che il cielo, quasi sconvolto dal misfatto umano (as troubled with man's act), minaccia la sua scena sanguinosa, e il giorno è buio come la notte. Infatti, risponde l'old man: " 'Tis unnatural, Even like the deed that ' s done" (II, 4), è innaturale, come l'azione che è stata perpetrata. In questi ultimi due esempi la contaminazione “oltrepassa la luna”[23].
La città malata per antonomasia è Tebe: Dante chiama Pisa "vituperio delle genti"[24] e "novella Tebe"[25] per la crudeltà della pena inflitta ai figli innocenti del conte Ugolino. “C’è da domandarsi se tutto il resto del mondo possegga una sola città che abbia una preistoria così ricca e fatale come quella di Tebe”[26].
Nell’Oedipus un sole incerto (Titan dubius, v. 1) nega il suo splendore e diffonde sull’empia Tebe un maestum iubar (v. 2), uno splendore cupo, e un lumen triste, una luce afflitta, con una flamma luctifica (v. 3), una fiamma luttuosa. Il re ha impestato la sua città. La luce che vivifica e rallegra è capovolta a fiaccola mortuaria.
Con l'uscita di Edipo da Tebe la vita languente si raddrizza, i colli si rialzano: "relevate colla! " (v. 1054), grida lo stesso cieco in procinto di allontanarsi. Il raddrizzamento della vita è il compito del re, un ufficio per il quale il contorto Edipo non era adatto.
Nel De clementia[27] Seneca ricorda a Nerone che è il principe a stabilire i buoni costumi per il suo Sato: “constituit bonos mores civitati princeps” (III, 20, 3).
La premessa è che la immensa multitudo dei cittadini illius spiritu regitur, illius ratione flectitur, è retta dal suo spirito, viene piegata dalla ragione di lui, mentre si spezzerebbe per i propri sforzi se non venisse sostenuta dalla saggezza del reggitore (III, 1, 5). Nella cooperazione tra il principe e lo Stato, questo costituisce la forza del corpo del quale Cesare è il caput (III, 2, 3).
 Dante ripropone questa idea che il benessere di un popolo dipenda dalla giustizia e pietà religiosa di chi lo guida, e fa derivare la malvagità del mondo dal malgoverno: "Ben puoi veder che la mala condotta/è la cagion che il mondo ha fatto reo/e non natura che in voi sia corrotta"[28].
Erasmo da Rotterdam utilizza questo topos nell'Elogio della follia[29]: " aliorum vitia neque perinde sentiri neque tam late manare; principem eo loco esse, ut si quid vel leviter ab honesto deflexerit, gravis protĭnus ad quam plurimos homines vitae pestis serpat" (55), i vizi degli altri né si sentono allo stesso modo né si diffondono così ampiamente; il principe si trova in posizione tale che se in qualche maniera, perfino di poco, egli si scosta dalla rettitudine, subito una grave peste della vita si espande su un numero enorme di persone.
 “Non vi è, nel destino tutto dell’uomo, sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi uomini. Tutto diventa falso obliquo mostruoso, quando ciò avviene”[30].
Questo topos vale anche per il costume femminile: il cattivo esempio che le donne importanti danno a tutte le altre, viene biasimato da queste parole di Fedra nell'Ippolito di Euripide: " wJ~ o[loito pagkavkw~-h{ti~ pro;~ a[ndra~ h[rxat j aijscuvnein levch-prwvth quraivou~ (vv. 407-409), fosse morta malamente colei che per prima disonorò i letti di casa con uomini esterni. Infatti, continua, questo male ha cominciato a propagarsi dalle case nobili: "ejk de; gennaivwn dovmwn" (v. 409). Quando le turpitudini (aijscrav) sono reputate belle dalle persone di alta condizione, certo sembreranno belle anche al volgo (vv. 411-412).
Se si pone mente al latino rex si deve pensare alla parentela di questa parola con il verbo greco ojrevgw, "tendo, stendo". "La radice deriva dall'indoeuropeo *reg- che ha dato come esito in greco ojreg- (con protesi di oj-) in latino reg-"[31] da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus, diritto. Quindi "in rex bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è retto"[32]. Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando giocano, dicono: sarai re se farai bene: "at pueri ludentes 'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" [33]. Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere contorto. Nemmeno la virtù può esserlo: “et haec recta est, flexuram non recipit ” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.
Altrettanto la verità che è pure “non latenza”
Nell’Antigone il messo in procinto di raccontare la catastrofe di Antigone e di Emone, avverte la regina Euridice che non la blandirà con menzogne: “ojrqo;n aJlhvqei j ajeiv” (v. 1195), la verità è sempre una cosa dritta.


Il determinismo geografico. Connessione terra-uomo. In questo topos l’influenza viene dalla terra e dal suo clima. Erodoto. Ippocrate. Tito Livio, Tacito, Seneca (De ira). La Medea di Seneca. La vita ecologica è anche vita psicologica (Hillman). Curzio Rufo e il determinismo vestiario. Leopardi e i Marchigiani. Nietzsche. H. Hesse e il paesaggio come educatore

Il rovescio del re malato che rende malata la terra è il tovpo" del determinismo geografico: c'è una corrispondenza fra la terra, il clima e gli uomini. In questo caso è la terra che prevale influenzando l’uomo.
Il capitolo finale delle Storie di Erodoto contiene un monito per i Persiani attribuito a Ciro, il fondatore dell'impero. Alcuni sudditi gli avevano presentato la proposta fatta da Artembare di trasferire il popolo persiano dalla sua terra "piccola, scabra e montuosa" in un'altra "migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re dei Medi Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di solito nascono uomini molli ("filevein ga;r ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;" a[ndra" givnesqai", 9, 122, 3): infatti non è della stessa terra produrre frutti meravigliosi e uomini valenti in guerra. Sicché i Persiani rinunciarono, vinti dal parere di Ciro, e preferirono comandare abitando una terra infeconda piuttosto che essere servi di altri coltivando pianure fertili. Sono le ultime parole delle Storie.
Questo passo finale trova una qualche analogia nello scritto del Corpus Hippocraticum[34] Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn, in quanto esso afferma che c'è una "unità indissolubile" tra la terra, il clima, gli uomini e "le forme della loro esperienza umana". Ho citato Santo Mazzarino il quale aggiunge: "Si potrà forse osservare che il concetto della connessione fra la terra e l'uomo non è portato, qui[35], alle estreme conseguenze metodiche, come invece nello scritto (del corpus ippocrateo) Sui climi sulle acque sui luoghi, in cui le differenze tra Asiatici ed Europei sono ricondotte al rapporto fra gli uomini e la natura del paese, e le caratteristiche degli abitanti del Fasi-gialli di colorito, alti e grassi, inadatti alle fatiche[36]-sono riportate alle condizioni della loro regione paludosa e malsana. In Erodoto la connessione terra-uomo c'è tuttavia"[37].
Pure Tito Livio stabilisce questa connessione quando racconta lo scavalcamento delle Alpi da parte di Annibale: "Triduo inde ad planum descensum, iam et locis mollioribus et accolarum ingeniis " (21, 37), in tre giorni di lì si scese alla pianura, dove oramai erano più miti sia i luoghi sia i caratteri degli abitanti. Più avanti Tito Livio trattando di alcune regioni della Macedonia fa una considerazione analoga: “Frigida haec omnis duraque cultu et aspera plaga est; cultorum quoque ingenia terrae similia habet” (45, 30, 6), è fredda tutta questa zona e dura e difficile a coltivarsi: ha simili alla terra anche le indoli degli abitanti.
L’influenza del resto è reciproca: “Ciò che rende bello un luogo è l’umanità che vi aleggia. Non è saggio colui il quale, potendo scegliere, non si insedia tra gli esseri veramente umani”[38].
Seneca nel De ira afferma che per governare è necessaria una natura equilibrata, non intrattabile, e questa ha bisogno di un clima mite: "nemo autem regere potest nisi qui et regi. Fere itaque imperia penes eos fuere populos qui mitiore caelo utuntur. In frigora septentrionemque vergentibus immansueta ingenia sunt, ut ait poeta "suoque simillima caelo" (II, 15), nessuno del resto può governare se non può anche essere governato. Perciò gli imperi in generale si sono trovati presso quei popoli che fruiscono di un clima più mite. Sono feroci le indoli esposte al freddo e al settentrione, e, come dice il poeta, "molto somiglianti al loro cielo".
Qualche luogo simile può trovarsi nella Germania[39] di Tacito: un luogo inameno bagnato da un mare horridum et ignotum, terribile, ignoto e poco desiderabile: "quis porro…Germaniam peteret, informem terris, asperam caelo, tristem cultu aspectuque, nisi si patria sit?" (2), chi andrebbe in Germania, dal territorio desolato, dal clima inclemente, squallida ad abitarsi e a vedersi, se non fosse la patria?
I nativi (indigenae) costituiscono una razza non contaminata e hanno un aspetto che risente della loro terra: "truces et caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum valida (4), occhi[40] feroci e azzurri, chiome rossicce, grandi corpi e gagliardi solo per l'assalto.
Subito dopo (5) Tacito ribadisce che la terra è silvis horrida aut paludibus foeda, irta di selve, oppure orribile per le paludi.
Negli Annales Germanico prima della battaglia di Idistaviso (16 d. C.) descrive l’aspetto dei Germani come visu torvum (II, 14), minaccioso a vedersi.
La Medea di Seneca, quando vuole assumere la ferocia massima negando la propria femminilità, dice a se stessa: "pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue" (Medea, vv. 42-43), scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Il Caucaso, situato tra il Mar Nero e il Mar Caspio, significa un luogo selvaggio[41] che, indossato psicologicamente, rende feroce la persona: " un ambiente fisico reale-sorgente, primavera, albero, crocicchio- è animato…Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime…La vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia, allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci il tuo mondo "[42].

Curzio Rufo impiega questo topos estendendolo fino al determinismo vestiario. Alessandro sottomise gli Aracosii[43], e si addentrò tra i Parapamĭsădae[44]: agreste hominum genus et inter barbaros maxime inconditos. Locorum asperitas hominum quoque ingenia duraverat” (Historiae Alexandri Magni 7, 3, 6), razza di gente rozza, e, tra i barbari, i più incivili. L’asprezza dei luoghi aveva indurito anche l’indole degli uomini.
Il Macedone dal canto suo imitava la magnificenza persiana. Si mise sul capo purpureum diadēma distinctum albo, un diadema purpureo guarnito di bianco, come quello di Dario, vestemque Persicam sumpsit, e adottò l’abbigliamento persiano, sostenendo di portare le spoglie dei vinti, ma, commenta Curzio Rufo, “cum illis quoque mores induerat, superbiamque habitus animi insolentia sequebatur” (6, 6, 4-5), con quelle aveva indossato anche i costumi, e allo sfarzo dell’abbigliamento esterno teneva dietro l’arroganza interna.

Leopardi nello Zibaldone assume la teoria ippocratica della connessione fra la terra e l'uomo in lode degli Italiani e dei Marchigiani in particolare: "Ne' luoghi d'aria sottile, gl'ingegni sogliono esser maggiori e più svegliati e capaci, e particolarmente più acuti e più portati e disposti alla furberia. I più furbi p. abito e i più ingegnosi p. natura di tutti gl'italiani, sono i marchegiani: il che senza dubbio ha relazione colla sottigliezza ec. della loro aria[45]. Similmente gl'italiani in generale a paragone delle altre nazioni. Mettendo il piede ne' termini della Marca si riconosce visibilmente una fisonomia più viva, più animata, uno sguardo più penetrante e più arguto che non è quello de' convicini, né de' romani stessi che pur vivono nella società e nell'uso di un gran capitale" (p. 3891).
Quindi Nietzsche: " Vediamo un po' in quali luoghi si trovano o si sono trovati uomini di grande spirito, dove l'arguzia, la raffinatezza, la cattiveria facevano parte della felicità, dove il genio si trovava quasi necessariamente a casa: tutti sono contraddistinti da un'aria particolarmente asciutta. Parigi, la Provenza, Firenze, Gerusalemme, Atene-questi nomi stanno a provare qualcosa: che il genio è condizionato dall'aria asciutta, dal cielo puro-e questo vuol dire metabolismo rapido, possibilità di attirarsi continuamente grandi, e anche enormi, quantità di forza"[46].
Il paesaggio può ricevere anche il ruolo di Mentore: H. Hesse in Peter Camezind scrive: "Le montagne, il lago, le tempeste e il sole erano i miei educatori ed amici che per molto tempo mi furono più cari degli uomini e del loro destino"[47]







[1] E. Morin, La testa ben fatta, p. 15 e p. 18.
[2] T. S. Eliot, La terra desolata, vv. 301-302
[3] T. S. Eliot, Gerontion, (del 1920) v. 16.
[4]P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 22, p. 75 e p. 187.
[5] P. Mastrocola, op. cit., p. 174.
[6] “I filosofi studiati sul manuale diventan tutti odiosi” (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, p. 12).
[7] Ecce homo, p. 14.
[8] Lettera a una professoressa (p. 39).
[9] La testa ben fatta, p. 20.
[10] 1623-1662.
[11] B. Pascal, Pensieri, p. 143.
[12] 1623-1662
[13] 427-347 a. C.
[14]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, del 1880, p. 402.
[15] Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[16] Un re buono, afferma lo stesso Ulisse nel XIX canto dell'Odissea. parlando con Penelope, porta il popolo alla prosperità: "Raggiunge l'ampio cielo la tua fama, / come quella di un re irreprensibile che pio, / regnando su molti uomini forti, /tenga alta la giustizia; allora la nera terra produce/ grano e orzo, gli alberi si appesantiscono di frutti, /figliano continuamente le greggi e il mare offre i pesci, /per il suo buon governo, insomma prosperano le genti sotto di lui" (vv. 108-114). Il ribaltamento di questa situazione è il re negativo, cattivo e malato, che contamina la sua terra, rendendola sterile e sconciandola quale mivasma. Come si scopre essere il protagonista dell'Edipo re che perciò si allontana da Tebe.
[17] L'altro lato della stessa concezione secondo la quale il bene e il male di un solo uomo ridondano in favore e in danno di una città intero lo troviamo nel secondo archetipo della poesia greca, cioé in Esiodo (Opere, vv. 240-244: "Pollavki kai; xuvmpasa povli" kakou' ajndro;" ajphuvra-oJv" ti" ajlitraivnh/ kai; ajtavsqala mhcanavatai. -Toi'sin d j oujranovqen meg j ejpevgage ph'ma Kronivwn-limo;n oJmou' kai; loimovn: ajpofqinuvqousi de; laoiv. -Oujde; gunai'ke" tivktousin, minuvqousi de; oi\koi", spesso anche un'intera città soffre per un uomo malvagio, /uno che si rende colpevole e architetta scelleratezze. /Su di loro dal cielo il Cronide fa piombare grandi malanni, /fame e peste insieme, e le genti vanno in rovina, /le donne non fanno figli e le case diminuiscono". Infatti quando sbaglia solo Prometeo tutti gli uomini pagano.
[18] Del 390 a. C.
[19] 200 ca-118 ca a. C.
[20] Il famigerato demagogo bersagliato da Aristofane ed esecrato, probabilmente calunniato, da Tucidide. Fu il beniamino del popolo dopo la morte di Pericle, fino al 422 quando morì combattendo ad Anfipoli.
[21] Comandante della flotta ateniese ai tempi di Demostene
[22] 1605-1606.
[23] Cfr. Shakespeare, Coriolano, V, 1.
[24] Inferno, XXXIII, 79.
69 Inferno XXXIII, 89.
[26]. Jacob Burckhardt, Storia della civiltà greca (1902), vol II, p. 214.
[27] In tre libri, scritti nel 55 d. C. per Nerone diciottenne, con l’intento, forse, di distoglierlo dall’ammazzare Britannico.
[28]Purgatorio XVI, 103-105.
[29] Del 1510.
[30] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 298.
[31] G. Ugolini, Lexis, p. 346.
[32] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, p. 295.
[33] Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[34] I cui scritti furono prodotti tra il V e il IV secolo.
[35]Sta commentando le Storie di Erodoto dove" Ellèni e barbari sono studiati... in rapporto al nesso causale fra la terra in cui vivono e la forma della loro esperienza umana", Il pensiero storico classico, I, p. 160.
[36]Precisamente: "prov" te to; talaipwrei'n to; sw'ma ajrgovteroi pefuvkasin,
[37]Il pensiero storico classico, I, p. 161.
[38] Confucio citato da K. Jaspers in I grandi filosofi, p. 255.
[39] Del 98 d. C.
[40] Che sono la parte più significativa del corpo umano.
[41] Si pensi alla sciagurata strage di bambini del 3 settembre 2004.
[42] J. Hillman, Variazioni su Edipo, p. 96.
[43] Nell’attuale Afganistan.
[44]Il Parapamisus corrisponde all’attuale Hindukush.
[45] L'alta considerazione dei marchigiani sembra risentire di questo passo di Cicerone: "Athenis tenue caelum, ex quo etiam acutiores putantur Attici " (Cicerone, De fato, 7), ad Atene l'aria è limpida, e anche per questo gli Attici sono ritenuti più perspicaci. 
[46] Ecce homo, p. 25.
[47] H. Hesse, Peter Camezind. p. 12. 

1 commento:

  1. Caro Gianni,altro bellissimo pezzo. L'unico punto che mi lascia perplessa riguarda la bocciatura. Andrebbe semmai pensata diversamente...alle elementari sarebbe buona norma riflettere che se permettiamo l'anticipo dovremmo consentire anche il posticipo del primo anno. Inoltre, ritengo che, in caso di assenze prolungate ,si dovrebbe prendere in considerazione un anno di sosta.Non ultimo ,valuterei bene un fermo di quei ragazzi, figli di buona famiglia, che si divertono ad interrompere le lezioni per gioco, e per scherno, degli insegnanti e dei compagni studiosi: indipendentemente dai risultati raggiunti.Leggerti è sempre un piacere , Giovanna Tocco

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